Secondo Capitolo

Sono seduta sui gradini esterni della mia casa.
Ormai è giorno inoltrato, sono stanca morta e ho bisogno di un bagno, il problema è che non ci riesco.

Non riesco a varcare la soglia della mia casa, sapendo che mia madre è morta su quel pavimento.

Sospiro, nascondendomi il volto nelle mani.

Non so cosa fare, non ho né parenti in Irlanda, né amici su cui contare al momento.

"Coraggio Bliss."

Mi alzo a fatica sulle gambe, decidendomi ad aprire la porta d'ingresso.

Trattengo il fiato dando un veloce sguardo a tutto il salotto.

Un odore acre di prodotti chimici mi investe, probabilmente utilizzati dalla squadra di soccorso dopo la mia chiamata. Mi affretto ad avvicinarmi alla finestra principale, spalancandola e facendo finalmente entrare un po' di luce.

Evito volontariamente il tappeto accanto al divano, correndo sù per le scale e raggiungendo il bagno al piano superiore.

Mi spoglio completamente, gettando nel cestino la maglia sporca di sangue e girando il pomello della doccia per l' acqua calda.

Aspetto qualche minuto appoggiata con la schiena contro al lavandino, dando le spalle allo specchio.

Ho deciso di spegnere la mente, o penso potrebbe scoppiare per la quantità di domande che vorrei pormi.

Entro nella vasca e quasi piango di gioia per la piacevole sensazione di calore che investe interamente il mio corpo.

Scelgo un bagnoschiuma alla vaniglia, versandolo sui capelli annodati.

Chiudo gli occhi, e lentamente mi siedo sul fondo della vasca, le gambe strette contro al busto.

Respiro lentamente.

È buffo come tutta la mia vita sia cambiata in un attimo, stravolgendo le mie abitudini, i miei ritmi, lasciandomi in questo stato pietoso.

Mamma era la mia amica più stretta.
Le potevo parlare per ore di una puntata di American Horror Story e lei, malgrado non sapesse chi fosse Tate, fingeva di sbavargli dietro con me.

Mi abbracciava se ero giù di morale, mi cucinava le frittelle di mela più buone del mondo e mi accompagnava sempre in macchina a lavoro, dato che ero stata bocciata più volte all'esame per la patente.

Apro gli occhi di scatto, affrettandomi a chiudere il getto d'acqua e ad avvolgermi un asciugamano attorno al corpo.

La macchina.

La macchina di mamma non era nel vialetto l'altra sera.

Lo sguardo mi cade poi sulla maglia sporca di rosso vivo nel cestino.

Trattengo una smorfia e istintivamente porto una mano al collo.

Ecco cosa mi ha sconvolto maggiormente: quella cosa di nome Harry.

Che centri lui con la morte di mamma? Perché mi ha attaccato? E perché ha detto di essere un vampiro?

Raggiungo la mia stanza e prendo al volo una canotta bianca e un paio di jeans dal cassetto dell'armadio.

Li indosso, cambiandomi l'intimo e legandomi i lunghi capelli biondi in una coda alta.

Recupero poi dai jeans del giorno precedente il biglietto da visita dello strano uomo dell'ospedale, buttandomi sul materasso del mio letto.

Mi allungo verso il comodino e agguanto il mio vecchio cellulare.

Posso già chiamarlo? Sono passate solo poche ore da quando ci siamo parlati.

Scuoto la testa e mi decido a comporre il suo numero: ho troppo disordine nella mia testa.

La chiamata parte, sento il fastidioso suono acustico per almeno un minuto prima di decidermi ad attaccare.

Sbuffo spazientita seppellendo il viso nel mio cuscino.

Che cazzo.

Suonano poi improvvisamente al citofono.
Mi acciglio; chi può venire a trovarmi? Non conosco nessuno del quartiere.

Forse sono solo terribilmente andata e mi immagino le cose.

Sento nuovamente il citofono, quindi sbuffo mentalmente, per poi alzarmi a fatica dal letto e scendere velocemente al piano di sotto.

Apro la porta titubante e sgrano gli occhi.

Davanti a me splende il ragazzo più bello che abbia mai visto.

Altezza nella media, un ciuffo moro ribelle intrappolato sotto ad un beanie nero, barba appena accennata lungo tutto il profilo del mento e due occhi chiari come il cielo estivo.

Mi aggrappo alla porta e provo a sorridere, ben cosciente di che schifo devo sembrare.

Lui si gratta il capo, sorridendo di rimando e spostando il suo peso da un piede all'altro.

Tossisce.

"Ciao, mi sono da poco trasferito nella casa accanto" gesticola verso la villetta a schiera alle sue spalle "e non volevo partire col piede sbagliato, sono un tipo abbastanza socievole."

Il suo accento è fortemente inglese, probabilmente non è del posto.

Annuisco provando a sembrare a mio agio con la parola 'socievole'.

"Sono Louis comunque"

Guardo la mano che mi porge per qualche secondo, poi la stringo, dandomi mentalmente una pacca sulla spalla.

"Io Bliss, piacere"

La sua stretta è decisa ma delicata.

Mi sistemo una ciocca bionda dietro all'orecchio e mi appoggio alla porta con una spalla.

Lui sposta lo sguardo prima di tornare a posarlo su di me.

"Beh, sei l'unica vicina fino ad ora che non ha bisogno di bastoni per camminare o occhiali da vista per le cataratte, quindi mi stai già simpatica"

Ridacchio portandomi una mano alla bocca.

Ha ragione, questa zona di Greencastle sembra un ospizio.

"Ti consiglio di andare a fare una visita allora anche dalla signora Stanley, è la casa subito dopo la mia. Quando mi sono trasferita qui mi ha portato subito una fantastica red velvet"

Ride con me e il mio cuore saltella, posso essere messa peggio?

"Abiti da molto qui?"

"Saranno cinque anni ormai, mi sono trasferita in questa zona con mia mamma.."

La mia voce si abbassa involontariamente e trattengo una smorfia.

Lui sembra notare il mio disagio e scuote le spalle, allargando il suo sorriso.

"Sono uno stupido a fiondarmi qui senza preavvisi e ad annoiarti con le mie chiacchiere, avrai sicuramente da fare ora!"

Provo a sorridere ancora, scuotendo piano la testa.

"Figurati, stavo solo provando a fare un po' di pulizia in casa"

Annuisce comprensivo.

"Beh, se hai bisogno di qualsiasi cosa, anche due chiacchiere alle tre di notte sai dove abito. Ora vado ad annoiarmi da qualche parte o dalla signora Stanley, non ho ancora pranzato"

Ammicca, per poi sistemarsi il beanie nero sulla testa.

"Ciao Louis"

Lui si volta, salutandomi con la mano.

Lo seguo con lo sguardo mentre attraversa la strada e poi chiudo la porta alle mie spalle; mi sento più.. Leggera, si? Non so se potremo mai essere amici, ma mi ha fatto una ottima impressione.

Abbasso invece lo sguardo sul cellulare che ho tenuto in mano per tutto il tempo: chiamerò l'uomo dell'ospedale domani.

Mi infilo il dispositivo nella tasca posteriore dei jeans e decido di uscire a fare una passeggiata: ho intenzione di chiedere in giro se qualcuno ha visto mia madre il pomeriggio precedente.

Al contrario mio lei era molto socievole, e so per certo che entro pochi giorni, quando annunceranno il suo decesso, mi ritroverò una folla di gente in casa per le condoglianze.

È una bella giornata estiva, e solo in questo momento me ne rendo conto.

Cammino lungo il marciapiede evitando i bordi delle mattonelle.

Non so se dirigermi in centro a chiedere qualche informazione o camminare verso la zona più verde e antica della città.

Non faccio in tempo a realizzare la strada fatta che mi ritrovo nel parco a pochi isolati dal mio quartiere.

Sarò malinconica, ma ogni volta che attraverso il suo cancelletto in ferro battuto o ci passo davanti, riaffiorano i ricordi dei primi giorni di trasferimento: ogni volta che mia madre mi chiedeva di aiutare nel trasloco io scappavo qui, per crogiolarmi al sole stesa sul prato.

Ora vedo un'altalena con due bambine che bisticciano e uno scivolo rosso affollato dai bambini.

Non faccio in tempo a sorridere genuinamente che raggelo sul posto quando il mio sguardo si posa su una panchina.

Seduti insieme, che ridono spensierati, Louis e Harry.

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