Mercoledì
Erano passate più di ventiquattr'ore dal mio ultimo episodio sanguinolento. Il colore rosso non era più tornato a tormentarmi e io ero sollevata. Dopo aver finito i compiti spensi la luce e mi distesi sul letto. A scuola per i corridoi avevo incontrato il ragazzo mentre usciva dalla sua aula, i miei piedi affrettarono il passo e così riuscii ad evitarlo. Sapeva il mio nome e aveva una teoria sulla mia vita senza nemmeno conoscermi realmente. Una mente pazza nella mia esistenza era già abbastanza. I miei pensieri si confusero e il sonno dominò su tutto...
Mi svegliai di soprassalto ansimante. Lacrime copiose scendevano dalle mie guance. Il cuscino era completamente zuppo e le lenzuola umide di sudore andavano cambiate nuovamente. Tutto era come sempre: mi svegliavo agitata ma non ricordavo mai niente dell'incubo che stavo vivendo. Questa volta però lo stomaco era in preda a strani crampi. Forse avevo mangiato troppo pesante. Andai in bagno per rinfrescarmi la faccia il solito suono soave emesso da mio padre accompagnò la mia passeggiata notturna. Le luci sopra lo specchio ferirono inizialmente le mie pupille, fui costretta ad aprire gli occhi lentamente. La mia immagine riflessa era un disastro: guance rosse, capelli scomposti e schiacciati ai lati del mio volto come se non li lavassi da giorni. La sclera di entrambi gli occhi era arrossata e la mia bocca aveva un piccolo taglio centrale. Vedendo anche quella piccola goccia di sangue mi vennero i brividi. Strinsi forte le palpebre e alla ceca feci scorrere l'acqua del rubinetto. Iniziai a bagnarmi il viso e rilassai le spalle. Tamponai il mio volto con l'asciugamano lì vicino. Quando riaprii gli occhi le mani mi tremarono. L'asciugamano bianco era diventato rosso. Altro sangue. Mi guardai allo specchio e avevo la faccia completamente zuppa. Lo stomaco mi si contorse e rigettai nel lavandino tutto ciò che avevo mangiato. Anche questo non aveva il classico aspetto di cibo miscelato a succhi gastrici. Era invece altro sangue. Poggiai entrambe le mani ai lati del lavabo e feci dei respiri profondi.
Non poteva essere vero, pensai tra me.
È solo suggestione. Stress. Pazzia.
Quel liquido vischioso si mosse. Non scendeva giù per lo scarico, su di lui sembrava che la forza di gravità o le leggi della fisica non funzionassero. Era armato di volontà propria. Strisciando risalì le pareti scivolose del lavandino fino alla cima vicino la mia mano. Io la spostai facendo un passo indietro spaventata. Il sangue continuò per la sua strada scendendo fino a terra. Si muoveva sinuosamente come se fosse un serpente. Brillava quando le luci dello specchio riuscivano a illuminarne i contorni.
Non sapevo più cosa potesse essere fatto sta che dei puntini neri iniziarono ad appannarmi la vista. Diventavano sempre di più fino a espandersi. Le gambe diventarono molli e poi tutto scomparve.
Quando rinvenni avevo tutta una parte del corpo dolorante. Sentii prima delle voci ovattate parlare, ma non riuscivo a distinguere bene le parole. Mi sforzai.
«Non posso più sopportare questa storia» disse una voce familiare femminile.
«Devi calmarti tesoro» la confortò mio padre. «Lo sai che lo psicologo ha detto che potrebbero essere episodi di sonnambulismo. Sono molto comuni e in molti casi con l'età diminuiscono...»
«Cosa vuoi che m'importi di quello che ha detto!» strillò mia mamma. «Pensi che sia normale svegliarsi la notte per un forte rumore improvviso e poi trovare tua figlia mezza morta per terra –che per me, inizialmente, lo era del tutto- con la faccia bianca e il corpo completamente freddo?»
«Shhh» sibilò mio padre. «Guardala adesso sta bene, non hai nulla di cui preoccuparti.» Non aprii gli occhi per due motivi.
Uno: le palpebre sembravano incollate con il più potente liquido adesivo al mondo.
Due: perché sapevo perfettamente cosa stava succedendo senza vederlo con i miei occhi. Mio padre si era avvicinato a mia mamma e la stava stringendo tra le braccia per confortarla. Però ero quasi sicura che stesse confortando anche se stesso.
«Vedrai che tutto passerà...» ripeté mio padre più volte ma poi la mamma lo interruppe. «Ho una brutta sensazione che non va via, caro.» Sentii il tono di voce leggermente tremolante e dei singhiozzi successivi presero il posto delle parole rafforzando l'angoscia che provava mia mamma.
«Chiama tutti i medici che vuoi, le faremo fare un check up completo, se questo ti può far stare meglio.»
«Va bene» rispose mia mamma e sentii nettamente il suono di un leggero bacio. «Rimani qui a controllarla io vado di là a prenotare le visite.»
I miei erano l'esempio in carne e ossa di genitori iperprotettivi. Sin da quando ero bambina mi consideravano come una bambola da collezione da tenere dentro la confezione per non farle perdere il suo valore. Ma queste mura di plastica trasparenti non mi facevano mai respirare aria pulita.
Quando aprii gli occhi incontrai immediatamente quelli di mio padre che era chino su di me e mi alitava addosso.
«Papà sai che l'odore di caffè in faccia di prima mattina mi fa venire da vomitare?» Lui per niente sorpreso si fece un tantino indietro lasciandomi respirare.
«So che hai sentito tutto» disse diretto. «Vorrei sapere esattamente cosa ti succede. Perché è già la seconda notte che ti svegli e ti ritroviamo bianca come un...» Mio padre s'interruppe, non aveva proprio voglia di pronunciare quella parola. «Come un cadavere?» La dissi io al posto suo.
«Esattamente» rispose serrando la mascella come se il solo pensiero lo infastidisse.
Ora il dilemma era parlargliene e confidarmi con lui, rischiando di essere mandata in manicomio o tenermi tutto dentro fino a impazzire e indossare quella bella camicia bianca aderente solo quando sarebbe successo veramente qualcosa di eclatante?
La risposta era molto più semplice di quanto pensassi visto che in entrambi i casi la fine era uguale. Così gli raccontai di come mi svegliavo non ricordando mai i terribili incubi che facevo e che il colore rosso sangue non era più tra i miei preferiti.
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