MAD - • Prologue. •
Premetto che questa è solo una prova, non sono ancora certa di voler approfondire adesso questo romanzo. Fatemi sapere cosa ne pensate! Sta a voi!♤
Ethan Hank: Dylan O'Brien.
Hazel Trevieri: Holland Roden.
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Non sento il suolo sotto i piedi, sono invasa da una strana sensazione: è come se stessi volando. Ho la testa leggera, gli occhi pesanti e un calore piacevole all'altezza del petto. Potrei avere sonno come potrei non averne. Ho anche una voglia matta di sorridere e abbracciare tutti, riesco a sentirmi realmente un'altra persona. Camryn accanto a me mi guarda preoccupata, allunga la sua mano pallida di fronte al mio viso. La sua mano si confonde col fuoco del falò dinanzi a me. Socchiudo gli occhi, vedendo tutto in rilento. Sento ancora la canna tra le mani, la cartina si sta bruciando e posso percepire la fiammella avvicinarsi alle mie dita. Rhett si sporge verso di me e me la sfila, portandosela alla bocca e mostrando ciò che sembra il tiro più lungo della serata. Non riesco a tenere gli occhi aperti, il fumo non mi ha mai fatto un effetto così estenuante prima. «Non hai una bella cera, perché non vai a farti un giro?» È Johnny a proporlo, seduto sulla sabbia tra le gambe di Camryn. Provo a sollevarmi dal tronco, rischio di cadere in avanti tra le fiamme ma un secondo prima Rhett mi afferra per un polso sogghignando. «Hazel, tu sì che sai come andarci giù pesante con sta roba.» Riesco a trovare la forza per mandarlo a quel paese col dito medio. Passandomi una mano tra i capelli, mi spingo lontano dal calore del falò attraversando la spiaggia affollata. È l'ultimo giorno d'estate, c'è tantissima gente, hanno organizzato questa festa per chiudere le vacanze con stile. Sono qui con i miei compagni di corso, i miei amici, e tutti quelli che hanno accettato di vedermi fare la più grande stronzata della mia vita. Manca ancora molto a mezzanotte, posso ancora prepararmi psicologicamente alla pazzia alla quale mi sono sottoposta. La sabbia sotto i miei sandali è fredda ma soffice, rischio di sprofondarci dentro. «Hazel! Sei veramente qui? Oh Dio, quindi lo farai sul serio?» La voce stridula di Perla Evans mi rimbomba nelle orecchie più della musica proveniente dallo stereo. «Perché non avrei dovuto?» Sento la sabbia tra le dita ed il fastidio procurato da i granelli sotto le unghie. Corrucciandomi viene da chiedermi perché è l'unica cosa a cui riesco a pensare in questo momento. Perla è di fronte a me, col suo naso finto e i capelli neri lunghi fino al fondoschiena. Di lei mi dà fastidio tutto, a partire dal bikini rosso che indossa fino alle curve del suo corpo che fanno invidia a tutte le ragazze qui presenti: soprattutto a me che, a differenza sua, sono completamente piatta. Sfioriamo entrambe il metro e settantasette, con la differenza che la sua quinta abbondante mette al tappeto la mia terza scarsa. «Ci vuole coraggio a mostrare quelle» le sue dita lunghe e magre indicano il mio seno, poi la mia faccia. «E poi quella.» «Evans, ti prego... Queste offese del cazzo puoi anche risparmiarmele.» Ruoto gli al cielo, spingendomi in avanti dopo averle dato un colpo con la spalla. La sento ridacchiare alle mie spalle, ma non mi volto per guardarla perché del suo parere sul mio corpo non può fregarmi di meno. Questa sera ho deciso di giocarmela: ho deciso di fare il bagno nuda. Probabilmente sono completamente impazzita, probabilmente qualcuno farà un video e probabilmente i miei genitori questo Natale, quando mi rivolgeranno la parola, mi diranno quanto sono disgustati del mio comportamento. Una volta arrivata verso gli scogli, alla fine della spiaggia, dove c'è meno gente, mi allungo verso di essi e mi aiuto con le mani per sormontarli. Riesco a sedermi su quello più alto, lascio che il vento leggero mi scompigli i capelli dietro le orecchie e fisso le onde che si schiantano a pochi passi da me. Sono Hazel Trevieri. La ragazza col peggior nome della California perché mio padre, italiano, e mia madre, americana, non riuscivano a trovare un nome ed un cognome adatto ad una bambina che ne era sprovvista. Quando nacqui, in un ospedale olandese diciott'anni fa, mia madre, poco più che sedicenne, mi diede in adozione ad una coppia statunitense che non riusciva ad avere dei bambini. I miei genitori adottivi sono stati dei genitori perfetti fino a quando non ho compiuto undici anni. Da quell'anno tutto nella mia vita è cambiato. Roberto tradì mia madre e lei non riuscì a perdonarglielo. Decisero così per il divorzio. L'unico problema? Nessuno voleva tenere qualcosa che gli ricordasse l'altro, ma l'unica cosa che ad entrambi ricordava il loro matrimonio fallito ero io. Iniziarono a trattarmi male, a dimenticare le mie esigenze e a spedirmi dall'Italia a Washington come se fossi un pacco. Quando finalmente conclusi il quarto anno, mi trovai un appartamento tutto mio e decisi di non fargli più visite se non nelle vacanze estive (una settimana ciascuno) e nelle festività natalizie. Ricordarli mi crea sempre un certo fastidio all'altezza dello stomaco, mi ricorda quanto il loro matrimonio fosse finto e di quanto poco bastasse per sfasciare un'intera famiglia. Chiudo gli occhi, rilassandomi. Quando li riapro, qualche secondo dopo, fisso le stelle dinanzi a me. Il cielo è sempre lo stesso, eppure ogni volta mi sembra un cielo diverso. Strizzo gli occhi ed allungo una mano, come a voler afferrare una stella. Il cielo ne ha troppe. Vedo la mia mano confondersi col lenzuolo blu dinanzi a me, macchiato di stelle bianche e lucenti. Inclino la testa di lato, riportando la mano contro lo scoglio, ma, invece della superficie ruvida e bagnata, ne sento una asciutta e liscia. Sgrano gli occhi e ritraggo la mano quando mi accorgo che si tratta di un piede. Un piede enorme e da maschio. «Non fare quella faccia disgustata, ti ho detto che sarei salito, ma tu non mi stavi ascoltando.» È un ragazzo, seduto poco dietro di me, con lo sguardo perso nel mio. Non l'ho mai visto prima d'ora e non so di che cavolo stia parlando. A giudicare dalla sua espressione, deve star sostenendo che sono troppo fatta per ascoltarlo. I suoi occhi sono verdi, riesco a distinguerli anche con la poca luce che c'è. Quanto odio gli occhi azzurri. Mi giro nuovamente, ignorandolo, avvicino le ginocchia al petto e chiudo gli occhi. «Sono Ethan, comunque. Ethan Hank.» Ethan Hank. Il suo sì che è un bel nome. Torno a girarmi verso di lui, spiando la sua espressione incuriosita dalla mia spalla. «Hazel Trevieri, la ragazza che farà il bagno nuda di fronte a tutta la spiaggia. Piacere di conoscerti, forestiero.»
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