Capitolo 10

Felix

Una gamba di Felix stava ballando sotto al tavolo per l'agitazione mentre faceva colazione con sua madre, seduta proprio di fronte a lui che leggeva qualcosa sul suo cellulare.

Dove sono finite le buone maniere? Avrebbe tanto voluto chiederglielo, ma si trattenne per evitare che mandasse in fumo il suo appuntamento.

Era domenica e ciò significava solamente una cosa: MELVIN. Melvin sarebbe venuto a trovarlo e lui non stava più nella pelle di poterci passare la mattinata e il pomeriggio insieme. Non vedeva l'ora di osservare i suoi grandi occhi da vicino e in generale il suo dolce viso che stonava con una parte del suo carattere.

Era un po' in agitazione perché temeva che sua madre sarebbe rimasta in hotel tutto il giorno per impedirgli di divertirsi davvero con Melvin, al posto di fare i suoi classici giri per negozi di moda, dato che ancora non gli aveva detto niente.

«Felix, oggi starò fuori tutto il giorno perciò vedi di fare il bravo. Non uscire da qui senza prima chiedermi il permesso e senza dirlo a Liam. Non fare cavolate con i ragazzi in questa camera. Non voglio che qualcuno capisca che ti porti uomini in stanza per farci solo Dio sa cosa.»

Il ragazzo stritolò con nervosismo la forchetta tra le dita e contrasse la mascella, «Non farò niente, madre», mormorò a denti stretti.

In quel momento non desiderava altro che ficcarle la forchetta in un occhio.

Omofoba schifosa!

Alva raddrizzò la schiena e si aggiustò le spalle imbottite del suo blazer, «Lo spero per te. Non abbiamo bisogno di orribili scoop ora che sei tanto ricercato dal mondo del cinema», continuò con voce accattivante e severa al contempo.

Felix non fece altro che annuire poi lasciò cadere la forchetta nel suo piatto. Gli era completamente passata la fame.

Sua madre riusciva sempre a rovinargli l'umore.

Sempre.

Non poteva essere contento di niente che arrivava lei e gli strappava via quella piccola luce di felicità che si era appena creata dentro di lui.

Non poteva avere amici maschi perché secondo sua madre si sarebbe infatuato di tutti loro e avrebbe rovinato ogni cosa, facendo venire fuori la sua vera natura, il suo essere gay perché sì, essere omosessuali per lei era il male del mondo.

Non poteva avere tante amiche perché secondo sua madre sarebbe finito col venire additato come sciupafemmine e non andava bene perciò anche loro le poteva osservare solo da lontano. Non che gli fregasse più di tanto, dato che le ragazze non gli piacevano, ma era pur sempre una cosa che lo distruggeva psicologicamente in quanto non aveva nemmeno il permesso di avere amici.

Poteva solo mostrarsi in giro con Noemi in atteggiamenti che non gli appartenevano perché non provava quel tipo di amore per la sua amica e sua madre lo sapeva, ma non gliene importava. Lei desiderava solamente far parlare di suo figlio per ricevere più soldi e più sponsor.

«Io ora vado. Tu—»

«Non farò niente, lo so, ho capito. Ciao», tagliò corto il ragazzo poi si chiuse in camera sua e udì chiaramente sua madre domandarsi cosa avesse fatto di male per avere un figlio irrispettoso e sbagliato come lui.

Felix si morse la lingua. Doveva trattenersi dal gridarle contro tutto l'odio che provava nei suoi confronti perché sennò non se ne sarebbe mai andata via.

L'unica sbagliata era lei. Lei che non vedeva oltre la punta del suo naso. Lei che non dava alcun peso ai sentimenti di suo figlio. Lei che preferiva sfruttare suo figlio piuttosto che amarlo. Lei che dava per scontato i problemi mentali che per colpa sua, suo figlio aveva sviluppato.

Lei era sbagliata.

Non lui.

Non lui che l'unica cosa che faceva era amare le persone del suo stesso sesso.

Dio, quanto vorrebbe che suo padre fosse lì con lui per difenderlo da tutte le violenze psicologiche e fisiche di sua madre.

Rilasciò un sospiro solamente dopo aver sentito la porta della camera d'hotel sbattere alle spalle di sua madre.

Non si era nemmeno accorto di aver trattenuto il respiro, ma quando lo faceva, riusciva anche a fermare le lacrime che prepotentemente chiedevano di poter uscire dai suoi occhi.

Detestava sua madre. Gli stava rovinando la vita per via della sua omofobia e la sua mania di controllo, di essere sempre al centro dell'attenzione di chiunque. La odiava.

Felix si schiaffeggiò le guance per togliersi dalla mente la donna che lo aveva messo al mondo, poi scrutò la sua camera da letto e storse il naso per il disgusto.

Era un disastro. Doveva assolutamente pulirla prima dell'arrivo di Melvin. Non poteva certamente farlo entrare in quel porcile.

C'erano vestiti ovunque. Le sue valigie aperte che facevano da tappeto sulla moquette verdognola della sua stanza e c'erano confezioni di cibo d'asporto su ogni mobile. Non c'era una singola scarpa che fosse accanto alla sua gemella. E il letto era ancora da rifare.

Andò ad aprire la finestra per far cambiare l'aria e lo fece passando direttamente dentro a tutte le sue valigie, stando però attento a non rompere niente.

Era la prima volta che Felix portava un ragazzo a "casa" e per quel motivo si sentiva molto agitato e aveva un po' di paura di fare una figuraccia. Con i suoi ex ragazzi si era sempre visto di nascosto e a casa di loro, grazie anche all'aiuto di suo padre che ogni volta aveva trovato delle scuse perfette da raccontare a sua madre, perciò ora era un po' diverso perché Melvin sarebbe entrato nel suo spazio personale e privato e non viceversa.

Doveva renderlo il più accogliente possibile per lui.

«Ho un bel po' di lavoro da fare», biascicò, osservando fuori dalla finestra il cielo grigio farsi sempre più scuro, «Non piovere, per favore. Melvin deve arrivare qui sano e salvo».

Ci mise esattamente due ore a pulire tutta la sua stanza (non iniziò a piovere, grazie al cielo!) e adesso aveva solo bisogno di farsi una doccia per levarsi di dosso il sudore e la stanchezza che di giorno e giorno si accumulava dentro le sue ossa come un parassita, in quanto dormiva poco e lavorava tantissimo.

«Cazzo, devi sbrigarmi!», esclamò dopo aver letto il messaggio di Melvin che lo avvisava che stava per uscire di casa.

◈◈◈

Melvin

Dopo aver avvisato Felix che stava per uscire di casa, Melvin si aggiustò il cappellino nero di lana sulla testa davanti allo specchio in entrata. Si voltò velocemente verso le scale alle sue spalle e beccò Wilmer seduto su uno scalino che lo osservava con un ghigno fastidioso sulle labbra poi i suoi genitori fecero sbucare la testa dalla porta della cucina e loro sorrisero felicemente.

Melvin percepì un brivido di disagio scorrergli lungo la spina dorsale.

«Sapete di essere inquietanti, vero?», fulminò con lo sguardo la sua famiglia che non accennavano a smettere di fissarlo con curiosità.

«Siamo solo felici per te, tesoro», replicò mielosamente Libby, «Siamo contenti che tu sia riuscito a fare amicizia con un altro ragazzo».

«Come se non fossi amico di Bailee da tutta la mia vita!», gettò le braccia per aria per l'esasperazione.

Possibile che il fatto che avesse fatto amicizia con Felix fosse un qualcosa per cui tutta la sua famiglia era lì per festeggiare? Non avevano nient'altro di meglio da fare?

«Appunto, fratellino. Bai è tua amica da sempre mentre questo, uhm, com'è che si chiama?»

Melvin avrebbe tanto voluto tirare un pugno sul naso di suo fratello. Gli era chiaro che tutta quella situazione lo stesse divertendo, ecco perché non era ancora uscito di casa per raggiungere i suoi amici. Voleva vedere fino a che punto i loro genitori si sarebbero spinti con le raccomandazioni e con il loro entusiasmo per quella meravigliosa notizia.

«Felix», replicò repentino.

«Be', questo Felix lo è diventato da adesso perciò è diverso», Wilmer concluse il suo discorso e quel noioso ghigno non sparì mai dalle sue labbra.

Melvin roteò gli occhi, giunto al limite della sopportazione, «Mi raccomando fate mettere un annuncio sul giornale, eh!».

Libby e George ridacchiarono per la battuta del figlio minore. Wilmer invece rispose che avrebbe potuto provare, beccandosi indietro una ciabatta volante che lo colpì in fronte, tirata da Melvin che lo stava trucidando con lo sguardo.

«Io ora vado. Tu ‒ indicò suo fratello con l'altra ciabatta, il quale si stava massaggiando la fronte ‒ vedi di non fare cazzate. A più tardi, ciao!»

Wilmer gli fece l'ok con le dita e l'occhiolino, cosa che fece innervosire ancora di più Melvin.

Ora voleva anche strangolarlo.

«Fai il bravo e divertiti», Libby sorrise affettuosamente a suo figlio mentre George finse di asciugarsi una lacrima, «Il mio bambino è cresciuto così in fretta».

Melvin si spalmò una mano sul viso, «Dio, siete insopportabili».

Salutò tutti con una sventolata veloce della mano, perché doveva scappare al più presto da quella follia poi uscì di corsa da casa e andò a prendere la sua bicicletta in garage.

Non aveva la macchina perché la sua famiglia non poteva permettersene una quarta perciò lui andava in giro con la sua cara e vecchia bicicletta. Non era così male e poi se ne aveva bisogno, avrebbe potuto chiedere a Bailee di prestargli la sua carretta ― lei, di certo, non si sarebbe rifiutata.

A tutta velocità raggiunse l'hotel e ad ogni pedalata che lo avvicinava a Felix, il suo cuore aumentava i battiti cardiaci e non era decisamente per la corsa in bici, ma perché anche se non voleva ammetterlo ad alta voce e a Bailee, era felice di passare del tempo con lui.

Non appena, Melvin si fermò davanti all'imponente struttura dell'hotel, realizzò che quella sarebbe stata la sua prima volta all'interno di quel posto e si sentiva leggermente, ma leggermente eh, fuori posto. Ci passava spesso davanti, ma non si era mai preso la briga di domandarsi come fosse all'interno. L'unico quesito che si era posto era: «chissà quanto cazzo costa una stanza?», dato che era un hotel a cinque stelle.

Il concierge dell'hotel osservò con serietà Melvin e lui di tutta risposta, gli fece la linguaccia e ridacchiò nel vedere la sua espressione cambiare in stupore per mezzo secondo e poi tornare a quella gelida dell'inizio.

"Sono qui sotto", scrisse velocemente a Felix dopo aver preso in mano il suo cellulare. Continuava a sentirsi addosso gli occhi attenti del concierge e quella sensazione non gli piaceva per niente.

Comprendeva di non avere il classico aspetto da celebrities, ma non era un bel po' irrispettoso e presuntuoso nel fissare in quel modo le persone diverse dal loro target che volevano alloggiare nell'hotel? O forse pensava fosse un fan pazzoide di Felix che voleva entrare nella sua camera?

"La mia camera è al settimo piano. Suite Marlene", gli rispose Felix poco dopo.

Il ragazzo legò la sua bicicletta a un palo della luce poi raddrizzando il cappellino di lana, si diresse a passo spedito e sicuro verso l'entrata dell'hotel ottocentesco e una volta al fianco del concierge, gli disse che lo stavano aspettando dentro.

«Posso entrare o sono troppo un poveraccio?», sfidò l'uomo sia con quella domanda che con gli sguardi che si scambiarono. Lui pieno di sfacciataggine e il concierge di avversione poi alla fine quest'ultimo annuì e gli aprì la porta con il fumo che gli usciva dalle orecchie.

Melvin alzò il mento e varcò la soglia, con lo sguardo dell'uomo incollato alla sua schiena. Lo sentì chiaramente udire che i ragazzi di oggi erano tutti maleducati. Fu sul punto di voltarsi e dirgliene quattro, quando una giovane donna si avvicinò a lui e gli domandò cosa cercasse.

Un'altra che lo stava giudicando perché non vomitava e cagava soldi come tutti quelli che alloggiavano lì.

«Devo vedermi con Felix Olander. Sono un suo amico.»

La donna lo fissò dubbiosa poi lanciò alcune occhiate alle guardie alle spalle del ragazzo, come se non vedesse l'ora di far partire un ordine per cacciarlo fuori dall'hotel senza alcun motivo, e Melvin si ritrovò in automatico a sbuffare, «Se vuole lo chiamo? Sarà felicissimo del sapere il modo in cui lo staff mi sta trattando».

Melvin non aveva alcuna intenzione di farsi criticare da quei quattro beoti che per vivere leccavano il culo ai ricchi perciò fece partire la chiamata sul suo cellulare e Felix rispose dopo appena uno squillo.

"Mello che succede?", quando la donna udì la voce di Felix dall'altra parte del cellulare, sbiancò, divenendo bianca come un cencio.

"Sono qui nella hall e non credono che mi debba vedere con te. Sono troppo povero per questo posto", spiegò Melvin e inclinò la testa su un lato, fissando con sguardo provocatorio la receptionist o quello che era che non sembrava aver intenzione di riprendere colore poiché era ancora pallida e stralunata.

Felix emise un sospiro che lei sentì perfettamente perciò iniziò a boccheggiare poi prese a scusarsi e mormorare di essere mortificata.

"Fatelo pure salire. Melvin è un mio amico e verrà spesso a trovarmi."

"Sì, certo, signor Olander. Mi scusi ancora", si espresse con rammarico la donna.

«Posso andare ora?»

«Certamente.»

"Lixie si è risolto tutto. Ora arrivo" e mentre lo disse continuò imperterrito a scrutare la donna che lentamente girò i tacchi e raggiunse le sue colleghe con le spalle ricurve per la figura appena fatta.

Melvin sorrise vittorioso.

"Ti aspetto."

Chiuse la chiamata e raggiunse l'ascensore con passo baldanzoso, sotto agli occhi stupiti di alcuni ricchi clienti.

Schioccò la lingua contro il palato, pigiando sul numero sette. «Aah, sono povero e mal vestito eppure sono qui», mormorò mentre le porte si chiudevano davanti alla faccia scioccata di un signore anziano.

Si stava divertendo parecchio a lasciare senza parole quei vecchi palloni gonfiati.

Ci mise due minuti a trovare la suite Marlene. La targhetta con il nome era placcata in oro e persino il corridoio emanava ricchezza, ma al posto di sentirsi fuori posto, Melvin pensò solamente che tutta quell'ostentazione di lusso non gli piaceva per niente e che preferiva di gran lunga casa sua.

Era fermo davanti alla porta e adesso il nervosismo era tornato a tormentargli lo stomaco. Stava per passare quasi un'intera giornata con un ragazzo appena conosciuto, nella sua stanza. Era un bel po' agitato, ma dentro di lui sentiva che Felix non era quel genere di persona e che gli aveva veramente chiesto di vedersi solo per conoscersi.

Inspirò a pieni polmoni e poi suonò al campanello della camera, anch'esso dorato. Pochi secondi dopo la porta venne aperta e Melvin fu contagiato dal grande sorriso che Felix aveva dipinto sulle labbra.

«Ehi.»

«Posso entrare?»

«Oh, sì, scusa», farfugliò Felix, mettendosi su un lato per farlo passare.

Melvin ridacchiò, «Non serve che ti scusi e wow, complimenti per la stanza! Sembra quasi più grande di casa mia».

«L'ha scelta mia madre per mostrare a tutti la nostra ricchezza», borbottò Felix e il moro captò perfettamente il fastidio di quella cosa nella sua voce, «Vieni, andiamo in camera mia».

Con quella frase, Melvin si irrigidì per alcuni secondi, ma non appena Felix fece intrecciare le loro dita, riuscì a rilassarsi quasi subito e a farsi trascinare fino alla stanza.

Non era quel tipo di persona.

Felix era buono.

Non voleva fare sesso con lui.

Non doveva sentirsi a disagio. Non c'è n'era bisogno.

Mentre pensò a queste cose, Melvin si sedette sul bordo del letto di Felix mentre quest'ultimo tirò le tende per creare un'atmosfera soffusa e un po' romantica?

«Così creiamo la magia per ascoltarli, no?», chiarì Felix mentre accese una grande lampada a sale che generò un finto tramonto nella stanza e un paio di candele che profumarono di frutti di bosco l'ambiente.

Il moro si sentì subito un idiota per aver pensato che l'avesse fatto per qualcosa di romantico, poi chiuse gli occhi e inspirò a pieno polmoni il dolce profumo che sprigionavano le candele, riuscendo finalmente a rilassarsi del tutto.

Si lasciò cadere all'indietro e si sdraiò sul morbido letto di Felix, muovendo le braccia come quando si faceva l'angelo sulla neve, e la seta del copriletto gli accarezzò la pelle scoperta.

«C'è già una certa magia qui», sussurrò Melvin, avvertendo la pelle delle sue guance scaldarsi dopo che Felix si era messo al suo fianco e aveva emesso un sospiro rilassato.

«Già...»

⚬⚬⚬

Felix

«Hai portato gli album o li ascoltiamo su Spotify?»

Felix, non appena aveva osservato Melvin entrare nella sua stanza, aveva capito essere molto nervoso perciò aveva cercato di rendere l'atmosfera più rilassante e piacevole possibile e sembrava aver funzionato perché si era quasi subito lasciato andare con lui.

Non voleva rendere la loro prima uscita insieme un qualcosa di imbarazzante e piena di fraintendimenti. Lo aveva invitato nella sua camera per un solo scopo: fare conoscenza e ingigantire ancor di più la grande cotta che si era preso per lui. Non vi erano secondi fini.

«I miei tesori sono a casuccia che riposano nella loro bacheca» emise un breve ridacchio che si spezzò quando per sbagliò sfiorò la mano di Felix.

Felix si mise immediatamente su un fianco e osservò Melvin spostare le sue braccia sul suo petto per evitare altro contatto ― per un attimo si sentì ferito da quella cosa, ma subito dopo si diede dell'idiota perché non tutti erano come lui che vivevano per il contatto fisico.

«Sembri un vampiro messo così», provò a sdrammatizzare per cancellare l'imbarazzo che si era creato tra di loro e ci riuscì perché Melvin esplose in una risata che gli fece vibrare energicamente il petto.

Lo colpì con una manata sulla spalla e per questo motivo si voltò verso di lui di scatto e gli strinse le dita intorno alla parte cozzata, «Scusa, non l'ho fatto a posta», farfugliò con un piccolo sorriso incerto sulla bocca.

Felix scosse piano la testa e ricambiò il sorriso con uno affettuoso, «Stai tranquillo, non mi hai fatto niente anzi sono felice che tu ti stia lasciando andare».

Melvin annuì timidamente.

Il biondo portò un suo braccio sotto la testa e col viso leggermente voltato, si imbambolò a osservare Melvin. Le lunghe ciglia castane gli stavano sfiorando la pelle leggermente arrossata del viso mentre teneva gli occhi chiusi e il suo petto si alzava e abbassava ad un ritmo rilassato. Le labbra erano leggermente socchiuse e da esse uscivano dei flebili sbuffetti. Si soffermò più su di esse e desiderò vederle incurvarsi nuovamente in un sorriso per lui.

«Con quale album vuoi iniziare?», domandò dopo essersi ricordato che se stava in silenzio a fissarlo non avrebbero concluso niente.

Melvin riaprì gli occhi e portò il suo sguardo su di lui e finalmente poté bearsi ancora una volta del suo dolce sorriso, «Con il primo, mi sembra ovvio!», esclamò allegro.

«Allora cercalo, così poi lo ascoltiamo.»

Felix e Melvin ascoltarono tutta la discografia dei Tomorrow X Together in silenzio, solo alla fine di ogni EP, il moro aveva dato la possibilità al biondo di commentare.

E a Felix quel gruppo piaceva. Non se lo sarebbe mai aspettato perché non era il suo genere, ma ascoltandoli per un bel po' adesso, poteva dire con certezza che la loro musica era veramente bella, che loro erano bravissimi e tutti dei gran bei ragazzi.

«Lui come si chiama?», indicò un membro della band sul cellulare di Melvin, dato che ora erano passati a guardare i loro video musicali e vide subito i suoi occhi illuminarsi per l'emozione.

Gli occhi di Melvin, per Felix, erano come pietre preziose e sentiva quel costante bisogno di vederle brillare per poter star bene.

«Choi Yeonjun ed è il mio amore!», annunciò schioccando un bacio sullo schermo, poi emise un risolino imbarazzato e affondò il suo viso nel materasso.

Adorabile.

«Mi piacciono tanto e lui è decisamente il mio preferito», Felix puntò il dito per farlo capire anche a Melvin e lui rialzò la testa poi guardò il suo cellulare e sorrise.

«Soobin! È il Leader.»

Andarono avanti a parlare per un'altra ora di musica e di altre cavolate simili, come il loro sport preferito (entrambi detestavano il movimento perciò non ne avevano uno) o il loro film preferito (non sapevano decidere, ma alla fine avevano decretato che amavano alla follia Il Diavolo veste Prada) e continuarono così fino a quando a Melvin non brontolò la pancia.

«Ho fame», strillò, lanciandosi addosso a Felix che gridò perché lo aveva preso alla sprovvista poi tornò al suo posto.

«Se vuoi ordino qualcosa dal ristorante.»

Per Felix non era un problema perché tanto ogni cosa sarebbe stata accreditata sul suo conto che poi la madre avrebbe chiuso, pagato una volta che il loro soggiorno all'hotel fosse giunto al termine. Poteva ordinare di tutto, ma non lo faceva perché non aveva quasi mai molta fame, soprattutto quando c'era sua madre in camera e poi preferiva non sprecare il suo credito ― a quello ci pensava già Alva.

Non comprava mai molto per se stesso. Era quasi sempre suo padre che gli faceva regali una volta di ritorno dai suoi tornei. Sua madre gli acquistava qualcosa solo se di mezzo c'era qualche sponsor sennò poteva aspettare e sperare. Non lo avrebbe mai fatto per dimostrargli un pochettino di affetto. Mai.

«Non hai degli snack?»

Felix fissò il minibar accanto alla cassettiera davanti al letto poi si alzò e andò a controllare perché avrebbe fatto di tutto per rendere felice Melvin.

Se non ci fosse stato niente, sarebbe corso in qualche minimarket a comprargli tutto ciò che desiderava.

Ma alla fine risultò essere pieno di cibo.

«Ci sono dei succhi di frutta, delle barrette di cioccolato e dei sacchetti di patatine.»

«Prendi tutto?»

Quando Felix si voltò verso Melvin lo trovò col broncio e i suoi enormi occhi marroni spalancati in un'espressione da gatto con gli stivali perciò non riuscì a dirgli di no. Raccattò tutto e poi li fece cadere sul materasso davanti alla gambe incrociate del moro ― si era appena messo seduto per poter mangiare tutte quelle schifezze.

«Serviti pure, Mello.»

Si era reso conto di quando fosse coinvolto da quel ragazzo per il semplice fatto che aveva realmente pensato di uscire dall'hotel per andare a comprargli da mangiare se fosse servito. Non lo avrebbe fatto per nessuno, tantomeno per Noemi perché lui detestava uscire dalla sua camera e rischiare di essere visto dai paparazzi o dalla fan eppure per Melvin sì. Sì, lo avrebbe fatto eccome. Tutto pur di vederlo sorridere.

Dio, ma quanto era grande la cotta che si era preso per quella piccola fatina?

Gli occhi di Melvin risplenderono davanti alle patatine rustiche perciò le acchiappò subito e dopo aver aperte e ficcato dentro una mano, ne portò una gigantesca quantità alla bocca e iniziò a masticare mentre Felix ridacchiò e il suo solito pensiero tornò: quel ragazzo era tanto, troppo adorabile per il suo povero cuore.

«Da quanti anni la tua famiglia possiede il negozio?», gli chiese, aprendo un pacchetto di M&M's e iniziando a mangiucchiare quelle blu, le sue preferite.

Melvin si scolò un succo alla pesca per mandare giù il pastone che gli si era formato in bocca di patatine poi deglutì, passandosi la lingua sulle pareti della sua bocca per eliminarne i residui, «È nostro da generazioni. Mio nonno l'ha ceduta a mio padre quando è andato in pensione. Mio nonno n'è diventato il proprietario dopo la morte del mio bisnonno e così via».

«Quindi il prossimo a diventarne il proprietario sei tu?»

«Teoricamente mio fratello, ma lui sta studiando per potersi aprire un'officina meccanica quindi alla fine spetterebbe a me il ruolo di nuovo proprietario», sbuffò.

Dallo sbuffo di Melvin, Felix capì che non si vedeva in un futuro di quel genere. «E tu cosa vorresti fare invece?»

«Non ne ho la più pallida idea. So solo che voglio andarmene da qui per uno o due anni.»

«Perché?»

Perché voleva lasciare Maddison Town? Sembrava una così tranquilla cittadina...

«Non mi piacciono le persone di qui. Non sembra perché Maddison Town è pur sempre una cittadina ma quando succede qualcosa chiunque viene a saperlo e la persona presa di mira deve sopportare bisbigli e occhiate fino a quando non passano a qualcosa di più interessante. Mio fratello tre anni fa ha avuto un incidente in macchina ‒ non per colpa sua, ma di un suo amico ubriaco ‒ e la voce ha fatto in fretta il giro e per quasi una settimana nessuno è venuto in negozio perché ritenevano mio fratello colpevole, quando l'unico da incolpare era il riccone di turno che si è fatto salvare il culo dai soldi dei suoi genitori.»

«Le persone sono brave solamente a farsi i fatti degli altri, ma poi quando sono i loro segreti a venir portati alla luce mettono su teatrini per dire che la privacy deve venir rispettata sempre. Sì, la loro», ribatté Felix. Lui sapeva perfettamente cosa significasse tutto ciò perché bastava una parola o una mossa sbagliata su internet e i giornalisti e gli haters avrebbero messo su un enorme casino per screditarlo e rovinargli la carriera.

Melvin annuì più volte, «Esatto! E questo è il motivo principale per il quale voglio andarmene, anche se so che sentirò costantemente la mancanza della mia famiglia perché sono molto legato a loro».

«E dove vorresti andare?»

Ci andiamo insieme? avrebbe voluto chiedergli, ma si trattenne per non sembrare troppo disperato ai suoi occhi.

Melvin si sbelliccò dalle risate, lasciando esterrefatto il biondo che lo fissò con sguardo scioccato, «Non lo so», ammise dopo aver ripreso fiato, ma continuando a sghignazzare.

Felix si morse il labbro inferiore per non ridere a sua volta, «Non hai ancora le idee ben chiare, vero?»

Lui, più volte, aveva desiderato poter tornare indietro nel tempo e cambiare completamente la sua vita e le sue scelte, ma purtroppo non aveva ancora quel potere perciò si accontentava di cercare di vivere il suo presente come voleva. Cosa molto ardua per colpa di sua madre, ma almeno ora era insieme a Melvin e si stava divertendo con un ragazzo che gli piaceva da morire senza lei nei dintorni.

«Sì, perché da una parte desidero allontanarmi da qui, ma dall'altra parte no perché voglio stare con la mia famiglia e lavorare in negozio insieme a mio padre e a mia madre mentre Will finisce di studiare per poter aprire la sua officina e diventare meccanico.»

Felix avrebbe tanto voluto abbracciarlo in quel momento perché aveva visto i suoi occhioni vacillare per qualche secondo e farsi tristi, ma alla fine, per non spaventarlo, gli appoggiò solamente una mano sulla sua e Melvin abbozzò un timido sorriso e il suo sguardo tornò ad essere allegro.

«Allora resta. So che le persone possono e sono cattive, ma tu hai la tua famiglia dalla tua parte ed è quello che conta.»

In conclusione quello a fare una mossa più avventata fu proprio Melvin che, lasciando Felix senza parole, appoggiò la testa sulla sua spalla e voltò la mano per poi far intrecciare le loro dita.

Il viso di Felix assunse un bel colorito rossastro e il cuore sembrò essere sul punto di esplodergli dal petto per via di quanto quel contatto gli stesse piacendo, lo stesse facendo sentire protetto e giusto.

«Tu invece? Ti manca tuo padre, vero? Ho visto che non è qui con voi.»

«Da morire. Non vedo l'ora di poterlo riabbracciare.»

⚬⚬⚬

Melvin

Si erano fatte le cinque passate. Melvin era consapevole che da lì a poco avrebbe dovuto salutare Felix perché doveva tornare a casa, ma non voleva proprio dividersi da lui.

Gli piaceva la compagnia di quel ragazzo. Era buffo, bellissimo, simpatico e aveva notato, dopo ormai quasi otto ore insieme, che cercava sempre di non dire o fare cose che avrebbero potuto metterlo a disagio. E non sapeva dire se fosse proprio parte del suo carattere o se lo stesse facendo solo per lui, ma una cosa era certa: era tanto comprensivo e gentile.

E gli piaceva.

Ma quello per il momento non lo avrebbe detto a nessuno, nemmeno a Bailee.

Per adesso.

Perché se poi la sua cotta improvvisa per Felix si fosse ingigantita, avrebbe avuto bisogno dei consigli della sua migliore amica, dato che era l'unica tra le due ad aver sperimentato qualcosa di simile all'amore.

Felix emanava vibrazioni positive e quella cosa aveva fatto sì che Melvin si fosse lasciato condurre dal suo istinto per tutto il tempo insieme e, tra l'altro, gli stava dicendo di dargli una possibilità.

Che fosse in amicizia o in amore.

Melvin captò negli occhi di Felix un cambiamento drastico dopo aver ricevuto un qualche strano messaggio sul suo cellulare. Era rigido e non capiva cosa stesse succedendo. Fino ad un attimo prima stavano ridendo e parlando mentre ora sembrava quasi che gli avessero riferito che gli era morto un parente stretto.

Si mordicchiò il labbro inferiore, indeciso se fargli la domanda o no. Non voleva rovinare ancor di più l'atmosfera ― ci aveva già pensato quel messaggio. Poi però il suo sguardo catturò quello triste di Felix e non riuscì a trattenersi perché non gli piaceva il fatto che la spensieratezza e dolcezza nei suoi occhi fosse scomparsa, sostituita da qualcosa che lo stava tormentando.

«Lixie, ehi», Melvin appoggiò la sua mano su quella di Felix che stava stritolando il copriletto in seta, «Che succede? Ti senti male? Qualcuno della tua famiglia non sta bene?», la sua voce tremò leggermente ad ogni domanda perché più chiedeva e più l'altro continuava a torturarsi le labbra, ma voleva sapere per poter provare ad aiutarlo.

Felix si sforzò chiaramente di sorridere a Melvin ― aveva capito che lo stava facendo preoccupare e gli dispiaceva.

Tanto quanto...

«Mia madre sta per tornare a casa. Lei... Lei se mi vede con te―»

«Ho capito. Mette su un casino. Io vado allora, okay? Però prima mi fai un sorriso», Melvin sfiorò timidamente con le dita una guancia di Felix che incominciò a bruciare sotto ai suoi polpastrelli.

Felix lo fece. Gli regalò un bellissimo sorriso, ma i suoi occhi rimasero immersi nella loro tristezza e Melvin desiderò poter allungare una mano e aiutarlo a uscire da quell'abisso che lo stava facendo soffrire in quel modo.

«Grazie», gli accarezzò una gota con lentezza.

Uscirono dalla camera da letto di Felix e una volta davanti alla porta, Melvin si ritrovò coinvolto in un abbraccio che al primo impatto lo fece irrigidire, ma non appena udì il biondo sussurrargli che si era divertito e che lo ringraziava di tutto, si rilassò completamente tra le sue braccia.

Melvin strinse i pugni intorno alla stoffa della felpa che accarezzava il petto di Felix e affondò il viso in esso perché sentiva il viso bruciargli per via di tutte quelle dolci effusioni.

«Comunque ti ho mentito, Mello», annunciò Felix dopo pochi minuti che passarono abbracciati.

Melvin alzò di poco il mento e incrociò lo sguardo di Felix, domandandosi su cosa gli avesse mentito e perché glielo stesse dicendo proprio ora che si erano tanto divertiti l'uno in compagnia dell'altro.

«Su cosa?», un flebile sussurro perché non voleva saperlo se ciò che stava per dirgli, avrebbe rovinato la giornata stupenda appena conclusa.

«Declan ci ha dato libera solo questa domenica perché da domani lavoreremo tutti i giorni per una o due settimane e per questo ho colto l'occasione di passare questa giornata con te.»

Il moro avrebbe tanto voluto strangolarlo. Lo aveva fatto preoccupare per niente.

Nel frattempo le sue guance presero nuovamente colore perché Felix gli aveva fatto capire che quella giornata l'aveva desiderata per davvero.

«Dai, Lixie, mi hai fatto prendere uno spavento! Pensavo a qualcosa di più grave! Ci vedremo a scuola, no? Vedi però di parlarmi solo quando non sei circondato da tutte quelle oche fastidiose.»

Felix ridacchiò e Melvin pensò fosse il suono più bello che avesse mai sentito e quel pensiero lo spaventò perché era la prima volta che sperimentava quel tipo di attrazione.

«Certo, te lo prometto.»

«A domani, Lix», Melvin si staccò piano dall'abbraccio di Felix, si raddrizzò il cappellino sulla testa e sorrise al dolce ragazzo che aveva davanti a sé mentre gli stava mostrando un adorabile broncio.

«Sì, a domani ― però quando arrivi a casa, per favore scrivimi un messaggio, okay?»

«Okay, okay.»

Melvin uscì dalla suite di Felix e con un sorriso che avrebbe illuminato un'intera stanza, entrò nell'ascensore e si lasciò andare contro la parete dorata e in un sospiro rilassato.

Il suo cellulare vibrò.

"Sei il ragazzo più bello che abbia mai visto."

Quel messaggio da parte di Felix fece scattare qualcosa dentro Melvin perché iniziò a sentire le classiche farfalle svolazzare impazzite nel suo stomaco. I battiti del suo cuore ormai non gli appartenevano più e sbattevano contro la gabbia toracica senza più controllo, come se volessero schizzargli fuori dal petto da un momento all'altro. Persino le orecchie avevano preso a scaldarsi per la vergogna. Il viso ormai era un tutt'uno con il colore delle porte dell'ascensore e si sentiva tanto in imbarazzo quanto contento.

Melvin si guardò allo specchio sul suo lato sinistro e quasi non si riconobbe per quanto il suo viso sprigionasse felicità e–e un bel po' di infatuazione per quell'attore affettuoso e dolce.

"Felix!!!"

"Ho solo detto la verità."

Non gli rispose più, ma strinse il cellulare contro al suo petto, dove i battiti non avevano ancora cessato di pompare a una velocità che prima di quel momento non aveva mai provato per quanto riguardava i ragazzi.

Felix gli stava facendo battere il cuore come mai prima d'ora.

Era una cosa buona, giusto?

Entrò in casa in punta di piedi perché non era pronto a subirsi tutte le domande dei suoi genitori. Era ancora troppo scosso per poter formulare un qualcosa di sensato e che non mettesse in mostra la sua infatuazione per Felix dopo un solo pomeriggio passato insieme.

Ma destino volle farlo sapere a tutti i costi a Libby perché ella uscì dalla lavanderia con in mano il cestone della biancheria vuoto e beccò suo figlio salire a passo di bradipo le scale.

«Tesoro! Com'è andata la giornata con Felix?»

Melvin arrossì, «Bene».

La madre lo fissò sorridente e Melvin capì dal suo sguardo curioso che stava aspettando che continuasse il racconto, ma lui fece spallucce e scappò nella sua stanza.

«Ciao mamma!», si chiuse a chiave dentro la sua camera, con il cuore che picchiettava in gola.

«Melvin Gregory Morgan, non finisce qui!»

«Melvin è tornato?», domandarono in coro il padre e Wilmer. Melvin si accasciò contro la sua porta e scivolò verso il basso fino a sedersi per terra, poi emise un sospiro esasperato.

«Sì, ma si è chiuso in camera sua.»

«Tanto prima o poi dovrà uscire da lì», la voce di Wilmer arrivò forte e chiara alle orecchie di Melvin e ne udì perfettamente il tono divertito e per quel motivo lo mandò a cagare mentalmente.

«Tanto non vi dirò niente», gridò Melvin intromettendosi nel loro discorso su di lui poi scrisse a Felix che era arrivato a casa, ma che era appena finito in un incubo.

"Perchè?"

"Perché la mia famiglia vuole il resoconto della nostra giornata insieme!!!"

Che imbarazzo!

"HAHAHA, povero Mello..."

"Vai a cagare anche te :("

"Scusa, scusa. Ah, mia madre è arrivata. Ci vediamo domani piccola fatina."

"Buona serata, Lixie."

Melvin rilasciò un altro sospiro spompato e fiacco. La sua famiglia era dietro la porta che aspettava.

Dio, ma era appena finito in un film horror?

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