Capitolo 32
Melvin
«Sei sicuro di volerlo fare? Non sentirti in obbligo solo perché ieri sera te l'ho proposto. Se non te la senti―»
Melvin e Felix si trovavano nella macchina di Gunnar che aspettavano di uscire insieme mentre si tenevano per mano. Durante la chiamata della sera precedente, il moro aveva chiesto al suo fidanzato se gli sarebbe piaciuto farsi vedere con lui per la scuola come coppia il giorno dopo, seguendo in quel modo il consiglio di Bailee e lui gli aveva risposto di sì.
Melvin n'era rimasto molto sorpreso. Felix non aveva esitato neanche per mezzo secondo, soffermandosi un po' di più sui suoi problemi con il reggere l'ansia e il nervosismo davanti a troppe persone appiccicate a lui. No, gli aveva semplicemente detto: «Sì, facciamolo» con sicurezza nella voce e un dolce sorriso sulle labbra, in visibile contrasto con l'ombra scura nei suoi occhi, che il moro aveva capito essere tornata per via della madre che aveva nuovamente abusato di lui.
Felix intrecciò le sue dita con quelle di Melvin e annuì con decisione, «Melvin, piccolo, sì, sono sicuro di volerlo fare perché siamo insieme e non ho intenzione di tenere la nostra relazione "segreta" adesso che mi hanno costretto a fare coming out e tutti sanno che ho un ragazzo».
Gunnar, seduto sul sedile del guidatore, mormorò con orgoglio: «Bravo il mio campione, è così che si fa», parole che oltre a strappare un po' di ansia dallo stomaco di Felix, fecero ridacchiare i due ragazzi che si scambiarono una adorabile occhiata, arricciando d'istinto i loro nasi.
«Grazie pà!»
«Sei pronto?»
Felix baciò il dorso della mano di Melvin, a cui in automatico si colorarono le guance perché quei delicati e amorevoli gesti che il suo ragazzo gli regalava lo facevano ancora imbarazzare, anche se li trovava a dir poco dolci e adorava quando agiva così, ma era pur sempre tutto nuovo e ci doveva fare l'abitudine prima di non provare più impacciataggine ad ogni sua mossa.
Melvin annuì, mordicchiandosi il labbro inferiore. Non era preoccupato delle occhiate che da lì a pochi secondi avrebbe incominciato a ricevere un po' da tutti, ma per Felix che per quanto cercasse di essere forte, temeva potesse innervosirsi troppo e stare male.
Successe tutto in fretta. Felix aprì la portiera e uscì dalla macchina, passandosi una mano nei capelli e spostandoli all'indietro, poi raggiunse fulmineo Melvin e fece lo stesso, aiutandolo a balzare fuori da essa mentre le loro dita andarono in automatico a intrecciarsi e infine si diressero a testa alta verso l'entrata della scuola con gli occhi di tutti puntati addosso.
C'era chi iniziò a borbottare e a indicarli senza neanche stare attenti a non farsi vedere da loro, proprio discreti. C'era chi alzò le spalle e tornò a fare ciò che stava facendo un attimo prima di essere stato interrotto dal loro arrivo. C'era invece chi proprio nemmeno si voltò a guardarli. Ma poi arrivarono loro, le anti-Melvin che storsero i loro nasi nel vederli camminare mano nella mano mentre entravano nell'edificio scolastico, chiacchierando tra loro con le labbra incurvate in un sorriso vittorioso.
«Sta andando meglio di quanto pensassi», sussurrò Melvin, emettendo poi un ridacchio dopo aver adocchiato delle ragazze sorridere alla coppia.
Felix annuì e sorrise, «Vero, menomale».
Si fermarono davanti all'armadietto di Melvin. Il biondo gli accarezzò una guancia arrossata poi scese fino al collo, dove con i polpastrelli creò dei cerchi infiniti e dopo avergli passato la mano dietro la nuca, lo avvicinò al suo viso e fece scontrare le loro bocche in un tenero bacio.
Melvin non si tirò indietro.
Era ciò che desiderava.
Non gli importava di nessuno e di ciò che avevano da dire di lui e di Felix; intanto quello ad avere la bocca incollata a quella di un attore famoso e bello da togliere il fiato era esclusivamente lui e le altre potevano continuare a rosicare e cuocere nel loro brodo che tanto non si sarebbero lasciati solo perché lo volevano loro.
Gli passò una mano nei capelli e mosse lentamente le labbra sulle sue che si tesero verso l'alto per la felicità. Quando riaprì gli occhi, lo trovò a fissarlo con sguardo pieno d'amore ― quella traccia di oscurità che aveva notato la sera prima non c'era più; era stata eclissata da una sfera di luce radiante che tornava a fare la sua comparsa ogniqualvolta erano insieme ― e il suo cuore ebbe un sussulto nel vederlo così tanto vicino al suo viso.
«Sono tanto felice», gli sussurrò contro le labbra, sfiorandole con delicatezza con le sue calde e umide.
Melvin gli spostò alcune ciocche bionde dietro le orecchie e vide le sue gote prendere vita, dipingendosi di un rosa acceso poi gli prese il viso accaldato tra le mani e fece scontrare i loro nasi, scaturando la sua risata, «Anche io».
«Siete veramente una bella coppia», commentò con sincerità una voce alle spalle di Melvin che riconobbe subito perché negli ultimi giorni l'aveva sentita parecchie volte e la persona a cui apparteneva l'aveva aiutato molto con i suoi soliti bulli.
Si girò verso Cameron e lo ringraziò.
«Cameron, ma che cazzo dici?», gli domandò con sgomento un loro compagno di classe che a Melvin stava particolarmente sulle scatole perché più volte aveva importunato Bailee, nonostante lei gli avesse detto di non voler assolutamente uscire con lui.
Cameron alzò gli occhi al cielo e sia Melvin che Felix ridacchiarono perché era divertente vedere qualcun altro essere scocciato da persone come quel tipo, che al posto di tenere la bocca cucita e sparare cavolate, l'aprivano e facevano figuracce.
«Perché? Vorresti dire che non lo sono? Che importa se sono due ragazzi, l'importante è l'amore, cretino», rimbeccò il riccioluto che sbuffò contrariato.
«Se lo dici tu...»
«Sì, lo dico io.»
Cameron fece l'occhiolino a Melvin che lo ringraziò nuovamente.
La campanella suonò con il suo trillo acuto e frastornante e purtroppo quel suono suggeriva un'unica cosa: Melvin doveva andare in classe perciò il suo tempo con Felix, per il momento, era finito.
Lo salutò con un bacio sulle labbra, il cui schiocco si liberò nell'aria, «Ci vediamo dopo, amore».
«Ciao piccolo.»
Melvin si diresse verso l'aula di Inglese del professore Jones, con Bailee al suo fianco che l'aveva raggiunto di corsa, con il fiatone e il batticuore. Felix invece aveva adocchiato Noemi aspettarlo davanti alla porta che conduceva alla biblioteca mentre parlava con i suoi zii e giungendo alle sue spalle, la faceva sobbalzare dallo spavento.
Melvin aveva udito Noemi gridare al suo ragazzo quanto fosse scemo e perciò rise, poi purtroppo il suo sorriso si spense non appena notò il professore seduto alla cattedra che aspettava con trepidazione di poter, ancora una volta, prenderlo a parole e renderlo ridicolo davanti all'intera classe.
«Cristo, mi sta proprio aspettando, eh», si lamentò, ruotando gli occhi per la scocciatura.
Un professore più disgustoso di lui non esisteva.
Varcò la soglia della classe, stritolando la tracolla della sua borsa tra le dita per l'irritazione che quell'uomo gli provocava.
«Eccolo qui, il nostro caro signorino Morgan che ha dato spettacolo con atti osceni insieme a quell'attorello da quattro soldi. Non si vergogna?!» spruzzò avversione da tutti i suoi pori e l'occhiata di ripugnanza che gli riservò, lo fece unicamente incavolare.
«No, l'unico pezzo di merda che dovrebbe vergognarsi è lei! Come cazzo osa insultare Felix, eh? Lui è famoso ed è amato da moltissime persone mentre lei è qui a distruggere i sogni di noi giovani ragazzi, a tormentare quelli come me perché ci ritiene dei mostri ed è senza uno straccio di vita privata perché nessuna donna vorrebbe mai stare con qualcuno di schifoso come lei. Lei è riprovevole e mi disgusta tantissimo, prof. Jones.»
Melvin non riuscì a contenersi. Le parole uscirono dalla sua bocca senza più un filtro, senza più alcun controllo e anche se fosse stato sospeso, non gli importava, era una cosa di poco conto perché finalmente stava dicendo a quel professore tutto ciò che pensava di lui. Era stanco di lui, dei suoi insulti quotidiani e poi ora gli aveva anche toccato Felix, ah, quel bastardo l'aveva proprio fatto scoppiare. Aveva raggiunto il suo limite e con quel commento, l'aveva superato, facendo uscire fuori tutta l'esasperazione accumulata negli anni, tutte le parole che avrebbe voluto dirgli in quel lasso di tempo. Nessuno sarebbe riuscito a fermarlo dal gridargli contro quanto lo disprezzasse come persona e come professore.
«Sa cosa dovrebbe fare, prof. Jones? Prendere la sua merda di roba e andarsene da questa scuola perché di bulletti omofobi ce ne sono già abbastanza, non ci serve anche un adulto coglione a fare lo stesso.»
Tutta la classe si era ammutolita davanti allo sproloquio pieno di rabbia di Melvin. Nella stanza non volava una mosca. Tutti avevano gli occhi puntati su di lui che ormai era esploso definitivamente e ogni tanto spostavano lo sguardo sul professore che era diventato tutto rosso e stritolava tra le dita grassocce e pelose il bordo della cattedra.
Anche lui era sul punto di scoppiare, ma era proprio ciò che Melvin desiderava. Voleva farlo arrabbiare a tal punto che anche la preside Simone avrebbe dovuto fare qualcosa al suo riguardo.
Il professore esalò un lungo e profondissimo respiro poi puntò i suoi occhi assottigliati su Melvin che ricambiò lo sguardo, mantenendo viva la rabbia in essi, «Vai immediatamente dalla preside. Io farò chiamare tua madre, così saprà che figlio ingrato ha cresciuto. Non ti permetto di parlarmi in questo modo, stupido frocio schifoso», tuonò, sbattendo con violenza un pugno sulla cattedra.
Molti studenti sussultarono, ma non Melvin. Lui rimase impassibile, anche se sul suo viso nacque un'espressione delusa perché non era riuscito a farlo sbottare come avrebbe voluto, ma almeno era stato in grado di registrare gli insulti che gli aveva gridato contro.
«Fottiti omofobo.»
Melvin uscì dall'aula, sbattendo con talmente tanta violenza la porta che vibrarono tutte le finestre e digrignando i denti per il nervoso poi si incamminò verso la presidenza con passi pesanti e senza un briciolo di paura in corpo ― le conseguenze delle sue azioni era la cosa che meno lo preoccupava perché finalmente aveva potuto sfogarsi.
Odiava con tutto il suo cuore quel professore e non desiderava altro che vederlo venire cacciato via dalla scuola a pedate nel culo e ci sarebbe riuscito, a costo di farlo impazzire.
⚬⚬⚬
Melvin
Gli occhi critici della preside Simone non lasciavano il corpo rannicchiato di Melvin che si dondolava sulla poltrona senza proferire parola.
Da quando era entrato in presidenza non aveva pronunciato mezza parola. Non aveva neanche spiegato il motivo di quella sua improvvisa visita perché era certo che lo avrebbe fatto il professore. Con ovvietà, Jones non avrebbe raccontato il reale motivo della sua sfuriata contro di lui e la preside sarebbe finita con il dare, ancora una volta, ragione a lui, senza neanche provare a sentire la sua controparte, ma tanto Melvin c'era abituato.
Ogni santa volta che era finito lì, in quella stanza spoglia e grigia, non n'era mai uscito vittorioso, ma solo con qualche punizione in più da scontare perché era meglio credere ciecamente all'adulto che al ragazzino che "aveva fatto lo scemo" pur di fermare la lezione.
«Non ha intenzione di parlarmi, signorino Morgan?», domandò la donna con voce calma, aggiustandosi gli occhiali rotondi che erano scivolati fino alla punta del suo lungo naso.
Melvin mosse piano la testa in modo negativo, esalando un sospiro stufo. Che senso aveva parlarle se tanto poi dava più retta a ciò che andava a raccontare il professore che da quando aveva varcato la soglia di quella scuola anni prima, non aveva fatto altro che perseguitarlo per la sua sessualità, che a lui.
Due colpetti sulla porta fermarono la preside dal chiedere di nuovo a Melvin di spiegarle il motivo per cui si trovava nel suo ufficio alle otto e diciassette del mattino. Era un po' troppo presto persino per lui.
«Avanti», disse con voce autoritaria.
La segretaria fece il suo ingresso. La gonna più alzata su una coscia che prontamente andò a tirare giù poiché la preside l'aveva fulminata con lo sguardo e briciole a cospargerle la parte superiore della camicetta che scrollò sul pavimento della presidenza, poi si schiarì la voce, cancellando il poco velato imbarazzo che stava provando in quel momento.
«Il professor Jones è fuori e vorrebbe parlarvi di Melvin Morgan. Oh-oh, ho già chiamato la madre e ha detto che sta arrivando.»
La Simone annuì, osservando poi con severità Melvin che fece spallucce, infischiandosene dell'occhiataccia che gli riservò.
«Controlla che non faccia niente in mia assenza e per l'amor di Dio, se devi mangiare, cerca almeno di non sporcare ovunque.»
«Certo. Mi scusi.»
Melvin avrebbe tanto voluto ridere, ma si trattenne.
Cosa avrebbe dovuto fare in sua assenza? Mettere a soqquadro la stanza? Correre a leggere le future domande per i vari test? Buttarsi giù dalla finestra per scappare da lì?
Ma chi pensava fosse?
Non era un criminale, Santo Dio!
La segretaria si andò a sedere accanto a Melvin e al posto di controllare cosa facesse mentre la preside non c'era (niente!!), si mise a leggere un giornaletto di gossip, fischiettando allegramente e facendo ballare una gambe, il cui calzettone bianco l'era finito alla caviglia secca.
Passarono prima cinque minuti, poi dieci e infine venticinque prima che la preside Simone facesse il suo rientro nella presidenza e l'espressione sul suo viso scarno e rugoso non fece presagire niente di buono, ma Melvin quello già lo sapeva e infatti non si scomodò minimamente dalla posizione comoda in cui si era messo.
L'unica a spaventarsi fu Michelle, la segretaria, che guardando il viso furibondo della donna, scappò dalla stanza senza dire una parola.
«Complimenti signorino Morgan. Veramente complimenti. È questo il modo di rivolgersi a un professore?», non vi era più alcuna traccia di calma nella sua voce; era arrabbiata e delusa da lui, da come un suo studente avesse osato andare contro un professore in quel modo tanto cafone e maleducato.
Alzò le spalle, continuando col suo gioco del silenzio. Non avrebbe detto neanche una singola parola fino a quando non avrebbe visto sua madre entrare nella stanza.
La donna picchiò una mano sulla scrivania, i suoi occhi grigi ridotti a una sottile fessura circondata da rughe profonde, «Morgan!», tuonò.
In quel preciso istante, la segretaria bussò ancora alla porta, annunciando l'arrivo di Libby Kaur Morgan.
«La faccia entrare.»
Libby entrò e i suoi occhi cercarono subito quelli di suo figlio. Non appena li trovò, gli mostrò un sorriso per fargli capire che non era assolutamente arrabbiata con lui. Sua madre non era stupida e sapeva che se si trovava in quella stanza era per colpa di quel preciso professore.
«Qual è il problema con Melvin, signora preside?», chiese per cortesia, in quanto già conosceva la risposta mentre stringeva le dita sulle spalle di suo figlio che si rilassarono all'istante.
«Ha risposto male, molto male a un suo professore.»
«Jones?»
«Sì, mamma.»
Quelle furono le prime parole che pronunciò da quando, quasi quaranta minuti prima, aveva varcato la soglia della stanza e servirono solamente a confermare i sospetti di sua madre.
Libby era a conoscenza dell'odio che quel professore provava per le persone omosessuali e di tutti i soprusi, le umiliazioni che suo figlio aveva subìto da quell'uomo nel corso degli anni. Eppure era ancora lì che insegnava, continuando imperterrito a tormentare Melvin e altri ragazzi e ragazze come lui, anche se molti genitori (compresa lei) si erano spesso lamentati di lui.
«Se mio figlio ha risposto male a quel professore è perché ancora una volta lo ha insultato per la sua sessualità e lei, come sempre, non ha fatto niente a riguardo. Quell'uomo sarebbe dovuto venir licenziato molto tempo addietro e invece è ancora qui a insultare i ragazzini omosessuali e a dare delle poco di buono a delle ragazzine, perché, sì, mio figlio mi dice tutto ciò che succede con quel professore. Come mai non lo avete ancora cacciato? Anche lei preside Simone la pensa come lui? È per questo che è ancora qui?»
Libby divenne rossa dalla rabbia. Era stufa. Stanca del fatto che suo figlio fosse il bersaglio preferito di quel professore omofobo e chi era di competenza non facesse niente a riguardo, anzi lo difendeva persino. Ai professori non dovrebbe minimamente importare della sessualità dei loro studenti, in quanto erano lì per insegnare e non per giudicare eppure lui, quel Jones puntava proprio su quello per perseguitare chi era diverso e decisamente più intelligente di lui.
«Signora Morgan, deve capire―»
«Cosa devo capire?», Libby batté una mano sulla scrivania, fronteggiando la preside che fissò la donna con stupore, «Che è giusto che un professore minacci i suoi studenti perché non eterosessuali? Non dovrebbe comportarsi in modo uguale con tutti? Non dovrebbe non avere preferenze, eh?», sbraitò alzando il tono di voce.
La preside Simone, esalò un sospiro, togliendosi gli occhi e appoggiandoli sopra una spessa pila di fogli, «Il professor Jones è un bravo insegnant―»
Libby emise una risata finta e Melvin ghignò compiaciuto alle sue spalle perché era divertente vedere sua madre mettere a tacere la vecchiaccia, «Ma mi faccia il piacere! Lo sa vero che il suo caro e prezioso professore ha messo solo insufficienze a mio figlio, anche quando i suoi voti sarebbero dovuti essere molto ma molto più alti? Può chiedere alla dolcissima professoressa Conway che è stata così gentile da ricontrollare tutte le verifiche di Melvin per vedere come mai, nonostante studiasse sempre, prendeva solo voti bassi e sa cos'ha scoperto? Che erano quasi tutte da A, ma il suo affezionato Jones gli dava sempre e solo F. Mio figlio si è ritrovato con la media bassissima per colpa del suo bravo insegnante!».
Oh, Libby Kaur Morgan non avrebbe più taciuto. Era stanca di sentire suo figlio lamentarsi di Jones e dei voti brutti che gli dava, anche se studiava sempre come un mulo per cercare di rialzare la media che lui aveva contribuito ad abbassare con i suoi voti dettati unicamente dall'odio che provava per gli omosessuali.
La donna divenne livida in volto e incominciò a boccheggiare, «Io... Io non ne sapevo niente di tutto ciò», mormorò con un filo di voce e lo sgomento ben dipinto sul suo viso rugoso.
Sia Libby che Melvin ruotarono gli occhi, pensando alla testa identica cosa, ma tra i due l'unica a poter dare voce ai suoi pensieri era lei e lo fece, si sfogò.
«Però del fatto che abusasse del suo potere di professore per insultare mio figlio e altri come lui, sì? Sa, preside Simone, dovrebbe rivedere le sue priorità e provare a cercare un insegnante migliore di quell'uomo. Qualcuno che faccia il professore senza mettere di mezzo il proprio pensiero sulle persone omosessuali. Qualcuno che si limiti ad insegnare agli studenti senza portare da casa i propri problemi.»
Melvin pensò che sua madre fosse una forza della natura. Amava il fatto che fosse così tanto schietta e che se c'era qualcosa da dire, la diceva e basta. Un po' come Bailee. Ma non amava così tanto il fatto che fosse un impicciona esattamente come suo marito e il figlio maggiore che ogni tre per due volevano sapere come andassero le cose tra lui e Felix o semplicemente cosa facessero quando erano insieme.
La preside si schiarì la voce, provando a ritrovare la sua compostezza e la sua calma, poi intrecciò le dita sotto al mento e annuì, «Vedrò cosa fare».
«La cosa giusta, spero. E per quanto riguarda Melvin? È in punizione, sospeso o cosa?»
«No, può andare.»
«Bene. Buona giornata signora preside.»
Libby picchiettò due dita sulla spalla destra di Melvin per fargli capire di alzarsi dalla sedia e lo fece. Ringraziò svogliatamente la preside che continuava a fissarlo con stizza. Era chiaramente scocciata perché aveva subìto la paternale dal genitore di un suo studente. Poi uscì dalla stanza, seguendo sua madre che camminava tranquilla davanti a lui.
Una volta fuori, Melvin gettò le braccia al collo di sua madre e l'abbracciò calorosamente, ringraziandola tante, tantissime volte per aver strigliato la preside e riempiendole il viso di bacini.
«Grazie mamma! Sei stata una grande», rise, «Hai visto la sua faccia quand'è sbiancata? Che ridere!».
«Ho fatto bene, vero? Appena mi hanno chiamato per avvisarmi di venire a scuola, ho capito immediatamente ch'era successo qualcosa con Jones.»
Melvin sorrise con soddisfazione alla madre che gli accarezzò le guance rosee, «E me lo chiedi anche? Ovvio che hai fatto bene. Forse questa è la volta buona che quel bastardo viene licenziato».
«Speriamo. Ora torno in negozio che ho lasciato tuo padre a gestire quelle pettegole della signora Green e Denver. Sarà già uscito pazzo con quelle due.»
Ridacchiò ancora. «Povero papà.»
Libby gli schioccò un bacio fugace sulla fronte, «Mi raccomando, fai il bravo che non ho alcuna voglia di tornare nuovamente qui», disse scherzosamente poi si incamminò verso l'uscita, sventolando una mano per aria.
«Ci proverò!», ribatté Melvin, sventolando a sua volta la mano per salutare la madre migliore che potesse mai desiderare.
◈◈◈
Felix
Felix stava ripassando un paio di battute prima dell'inizio delle riprese, ma proprio non riusciva a concentrarsi. La sua mente era totalmente occupata dall'immagine sorridente del suo ragazzo che gli ricordava che sarebbe andato tutto bene e dalla morbidezza delle sue labbra mentre si scambiavano delicati baci. La sensazione della bocca di Melvin a contatto con la sua gli procurò il batticuore e sulle sue gote nacque un pizzico di colore che non stonava mai sul suo volto innamorato.
Noemi si sedette accanto a lui, sorseggiando un ice coffee, poi si stiracchiò le gambe dopo aver finito di girare una scena particolarmente toccante con la "sua famiglia".
«Come stai?», gli chiese, scrutando Alva con la coda dell'occhio che non era per nulla intenzionata a mollare la presa su suo figlio. Doveva a tutti i costi farlo innervosire. Che donna insulsa, pensò con stizza.
Felix alzò di scatto la testa dal suo copione e guardò la sua migliore amica con ancora il trucco sbavato sugli occhi e per poco non scoppiò a ridere per via di quanto fosse buffa, poi lei ripetè la domanda.
«Bene, credo...», ammise, scrollando leggermente le spalle e chiudendo il copione, tanto era inutile provare a leggerlo se niente di ciò che c'era scritto gli entrava in testa.
Noemi appoggiò la sua mano su quella di Felix e gli strinse le dita intorno al dorso, un modo silenzioso per dirgli che lei ci sarebbe sempre stata per lui. «Mi dispiace che debba essere così dura per te e Mello, ma sei stato veramente coraggioso a farti vedere con lui mano nella mano e lo hai anche baciato, cazzo, fregandotene del fatto che le tue fan ti stavano guardando.»
Si mordicchiò il labbro inferiore, annuendo piano. «È stato Melvin a darmi la forza e il coraggio di fare una cosa del genere davanti a tutti, però ammetto di essere ancora un po' nervoso perché è una cosa "non da me". E poi ho visto che qualcuno ha scattato delle foto perciò tra non molto le ritroverò on-line e odio tutto ciò. Odio davvero il fatto di non poter baciare il mio ragazzo senza che tutto il mondo lo venga a sapere. Senza che gli omofobi si sfoghino sulla nostra relazione con la scusa che se la foto è su internet, loro possono scrivere e fare ciò che vogliono. Sono veramente, ma veramente tanto stanco, Mimi.»
Quando la sera precedente, Melvin gli aveva chiesto se se la fosse sentita di mostrarsi con lui davanti a tutta la scuola come la coppia di fidanzati ch'erano, non aveva esitato un secondo, ma poi si era ritrovato a non dormire per tutta la notte, tormentato dall'ansia, che si era divertita a farlo stare male per le cose più stupide. L'ansia gli aveva fatto persino dubitare del modo in cui teneva per mano Melvin. Si era veramente chiesto se lo stesse facendo nel modo corretto, sentendosi poi un idiota perché tenersi per mano era la cosa più basica e semplice e non aveva alcun senso rovinarsi lo stomaco per una cosa del genere. Aveva persino titubato sul suo modo di baciare e per tutta la notte non aveva fatto altro che girarsi e rigirarsi nel letto, convinto che fosse un imbranato cronico che non era in grado di dare un bacio al suo ragazzo.
Ma poi quella mattina, quando Melvin aveva intrecciato le dita con le sue, si era sentito meno nervoso e più sicuro di voler essere libero di essere se stesso con il suo ragazzo al suo fianco e l'aveva fatto. Si era fatto vedere, mano nella mano, con Melvin e l'aveva baciato davanti a tutti, lasciando fuori dalla loro bolla di sicurezza e amore chiunque fosse d'intralcio alla loro relazione perché chi era importante per lui lo stavo stringendo tra le sue braccia e degli altri non gli importava niente.
Noemi abbracciò goffamente Felix, avvolgendo entrambe le braccia magre intorno al corpo dell'amico e intrecciando le dita contro il suo bicipite sinistro, «Mi dispiace così tanto, Lixie. Questo mondo fa schifo. Per noi persone famose non può esistere la privacy ― anzi si incazzano anche se non postiamo tutto su internet perché essendo celebrities abbiamo il dovere di sfamare i nostri fan e i nostri haters ed è una cosa disgustosa. Per non parlare del fatto che tu sei stato costretto a fare coming out per colpa di una che dichiara di essere una tua fan. Io non le capisco... Poi quando noi ci arrabbiamo perché la nostra vita privata viene violata, hanno anche il coraggio di criticarci o di dire che non ci meritiamo tutto il nostro successo. Ripeto: questo mondo è marcio, fa venire il voltastomaco per quant'è sbagliato. Non è sicuro per noi della LGBTQ+, per le donne e per le persone diverse da come le vuole il sistema e ciò spaventa e non poco».
Felix sospiro pesantemente, annuendo ad ogni singola parola pronunciata dalla bocca a cuore della sua migliore amica, «Hai ragione su tutto, ma tanto al posto di migliorare, qui si torna sempre più indietro e si peggiora solo», mormorò rammaricato.
«Felix, Noemi, venite», urlò Declan, arricciandosi un baffo mentre osservava gli attrezzisti spostare nel punto corretto gli ultimi piccoli dettagli.
Le riprese andarono avanti per un bel po'. Felix, per tutto quel tempo, si era sentito lo sguardo gelido di sua madre addosso che gli perforava la schiena fino a bucargli le ossa e aveva udito le sue continue e costanti lamentele su come si muovesse dietro la cineprese perché per lei niente di ciò che stava facendo andava bene. Come al solito. Peccato che quel giorno fosse più pesante delle altre volte perché ora che la sua relazione e il suo orientamento sessuale erano pubbliche, il suo odio per lui era incrementato poiché non poteva più controllarlo come prima e lo sfogava in quel modo.
Riuscì a far finta di niente per un po', poi però il suo borbottio infastidito e infinito era diventato insopportabile e per questo, alcune volte si era distratto, costringendolo in quel modo a dover rigirare per l'ennesima volta la stessa scena.
Ora era giunto il momento del bacio tra il suo personaggio e quello di Noemi.
«Mettici un po' di passione. Cerca di non mostrare che le donne non ti piacciono», se ne uscì aspramente Alva, interrompendo le riprese con il suo commento di cattivo gusto.
Felix si fermò di scatto e si girò verso di lei con sguardo carico di risentimento e odio, «Devi continuare ancora per molto? Noi stiamo cercando di lavorare mentre tu sei qui a criticarmi, quando non sai nemmeno come cazzo si fa a recitare! E poi cerca di nascondere un pochettino il fatto che ti faccio schifo perché sono gay, madre», le sbraitò contro, diventato rosso dalla collera.
Sembrava quasi si fosse dimenticato che non erano soli, ma ancora una volta: non gli importava. Tutti stavano pian piano capendo che tipo di persona era sua madre, la grande Alva Olander che trattava il figlio come una pezza da piedi per via della sua sessualità.
«Felix Alexander Olander, con quale coraggio osi rivolgerti a me in questo modo?», Alva scattò in piedi, livida in volto per la rabbia, ma quando fece per raggiungere Felix, pronta per malmenarlo, Declan si mise in mezzo tra madre e figlio e la fermò,
«Alva, per favore, esci dalla stanza. Felix ha ragione. Stai disturbando con i tuoi sciocchi commenti. Perciò ti chiedo con gentilezza di uscire e lasciarci lavorare in tranquillità.»
La donna divenne purpurea e non si capì bene se per la rabbia o se per l'imbarazzo di essere stata strigliata dal regista della serie televisiva oppure per entrambe le cose, poi incominciò a boccheggiare, rifilando infine un'occhiata piena di disgusto verso Felix che replicò con un'espressione stizzita, alzando anche gli occhi al cielo e mettendosi a braccia conserte mentre attendeva che se ne andasse via.
Lei schioccò la lingua contro il palato, infastidita poi con andatura sicura e sostenuta uscì dalla palestra, spostandosi i boccoli biondi oltre le spalle con un gesto teatrale.
Felix esalò un sospiro di sollievo e Declan gli sorrise.
«Grazie.»
Il regista batté le mani tra loro, «Bene, ora che la mosca fastidiosa se n'è volata via, possiamo tornare a girare in santa pace. Forza ragazzi, scambiatevi questo benedetto bacio!».
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