Chapter twelve. • The dark side of the mood. •


I suoi occhi scuri sono estranei ai miei, non sembra nemmeno lo stesso Ethan che ho imparato ad apprezzare negli ultimi giorni. Lo guardo, qui, dall'uscio della porta, con le labbra socchiuse e l'aria confusa. Non so come comportarmi, è come se fossi di fronte ad un'altra persona. Prendo comunque coraggio e faccio un passo avanti, nello stesso momento in cui Ethan si volta nuovamente verso il muro e ne approfitta per dargli un pugno. «Ti ho chiesto di andartene, Hazel, è una cosa molto semplice da fare. Esci da questa dannata stanza!» Faccio ancora dei passi verso di lui, ma è come se avessi i piedi nel cemento armato. Sorpasso la prima fila dei banchi, fisso il suo zaino a terra e tengo lo sguardo fisso su questo per un po'. «Perché sei? Stai bene?» «Non sono affari che ti riguardano. Dico sul serio, ho bisogno di stare da solo per qualche minuto, va' via.» Ethan ha lo sguardo fisso nel muro, il capo leggermente calato ma riesco a sentire il suo respiro pesante essendo a pochi passi dietro le sue spalle. Provo a sollevare una mano verso le sue scapole, che definiscono la maglietta, ma poi la riabbasso. Non voglio infastidirlo, ma vederlo in queste condizioni mi devasta. «Se me ne fossi andata ogni volta che qualcuno mi avesse detto di farlo, probabilmente oggi sarei una persona diversa. Ethan, guardami» lo richiamo, ma lui non si volta. Lo afferro per un braccio, obbligandolo a girarsi con la mia poca forza - ma lui non fa nemmeno tanta resistenza. I miei occhi verdi si sciolgono nei suoi. «Lascia che ti aiuti, posso farlo. Tu lo hai fatto per me, mi hai aiutata nonostante fossi una grande testa di cazzo. Perché non posso fare lo stesso con te?» Ethan non mi guarda più, continua a passarsi le mani contro il viso, scuote lievemente la testa e preme con troppa forza i polpastrelli contro le palpebre. «Loro non sanno niente, non voglio che i professori li chiamino. Non devono saperlo, io voglio stare qui, oggi. Voglio parlare con te, Hazel, voglio essere qui» ripete, a voce bassa, parlando come parlano i bambini durante le crisi di pianto. Io continuo a guardarlo, studio questo bellissimo ragazzo preso da una crisi dinanzi a me. Non so cosa stia succedendo, ma i confini tra me ed Ethan si interrompono. Gli afferro i polsi in due pugni ed allontano le mani dal suo viso pallido. «Non gli diremo nulla, stai accanto a me e parla con me, Ethan. Anch'io voglio stare con te, oggi.» Riesco a fargli il sorriso più sincero che esista, prima di prenderlo per mano e portarlo a sedersi. Ultimi banchi, uno accanto all'altro nonostante il poco spazio che ci divide. Ethan è agitato, lo so, si capisce dal suo ginocchio che sbatte ripetutamente contro il banco e dalle dita tremanti. Continua a non guardarmi e questo mi distrugge un po'. La classe è ancora vuota, lo sarà per i prossimi cinque minuti. «Oggi ha chiamato mia madre» inizio, improvvisamente, parlando di me per non farlo sentire a disagio. «Ah, si?» «Ha visto quel breve video, a quanto pare è arrivato fino a lì. Fatto sta che me ne ha dette di tutti i colori, e non è nemmeno nella posizione di poter giudicare ciò che faccio.» Ethan mi guarda, dopo troppo tempo, facendo passare i suoi occhi lungo tutto il mio corpo. «Non credere alle sue parole, credi solo a ciò che pensi tu.» Allungo le braccia lungo il banco. «Ho pensato di dover credere a ciò che mi diceva per un attimo, ho fatto male?» «Malissimo, Hazel. Non hai nulla di cui vergognarti, a diciassette anni se non fai una stronzata al giorno non sei completamente normale.» Gli sorrido, nonostante la sua aria da non Ethan, riesco a leggere la solidarietà che prova nei miei confronti, il suo solito spirito buono. «Sai,» mi volto maggiormente verso di lui. «capita anche a me di svegliarmi male alcune mattine. Non è una cosa di cui vergognarsene, in fondo, se non ti svegli fuori di testa almeno una volta a settimana, a diciotto anni, non sei completamente normale.» Ethan abbassa lo sguardo, resta serio per qualche secondo e poi ridacchia, passandosi una mano lungo il viso. «Hai proprio ragione» sospira, prima che l'arrivo dei nostri compagni irrompa nella nostra piccola bolla.


L'ultima lezione la ho con Ethan, dopo un'intera giornata in cui ci siamo visti una sola volta. Quando ho lasciato la classe che avevamo in comune, Ethan non mi ha tolto gli occhi di dosso fino a quando non sono sparita dal corridoio. Non abbiamo parlato molto durante la lezione, lui era silenzioso, sempre con la testa tra le nuvole e lo sguardo triste. Era anche molto teso, ogni volta che l'insegnante lo chiama per rispondere ad una domanda, lui sobbalzava, come se fosse stato colto in fragrante. Purtroppo non sono stata l'unica a notare questo suo atteggiamento, anche Johnny, seduto davanti a noi, guardava strano Ethan. Poi, al suono della campanella, ho aspettato prima di uscire dalla classe. Ethan era ancora giù di morale, si toccava continuamente la fronte ed imprecava a voce bassa. Non ho la minima idea di cosa avesse, ma non mi spaventata, mi incuriosiva come ogni cosa che riguardasse Ethan. Ora, entrando nella sala d'arte, non perdo nemmeno un secondo per guardarmi intorno in cerca della sua persona. Camryn, Johnny e Rhett sono dietro di me, chiacchierano e parlano della Murder House con fare divertito. Ethan è già qui, è in fondo all'aula, Cole ha le mani sulle sue spalle e gli sta parlando animatamente. Il moro sembra annoiato al discorso, come se lo avesse sentito già troppe volte, e finge di starlo ad ascoltare. Io lancio un'occhiata ai miei amici, che prendono i soliti posti, poi guardo Ethan che va a sedersi di fronte ad un treppiedi con tela bianca. Ne abbiamo tutti uno: spesso disegniamo un modello, dalla frutta ad un vaso di fiori, che viene posto al centro della stanza, all'interno del cerchio che noi piccoli artisti formiamo. I miei amici prendono i soliti posti e mi riservano un posto tra Rhett e Cam, come al solito, ma io faccio un passo in più e vado a sedermi tra Ethan e Perla, che non si era accorta della mia presenza fin quando non ho spostato lo sgabello. La sua chioma nera si volta dall'altra parte, lei mi guarda, con i suoi occhi accesi e contornati da una cupa matita nera. «Quello non è il tuo posto, tesoro, alza il culo da lì.» Ruoto gli occhi al cielo, afferrando i pennelli e sistemandoli nel piccolo spazio sotto la tela. «Adoro la tua determinazione nel dirmi cose, pensando che io possa davvero interessarmi a ciò che esce dalla tua bocca. Brava, Perla, continua così.» Lei ridacchia, scuote la testa e picchietta le dita contro la tela. «Ed io ammiro la tua, neanche io, che ho una faccia sublime, avrei il coraggio di mostrarla dopo averla messa in giro per il web con sotto una seconda scarsa.» Io mi volto verso di lei, serro la mascella e le punto contro un pennello in faccia. «Punto primo: è una terza. Punto secondo: sto per aggiudicarmi una A solo per dipingerti sulla faccia l'ultimo tocco al quadro della disperazione che hai dipinto in viso.» Una risatina alla mie spalle mi attira, mi volto e vedo Ethan, col capo chino, ancora, sorridere. «Però» sussurra, annuendo compiaciuto. «Una terza?» Quando lo dice, io socchiudo malamente gli occhi e tossisco. «Odio sentirla parlare.» Lui annuisce, senza aggiungere altro, giocherellando con un pezzo di tela sotto le dita. I miei occhi sorpassano Ethan e si posano su Cole, seduto accanto a lui, che non fa altro che sospirare guardando l'amico. Sto per parlare, quando in classe entra Mrs. Hoover, con i suoi soliti vestiti sporchi di pittura ed i capelli bianchissimi raccolti in una coda troppo alta. Posa il suo borsone sulla cattedra, e si volta verso di noi con un sorriso enorme, anche troppo. È come se fosse finto, fatto di cera, stampato sul suo viso rugoso per niente coerente. «Buongiorno ragazzi, oggi non voglio proporvi il solito vaso pieno di fiori o cesto di frutta. Ho pensato a qualcosa di più personale ed intimo.» Non poteva scegliere giorno più adatto, Mrs Hoover. Io fisso il mio foglio bianco, mordicchiandomi il labbro inferiore. Sono brava con i disegni, le foto e con l'esprimere tutto ciò che provo nell'arte. È solo che ci metto un po' a far uscire quello che sento, quando ci sono altre persone a guardarmi. «Provate a far uscire fuori ciò che state provando, esprimetelo in colori, disegni e sfumature. Prendetelo come un test iniziale, per farmi capire quanto possiate essere sensibili da aver scelto questo corso e da convincermi a tenervi con me. Non voglio i soliti paesaggi di mare, o i cuori e le stelline, ragazzi, parlo di emozioni e sentimenti messi su carta con colore.» La donna dai ciuffi bianchi inizia a muoversi per la stanza, guardando attentamente ognuno di noi. Io abbasso di poco lo sguardo, sentendo la rabbia per la telefonata di mia madre bruciarmi lo stomaco. Mi stringo l'addome in un abbraccio, chiudo gli occhi ed affondo i denti nel mio labbro con troppa forza. Sono riuscita ad evitare questo pensiero tutti il giorno, ma ora inizio a sentirmi sporca, rinnegata da chi dovrebbe amarmi. «Hazel, ti stai mordendo il labbro» dice Ethan, ed io lo guardo, sorridendo timidamente. «Quando lo fai sei bella e preoccupata.» Mi acciglio, leggermente lusingata per quel complimento, poi Mrs. Hoover ricomincia a parlare. «Ed ora non perdete tempo, ragazzi. Iniziate ad esprimere tutto ciò che avete tenuto per troppo tempo nascosto, il significato che darete alla vostra opera resterà tra me e voi, non voglio che la spiegate all'intera classe. Mi aspetto, almeno, di non vedere una sfilza di disegni uguali» conclude, avvicinandosi ad una ragazza che ha chiesto il suo intervento. Ethan posa una mano sul foglio, la fissa attentamente, notando lui stesso quanto stia tremando. Abbassa lo sguardo, imbarazzato, cercando di afferrare un pennello. Non posso vederlo così, è davvero una situazione assurda. Cole non gli stacca gli occhi di dosso, continua a tenerlo sotto controllo. Il resto della classe inizia a lavorare, ed io ricevo solo alcune occhiate da Johnny e Camryn. Quando mi volto verso la mia tela bianca, lascio un lungo respiro ed afferro il pennello più grande, iniziando a tracciare piccole curve al centro dello spazio bianco a mia disposizione. La mano vaga da sola, libera, mentre io mi passo la lingua tra i denti per tenermi concentrata. Passano così i minuti, e passa così la prima ora, in un silenzio totale, ognuno avvolto nella propria bolla. Torno a guardare Ethan, si sta fissando i pantaloni, ma ogni tanto chiude le palpebre per troppo tempo, mentre il suo amico ormai, senza speranza, ha smesso di farci caso. La sua tela è completa. Il suo disegno è una strada buia, tra gli alberi, una specie di sentiero. C'è la luna, messa lì un po' a caso, tra gli alberi, come se fosse di troppo. E poi nulla, dove dovrebbe esserci il protagonista del disegno, c'è una grossa macchia rossa e nera, fatta di pennellate arrabbiate. Mrs. Hoover ha completato il giro di perlustrazione, ha superato Cole e adesso è da Ethan. Fissa il suo disegno per molto tempo, gli posa una mano sulla spalla, lui sobbalza ancora. «Puoi anche firmarlo, se è completo." «Sì..» annuisce lui, prima di prendere una penna stilografica ed avvicinarsi al fondo del foglio, proprio quando l'insegnante ricomincia a parlare. «Sono impaziente di scoprirne il significato, sembra che tu abbia molto da dire, caro.» E lì Ethan si ferma, non firma il suo bellissimo lavoro, affonda la penna nel bel mezzo della tela e la lacera, di fronte ai miei occhi e a quelli di Mrs. Hoover. Non volevo accettarlo, ma Ethan, oggi, non è Ethan.

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Secondo voi.. Cosa nasconde Ethan? xoxo

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