Chapter three. • Help request. •
Ho il petto in fiamme anche se non sto piangendo. Ho come la sensazione di non potermi fidare nemmeno dei miei amici. Conosco Camryn dal primo anno del liceo, non è la ragazza più sincera del mondo, ma nemmeno io lo sono. Siamo diventate amiche perché non potevamo non esserlo, perché ci siamo trovate al posto sbagliato e nel momento sbagliato, ma insieme. Ricordo come se fosse ieri, quando entrò nell'aula di chimica in ritardo, con i suoi occhi da cerbiatta irrequieti che osservano la classe in cerca di qualche volto familiare. Spinse il suo zaino rosa sul posto accanto al mio, mi lanciò un'occhiata e mi porse la mano. Rhett, invece, era già amico di Camryn. Rhett è il più piccolo di tanti maschi, è un completo idiota, il tipico ragazzo che ha il cervello sotto l'ombelico. Nonostante le imperfezioni, i difetti, gli errori, insieme a Johnny loro sono miei amici. Sono dei pazzi, sbagliati, ma sono miei amici. Apro l'anta dell'armadio di Johnny, afferro una felpa dal mucchio e la indosso, mi volto verso lo specchio e guardo il mio ridicolo riflesso. Ethan aveva ragione, mi sarei resa ancora più ridicola. Come se non bastasse adesso mi sento anche sporca, maltrattata e furibonda. Ho i capelli rossi e ribelli lungo le spalle, gli occhi verdi socchiusi ed arrossati. Sono un insolito casino, uno di quelli che quando passa nella tua vita desideri di non averlo mai incontrato. Fisso la maglia blu sotto la felpa e penso ad Ethan, penso disperatamente ad Ethan. Non lo vedrò mai più e non potrò nemmeno ringraziarlo. Che cosa lo ha spinto a farlo? Non mi conosceva, probabilmente non mi conoscerà mai eppure si è fatto prendere a pugni pur di evitarlo. Ho una strana sensazione, uno strano fastidio all'altezza dello stomaco. Credo sia la consapevolezza di non essere mai stata salvata da qualcuno, a farmi rabbrividire. Subito dopo aver afferrato il mio cellulare, scendo velocemente le scale e torno in salotto. Ho addosso solo una maglia, una felpa e i pantaloni della tuta di Johnny. Sembro un maschio uscito male. «Hazel..» Johnny mi guarda, non sapendo cosa dire. Lo sapeva, riesco a leggere il dispiacere nelle sue iridi scure. «Puoi accompagnarmi a casa?» Non parlo a Camryn, seduta sul divano che abbraccia un cuscino con un braccio e si tiene il naso con la mano libero. Credo stia singhiozzando, ma se lo merita. «Sì, andiamo.» Seduta in macchina, sul sedile del passeggero, fisso fuori dal finestrino fingendo che accanto a me non ci sia uno dei tanti traditori. Conosco Johnny da un anno, ma e riuscito ad avvicinarsi a me più di quanto abbiano fatto Rhett e Camryn in tre. Dormo da lui più di tre sere a settimana, soprattutto quando zia Sandy è troppo ubriaca e non ricorda come tornare a casa. Non mi piace dormire da sola, e quando non so dove andare, sono sempre sul divano di Johnny. Ai suoi genitori non dispiace, anche perché non sono quasi mai a casa, tornano tardi da lavoro e quando tornano a malapena notano la mia presenza. «Volevo dirtelo, ma Camryn mi aveva assicurato che te lo avrebbe detto lei. Rhett è un'idiota, mi dispiace davvero, Haz.» Non so se gli dispiace oppure no, non voglio nemmeno saperlo in questo momento. «Ho solo bisogno di starmene per i fatti miei, almeno per un po'.» Sollevo il cappuccio della felpa, nascondendomi sotto di essa. «Non sono arrabbiata, sono solo delusa. Nessuno di voi ha pensato di dirmelo, eppure sapete quanto io detesti Perla.» Johnny sospira. «Camryn pensava che se ti fossi gettata in acqua, le avresti dato una bella lezione.» «Non mi interessa Perla, in quel momento volevo semplicemente sentirmi un'altra persona. Lo ammetto: volevo fare una stronzata, mettermi in gioco. Ho pensato che non mi aveste fermata per lasciarmi vivere quel brivido, non perché altrimenti avreste perso una scommessa.» Scuoto la testa, disgustata al solo pensiero. «Te l'ho detto Haz, non abbiamo pensato a ciò che stavamo nascondendo. Quando ho visto quel video, quelle foto.. Avrei voluto ammazzare Rhett più di quanto abbia fatto quel tizio. A proposito, si può sapere chi diavolo era?» Accenno una risatina, scrollando le spalle. «L'ho conosciuto ieri sera, ma non so nulla di lui.» Johnny si acciglia, rallentando l'auto fino a fermarsi di fronte a casa mia. Sfilo la felpa, gliela passo, apro lo sportello dell'auto ed esco. Johnny mi guarda, aspettandosi una qualsiasi reazione. «Ci vediamo direttamente a lezione, la prossima settimana, vero?» Annuisco, chiudo lo sportello e filo in casa senza aggiungere altro. La porta è aperta, segno che zia Sandy o avrà dimenticato di chiuderla prima di uscire, o sarà già sul divano a riposare. Sandy, o zia Sandy, lavora di sera in un locale dall'altra parte della città e di giorno in un negozio di animali: lava cani di qualsiasi taglia e torna a casa sempre troppo stanca per fare qualsiasi cosa. Sandy è la sorella minore di mia madre adottiva, vivo con lei da quando ho iniziato le scuole superiori, da quando mia mamma si è trasferita a Vancouver e mio padre a Torino. «Zia Sandy?» Mi affaccio al salotto, spiando tra i divani in cerca della sua chioma bionda e delle sue gambe magre e pallide. Non c'è traccia di lei in questa stanza, quindi controllo in cucina e poi in camera sua. La soluzione più logica, è che non è in casa ed ha scordato di chiudere la porta a chiave. «Dovrei stupirmi del contrario» mormoro tra me e me, risalendo le scale verso camera mia. La mia camera è sempre in disordine, ci sono sempre vestiti sul mio letto e penne con fogli di carta sparsi per la scrivania. Chiudo l'anta dell'armadio, spingo tutti i vestiti a terra e mi distendo lungo il materasso. Scalcio via i pantaloni di Johnny, volendo restare solo con la maglia di Ethan. Questa maglia mi ispira una certa sicurezza, protezione, qualcosa che non ho mai sentito prima. Concentrandomi, nel silenzio della mia camera illuminata a malapena dal sole che traspira dalle tapparelle, riesco addirittura a sentire il suo profumo. Quando mi accorgo che ho il suo profumo addosso, tutto mi torna alla mente ed ho come un flashback. Lui che cerca di fermarmi, io che biascico parole senza senso sugli scogli della spiaggia. I suoi occhi scuri e penetranti, il modo in cui ha interrotto la festa e il suo sguardo irrequieto che si perdeva nel mio un secondo prima che perdessi i sensi. Ho una voglia disperata di piangere, di prendere a pugni i miei amici che non mi hanno fermata, di dire ai miei genitori quanto siano falsi e di dormire con la maglia di Ethan. Ho anche voglia di vederlo, e non mi spiego il perché. È un attaccamento a senso unico, voglio solo ringraziarlo per ciò che non sa, e non saprà mai, di aver fatto per me.
Una settimana dopo è domenica. La domenica prima dell'ultimo anno di scuola. Questa settimana ho evitato di rispondere alle chiamate di Camryn e Johnny. Rhett mi ha solo scritto un messaggio, non si è nemmeno disturbato a chiamarmi. Il suo messaggio era il più impersonale mai letto, mi ha dato la sensazione che qualcuno glielo stesse dettando. Probabilmente qualcuno dei suoi fratelli, o sua mamma, che lo aiuta sempre in tutto e con tutto. Odio le persone come lui, che hanno le attenzioni di tutti e non hanno nemmeno bisogno di chiederle. Non ha mai subito una sola sofferenza, forse è per questo che è tanto stupido in tutto ciò che fa, perché gliel'hanno sempre fatta passare liscia. Sono seduta sul bancone della cucina, a mangiare cereali direttamente dal bancone mentre fisso due uccellini che beccano le briciole fuori dalla mia finestra. Ho passato una settimana d'insonnia, zia Sandy ha dormito solo una sera a casa ed io, senza compagnia, non ho chiuso occhio. Ho dormito solo il pomeriggio, la notte ho acceso la TV e fatto maratone di film dell'orrore o thriller. Afferro un'altra manciata di cereali e la porto alla bocca, dondolando le gambe nude, con i piedi che non toccano terra, dal bancone. Ho la maglia di Ethan. L'ho lavata solo due volte, il suo profumo si sta dissolvendo e con esso la sicurezza che mi trasmetteva. Sono riuscita a non guardare nuovamente il video, ma da quel poco che ho notato è ancora molto virale ed ha fatto il giro della città in pochi giorni. La porta di casa si apre con un colpo secco, mi acciglio e scendo dal bancone per andare a salutare zia Sandy. «Zia Sandy.» Sandy entra in casa con due grosse buste di carta, le spinge con menefreghismo all'ingresso e chiude la porta con un calcio. Ha addosso un odore di marijuana da far voltare lo stomaco, i suoi capelli sono raccolti in una coda troppo alta ed ha la faccia piena zeppa di trucco sciolto. Non dimostra affatto i suoi trentacinque anni. «Non chiamarmi zia, mi fai sembrare noiosa.» Si accende una sigaretta, mi dà una pacca sulla spalla e se ne va in salotto. Si leva i tacchi, lanciandoli sotto il tavolino e porta la nuca contro lo schienale. «Che serata di merda..» si lamenta. «Ho comprato del cibo, sbrigati a riordinare tutto e prepara qualcosa da mangiare. Sto morendo di fame» mi dice, prendendo un lungo tiro dalla sigaretta, senza guardarmi. «Cosa ti va di mangiare?» Non posso dire: pranzare o cenare, visto che sono solo le quattro del pomeriggio. Sandy non è la miglior zia del mondo, ma almeno fa modo che non mi manchi la cosa più importante di tutte: un tetto sopra la testa. La nostra casa stona col resto del quartiere, moderno e luminoso. Sandy tossisce, forte, come un uomo. «Ho comprato del pollo, sai farlo con le patate, vero?» Annuisco, frugando tra le buste di carta. Faccio una smorfia quando affondo l'indice in un uovo rotto, come la mia vita in questo momento: rivoltante. Subito dopo aver mangiato, Sandy si è addormentata in camera sua lasciando la porta aperta. Si sveglierà tra qualche ora per il turno di notte, fumerà una sigaretta seduta sul water, indosserà qualche vestito attillato ancora pulito ed uscirà di casa come se fosse la cosa più normale del mondo. Sono abituata a zia Sandy, che è anche una delle tante ragioni per la quale non invito amici a casa, esclusi Johnny, Camryn e Rhett. Sono intenta a riordinare i quaderni nel mio zaino, quando il cellulare mi avverte di una notifica. Ne ho ricevute troppe in questi giorni. Sblocco lo schermo e controllo. Ethan Hank ti ha inviato una richiesta d'amicizia.
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