III- L'Iniziato

«Speri ancora che possa amarti» mormorò, spezzando la quiete che aveva ammantato la stanza.
Il silenzio che seguiva l'amplesso aveva sempre esercitato su di me un fascino inspiegabile: era un silenzio surreale, che immetteva in una dimensione sospesa, onirica, in cui le grida e i gemiti e gli ansiti si disperdevano in echi lontani, pur impregnando ancora la stanza con il loro effluvio eccitante.
Si dondolava tra il sogno e la realtà, indecisi in quale sostare, e solo la presenza massiccia dell'altro mi permise di cadere in quest'ultima.
Il corpo di Percival si mosse e l'uomo si mise su un fianco, il gomito appoggiato sui cuscini e la mano a sostenere la testa. Il suo sguardo dorato catturò il mio, mentre la sua mano iniziò timidamente ad accarezzarmi la coscia.
«Chi?» risposi dopo un tempo che parve interminabile. Le mie parole si sciolsero in fumo e fuggirono dalla finestra aperta, confondendosi con la polvere delle stelle.
La sigaretta alla fine di un coito era diventata una sorta di rito, come se l'unione non avesse potuto dirsi completa se non dopo essere stata siglata dall'odore corroborante del tabacco di qualità. Quello del fumo era un retaggio dei vizi della mia vita dissesta, uno dei pochi che mi fosse rimasto. Oltre che andare a letto con qualsiasi uomo me lo proponesse, indipendentemente dal fatto che fosse un maniaco visionario e folle.
Percival si sporse e mi sfilò la sigaretta dalle mani.
«Tuo padre.»
«Cosa c'entra mio padre?» domandai.
«I padri sono sempre coinvolti» rispose enigmatico l'altro prendendo una boccata una lunga boccata. Socchiuse gli occhi, quasi volesse assaporare con ogni senso il fumo inalato.
«Non trovi che le sigarette condivise abbiano un sapore differente?»
«Perché adesso mi parli di sigarette?» sbottai, sollevandomi sui gomiti. Sentivo il bisogno di guardarlo bene in volto, per scorgervi quella patina di scherno che sempre nascondeva il suo sguardo.
Ma per una volta, il volto di Percival era mortalmente serio. Non riuscivo a capire dove volesse giungere con quelle chiacchiere prive di filo logico e con quelle insinuazioni senza fondamento.
«Speri ancora che tuo padre possa mostrarti quel minimo di affetto che per anni hai ricercato in lui. Per questo stai facendo tutto ciò: per riscattarti ai suoi occhi e ricevere finalmente quella considerazione e quell'attenzione che vai elemosinando come un vagabondo da quando sei nato.»
«Cosa ne sai tu?» scattai.
Percival si strinse nelle spalle e la scintilla di dileggio tornò ad accendere le sue iridi.
«Ho semplicemente fatto delle deduzioni a cui sono seguite delle supposizioni: sei disperato - questo è evidente dal tuo atteggiamento e dal fatto che tu sia nudo accanto a me in questa stanza- e cerchi a tutti i costi un modo per entrare nel Circolo. Di solito si entra in quella congrega di spocchiosi per avere potere e prestigio, e tu desideri entrambi. Non è un segreto che presto verrai diseredato da tuo padre, e quale metodo migliore per farlo desistere dal suo proposito se non dimostrargli di essere potente e famoso? Sarebbe davvero un grave errore privarti del tuo nome una volta che sarai diventato un'influente membro del Circolo, soprattutto per un uomo così interessato all'occulto e al mistero. Anche tuo padre tentò un paio di volte di farne parte, ma venne sempre rifiutato: troppo autoritario, troppo categorico e troppo violento. Immaginati lo smacco nell'apprendere che il figlio inetto e prodigo è giunto laddove lui ha fallito! -Percival si perse in una risata sommessa- A quel punto sarà costretto a ritirare la sua decisione, per non perdere quel poco di influenza e credito che gli saranno rimasti dopo che tu te ne sarai andato, siccome la maggior parte della sua posizione è merito del tuo carisma e della tua reputazione. Tuo padre è un oggetto che brilla di luce riflessa, ma non se ne rende conto, almeno fino a quando tu non entrerai a far parte del Circolo e sarà costretto a ricredersi anche su di te, vedendo, forse, finalmente qualcosa di buono nella mela marcia caduta dal suo albero.»
«Non sono una mela marcia» protestai. Detestavo che mi si parlasse in questo modo e che si trattassero alla leggera argomenti così importanti e controversi per me, come se si stesse discutendo del tempo. Ma ciò che più di tutto mi infastidiva era come Percival riuscisse a mettermi a nudo, scoprendo ogni parte di me, non solamente fisica. Non sembrava che avessi alcun segreto per lui e mi leggeva come si legge un libro aperto sul leggio, con lo stesso interesse e la stessa frenesia, alternate, a volte, a momenti di svogliatezza e superficialità. Odiavo l'idea di poter essere così trasparente e prevedibile, così leggibile e vulnerabile. Per anni avevo costruito un'armatura che mi proteggesse e preservasse il mio cuore spezzato e sensibile, ma Percival era riuscito a distruggere mesi di duro lavoro con poche semplici frasi, spazzando via ogni mio tentativo e ogni mia fatica.

«È come ti vede tuo padre, o non avrebbe lasciato le sue ingenti proprietà a un figlio di salute cagionevole e più fragile di un vaso di Murano.»

Una parte di me sussurrava suadente di sgozzare Percival e soffocare nel sangue quelle sue parole così vere, e proprio per questo, ancora più dolorose; mentre la parte lucida insisteva nel voler scoprire fin dove si sarebbe spinto e quanto davvero avesse compreso di me, delle mie intenzioni e della mia travagliata storia.

«E tutto questo cosa avrebbe a che fare con la tua prima affermazione?» sibilai.

Percival ridacchiò e liberò la sigaretta dalla cenere in eccesso, scrollandola sul posacenere a forma di conchiglia adagiato sul comodino accanto al letto. Stava prendendo tempo, accortosi di come le sue parole non mi fossero indifferenti. Mi stava sfidando, gustandosi lo spettacolo delle reazioni che innescavano le sue provocazioni.

«Credo che sia lapalissiano: tuo padre ti considera meno di niente, ha deciso di diseredarti senza preoccuparsi delle conseguenze e lo stesso vale per la sua scelta di designare tuo fratello come suo erede. L'orrore e il ribrezzo che prova nei tuoi confronti sono tali da accecare la sua lungimiranza e il suo buon senso, non nutre per te alcuna stima e dubito che un uomo che agisce in questo modo possa nutrire dell'affetto. Se amassi mio figlio non lo abbandonerei su una strada, privandolo di un nome, di una rendita e di una vita, ma se amassi mio figlio non gli avrei nemmeno permesso di ridursi nella condizione per essere ripudiato.»
Una lacrima che era sfuggita al mio controllo scivolò lungo la guancia e venne catturata dal pollice di Percival. La verità sentita attraverso la bocca di un altro era ancora più granitica e lacerante, raggelante.
«Non piangere» sussurrò, «Versare lacrime non muterà la situazione.»
«Non sto piangendo» lo rimbeccai, e mi detestai ancora di più: non solo stavo facendo la figura dell'uomo molle, privo di carattere e personalità, sciogliendomi in lacrime come una donnicciola a teatro, ma mi stavo atteggiando anche da bambino viziato, replicando impertinente alle parole di Percival.
L'altro ridacchiò e non potei biasimarlo: mi stavo comportando in maniera ridicola e imbarazzante.
Soppressi le sorelle che indugiavano agli angoli degli occhi e cercai di assumere un contegno confacente a un uomo adulto.
Il silenzio cadde di nuovo tra noi. Mi accesi un'altra sigaretta dal momento che la precedente era stata consumata da Percival, e affondai il mio sguardo nelle volute di fumo argentato, che si innalzavano come fumi di incenso ad accarezzare l'oro stinto del soffitto a cassettoni.
Le stanze che Lady Cheshire aveva predisposto per i suoi ospiti erano piccole nicchie barocche e soffocanti, imbellettate con stucchi dorati e affreschi di creature mitologiche dedite ai piaceri carnali.
La prima stanza in cui Percival aveva sbirciato era stata richiusa subito dopo, permettendomi di scorgerne solo un angolo in cui almeno quattro persone erano intrecciate le une alle altre in un'orgia di arti, che nulla aveva da invidiare a quelle rappresentate sulle pareti. I gemiti barbaramente stroncati dall'altro avevano un che di inumano.
La stanza successiva, fortunatamente, non era stata ancora occupata e Percival vi si era infilato ratto, trascinandomi al seguito.
Il locale era minuto e ingombro, il letto a baldacchino ne era il protagonista indiscusso: dominava l'ambiente ristretto limitandone maggiormente lo spazio, sufficiente appena per un paio di comodini, un'ottomana schiacciata ai piedi del letto e, incredibilmente, una finestra che apriva sul giardino che circondava la villa.
«Lady Cheshire non bada a spese» aveva commentato Percival, accarezzando le cortine del baldacchino, impalpabili veli color della notte.
«Sembra di essere in un bordello di lusso, non nella residenza di una dama. È vergognoso!» non ero riuscito a trattenermi. Le dimensioni spropositate del letto pareva un invito osceno a usufruire dell'oggetto, spettinandone le lenzuola di seta e sparpagliandone i cuscini, tramutandoli in sopravvissuti dopo un naufragio, alla deriva sul pavimento di marmo a quadri.
Quando Percival aveva accennato a quelle stanze speciali avevo subitaneamente pensato a uno scherzo di cattivo gusto e mai avrei immaginato che, in verità, le suddette esistessero davvero, e che le voci che correvano sulle notti di passione e sregolatezze a Villa Afrodite fossero fondate, e non frenetiche fantasie perverse di qualche malalingua.
«Sei un esperto di bordelli» aveva replicato. Non era stata una domanda, ma una constatazione, e la sicurezza con cui lo aveva affermato mi aveva fatto innervosire e accapponare la pelle: di quante e quali cose era a conoscenza sul mio conto? E come era entrato in possesso di quelle conoscenze?
Il mio libertinaggio non era un segreto, ma non credevo che anche i luoghi che frequentavo fossero di dominio pubblico: non erano esattamente definibili come ambienti in cui dovrebbe rifugiarsi un giovane di buona famiglia, rispettabile e influente.
Per la prima volta mi ero trovato in imbarazzo in una simile circostanza: ero rimasto sulla porta, indeciso se fuggire -come il mio raziocinio mi stava supplicando di fare- o rimanere e scoprire dove questa follia sarebbe approdata - come stava suggerendo seducentemente la mia curiosità.
Avevo osservato Percival mentre gettava il cilindro e i guanti sull'ottomana e si sfilava con naturalezza il fazzoletto dal collo, prestando attenzione a riporre la pietra sul comodino. Un'eleganza ipnotica dominava ogni suo gesto, simile ai movimenti morbidi e attenti di un felino. Il suo sguardo dorato intercettò il mio e si accese di divertimento.
«Stai sorreggendo la porta?» aveva domandato scherzoso, «Sei diventato timido tutto a un tratto?»

Mi ero morso le labbra: non ero più sicuro che fosse stata una buona idea accettare la sua offerta. Non ne ero mai stato del tutto convinto, ma quello sguardo mi infondeva un senso di apprensione e soggezione che squassava il mio istinto, intimandomi di cogliere l'occasione e dileguarmi.
«So che stai pensando che probabilmente sia una scusa architettata per trascinarti qui» aveva iniziato, e prima che potessi rendermene conto, aveva bruciato la distanza che ci separava, immobilizzandomi tra la porta e il suo corpo, impedendomi ogni via di fuga, «Ma se avessi voluto portarti a letto per mero piacere avrei usato ben altre giustificazioni...E ti avrei già denudato.»
Prima che avessi potuto replicare, mi aveva artigliato il mento e aveva premuto la sua bocca contro la mia. Avevo spalancato gli occhi, smarrito di fronte alla subitaneità e all'irruenza del gesto. Ma Percival sapeva come ammorbidire la mia rigidità e aveva costretto le mie labbra a schiudersi lasciando lo spazio necessario perché la sua lingua vi entrasse con prepotenza e frugasse ogni meandro della mia bocca. Ne aveva esplorato ogni anfratto e ne aveva accarezzato ogni recesso, eccitandomi ad ogni carezza; con gentilezza ma determinazione mi aveva spinto ad approfondire quel bacio e io mi ero lasciato guidare, assecondando le sue richieste. Avevamo sfiorato livelli indecenti che nemmeno io, nelle mie notti più sfrenate, avevo mai raggiunto o anche solo immaginato.
Il suo corpo si era esteso contro il mio, aderendovi prepotentemente, e facendomene percepire ogni fibra muscolare tesa e in fibrillazione. Avevo sentito il peso della sua erezione gravare sulla mia coscia, segno che fosse maledettamente eccitato. Nuovamente fui spaventato da quell'uomo.
Avevo sentito la sua mano libera scorrere lungo la mia coscia e accarezzarmi sfrontatamente tra le gambe.
Il mio sesso aveva risposto obbediente. Avevo intravisto Percival sorridere e maledissi il mio corpo e i suoi impulsi.
Se la mia mente non aveva mai smesso di progettare febbrilmente una via di fuga, il mio corpo mi aveva tradito assecondando le sue profferte, quasi fossi stato un erotomane in astinenza.

L'uomo aveva iniziato a palparlo e titillarlo attraverso la stoffa dei pantaloni e mi ero sorpreso ad ansimare contro la sua bocca, fulminea e solerte nel catturare ogni frammento del mio respiro spezzato.
Lentamente aveva scioto i lacci dei pantaloni, trattenendo con il peso del suo corpo un braccio, mentre il polso dell'altro era imprigionato dalla morsa della mancina, comprimendo le mie ultime, deboli resistenze, simili a quelle di un condannato a morte che si dibatte tra le braccia dei boia il giorno della sua esecuzione.
Avevo sentito il fruscio famigliare della stoffa che abbandonava la pelle delle cosce e per la prima volta, mi ero sentito scoperto e vulnerabile. Solo uno strato di seta separava il mio sesso dalla sua mano e anche quella misera barriera sarebbe caduta a momenti. Questa prospettiva mi aveva gettato in un abisso di terrore che mai avevo provato in simili occasioni, nemmeno la prima volta che avevo assaggiato questo mondo.

Avevo iniziato a tremare mentre le abili dita di Percival avevano liberato il membro eccitato dell'ultimo impiccio. Aveva sfiorato la mia erezione, quasi incredulo, come se non si fosse aspettato dimensioni simili.
Finalmente, aveva rilasciato polsi e braccia, che pulsavano a intermittenza laddove erano rimasti immobili nella morsa, si era abbassato sulle ginocchia e aveva iniziato l'assalto alla roccaforte eretta dai miei ultimi bagliori di raziocinio: raccogliendo il mio sesso aveva iniziato a sfregarlo e accarezzarlo, sostituendo le mani alla lingua. Aveva iniziato a lapparlo, lentamente, provocandomi ad ogni movimento un sussulto e una scarica di brividi. Più volte avevo artigliato la carta da parati della stanza, senza trovare un appiglio efficace che mi impedisse di scivolare nel subdolo piacere che stava sgretolando le mie difese. Quando Percival lo accolse nel suo cavo orale e cominciò a suggere, le ultime briciole del mio raziocinio vennero brutalmente soffocate dagli istinti risvegliati dai gesti esperti e scaltri dell'altro. Avevo iniziato ad esalare gemiti e ansiti che avrebbero fatto arrossire la più viziosa delle cortigiane, ma quell'uomo era capace di suscitare sensazioni che non avrebbero potuto essere espresse in maniera più efficace se non attraverso quei versi vergognosi.
Avevo afferrato la testa di Percival, affondando la mano nelle morbide onde dei suoi capelli: necessitavo di qualcosa di concreto e tangibile a cui aggrapparmi per essere certo di non trovarmi in un'onirica illusione erotica. Poco prima che giungessi al culmine, Percival si era allontanato, con un sorriso sornione che denotava la sua soddisfazione; non voleva che mi sfogassi in quel momento, non era stato quello il suo intento: il suo scopo era stato solamente quella di distruggere ogni mia possibile resistenza.
Avevo iniziato a spogliarlo, accecato dal fervore dell'eccitazione, gettando lontano gli abiti, e lui aveva fatto lo stesso con me; si era preso solo un momento di esitazione in cui aveva indugiato, ammirato, sul mio torace tornito e marmoreo e l'aveva accarezzato con una cura e una delicatezza, come se avesse paura che potesse rompersi o svanire. Aveva percorso ogni solco della mia muscolatura e ogni piega della mia pelle, contando le efelidi e le cicatrici che la ricoprivano. Tiravo di boxe, ero un canottiere e un nuotatore, e le ore trascorse a prendermi cura del mio corpo e ad allenarlo erano valse l'espressione estatica di Percival.
«Magnifico» aveva mormorato a fior di labbra, continuando a tracciare la mappa del mio corpo attraverso le dita. Aveva scavalcato la spalla ed era sceso lungo la schiena, soffermandosi su ogni cicatrice, fino a raggiungere la mia natica, che strinse maliziosamente.
Senza alcun preavviso sentii qualcosa di duro e umido farsi largo tra le natiche e penetrare nell'apertura: Percival vi aveva infilato due dita, strappandomi una mozza protesta. Iniziò a muoverle espertamente e sebbene all'inizio avessi cercato di sottrarmi a quell'intrusione, pian piano dovetti deporre le armi e arrendermi a essa. Nel frattempo continuavo la mia opera di spogliazione.

In quanto a fisico prestante, anche lui era un valido candidato: per quanto non fosse muscoloso come il mio, era ben proporzionato e asciutto, ma non eccessivamente magro. Una galassia di nei si dipanava lungo il fianco destro, erano talmente piccoli da assomigliare, a prima vista, a lentiggini color caffè. Gli sfiorai ad uno ad uno: sembravano le orme di un sentiero che spariva oltre l'orlo dei pantaloni ancora strettamente allacciati.

Con una lentezza studiata e una calma snervante avevo iniziato a sciogliere i lacci, sfiorando volontariamente il membro rinchiuso in quella gabbia di stoffa, che palpitava sotto il cotone grigio.
Avevo ancora il sospetto che quell'uomo volesse semplicemente giacere con me, e non avrei lasciato che fosse lui soltanto a gestire la situazione e disporre di me come più preferiva: ero io, solitamente, a condurre il gioco, e dopo il primo istante di esitazione ero ben deciso a riprenderne in mano le redini.

Finalmente liberai il suo membro, turgido ed eretto, e sempre con calma iniziai a sfiorarlo e vezzeggiarlo. La sua invasione, intanto, era finalmente terminata, segno che a momenti, si sarebbe giunti alla parte più concreta; fino ad ora ci eravamo limitati a studiarci e a cercare di preparare l'uno l'altro a ciò che sarebbe accaduto in seguito, sebbene Percival avesse già reso eclatante la situazione, mostrando le proprie intenzioni. Ma non avrei lasciato che quell'uomo potesse fare di me ciò che più preferiva, per quanto fosse già riuscito ampiamente a sottostare alle sue volontà, cercando di sottrarmi ai suoi tentativi per poi abbandonarmici completamente.

Afferrai l'erezione di Percival e iniziai a sfregarla sempre più velocemente. L'uomo gettò la testa all'indietro e iniziò a gemere, le guance accese di desiderio ed eccitazione. I suoi gemiti si tramutarono in ansiti e il suo sguardo lascivo scivolò tra le ciglia per catturarmi e divorarmi, acceso da una scintilla pericolosa.
Esasperato per l'attesa, mi aveva afferrato e spinto sul letto: si era stancato di quei preliminari e aveva intenzione di giungere quanto prima a ciò per cui avevano indugiato in quei gesti.
Quell'irruenza risvegliò il mio raziocinio azzittito, ma prima che potessi fuggire, mi aveva afferrato per una caviglia e mi aveva trascinato verso di lui, intrappolandomi in un abbraccio. Il suo membro rigonfio premeva contro le mie natiche, tendendo la stoffa dei pantaloni.
«Desideri quello che vogliono tutti: vuoi un amore che ti consumi, vuoi passione, avventura e forse anche un po' di pericolo. Io posso darti tutto questo, assieme alla Conoscenza» aveva sussurrato ammaliante, mentre le sue mani scavavano tra i miei vestiti, accarezzando impudenti ogni stralcio di pelle.
Avevo cercato di divincolarmi da quella stretta possessiva, a cui non ero abituato- solitamente ero io l'elemento dominante- ma Percival era riuscito ad agguantarmi di nuovo e a inchiodarmi al letto con il peso del suo corpo.
«Come fai a dire quello che desidero o non desidero?» avevo replicato. Stavo iniziando a pentirmi di aver accettato quella proposta: ormai ero sicuro che tutto ciò che Percival desiderasse era trascinarmi a letto e possedermi, la Malia era stata solo una scusa per adescarmi, così come i preliminari precedenti un'abile mossa per distrarmi e abbassare le mie difese; e io, come un ingenuo, ero caduto per ben due volte nella sua trappola, lasciandomi coinvolgere nei suoi inganni.
«Lo leggo dal tuo sguardo» aveva mormorato, «Brami un amore fugace e intenso, una sola notte di fuoco che si spenga assieme alle stelle, alle prime luci dell'alba, una vampa di passione le cui ceneri possano essere sparse al mattino. Desideri un amore frugale, poco impegnativo, che ti soddisfi ma ti lasci insoddisfatto, e che ti permetta di rimanere completamente libero. È quello che desiderano tutti: un rapporto che non abbia vincoli e catene, ma che svanisca nell'esatto momento in cui viene consumato, senza lasciare alcuna traccia che possa essere usata contro di te.»
La bocca di Percival si era avventata sul mio collo, ne aveva morso la carne, strappandomi un uggiolato di sorpresa e dolore, e aveva iniziato a suggere nella macabra imitazione di un vampiro che si abbevera. Avevo rigettato la testa all'indietro, nel vano tentativo di divincolarmi; avevo protestato sonoramente, cercando di allontanarlo, ma questi mi teneva prigioniero con il suo corpo.
La scia dei suoi morsi era proseguita lungo l'intera lunghezza del collo, aveva sfiorato la clavicola e raggiunto la spalla.
«Avevi parlato di un amore che non lasciasse tracce» avevo commentato in un ansito. La lucidità, pian piano, stava riprendendosi il trono da cui era stata spodestata e stava cercando un modo per distrarlo e fuggire definitivamente da lui.
«Queste svaniscono in un lampo: sono marchi temporanei, per una notte voglio averti totalmente mio.»
«Da quanto bramavi questa notte?» avevo mormorato, mentre le labbra e i denti di Percival non avevano smesso un momento di tormentare ogni squarcio di pelle scoperta che riuscivano a scovare.
«Da meno tempo di quanto tu possa immaginare. In verità, ero sicuro non avresti accettato, ma la disperazione più portare sull'orlo della follia.»
«Quindi sostieni che sia stata una follia accettare?»
«Ma tu parli sempre così tanto quando fai sesso?» aveva domandato ed era tornato a intrecciare la sua bocca con la mia per soffocare in un bacio vorace qualsiasi ulteriore lamentela. Si era intromesso con bramosia tra le mie gambe, spalancandole nonostante le mie resistenze. Aveva iniziato ad armeggiare con i suoi pantaloni- io mi ero solamente limitato a slacciarli e liberare l'erezione- sempre utilizzando una mano sola, mentre la compagna era impegnata a impedirmi di fuggire.
Si era liberato dei pantaloni e gli aveva gettati lontano, rimanendo anch'egli con la sola camicia. Il sorriso che stirava le sue labbra non prometteva nulla di buono.
Aveva afferrato saldamente una caviglia, sollevando la gamba sopra la spalla per aumentare l'apertura. Avevo stretto i denti mentre sentivo i legamenti tendersi e stirarsi: cominciavo a capire cosa provassero coloro che sottostavano al mio volere.
Si era sistemato tra le mie cosce, alla ricerca di una posizione che fosse comoda, e senza ulteriori preamboli mi aveva penetrato con violenza e subitaneità.
Avevo sussultato, completamente colto alla sprovvista, e avevo piegato il mio corpo fino allo stremo, avevo sentito le giunture scricchiolare e i muscoli tendersi nel disperato tentativo di sottrarmi a quella ferocia.
Percival aveva ignorato i miei tentativi e aveva iniziato a muovere il bacino avanti e indietro, strappandomi uggiolati, non solo di dolore.
Per quanto fosse stato traumatico e inaspettato l'inizio, sapeva come muoversi e lentamente la sofferenza aveva lasciato lo spazio al piacere. Avevo rilassato i muscoli e anche le sue spinte erano diventate meno devastanti, iniziai ad assecondarle con i movimenti del mio bacino e un sospiro sgusciò dalle mie labbra: la nostra collaborazione le rese decisamente più piacevoli, relegando il dolore in un angolo remoto e polveroso.
Percival aveva allentato la morsa che stringeva i miei polsi, immobilizzandomi sul letto, e le sue mani erano scese in una nuova carezza lungo tutto il torace fino al mio inguine. E mentre una mano sorreggeva la caviglia, l'altra tornò a tormentare il mio membro turgido.
Le sue spinte si erano fatte meno vigorose ma più frequenti, accordandosi ai movimenti celeri della sua mano, che sfregava e massaggiava il mio sesso, strappandomi latrati imbarazzanti e ansiti mutili.
Avevo inarcato la schiena, contorcendomi, invasato da un piacere che non sarei riuscito a descrivere.

Il letto sussultava e tremava, prostrato dall'irruenza delle spinte di Percival.
Improvvisamente, una sensazione nebulosa e indecifrabile mi aveva investito. La novità della percezione era stata tale che mi aveva lasciato basito, e stento ancor oggi a riuscire a descriverla in maniera esaustiva e soddisfacente: era come se nella mia mente si fosse improvvisamente destata una parte rimasta fino a quel momento oscura e dormiente.
La mia mente sembrava essersi allargata.
Ma il pensiero, appena era stato formulato, mi era parso ridicolo: come poteva la mente modificare le proprie dimensioni, ingabbiata com'era in un guscio d'osso? La grandezza del cervello rimaneva invariata nel corso del tempo e non poteva aumentare.
Eppure, questa era la descrizione più fedele della sensazione che mi aveva colpito: era come se porte di stanze proibite mi fossero appena state spalancate e i tesori sepolti in quelle camere si palesassero tutti contemporaneamente ai miei occhi, e non potevo reggerne la vista. Ero stordito ed ebbro di quella percezione, eppure non esitava a diminuire la propria intensità e io stesso non rifiutavo di accoglierla.

Ero immerso in un limbo adimensionale in cui dominava quella percezione così vivida e vigorosa da apparire palpabile eppure irraggiungibile. Se fossi stato costretto a ingabbiarla in una forma fisica, l'avrei paragonata a una luce molto intensa che non perde mai di forza e che avvolge e fagocita ogni cosa, senza annullarla ma rendendola più chiara e concreta.
Mi era sembrato che una nuova prospettiva mi fosse stata inculcata nella mente, bruciando anni di convenzioni e dogmi, bruciandoli in un solo istante e ricomponendone le ceneri in immagini più precise e calzanti. Vedevo tutto più chiaramente e anche più profondamente, come se mi fossi gettato nell'abisso del mondo e fossi risalito dalle viscere della terra e dell'animo umano, carpendone tutti i segreti, i misteri, le bugie e le verità.
Avevo sentito la mia mente espandersi e tendersi, attirata da quella luce, venirne vezzeggiata e trascinata, come Percival stesso aveva attirato me.
E nel momento stesso in cui avevo raggiunto l'orgasmo, la mia mente era esplosa in una pioggia di scintille, come se l'imbottitura di cui fosse stata riempita fino a quel momento non avesse più trovato spazio e premendo contro i limiti imposti dalla natura, gli avesse infranti, riversandosi all'esterno. Allo stesso modo era esploso il mio membro, trasudando liquido seminale sulla mano di Percival, egli stesso era venuto quasi nello stesso istante e mi ero sentito inondare del suo seme.
Sensazioni confuse, cacofoniche e nebulose mi avevano annebbiato i sensi, i contorni della stanza si erano dissolti in un acquerello dipinto da un ubriaco, mentre i suoni si erano attutiti in un eco lontano, onirico.
Mi ero sentito completamente svuotato eppure pieno fino all'orlo; avevo percepito quella luce premere pretendendo un maggiore spazio, nuovi territori da conquistare, ingorda e insoddisfatta; l'avevo sorpresa a tendere fino allo spasmo la gabbia di carne, ossa e sangue in cui era stata imbrigliata, mettendone a dura prova la resistenza e, con mia somma sorpresa, l'avevo sentita implodere, venire risucchiata e annullarsi in un nero denso e accogliente, tenebre corporee e vicine, eppure impossibili da sfiorare, così come era stato per la luce.
La testa aveva iniziato a girarmi e a dolermi, mi ero sentito immerso in un sogno vivido e consistente, da cui era impossibile svegliarsi. Tutto era confuso e annacquato.
Improvvisamente le tenebre divorarono completamente anche le ultime scintille di luce e piombai in un buio asettico e freddo, senza ombre.

Ero svenuto.

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