IV - Il Vampiro

Quel giovane mi aveva conquistato, la sua recitazione era stata esemplare: nessun Puck fu mai più convincente e perfetto di quello. Dovevo assolutamente complimentarmi con l'attore.
Seguii il flusso di amanti del teatro che si accalcavano nel pertugio che avrebbe dato accesso alla Sala delle Cariatidi, adibita all'incontro tra attori e privilegiati: non ero l'unico a voler porgere i miei omaggi ai teatranti, e lo spettacolo aveva riscosso un tale successo che il mare eccitato e incipriato di nobili dame ed eleganti gentiluomini era più numeroso e serrato del solito.
La sala, come sempre, mi colpì per la sua vastità e la sua ricchezza. Era stata concepita per accogliere i nobili e gli aristocratici, ed ogni dettaglio era stato studiato per essere all'altezza delle loro aspettative e superarle: l'enorme lampadario di vetro di Murano spandeva una luce calda e soffusa, accarezzando le statue di donne vestite di veli leggeri che sporgevano appena alle pareti, come curiose di sbirciare chi fosse entrato nella sala a cui davano il nome. Tavoli imbanditi erano stati posti ai loro piedi, traboccanti di stuzzichini e leccornie, mentre i camerieri già scivolavano tra gli ospiti offrendo bevande servite in eleganti bicchieri.
Le dame si precipitarono verso Oberon, l'affascinante attore dai lunghi capelli scuri; mentre gli uomini già pendevano dalle labbra della bella Elena, una donna fine ed elegante dalla folta capigliatura corvina e le forme generose.
Io, invece, cercavo febbrilmente con lo sguardo il mio Puck, sondando il mare di abiti, cappelli e vassoi alla ricerca della chioma bionda del folletto.
Lo scovai rifugiato accanto ad uno dei tavoli, probabilmente terrorizzato dalla fiumana di persone, e non abituato a quel genere di affluenza. Doveva essere nuovo della compagnia: il suo volto delicato, il suo sguardo trasognato e quelle labbra carnose mi erano nuovi.
Mi avvicinai cautamente - non avevo intenzione di spaventarlo ulteriormente- e venni travolto dalla giovinezza e dall'ingenuità che quel ragazzo emanava: il suo fascino adolescenziale, i tratti del suo volto teneri e puri, quello sguardo limpido e chiaro mi affascinarono e mi attrassero.
Il ragazzo si accorse del mio arrivo e mi inchiodò con le sue iridi celesti che racchiudevano uno sguardo distante e malinconico. Pareva immerso in un proprio mondo, quasi non si fosse accorto della fine dello spettacolo e fosse rimasto intrappolato nell'atmosfera fantastica e onirica dell'opera di Shakespeare.
Non appena i suoi occhi incontrarono i miei, una brama avida e cieca si impossessò di me: lo volevo.
Non riuscirei a spiegare con altre parole quel sentimento che mi avvinse: lo desideravo nel modo più profondo, viscerale e disperato possibile, come un uomo assetato può desiderare dell'acqua.
Ma il mio anelito era più cupo e cupido, più morboso e perverso: io volevo il fiore della sua giovinezza e della sua innocenza, volevo essere il primo a macchiare il sudario della sua verginità e instillargli nello sguardo quella scintilla di malizia che mancava.
Nella gioventù e nell'innocenza di quel giovane avevo scorto la possibilità di ritrovare qualcosa che avevo perduto la notte stessa in cui mi ero sottomesso alla volontà di Percival.
Dopo quella terribile notte, nulla era cambiato: ero sempre me stesso, e non percepivo alcuna modificazione né dentro di me, né nell'aspetto esteriore. Quella sensazione inusuale che mi aveva avvolto nel culmine del piacere, in cui mi ero sentito come investito da una cascata di calore e un brivido freddo era corso lungo la mia schiena, doveva essere stata un mero frutto della soggezione.
Mi ero ormai rassegnato all'idea che mi avesse ingannato per poter approfittare di me, ed io come una prostituta, avevo ceduto ai suoi desideri.
«Buonasera» lo salutai educatamente, con il sorriso più affascinante che riuscii a sfoggiare.
Il ragazzo rispose timidamente, e quelle splendide labbra si inarcarono in una piega dolcissima.
«Mi permettete di porgere i miei più sentiti complimenti per la vostra interpretazione? Siete stato un Puck eccezionale, mai ne ho visti tanto convincenti e spontanei.»
«Vi ringrazio» balbettò il giovane, la sua voce aveva già virato verso il tono baritonale e virile, segno che nella scena l'aveva forzata per farla somigliare a quella di un bambino petulante. Quella voce associata a quel volto imberbe e quasi femmineo creavano un contrasto sorprendente e interessante.
«È il mio personaggio preferito.»
«Anche il mio» replicai, «Di quest'opera, si intende. Credo che il mio personaggio preferito in assoluto sia Iago: il modo in cui è riuscito ad insinuare il dubbio in Otello mi ha sempre affascinato»
«Amleto» pigolò il ragazzo, «Il mio personaggio preferito tra tutte le sue opere è Amleto, e spero, un giorno, di poterlo interpretare. Ma Basil sostiene che finché non avrò le fattezze adatte non potrò mai essere un Amleto convincente.»
Basil era il capocomico: un conoscente che rivedevo ben volentieri, sebbene avesse lo spiacevole vizio di autoinvitarsi ai pasti, si fosse trattato indistintamente di colazioni, pranzi o cene.
«A mio modesto parere, sareste un perfetto Amleto anche senza farvi crescere per forza il barbone che Basil si ostina ad ostentare, facendolo somigliare ad una delle megere di re Lear.»
Il giovane scoppiò a ridere, scuotendo la testa e facendo ondeggiare i folti capelli biondi, portati lunghi, che si arricciavano a livello delle spalle in morbide onde color del sole.
Come se fosse stato attirato da un richiamo invisibile associato all'averlo nominato, Basil planò verso di noi, la sua possente figura ancora intabarrata nell'abito di scena.
«Le dame stanno diventando sempre più disinibiite» esordì con il suo vocione tonante. Era un perfetto re Lear e quando urlava la propria disperazione lo si sentiva fino alla piazza davanti al teatro, provocando una cascata di applausi ogni volta che iniziava il terribile monologo.
«Come se vi dispiacesse» lo punzecchiai. Ci conoscevamo da molto tempo: ero un profondo amatore del teatro, in generale, e delle opere di Shakespeare in particolare e gli allestimenti di Basil erano da sempre stati i migliori e più vicini all'essenza e allo spirito delle opere.
«Sebbene le attenzioni di una donna non mi siano mai sgradite, preferirei non venire assalito come se fossi la Bastiglia. Stanno diventando troppo libertine e audaci.»
L'uomo sistemò il proprio abito, lisciandone le pieghe e aggiustando i veli e la coroncina di foglie e bacche, che era scivolata sul lato; sembrava il superstite appena scampato da una lotta estenuante.
«Vi è piaciuto lo spettacolo?» si interessò. La mia opinione per lui era molto importante: ero un suo affezionato, e conoscendo il mio fine ed esigente gusto estetico, non mancava mai di domandarmi, dopo ogni rappresentazione, un parere sincero.
«Magnifico, come sempre» risposi con schiettezza.
«E il nostro Puck? Come vi è sembrato?» domandò, assestando una pacca sulla spalla esile del biondo.
«Sublime» sospirai.
«Hai sentito, Damian? Se hai passato l'esame del Conte sei già a cavallo, e una carriera di successi ti attende!»
Le guance dell'interessato si tinsero deliziosamente di porpora, e il ragazzo abbassò lo sguardo, vergognoso.

«Suvvia! Il mio giudizio non potrà mai essere tanto importante!» cercai di minimizzare per toglierlo dall'imbarazzo.

«Siete il Conte Blackwood!» esclamò Basil con un'enfasi e un tono di voce tanto alti che molte teste si voltarono verso di noi.
«Preferirei che non lo sbandieraste ai quattro venti» sibilai, «la mia posizione non è delle migliori al momento.»
«Lo so, lo so» gesticolò l'altro, continuando a strapazzare il povero Damian, rimasto imprigionato nella morsa delle braccia poderose del capocomico. «All'inizio non credevo affatto ai pettegolezzi, ed ero convinto si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto, ma poi ho notato che non portate più l'anello. Mi spiace molto per voi, Milord...»
«Non vi preoccupate, Basil» minimizzai. La compassione non richiesta di un commediante era ammirevole ma totalmente fuori luogo. Per il momento riuscivo a cavarmela perfettamente anche senza i proventi di mio padre. Non ero così sprovveduto e prodigo come aveva sempre sostenuto: nel corso degli anni avevo accumulato una discreta somma che avevo depositato in banca a mio uso esclusivo, e per i primi tempi quei soldi mi avrebbero permesso di sostenere la vita agiata ed elegante che avevo sempre condotto. Il grattacapo si sarebbe palesato se quei soldi si fossero esauriti.
«Sappiate che, se dovesse servirvi, c'è sempre posto per voi nella mia compagnia!»
Quell'uscita, per quanto spinta dalle migliori intenzioni e volta, forse, a consolarmi e a strapparmi una risata, si rivelò profondamente infelice e lo stesso Basil dovette rendersene conto perché, dopo aver scompigliato i capelli al giovane Damian- in un gesto che doveva essere affettuoso e paterno- tornò a farsi sbranare dalle sue dame adoranti.
«Mi spiace, Conte» mormorò il ragazzo. Con la chioma scomposta si rivelò essere ancora più attraente, e mi irrigidì involontariamente.
«Per cosa?»
«Per Basil e le sue parole irrispettose nei vostri confronti.»
«Sono state le più gentili che mi siano state rivolte fino ad adesso, oltre alle vostre» gli sorrisi.
Il ragazzo ricambiò timidamente il gesto. Era tanto dolce e innocente che quasi mi commuoveva.
Cercai di reprimere l'impulso di accarezzare quella gota marmorea, per paura di spaventarlo e farlo fuggire.
Scavai nella mia mente alla disperata ricerca di un argomento qualsiasi con cui continuare la conversazione, ma tutto quello che mi riusciva di pensare era al sapore delle labbra del ragazzo e quali sensazioni avrebbe suscitato prenderlo in uno dei camerini, o tra le stoffe pesanti delle quinte.
«Davvero vi sono piaciuto?» ruppe il silenzio, esitante. La sua timidezza era adorabile.
«Immensamente» risposi, «Non sarei qui a complimentarvi con voi, altrimenti.»
Cercavo di tergiversare e di conquistare il ragazzo a poco a poco, sebbene il mio desiderio non fosse così paziente e accorto. Se l'avessi seguito, non saremmo rimasti ancora per molto a chiacchierare di frivolezze.
Un cameriere ci passò accanto e conquistai un paio di calici colmi di un vino dal colore paglierino. Ne offrii uno al ragazzo, ma questi rifiutò graziosamente, adducendo come scusa il fatto che Basil non volesse che i suoi attori bevessero. Risposi che Basil sosteneva questo per poter tenere per sé tutto il vino e tracannarlo da solo all'oscuro di tutti, e da questa battuta sciocca iniziammo a discorrere degli argomenti più svariati.
Ci confrontammo sul teatro, sul suo glorioso passato e sul futuro che pareva essergli stato riservato, e constatammo, tristemente, che questa nobile arte era destinata a scomparire.
Mi arrischiai a domandargli quale fosse la sua storia e mi rispose che era un figlio d'arte, con un passato banale e un futuro incerto.
«Mia madre è una bellissima donna» si lasciò sfuggire, lo sguardo distante perso tra i meandri labirintici della sua memoria, «Non come Josephine» cercò di spiegarsi, alludendo all'attrice che aveva interpretato Elena, «Ma di una bellezza più eterea, così la descrive mio padre.»
Esitò un momento e vidi il suo volto imporporarsi.
«Così non riuscirete a capire cosa intendo» iniziò, «Sarebbe sconveniente chiedervi se posso mostravi una sua immagine?»
Acconsentii entusiasta, esultando dentro di me per aver trovato una scusa per allontanarci e rimanere soli. Il mio cuore, se battesse ancora, avrebbe iniziato a palpitare, non riuscendo a contenere la gioia e la soddisfazione per una tale occasione propizia.
Damian mi condusse lontano dalla calca eccitata, introducendomi nei corridoi tranquilli e quasi lugubri che si snodavano in un dedalo di legno ai lati della lussuosa Sala delle Cariatidi. Il silenzio di quel luogo, in confronto al cicaleccio da cui eravamo appena evasi, era assordante e quasi opprimente.
Un lieve sentore di lacca, cipria e ansia aleggiava nell'aria.
Il giovane mi guidò sicuro attraverso il passaggio su cui si affacciavano svariate porte di legno. Alcune riportavano targhette d'ottone, su cui erano stati affissi fogli di carta che riportavano il nome dell'attore, scribacchiato nella grafia storta e infantile di Basil.
Ci arrestammo davanti ad una porta senza cartiglio sulla targhetta, e Damian indugiò un istante con la mano elegante sospesa sulla maniglia, incerto se ammettermi nel suo mondo intimo e privato.
Alla fine si risolse e spalancò con foga la porta. Questa apriva in un modesto camerino, probabilmente condiviso con un altro attore: abiti di scena occupavano tutte le superfici disponibili, tranne quelle dei tavolini da toeletta invasi di belletti e sostegni per le parrucche. A causa di ciò, non si riusciva a distinguere molto del mobilio, che intuii essere essenziale e spartano: oltre ai tavolini e a relativi sgabelli, un paravento color carta da zucchero a disegni floreali e un divanetto completavano l'arredamento.
«Non è il camerino di un grande attore» cercò di scusarsi, «E non è sicuramente adatto ad un conte.»
«Non importa» lo rassicurai, «sono stato in posti ben peggiori. Questo è molto accogliente e...intimo.»
«Ristretto» mi corresse con un sorriso incerto.
Si inginocchiò di fronte ad un baule da viaggio, posato in un angolo nascosto, e ne riemerse reggendo tra le mani una scatola di latta. Cercò un posto dove potesse farmi accomodare e lo sollevai dall'incombenza, sistemandomi su uno degli sgabelli di fronte ai tavolini da toeletta.
«Mi spiace molto» mormorò, «Forse non è stata una buona idea...»
«Smettetela» lo frenai immediatamente, «Cercate di non vedermi come un nobile, anche perché a giorni non lo sarò più, e non vi preoccupate per me: questo gabello è comodissimo.»
Tentai di metterlo a suo agio, il suo nervosismo si percepiva distintamente, così come la sua trepidazione, rendendolo solo più desiderabile ai miei occhi.
Aprì la scatola, rivelando una collezione di ritratti, ritagli di giornale, cartoline e altre cianfrusaglie simili, che costituivano, probabilmente, l'unico suo legame con la casa lontana.
Scartabellò tra i numerosi oggetti e ne estrasse un foglio che ritraeva una donna dagli stessi tratti delicati e dolci di Damian e l'identico sguardo sognante. Era davvero una donna incantevole, di una bellezza fragile e sfuggente, simile a quella delle farfalle. Mi concesse qualche secondo per contemplarla e mi permise pure di stringere il foglio tra le dita.
«È molto bella» commentai, «Ricorda le dame che descrive Byron.»
«Addirittura!» esclamò il ragazzo stupito, mentre a me sorprese che potesse conoscere il poeta, ma probabilmente ne aveva solo sentito il nome.
Cavò un altro ritratto che mostrava un uomo dai capelli biondi e gli occhi dello stesso azzurro di quelli di Damian, ma lo sguardo era fiero e deciso.
«Questo è mio padre» lo presentò, e mentre mi lasciava il tempo per analizzarlo in tutti i suoi particolari e cogliere i dettagli del suo assurdo abito di scena, riesumò un'altra immagine, questa volta una cartolina che rappresentava la Cornovaglia con le sue scogliere bianche e il mare della stessa sfumatura delle iridi del ragazzo.
Iniziò a narrarmi della sua casa e della sua infanzia, del suo desiderio di diventare attore nonostante i genitori avessero pensato per lui ad una strada diversa, alle lotte per poter entrare in una compagnia e alla fuga per unirsi ad un gruppo di teatranti che aveva svernato vicino a casa sua.
Io lo ascoltavo rapito, non tanto per le storie che raccontava, quanto per la bellezza ed il candore che diffondeva nell'enunciarle. Il movimento morbido delle sue labbra e la lieve increspatura, che le animava quando rievocava un ricordo particolarmente caro, mi avevano completamente suggestionato e non avevo smesso un attimo di seguirlo trepidante.
Eravamo molto vicini: Damian si era accucciato al mio fianco, per potermi mostrare le immagini, e di lui scorgevo il profilo dolce con la curva fine del naso e le lievi efelidi che spruzzavano le sue guance, che rinforzavano la sua figura innocente e pura.
Alcuni ricci ricadevano sulla mia spalla, e quando mi sporsi per cercare il dettaglio che il ragazzo mi aveva indicato, sfiorarono la mia guancia in una carezza timida e morbida.
Ogni frammento di me scalpitava per ottenere il sapore tanto agognato delle sue labbra, per poterlo stringere e cullare tra le mie braccia, per averlo interamente e profondamente.
La sua voce mi giungeva, ormai, in un eco lontana e non coglievo più nemmeno le sue parole, ridotte ad un mormorio monotono e tranquillo, come lo scorrere di un ruscello.
Il ragazzo volle rialzarsi ma perse l'equilibrio e lo vidi sbilanciarsi all'indietro, mentre cercava un appiglio. Scattai in piedi e lo afferrai prima che potesse cadere e lo tirai verso di me. Me lo ritrovai davanti, a pochi passi dal mio volto. Il suo respiro affannato mi accarezzava le labbra, eravamo tanto vicini che potevo percepire il lieve odore di sapone che la sua pelle spandeva.
Non resistetti e lo baciai con trepidazione.
Damian rimase completamente spiazzato e impiegò qualche secondo per capire cosa stesse succedendo. La sua totale confusione e la remissività, dovuta alla sorpresa, furono per me la miccia che accese un fuoco di desiderio cieco e avido, incoraggiandomi a non limitarmi ad un semplice assaggio ma spingendomi ad esplorarlo. Il sapore dolce e inviolato delle sue labbra mi esplose in bocca.
Affondai la mano nei suoi capelli, e mentre con una gli circondavo la vita, con l'altra lo spinsi contro di me. Lo sentii fremere, e il suo cuore batteva all'impazzata contro il mio petto.
Iniziai a vagheggiare qualcosa di più di quel semplice contatto, qualcosa che andasse più a fondo e fosse più intenso.
Lo spinsi senza grazia sul divanetto, invaso da abiti di scena, e lo immobilizzai con la mia persona e la mia forza nettamente superiore. Damian parve avere sentore di quello che sarebbe accaduto, come un cerbiatto che fiuta il pericolo, e provò a divincolarsi, ma la mia presa era salda sui suoi polsi e gli impediva di muoversi. Qualsiasi protesta da parte sua venne prontamente soffocata da un nuovo bacio, avido e famelico: gli artigliai le labbra e invasi con prepotenza la sua bocca, senza curarmi di essere delicato o dolce. Ciò che mi animava non era mai stato amore, ma mero desiderio carnale.
Con malagrazia gli spalancai le gambe, il ragazzo provò a sottrarsi, scuotendo convulsamente la testa.
Tremava come un fuscello e si sforzava per trattenere le lacrime, tentando disperatamente di liberare i polsi e chiudere le gambe, inarcandosi sul divanetto.
Mi arrischiai a trattenerlo con una mano sola, mentre con l'altra provavo a spogliarlo, slacciando i bottoni che tenevano chiusi i pantaloni. Damian emise un verso soffocato e iniziò a contorcersi per sottrarsi al mio tocco ansioso e febbrile. Anche l'ultimo bottone cedette, e glieli abbassai con trepidazione; la stoffa scivolò in un fruscio sommesso e le gambe di Damian si irrigidirono immediatamente.
Tornai a baciarlo, vezzeggiandolo e stuzzicandolo con la lingua, sfiorando il suo palato e suggendo il dolce sapore delle sue labbra virginee.
Era tanto fragile e delicato che bastava una mano per trattenerlo, mentre l'altra era impegnata a liberare me dell'impaccio sconveniente dei pantaloni.
Damian aveva iniziato a piangere, e calde lacrime bagnarono le sue guance, rendendo più amari e strazianti i baci strappati alla sua bocca testarda.
Con non poche difficoltà riuscì a spogliarlo completamente e la sua pelle soffice e chiara si presentò a me in tutto il suo splendore; affondai la mano in quella morbidezza d'incanto e lo sentii sospirare mentre esploravo quel territorio sconosciuto con una lieve carezza. Continuai a blandirlo con lievi tocchi sapienti delle dita, e lentamente sentii che i suoi muscoli si stavano rilassando, contro la sua volontà, abbandonandosi al piacere che i movimenti misurati ed esperti della mia mano provocavano in lui.
«Ti prego» mormorò, ma anche quelle parole si persero tra le mie labbra, allacciate nuovamente alle sue. I miei baci si erano fatti più accorti e delicati: avevano il compito di distrarlo da quello che sarebbe avvenuto successivamente. Lasciai i polsi, mentre Damian aveva iniziato a rispondere timidamente ai miei tentativi, guidato e sospinto dai miei movimenti incalzanti.
Umettai le dita e il ragazzo spalancò gli occhi, trasformandoli in pozzi cerulei stillanti terrore.
«No» urlò e provò a spingermi via, rendendosi conto di avere le braccia libere.
Mi sbilanciò, ma mentre cadevo all'indietro lo afferrai per un braccio e lo trassi con me. Finimmo entrambi sulle assi polverose del pavimento, e il ragazzo provò a fuggire.
Lo artigliai per una gamba e lo trascinai verso di me, ogni proposito di rendere l'atto meno violento e traumatico era sfumato nell'attimo stesso in cui aveva osato ribellarsi.
Lo inchiodai al pavimento, precludendogli ogni via di fuga: lo desideravo, e l'avrei ottenuto, con o senza il suo consenso. Mi intromisi tra le sue gambe, spalancandogliele con bramosia.
«Se collaborerai sarà meno doloroso, soprattutto per te» sibilai.
Umettai di nuovo le dita e le lasciai scivolare all'interno; Damian si irrigidì e provò a sottrarsi a quell'invasione, non comprendendo come i suoi movimenti bruschi e scoordinati rendessero l'intrusione maggiormente straziante. Mossi le dita con cautela, cercando di preparare quella parte del suo corpo a quanto sarebbe accaduto in seguito; ma ogni mio tentativo veniva bruciato dagli spasmi incontrollati di lui. Alla fine desistetti dal proposito, piegai ancora di più la sua gamba, per avvicinarlo fin dove mi fosse possibile, e lo penetrai.
Damian proruppe in un grido strozzato di dolore e cercò di afferrare le assi sotto di sé, spezzandosi le unghie nel tentativo. Iniziai a spingere, all'inizio lentamente, prestando attenzione alle reazioni del ragazzo: per quanto desiderassi ardentemente possederlo, non volevo che questa bramosia si riversasse violentemente su di lui, spezzandolo. Lacrime erano tornate a rigare il suo volto e pregava a fior di labbra che lo lasciassi andare.
Iniziai ad accarezzargli l'addome, scivolano sempre più verso il suo inguine; sfiorai appena il suo membro e lo sentii indurirsi sotto il mio tocco. Un nuovo spasmo fece sussultare il ragazzo, ma questa volta non fu solo di dolore. Iniziai ad accarezzare la sua erezione, a stuzzicarla, e le lacrime dell'altro si mutarono in sospiri strozzati. Lo percorsi completamente, dalla punta fino ai testicoli, Damian inarcò la schiena e si lasciò sfuggire un gemito di piacere. Iniziai a muovere la mano, cercando di coinvolgere ogni punto del suo membro; ad ogni movimento, una parvenza di minore rigidità sembrava conquistare sempre più terreno, e anche la penetrazione divenne più scorrevole. Sorrisi e approfittai dell'istante favorevole per aumentare il ritmo e l'intensità; ma alla prima, vera, poderosa spinta emise un verso strozzato e scattò, tendendo tutti i muscoli fino allo spasmo, in un nuovo tentativo di fuga. Piegò la testa all'indietro e scivolai sul suo collo, accarezzando con il respiro quella pelle candida che pulsava di vita, spandendo il suo profumo soave.
Quella fragranza mi invase le narici: sapeva di giovinezza e purezza, di acque cristalline e immacolate, di una fonte mai sfiorata da alcuno.
Un nuovo tipo di desiderio, ugualmente cieco e ingordo, iniziò a spaziare dentro di me: l'odore di quella vita mi attirava e mi inebriava con la promessa seducente del suo sapore soave.
Lappai l'orlo di quel calice serico e un assaggio del paradiso che prometteva si affacciò alla mia mente, stordendomi completamente.
Spinsi più fondo, e il ragazzino esalò un verso inarticolato, azzannandosi il labbro fino a farlo sanguinare.
Il sentore di quel sangue era quanto di più dolce e intenso avessi mai sentito in tutta la mia vita; nulla era paragonabile a quel profumo se non la mitica ambrosia degli dei. Tornai a baciarlo, solo per poterne cogliere una goccia, ne raccolsi una lacrima e il suo sapore mi mandò in visibilio. Bastò una stilla di quel nettare cremisi per farmi perdere completamente il controllo.
Affondai i canini nel suo collo e iniziai a suggere. Damian protestava debolmente, ma i suoi lamenti erano spezzati e intervallati da ansiti e gemiti.
Aumentai l'intensità dei movimenti della mano che lavorava il suo membro, e il profumo si intensificò, fortificato dall'eccitazione.
Cercai di moderarmi: non volevo che morisse tra le mie braccia, ma il sapore meraviglioso di quel sangue bruciava tutti i miei propositi.
Una strana sensazione si fece improvvisamente largo dentro di me. Non avevo mai provato nulla di simile, ma era come se un fuoco scoppiettasse nelle mie vene, irradiando calore. Non era piacere; questa sensazione era più cricchiante, come delle scintille che si accendevano e si spegnevano a intermittenza, espandendosi. Una fitta lacerante mi trapassò la mente e digrignai i denti.
Posai lo sguardo su Damian, convinto che il ragazzo potesse esserne coinvolto, ma mi restituì la stessa espressione confusa e incredula, annegata nelle lacrime che non aveva ancora versato.
Improvvisamente, qualcosa nei suoi occhi mutò: la scintilla di ribellione e terrore che li accendeva si spense, rendendo il suo sguardo mite e remissivo; anche la sua muscolatura si rilassò ed ogni tentativo di ribellione morì. Divenne tutto ad un tratto accondiscendete e collaborativo, non mostrando alcun tentativo di sottrarsi.
Basito, mi spinsi con maggiore vigore dentro di lui, ma non protestò e assecondò il movimento inclinando il bacino per rendere l'operazione più agevole. Rivoli di sangue macchiarono le cosce, intensificando l'odore che impregnava la stanza.
Sorpreso lo fissai, senza riuscire a comprendere; Damian mi restituiva lo sguardo, diventato scintillante di piacere e bramosia e non più di odio e vendetta.
Alzò la testa con uno sforzo immane e, cogliendomi completamente impreparato, afferrò la mia nuca e mi baciò con passione. Mentre la sua lingua esplorava impudica la mia bocca, spinse il bacino contro il mio, invitandomi a tornare a penetrarlo senza ritegno. Non esitai ad accontentarlo.
Rigettò la testa all'indietro, ululando di piacere, e offrì il suo collo lungo, sottile e bianco. Affondai nuovamente nella carne morbida, e tornai a suggere e leccare, risucchiando la linfa che scivolava con tanta semplicità nella mia gola riarsa, placando la mia sete.
I suoi respiri pesanti si trasformarono in ansiti, le sue unghie affondarono nella carne delle mie spalle alla ricerca di un appiglio. Scesero lungo la schiena, provocando un formicolio in ogni anfratto che riuscivano a raggiungere. A ogni spinta più poderosa delle altre, tornavano ad artigliare, lasciando incisi sulla pelle pallidi marchi rosati.
Il suo respiro rotto e gemente frusciava nel mio orecchio, accompagnando le spinte del suo bacino.
Scavai più a fondo con le zanne, cercando di raggiungere il cuore pulsante di quella vita, di quella giovinezza e di quella innocenza, facendomi largo tra gli strati di carne. Il suo profumo era diventato insostenibile e mi spingeva sull'orlo della follia: il suo desiderio lo aveva reso delizioso e impossibile da ignorare; pareva chiamarmi e accarezzarmi, nello stesso modo con cui la mia mano vezzeggiava il suo membro.
Mi aspettavo che da un momento all'altro avrebbe soddisfatto la sua erezione, ma con mia grande sorpresa, sentii il suo membro afflosciarsi tra le mie dita. Anche i gemiti e gli ansiti del ragazzo si spensero in un verso atono.
Mi staccai dal suo collo e uscii da lui, confuso e inebetito.
Damian era riverso tra le mie braccia, floscio e immobile, ed un pallore mortale aveva iniziato a spandersi sul suo incarnato. Non riuscivo a capire cosa fosse successo.
Il mio occhio cadde sulle macchie scarlatte che spiccavano sulla pelle candida, e compresi: il collo del ragazzo era squarciato in più punti e la carne viva rosseggiava, esposta; la pelle era circondata da un alone di sangue e marchiata dal segno inequivocabile di denti.
La consapevolezza mi svuotò completamente.
Lo avevo ucciso: avevo estratto fino all'ultima goccia del suo sangue.
Continuai a fissarlo, incredulo, senza riuscire a capacitarmene, e mi tornarono alla mente le parole di Percival: "la Malia ha bisogno di un continuo nutrimento, soprattutto nei primi tempi."
Lentamente iniziai a comprendere: il repentino cambio di atteggiamento da parte di Damian, quella sete inconsueta e la possibilità di sentire gli odori con maggior forza e precisione.
La Malia aveva appena ottenuto il suo primo pasto.

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