5 - il DNA ha il suo valore

Andrea riaprì gli occhi e si ritrovò nel letto di Annabelle con una pezza bagnata sulla fronte. Alzò una mano titubante, liberandosi di quel tessuto pesante. Si tirò a sedere appoggiandosi sui gomiti e guardandosi attorno. Vide una donna che le dava le spalle, intenta in chissà quale compito. Quando questa si voltò riconobbe in lei la tata che quella stessa mattina l'aveva aiutata a farsi il bagno e le aveva acconciato i capelli con cura.

"Sant'Iddio, ti sei ripresa! Mi hai fatto davvero preoccupare, Annabelle!" La donna si avvicinò al suo capezzale, era profondamente preoccupata.

"Cos'è successo?" Si mise lentamente a sedere, cercando di fermare le pareti della stanza.

"Sei svenuta, al centro del giardino, come un sacco di patate." Le spiegò la tata con tono vagamente di rimprovero. Era possibile che fosse così severa? "C'è forse qualcosa di cui non so niente ma che dovresti dirmi?" Le si sedette accanto su letto, gratificandola con uno sguardo di rimprovero.

Andrea la osservò confusa. "Di cosa stai parlando?"

"Non fare la santarellina con me, so benissimo delle visite notturne che ti fa sempre più spesso il bel couturier Gavoir. Lo so, è proprio un bel tipo, ma..." scosse lentamente il capo.

Andrea si sentiva la testa come un pallone. Nicole le stava dicendo che forse era incinta? "Non so di cosa stai parlando!"

Nicole sospirò teatralmente e si alzò dal letto, allontanandosi. "Lo spero per te, altrimenti saresti davvero nei guai. Ma conoscendoti bene, non posso credere che tu ti sia donata a cuor leggero a chi non ti spetta..."

Andrea ci pensò un po' su e decise di prendere la palla al balzo: "Ma perché mio padre mi ha promesso in sposa a..."

"Al conte di Devonshire?" Concluse Nicole al posto suo. "Davvero lo stai chiedendo?"

Andrea sospirò rassegnata. "Ma se anche Philippe è qui, perché non..."

Nicole si sedette nuovamente sul letto e le mise una mano sulla guancia. "Lo sai che su certe cose noi donne non abbiamo voce in capitolo. Finché esisteranno matrimoni combinati, esisteranno anche spose infelici e cuori infranti." Sentenziò. Si alzò di nuovo. "Adesso è meglio che tu riposi, ti lascio sola. Tornerò a trovarti tra un po', sperando che tuo padre e il tuo promesso sposo non pretendano la tua presenza al ricevimento. Dirò loro che sei indisposta per le solite faccende femminili." Le strizzò un occhio e uscì chiudendosi la porta alle spalle.

Rimasta sola, Andrea ebbe modo di pensare a quello strano individuo presente al ricevimento. L'aveva chiamata per nome, con il suo vero nome! Chi era, e come faceva a conoscerla? Si alzò in piedi e si affacciò alla finestra. Vide gli invitati riuniti nel giardino sottostante, intenti a bere e scherzare tra loro anche in sua assenza. Che strano, pensò, non dovrebbero festeggiare senza di me!

Si volse verso il centro della stanza e si avvicinò al tavolo da toeletta, dove i profumi e i pettini di Annabelle erano disposti in perfetto ordine. Si guardò allo specchio e il riflesso di una bellissima ragazza dagli occhi verdi come il mare e i capelli neri come la pece le restituì lo sguardo. Spaventandola, nel riflesso dello specchio riapparve di colpo l'uomo che aveva visto al ricevimento. Si voltò di scatto col cuore in gola.

"Chi sei?"

Lui la osservò sorpreso. "Allora sei davvero tu, non mi sono sbagliato." Fece due passi verso di lei. "Dio sia ringraziato, ti ho trovata!"

Spaventata, Andrea si portò le mani avanti, fermandolo: "Ma chi sei? Io non ti conosco!"

L'uomo si bloccò al centro della stanza. "Sono io... Patrick!"

Al suono di quel nome, Andrea venne invasa da una miriade di ricordi vividi e forti. Il cuore prese a correre veloce nel petto e si portò una mano alla bocca. Immagini di lei abbracciata a quello sconosciuto le invasero la mente. Altre, vestiti col classico camice da medico, mentre parlavano assieme in modo serio in un posto sconosciuto. E poi ancora, lei e lui che si scambiavano tenere effusioni sopra un letto, dopo un evidente momento di passione. Quest'ultima immagine prese particolarmente vita nella sua mente e la sua figura iniziò a parlare. "Ti amo Patrick", diceva nella sua testa. Lo osservò negli occhi e di nuovo venne sopraffatta dal sentimento che provava per lui, come un fuoco impetuoso dentro il suo petto.

"Patrick... oddio, sei proprio tu?"

Lacrime salate le bagnarono gli occhi, e anche Patrick sembrò emozionato a quella scena. Senza esitare, Andrea si avvicinò tentando di abbracciarlo, ma il suo corpo attraversò il corpo di lui come se fosse qualcosa di astratto, incorporeo. Andrea osservò le sue braccia vuote e si voltò. Patrick era sempre lì, che la fissava. Sconvolta, si avvicinò di nuovo a lui e allungò una mano per toccargli il volto, ma la mano attraversò di nuovo il suo corpo, senza avvertirlo sui polpastrelli.

"Ma cosa succede?"

"Mi dispiace, Andrea. Non possiamo toccarci."

"Cos'è successo, sei morto e adesso il tuo fantasma è davanti a me? O sono io che sono morta e adesso sono all'inferno? Non capisco, cosa sta succedendo? Dove sono? Chi sono?"

"Tutto ha una spiegazione, Andrea. Ma, ti prego, siediti, se dovessi avere un nuovo mancamento non potrei esserti di aiuto."

Lei si sedette ubbidiente sullo sgabello del tavolo da toeletta e lo fissò, spaventata e in attesa. Lui rimase in piedi di fronte a lei e, per portarsi alla sua altezza, si inginocchiò. Prese un gran respiro e cominciò a parlare:

"Credo che tu sia la prima donna al mondo ad aver viaggiato nel tempo, Andrea."

Gli occhi di lei si allargarono, iniziò ad annuire lentamente, era già arrivata a questa conclusione, ma un forte senso di smarrimento e confusione le rendevano impossibile comprendere appieno la situazione in cui si trovava.

"Il frigorifero, vero?"

Patrick annuì. "Sapevo che ci saresti arrivata da sola."

Andrea si alzò di scatto e prese a passeggiare nella stanza, immersa in più profondi ragionamenti.

"Mio padre ha inventato una macchina del tempo all'interno di un frigorifero?" La cosa era così assurda che doveva ripeterlo ad alta voce per riuscire a crederci lei stessa.

"Sì... è così."

Lo guardò di scatto: "Ma come è possibile?"

Patrick congiunse le dita e le incrociò portandosi le mani al petto. "Hai bisogno di una spiegazione. Sono qui per questo... ci è voluto molto per trovarti, ma fortunatamente ci siamo riusciti."

Andrea lo osservò attenta, non voleva perdere neppure una parola di quelle che stava per dirle.

L'espressione di Andrea si faceva sempre più assorta man a mano che Patrick le spiegava quello che, diligentemente, il professor McLeap gli aveva detto della sua invenzione. Non era sicura di comprendere per filo e per segno tutto quello che stava sentendo, considerando anche la confusione mentale che persisteva dal momento che si era ritrovata nei panni di Annabelle, ma la aiutava. Era come in un continuo post sbronza, percepiva tutto ma non riusciva a concentrarsi su niente.

"Fammi essere sicura di aver capito, mi stai dicendo che il solo sedermi dentro quel frigorifero ha azionato la macchina del tempo?"

"Esattamente. Non si era accorto di averla lasciata accesa e non aveva pensato all'eventualità che tu avresti potuto curiosare..."

La voce gli morì in gola. La situazione era abbastanza drastica, chiunque avrebbe potuto lasciarsi andare allo sconforto.

"E adesso dov'è?" Chiese Andrea di colpo.

"Chi?"

"Mio padre. Dov'è adesso, mentre tu sei qui con me?"

"Sta osservando la nostra discussione dallo schermo collegato al frigorifero."

Andrea annuì lentamente. "E tu invece dove ti trovi?"

"Ehm... hai visto quella piccola stanza completamente bianca ricavata da quei pannelli all'interno del laboratorio di tuo padre?" Lei annuì di nuovo. "Ecco, serve per trasmettere la mia immagine in un raggio di azione intorno alla tua persona... cioè, a quella di cui hai preso il posto. Si chiama stanza di visualizzazione."

Andrea corrugò la fronte perplessa, faceva davvero molta fatica a capire la situazione.

"Ricapitolando, papà ha inventato una macchina del tempo che permette a chiunque entra dentro il frigorifero di ricevere un'onda gamma esponenziale che le permette di viaggiare attraverso il tempo..." Patrick annuì deciso, "...e io adesso mi ritrovo qui... perché?"

"Vuoi sapere perché sei proprio nei panni di Annabelle Tavern?" Andrea annuì. "Beh... diciamo che senza un preciso orientamento della macchina, è partita scegliendo un periodo storico a caso, ma può farti prendere il posto solo con persone che hanno parte del tuo DNA, e dato che Annabelle Tavern è una trisavola di tua madre, la macchina ha preso in esame il DNA mitocondriale."

"Vuoi dire che Annabelle Tavern è una mia antenata?"

"Esattamente."

Andrea assunse un'espressione assorta e si sedette sul letto, congiungendo le mani su quell'enorme vestito. Tutto questo era davvero troppo per la sua salute mentale.

"E qual è il motivo per cui mi aveva chiamato chiedendomi di raggiungerlo al suo laboratorio?"

Patrick le si avvicinò cauto. "Aveva bisogno del tuo aiuto per estrapolare il DNA da una cellula di un eventuale viaggiatore. Lui pensava a sé stesso..."

"E invece ci sono entrata io." Concluse lei con tono ovvio. "E qual era lo scopo di catturare il DNA del viaggiatore?"

Patrick sembrò preoccupato a rispondere a questa domanda, abbassò un attimo lo sguardo e prese un gran respiro, facendolo uscire lentamente dal naso. "Il DNA serve a tuo padre per rintracciare il viaggiatore all'interno dello spazio tempo e riportarlo al presente."

Andrea rimase in silenzio, ragionando su questa risposta. Dopo alcuni istanti sembrò aver colto pienamente il senso e lo guardò sconvolta:

"Vuoi dire che non può riportarmi al presente?"

Patrick si fece estremamente cauto, senza rispondere scosse la testa in segno di diniego. La ragazza si portò le mani al viso in un gesto di disperazione.

"Sono bloccata! Sono destinata a vivere il resto della mia vita nei panni di una mia trisavola, o quello che è, sposando un uomo che non ho mai visto e che lei odia, mentre è innamorata di un altro!"

Era davvero al limite, le sue parole trasmisero tutta la sua disperazione. Non riusciva a vedere una via di fuga per la sua situazione, ora più che mai, dopo che Patrick le aveva spiegato il quadro completo. Rimase in silenzio pensando alla sua vita, una sensazione di infinita impotenza si impossessò del suo cuore e calde lacrime affiorarono su quelle iridi verdi.

Vedendola così stravolta l'uomo le si avvicinò, inginocchiandosi di fronte a lei: "Ti prego, ti scongiuro, abbi fiducia. Troveremo un modo per farti tornare a casa. Tuo padre sta già lavorando su questo punto, non ti abbandoneremo."

Ma ormai le lacrime sgorgavano prepotenti dagli occhi spenti. Patrick, istintivamente, si protese per afferrarle le mani, ma le sue attraversarono quelle di lei, inesistenti. Impotente, la persuase a calmarsi.

"Andrea... Andrea, guardami!" Tra le lacrime lei alzò lo sguardo fissandolo in quello di lui: "Io non ti abbandonerò mai, ti starò sempre vicino. Pensaci, tuo padre ha ricavato una macchina del tempo da un frigorifero, vuoi che non riesca a trovare un modo per farti tornare a casa?"

Lei deglutì, cercando di calmarsi. Il respiro irregolare la fece sussultare ma tentò di dominarsi. Annuì all'uomo di fronte a lei e si asciugò le guance.

"Abbi fiducia. Va bene?"

Rimase a fissare quegli occhi scuri tanto profondi che riuscivano a farla sentire strana. Sentiva che poteva fidarsi delle parole di lui, che quegli occhi intensi non le stavano mentendo. Sentiva anche qualcosa di più profondo, un qualche particolare sentimento che si muoveva appena al centro del suo essere, ma che non seppe decifrare.

Qualcuno bussò alla porta e la voce femminile e decisa di Nicole attraversò il legno intarsiato:

"Annabelle, sei sveglia?"

Dopo alcuni secondi abbassò la maniglia e piombò nella stanza, senza dare il tempo ai due di prepararsi a quella intrusione. Spaventata, Andrea rimase immobile seduta sul letto a fissare con gli occhi sgranati la donna che camminava verso di lei. La tata le si avvicinò con un sorriso materno.

"Bene, vedo che ti sei svegliata. Come ti senti?"

La ragazza non rispose, sconcertata dalla situazione. Guardò Patrick di fronte a sé, chiedendosi come mai Nicole non facesse una piega alla sua presenza nella stanza. Lui la guardò alzandosi lento in piedi.

"Non può vedermi, Andrea, né sentirmi. Solo tu puoi."

Senza avere il tempo di raccapezzarsi, Nicole si sedette accanto a lei e le posò una mano sul viso.

"Hai una brutta cera, ma non sei calda. Non mi piace questa situazione, dirò a tuo padre che non ti senti ancora bene. E se per domani non starai meglio dovrò chiamare il dottor Terence."

Andrea rimase in silenzio. Avrebbe lasciato che le cose si evolvessero come dovevano, non aveva le forze per opporsi in qualche modo o anche solo di far sentire la sua voce. Si limitò ad annuire.

"Il tuo fidanzato si è subito preoccupato quando è arrivato e tuo padre lo ha avvertito che stavi male. Ha preteso di sapere cosa ti fosse successo e se i preparativi del ricevimento ti avessero stressato per farti svenire di colpo. Accusò anche velatamente tutta la servitù di averti stressato troppo." Sorrise amaramente. "Che personaggio!"

Andrea trovò finalmente la voglia di parlare. "Cosa ne pensi di lui? Voglio conoscere la tua opinione."

Nicole la guardò sorpresa. "Oh, beh... non sono certo il tipo da criticare le scelte del mio padrone, ma dato che me lo chiedi non riesco a vederti sposata ad un uomo della sua età." Strinse le labbra, assumendo un'espressione rammaricata. "Mi chiedo a cosa stesse pensando tuo padre quando ti ha promesso in sposa a un tipo del genere."

"Perché, è molto più grande di me?"

"Molto più grande è riduttivo, tesoro. Potrebbe essere tuo padre."

Quella rivelazione sconvolse ulteriormente la povera Andrea. Sgranò gli occhi fissando Nicole senza vederla, si voltò verso Patrick che le restituì uno sguardo preoccupato tanto quanto il suo.

Che diavolo di destino avrebbe affrontato nei panni della bella Annabelle?

Spazio autrice:

Domanda da un milione di dollari: I miei capitoli sono troppo lunghi? In origine erano la metà, ma poi mi sembravano troppo corti e li accorpati due a due... e adesso mi sembrano troppo lunghi. Aiuto!!!

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