Capitolo 19
Melvin
Melvin stava pulendo il pavimento con una scopa malconcia, quando Bailee gli aveva inviato un messaggio, avvisandolo che gli aveva fatto un regalo.
Aveva osservato con dubbio quelle poche parole. Perché la sua migliore amica avrebbe dovuto fargli un regalo? E soprattutto perché ora e senza nemmeno una motivazione decente? Non era il suo compleanno, in quanto era nato il quattro giugno. Non era il loro anniversario di amicizia perché quello lo festeggiavano il diciotto di novembre. Quindi perché?!
"Sei sicura di sentirti bene?", le aveva scritto perché voleva sapere se il suo cervello fosse ancora funzionante o se ormai era andato completamente.
La risposta non tardò ad arrivare.
"Sto benissimo, stronzo!"
Melvin rise, "Ne dubito, ma faccio finta di crederci".
"Io faccio una cosa carina per te e tu mi tratti in questo modo? Che migliore amico ingrato!!"
Il ragazzo fece per ribattere, ma suo padre glielo impedì perché entrò in fretta e furia nel negozio con il respiro affannato e gli strinse una mano intorno alla spalla in modo drammatico.
«Che succede papà?», domandò senza mostrare alcun cambiamento nella voce e bloccando il suo cellulare ― avrebbe risposto dopo a Bailee.
Suo padre era uguale a suo fratello quando si trattava di fare i melodrammatici e lui, purtroppo, non era tanto distante da loro perciò era sicuro che gli stesse per dire qualche cavolata.
«Mi sono dimenticato di fare la spesa per mia madre. Ora mi uccide», si spiattellò una mano sulla fronte con fare teatrale poi finse di svenire.
Melvin non riuscì a trattenersi e gli rise in faccia perché poteva veramente vincere il premio per melodrammatico dell'anno, «Dai, ma quanto sei esagerato?», borbottò.
Tanto quanto te! gli suggerì la sua coscienza con esasperazione.
Il padre ignorò il commento di suo figlio e si concentrò il suo cellulare che non smetteva di vibrargli nella mano. Aveva dovuto metterlo silenzioso perché la nonna di Melvin non aveva mai smesso di chiamarlo.
«Puoi stare in negozio da solo mentre vado a farle la spesa?»
La madre di George voleva solo cibo di marca e senza glutine, tutta roba che nel negozio non esisteva perché lui e Libby avevano cercato di renderlo accessibile a tutti. Sì, per i celiaci avevano uno scaffale interamente dedicato a loro, ma la donna purtroppo non si accontentava di quello, nonostante il negozio prima fosse stato di suo marito.
«Sì, nessun problema.»
Meglio, così poteva cazzeggiare un po', dato che erano quasi sul punto di chiudere.
«Figliolo, ne sei sicuro?»
«Pà, è tutto okay. Vai a portare la spesa dalla nonna che sennò non smette più di chiamarti a ripetizione sul cellulare. Io me la caverò.»
«Chiuditi dentro e ricordati di girare il cartello su "chiuso".»
Melvin roteò gli occhi. L'aveva fatto un milione di volte quindi perché ora gli faceva tutte quelle raccomandazioni che conosceva a memoria? Non era più un ragazzino di tredici anni; ne aveva diciassette e sapeva badare a se stesso.
«Sì, papà, lo farò.»
George schioccò un bacio sulla fronte del figlio poi uscì di fretta dal negozio, ma da fuori gli gridò di chiudere subito a chiave.
Melvin sbuffò, ma raggiunse la porta e girò la chiave nella serratura, «Fatto. Ora sei più tranquillo?».
«Più o meno. Non mi piace lasciarti da solo in negozio.»
«Papà, non sono più un bambino e poi non verrà nessuno. Stai calmo, okay? E tu avvisami quando arrivi dalla nonna, capito?»
Era consapevole che si stesse semplicemente preoccupando dopo l'ultima volta, tra l'altro avvenuta meno di due settimane prima, ma Melvin dubitava fortemente che un altro ladro avrebbe provato a rubare, dopo il cagotto che si erano preso l'ultimo cretino che aveva provato a fare una rapina.
«Tua nonna mi uccide se scopre che ti ho fatto stare qui senza la supervisione di un adulto», la drammaticità di suo padre uscì nuovamente. Sua nonna non gli avrebbe fatto niente perché, almeno lei, aveva accettato il fatto che fosse cresciuto e capito che era in grado di cavarsela da solo.
Melvin alzò gli occhi al cielo, snervato, «Non dirle niente».
George annuì, «A dopo, Vinny».
«Ciao pà!»
Melvin ritornò nella conversazione con la sua migliore amica che gli aveva dato dello stronzo perché non le aveva ancora risposto.
"Mi vuoi dire che regalo mi hai―"
Ancora una volta non riuscì a finire di scrivere il messaggio, in quanto la porta venne forzata per aprirsi e se per un attimo aveva creduto potesse trattarsi di suo padre che aveva dimenticato qualcosa, gli bastò voltarsi verso essa per rimanere di stucco e cambiare totalmente il suo pensiero.
Davanti alla porta chiusa a chiave c'era Felix che sventolava una mano e gli stava mostrando un enorme sorriso che gli fece venire il batticuore.
Perché era lì? E perché doveva essere così bello?
"Bailee!!! Il regalo è Felix? Tu sei pazza."
"Divertiti, scemo ;)"
"Fanculizzati, rincoglionita!"
Cazzo. Cazzo. Cazzo. Era ora cosa doveva fare?
Non so, forse aprire la porta a quel povero cristo? gli suggerì la sua conoscenza e le sue gambe si mossero in automatico fino a giungere davanti a Felix.
«Che ci fai in giro da solo?», gli chiede, sbloccando la porta e facendolo entrare.
Felix si strinse nelle spalle e arricciò adorabilmente il naso, «Volevo vederti», ammise infine.
«Cosa stavi facendo?»
«Oh, devo pulire la frutta e la verdura da ammaccature per poi preprare delle cassette miste da mettere a metà prezzo, così evitiamo lo spreco», gli spiegò velocemente Melvin.
Ma era venuto fino al negozio per parlare di ortaggi?
No, veramente, cosa ci faceva lì?
Voleva vederlo, okay, ma i suoi occhi azzurri e splendenti sembravano volergli dire altro. C'era qualcosa che lo preoccupava e ne voleva parlare con lui?
«Tutto bene?», chiese per sicurezza.
Non gli piaceva osservare le sue labbra incurvate in un sorriso dolcissimo e felice, se poi il suo sguardo gli diceva tutt'altro. I suoi occhi sembravano impensieriti da qualcosa e tristi, ma quell'ombra nera, da quando lo aveva conosciuto, pareva accompagnarlo ovunque e la cosa doveva assolutamente cambiare perché lui avrebbe fatto in modo di renderlo per davvero felice. Ci avrebbe provato a tutti i costi. Voleva osservare i suoi occhi risplendere solamente di allegria, senza alcuna traccia di oscurità.
⚬⚬⚬
Felix
«Sì, ora sto bene», gli sorrise con affetto, «Vuoi una mano?».
Era semplicemente assurdo come Melvin riuscisse sempre a captare quando non stava bene. Gli bastava guardarlo negli occhi per capirlo eppure, secondo lui, quello con lo sguardo più espressivo e trasparente era decisamente il moro. Però tra i due, era sempre Melvin quello che percepiva meglio le sue emozioni e nell'immediato si preoccupava per lui, domandandogli poi se stesse realmente bene. Non poteva nemmeno mentirgli, dicendo subito di sì perché tanto Melvin si accorgeva sempre quando gli stava raccontando una bugia, ma era più forte di lui. Era cresciuto raccontando bugie perché dopo aver capito che a sua madre non importava niente di lui, aveva iniziato a mentire per far felice tutti, per non far preoccupare nessuno.
Era una cosa che a volte non riusciva a controllare.
Un po' come quando le persone ti chiedevano "come stai?", ma in verità non volevano ascoltare nient'altro se non un "bene" perché non erano realmente interessati a come ti sentivi in quel momento. Era solo un modo cortese per farti sapere che si preoccupavano per te, anche se poi alla fine non era così, in quanto non volevano ascoltare i tuoi problemi e pensieri.
E Felix, durante il corso della sua vita, aveva trovato più persone a cui non fregava niente di come si sentiva, piuttosto che qualcuno come Melvin o Noemi perciò la bugia tattica gli usciva fuori dalle labbra in automatico, nonostante loro due erano in grado di accorgersi all'istante quando mentiva.
«Ne sei sicuro?», Melvin indossò i guanti perché non voleva che le sue mani puzzassero di cipolla o aglio.
«Sì, voglio rendermi utile», replicò Felix, infilandosi a sua volta un paio di guanti che aveva adocchiato su una cassetta di zucchine. Gli stavano un po' grandi, ma potevano andar bene.
«Felix, dovresti riposarti dopo aver lavorato tutto il giorno e non stare qui in piedi con me a pulire ortaggi. Non ti fa bene.»
E ancora una volta, Melvin si preoccupò per lui e per la salute. Il suo cuore picchiettò contro la gabbia toracica, quando l'altro gli sfiorò una guancia che prese all'istante rossore poi gli sorrise dolcemente perché era tanto grato di averlo conosciuto.
«Mi riposerò una volta a casa. Tranquillo. Ora voglio davvero aiutarti.»
«Va bene, ma se ti senti troppo stanco, la smetti e ti vai a sedere sulla sedia dietro il bancone, okay?»
Felix baciò d'istinto una guancia di Melvin che arrossì a sua volta, «Okay, piccola fatina».
Iniziarono a pulire la frutta e verdura da ammaccature e parti andate a male e per i primi minuti lo fecero in silenzio, nonostante Felix fosse sicuro che persino Melvin avesse udito i battiti aggressivi del suo cuore che non avevano alcuna intenzione di rallentare e tutto ciò, solo perché erano vicini e le loro braccia continuavano a sfiorarsi.
Però sapeva di dover tirare fuori il discorso sui baci con Noemi, anche se non aveva idea di come farlo senza creare del disagio tra loro, perché in quale modo si era convinto che fosse per quel motivo che Melvin se n'era andato via prima da scuola e non perché doveva lavorare. L'aveva visto il suo viso arrabbiato dopo aver finito di girare la scena del bacio con Noemi. O era solo una stupida coincidenza o si era veramente incavolato per quel bacio.
Felix si schiarì la voce, «Mello?».
Melvin arcuò un sopracciglio e si voltò verso di lui, «Cosa? Non stai be―»
«Il bacio tra me e Noemi non ha significato niente», sputò fuori, lasciando perdere il disagio che probabilmente si sarebbe formato da lì a qualche secondo.
«Lo so», ridacchiò il moro e Felix rilasciò un sospiro di sollievo.
Imbarazzo tra di loro: scampato.
«E allora perché quando te ne sei andato via sembravi arrabbiato?»
Melvin fece spallucce, «Io e Bai stavamo bisticciando per una cavolata».
Perché era certo che gli avesse detto una bugia? Semplice: sapeva riconoscerle in quanto era il campione delle menzogne però se non voleva dirglielo, non poteva obbligarlo a parlargliene. Gli dispiaceva solo che non si fidasse abbastanza di lui per raccontargli il vero motivo della sua incazzatura.
«Che c'entrava con te e Noemi e mi sono ingelosito», continuò dopo una paio di secondi, lasciando interdetto Felix, il quale si era appena reso conto che gliel'aveva detto.
Si fidava di lui.
Melvin era geloso di Noemi e la cosa lo aveva reso estremamente felice, anche se poteva stare tranquillo che tra lui e la sua migliore amica non sarebbe mai successo niente.
Felix si inumidì le labbra e il suo sguardo cadde sulla bocca rosea di Melvin su cui compariva un piccolo sorriso e un unico desiderio tornò in lui: voleva sapere quanto fossero morbide a contatto con le sue.
«Posso baciarti?», gli uscì involontariamente e così come il suo viso anche quello di Melvin divenne interamente bordeaux per la vergogna.
Perché non riusciva a connettere il cervello e la bocca prima di parlare? Cazzo, ora era sicuro che l'avrebbe mandato a cagare.
Desiderava davvero tanto baciare Melvin, ma non così. Voleva essere certo che anche lui provasse le sue stesse emozioni. Non avrebbe rovinato ogni cosa solo perché non mirava ad altro se non a essere il ragazzo di Melvin. Doveva darsi una regolata e fare le cose con calma.
«V-vuoi davvero baciarmi in mezzo alle cipolle e alle carote mentre odoriamo di cipolle?». Melvin era chiaramente in imbarazzo eppure riuscì lo stesso a fare una battuta per cercare di sdrammatizzare la situazione e cancellare il silenzio spiacevole calato su di loro.
Doveva sbrigarsi ad inventare una scusa. Qualsiasi cosa perché Melvin con quella frase gli aveva fatto comprendere quanto la sua uscita fosse stata stupida e a dir poco imbarazzante. Gli aveva chiesto se poteva baciarlo davanti a della verdura mezza marcia.
Molto romantico!
Felix emise un ridacchio impacciato, «Scusa, ho ripetuto una battuta del mio personaggio». E per fortuna che era vero. Nicholas glielo aveva domandato parecchie volte al personaggio di Noemi prima di ricevere indietro una risposta positiva.
Melvin lo fissò dubbioso, ma poi annuì.
L'aveva capito, sicuro, però sembrava voler lasciar perdere. Forse aveva capito dallo sguardo di Felix che quella domanda l'aveva messo a disagio e che preferiva far morire lì quel discorso.
Era veramente un bravo ragazzo.
«Forza, andiamo avanti che prima finiamo, prima possiamo riposarci.»
Passarono quasi quarantacinque minuti a pulire e spostare nelle cassette da scontare tutta la frutta e la verdura non completamente perfetta. E tra una carota tagliata storta e una zucchina divisa a metà, i due ragazzi risero e risero, trovando quella situazione buffa ma al contempo li faceva sentire più uniti.
Finirono di chiudere le cassette di legno, per protezione e evitare che le persone rubassero quel cibo messo in sconto, con della pellicola trasparente che pinzarono intorno ai quattro lati poi Melvin annunciò che avevano concluso il loro lavoro per quella sera.
«Grazie Lixie per la mano che mi hai dato.»
Felix era tanto contento di essere stato utile a Melvin. Era felice di averlo aiutato e di aver passato altro tempo con lui, anche se a pulire della verdura, perché si erano divertiti lo stesso e poi, per lui, l'importante era stare insieme. Non gli importava di lavorare se poteva stare in sua compagnia.
Gli baciò nuovamente una guancia poi ridacchiò sommessamente, «Mi ha fatto piacere aiutarti. Mi sono divertito molto».
«A spulciare frutta e verdura?», gli domandò Melvin, inarcando un sopracciglio con fare dubbioso, tradito un po' dalle gote arrossate per il bacio.
«A stare con te, piccola fatina. Mi sono divertito ad aiutarti perché abbiamo condiviso un momento che a parte Bailee, credo tu non abbiamo mai passato con nessun altro.»
Melvin esplose in una risata che in qualche modo contagiò anche Felix perché rise anche lui, anche se non capiva per cosa. «Bai, non mi ha mai dato una mano perché non vuole,» mosse le mani davanti al suo petto a mo' di zombie, «rovinarsi le manone e le unghie fatte in gel o quelch'è».
«Quindi sono il primo?»
«Sì, Lixie». Melvin si levò i guanti e li lanciò verso il bancone, ma ovviamente non si fermarono e caddero dall'altra parte. Sbuffò sonoramente perché non aveva alcuna intenzione di raccoglierli. Aveva la schiena a pezzi.
Felix stava sorridendo mentre seguiva le mosse dell'altro ― non riusciva a togliergli gli occhi di dosso perché era troppo bello con la fascia nera a tirargli indietro i capelli da cui spuntavano tanti cornini che gli conferivano l'aspetto di un leoncino e lo sguardo sempre luminoso e dolce, niente a che vedere col primo giorno di scuola. Le guance passavano dal suo colorito naturale al rosso ogni volta che le sfiorava con le sue labbra e la sua bocca si incurvava in un sorriso timido.
Era a dir poco adorabile e sapeva di averlo ripetuto un'infinità di volte, ma proprio non riusciva a pensare a nient'altro se non a quello, guardandolo. Era la sua piccola fatina.
Poi anche lui si tolse i guanti, «Dove li appoggio?».
«Sul bancone.»
Entrarono in bagno e la luce giallastra iniziò a ballare, creando strane forme sulle pareti bianche.
A Felix, quel bagno, ricordò quello in cui aveva girato una scena per un film horror e dov'era stato fatto fuori quasi subito. Per nulla rassicurante, ma non aveva niente da temere, dato che si trovava in un fruttivendolo in compagnia del figlio del capo e si doveva solo lavare le mani. Non c'erano assassini in circolo.
«Mio padre si è dimenticato ancora una volta di cambiarla. Che palle!», si lamentò Melvin, sbuffando dopo aver provato a spegnerla e accenderla una seconda volta, ma niente da fare, la lampadina ballava ancora.
«Io sono crepato in un bagno del genere», ribatté Felix, sghignazzando davanti all'espressione confusa dell'altro.
«Ah!», il viso di Melvin si illuminò, «Stai parlando di un film. Che cretino, non riuscivo a capire che diavolo stessi dicendo», scosse il capo ed emise un sospiro stanco.
«Be', morto non sono e posso assicurarti che non stai parlando con un fantasma», Felix gli diede una leggera spallata poi aprì il rubinetto e iniziò a lavarsi col sapone le mani che per quanto non avessero toccato nessuna verdura, avevano sudato lo stesso all'interno dei guanti.
«Mia zia dice di poter parlare con gli spiriti». Melvin fece lo stesso e se le lavò a sua volta.
«Davvero?»
«Sì, ma è un po' svitata», schizzò dell'acqua sul viso di Felix che strabuzzò gli occhi e spalancò la bocca, osservandolo con incredulità.
Lo aveva appena bagnato? Oh, non l'avrebbe passata liscia.
Melvin rise di gusto, ma la sua risata scemò non appena Felix gli lavò il viso con dell'acqua e fu il suo turno di sghignazzare.
Iniziarono una lotta di schizzi d'acqua che si concluse con la fuga del moro dal bagno, ma l'altro lo acchiappò da dietro e lo abbracciò, stringendolo contro il suo petto. Adorava entrare in contatto col corpo di Melvin.
Melvin rilasciò un sospiro rilassato stando tra le braccia di Felix poi gli strinse le mani, appoggiate sul suo petto, con le sue e per un attimo, il biondo credette che nemmeno lui volesse che quel contatto finisse e forse era proprio così.
Nessuno dei due voleva sciogliere quell'abbraccio perché il calore l'uno dell'altro riusciva a donare ad entrambi un senso di pace.
◈◈◈
«Ci vediamo domani», Felix smontò dalla bicicletta di Melvin, dopo che quest'ultimo si era offerto di accompagnarlo all'hotel.
Per tutto il tragitto dal negozio al Bradford Spencer Hotel, Felix non aveva mai mollato la presa sullo stomaco di Melvin. Aveva stretto fortemente le braccia intorno al suo corpo ed era stato inebriato, ancora una volta, dal suo buon profumo e dalla sua sofficità.
Voleva mettersi a dormire con il suo profumo ancora addosso e la sensazione della morbidezza del suo corpo a contatto con il suo per poterlo sognare in modo concreto, ma dentro di lui sentiva che una volta varcata la soglia della sua camera, sua madre avrebbe distrutto nuovamente ogni cosa.
Melvin gli schioccò un bacio sulla punta del naso poi scappò via, pedalando a tutta velocità, ma gridò: «A domani», fregandosene di chi c'era lì intorno.
Il viso di Felix divenne all'istante rosso poi abbozzò un sorriso che lentamente si stava trasformando in uno innamorato. Aveva perso completamente la testa per Melvin.
L'ascensore aprì le porte sul suo piano. Felix non aveva alcuna voglia di uscire da lì perché lo sentiva fin dentro alle ossa che sua madre era davanti alla porta della stanza che lo stava aspettando per maltrattarlo, ma purtroppo doveva farlo. Non poteva mica dormire in ascensore e poi farla aspettare maggiormente, avrebbe solo aggravato la sua punizione.
Felix mandò giù il groppo che gli si era formato in gola mentre ad ogni passo che compiva, i battiti del suo cuore aumentavano fino a rimbombargli nelle orecchie per la paura di ciò che gli avrebbe fatto sua madre.
Adagiò la mano sulla maniglia, dopo aver strisciato la chiave magnetica nella serratura apposita, e l'abbassò. Non fece in tempo a mettere entrambi i piedi nella camera d'hotel che un potentissimo schiaffone gli fece voltare la testa di lato e gli occhi gli divennero all'istante lucidi per il bruciore che la sua guancia stava percependo.
Sua madre aveva alzato nuovamente le mani su di lui. Gli veniva solo voglia di gridarle in faccia quanto l'odiasse, quanto voleva che sparisse dalla sua vita, che gliel'aveva rovinata e che per colpa sua non poteva mai permettersi di essere realmente felice.
«Non puoi andare in giro senza prima dirmi con chi ti devi vedere e dove!», sbraitò furibonda come un cane con la rabbia, dandogli altre sberle sulla testa che Felix era andato a riparare con le braccia.
Non era arrabbiata perché aveva fatto tardi, ma semplicemente perché temeva uno brutto scoop su di lui e su un "possibile" amante maschio. Non stava facendo la madre preoccupata, tranquilli, si stava solo comportanto da pezzente e d'avida qual era perché le interessavano unicamente i soldi e secondo lei, se una notizia del genere fosse uscita, il suo patrimonio (quello di Felix!!) avrebbe avuto un drastico crollo e non poteva permetterlo.
«Ero con un mio amico!», gridò Felix con l'impronta delle cinque dita di sua madre ben visibili sul suo viso deformato dalla rabbia, dalla delusione, dall'odio.
«Come no! Un amico, certo. Ti sei scopato questo tuo amico, eh? Ti sei fatto vedere in giro con lui, mano nella mano, eh? Mi fai schifo, Felix.»
Gli occhi di quel povero ragazzo si riempirono di lacrime. Non riusciva più a sopportare tutto ciò, tutto quell'odio gratuito anche quando non faceva niente se non provare a vivere normalmente la sua vita da adolescente.
«Ti odio!», le strillò in faccia con le lacrime a solcargli le guance poi corse in camera sua e si chiuse dentro, ma la risposta di sua madre la udì perfettamente e lo disse, lo gridò a sua volta. Lo odiava, lo disprezzava per la sua omosessualità.
E lui era stanco. Stanco di vivere una vita con una donna che gli ripeteva, come un disco rotto, quanto non valesse niente per lei e quanto lo disgustasse, ma che gli serviva per farsi la bella vita tra Chanel e Dior.
Felix chiamò immediatamente suo padre al cellulare con una videochiamata mentre le lacrime continuavano a bagnargli il viso, ancora arrossato e bruciante dallo schiaffo. Gunnar rispose dopo appena due squilli e quando si ritrovò davanti il viso deformato dalla tristezza di suo figlio, provò tanta rabbia e sofferenza perché era conscio di ciò che gli era appena accaduto, ma volle chiederglielo lo stesso per averne una conferma.
"La mamma ha alzato nuovamente la mani. Io... Io non ce la faccio più, papà", singhiozzò con disperazione.
Il tempo passato con Melvin, ora sembrava essere solo un ricordo lontano, nonostante si fossero salutati meno di dieci minuti prima.
Gunnar esalò un sospiro mesto, "Mi dispiace, figliolo. Una volta finito questo torneo tornerò da te e lei non ti toccherà più, capito?".
Felix tirò su con il naso e annuì rassegnato a dover passare molto altro tempo da solo con sua madre, "Fai in fretta, per favore. Vinci tutte le partite e poi torna da me che ho bisogno di te e mi manchi tantissimo, papà".
"Mi manchi anche tu, campione. Fai il bravo fino al mio ritorno, va bene? So che sarà dura, ma una volta lì, parlerò con tua madre perché tutto ciò deve finire."
"Grazie papà."
"Ti voglio bene, figliolo."
"Anche io."
Parlarono un altro po' poi suo padre dovette chiudere la chiamata perché da lui era giorno e doveva allenarsi per l'incontro di quella sera e Felix si ritrovò a fissare lo schermo del suo cellulare con tristezza.
Pochi attimi dopo gli arrivò un messaggio da Melvin e un piccolo sorriso tornò sulle sue labbra, ma il suo volto rimase avvolto dallo sconforto.
"Sono tornato a casa, Lixie."
Felix gli inviò solo un cuoricino perché non se la sentiva di messaggiare poi abbracciò il suo cuscino e affondò il viso in esso, pensando e ripensando a come sarebbe stata la sua vita se fosse stato un semplice ragazzo e non un attore bambino con una madre avida di potere e soldi e un padre assente ma affettuoso.
Forse sarebbe stato molto più felice. Molto più lui stesso. Molto più sereno e con una vita normale.
Forse sì o forse sua madre avrebbe continuato ad odiarlo perché lo disprezzava per la sua omosessualità.
Non poteva saperlo perché non sarebbe mai stato normale.
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