4 - Un guardiano personale

Lo sconosciuto era andato via nel solito modo in cui era apparso: dalla finestra. Andrea la richiuse appena fu uscito e si ritrovò nuovamente sola in quella stanza lussuosa e all'apparenza antica, ancora confusa come quando aveva appena ripreso i sensi e si era ritrovata distesa sul tappeto. Adesso, però, conosceva il suo nome, o meglio, conosceva il nome della persona di cui aveva preso il posto.

Annabelle era il nome della sorella perduta, colei per la quale la sua famiglia aveva iniziato a sgretolarsi fino a spaccarsi del tutto. Era anche la causa del forzato isolamento a cui si era sottoposto suo padre.

I ricordi le riaffiorarono alla mente come scene di un film sbiadito; immagini confuse del padre che, distrutto dal dolore per la morte della figlia, si era rintanato in sé stesso, asserendo che doveva assolutamente trovare un modo per risolvere quel disastro ritenendosi colpevole di ciò che era accaduto. Le stesse immagini si accavallavano ad altre, all'apparenza più nitide ma allo stesso tempo più sfuocate, dove un uomo la consolava per la morte di sua madre quando lei era poco più di una bambina. Ma sua madre non era morta. O sì? Di nuovo ricordò suo padre, che in preda a qualche strano demone interiore, faceva discorsi senza senso. All'inizio non aveva dato peso a quei discorsi, menzionava il voler tornare indietro nel tempo, di voler riaggiustare il passato. Credeva che fossero solo parole dettate dal dolore.

Di colpo si rese conto che non era così.

Suo padre aveva veramente trovato il modo di tornare indietro nel passato. Era riuscito a inventare una macchina del tempo... Un momento, ma allora chi era quella donna che lei ricordava come sua madre e con la quale parlava in modo concitato se ricordava, se pur vagamente, che sua madre era morta?

Troppe domande e troppa confusione mentale per riuscire a capire qualcosa.

Si distese sul letto con un sentimento di angoscia misto a frustrazione. Non riusciva a comprendere come avesse potuto ritrovarsi in una situazione del genere. Aveva ricordi contrastanti, confusi. Alcuni non sembravano nemmeno suoi, come se fossero di qualcun altro, altri riuscivano a infonderle un forte senso di angoscia, come se la sua vita futura dipendesse da quei ricordi. Ma perché? Chiuse gli occhi cercando di calmarsi, d'un tratto sentì le palpebre pesanti, non si era resa conto di essere così stanca.

"Guarda Andrea, questo è il mio laboratorio, il posto dove riesco a dar vita a tutte le mie più grandi invenzioni."

Suo padre la fece entrare nel suo studio segreto e Andrea si sentì di colpo un'adulta per avere il permesso di varcare quella soglia. Lui non aveva mai permesso né a lei né a sua sorella di giocare in quella stanza, affermava che quello che conteneva era pericoloso per loro e avrebbero potuto rompere qualcosa, nonché farsi del male. Ma quella volta Andrea era tornata a casa dopo aver preso un bel voto a scuola e l'avevano premiata esaudendo un suo desiderio; lei aveva espresso quello di poter vedere cosa facesse suo padre tutte le volte che si rinchiudeva nel suo studio.

Si guardò intorno, circondata da oggetti dall'aria complicata, avrebbe voluto prendere tutte quelle piccole boccette di vetro dall'aria strana e giocare con loro, anche se suo padre l'aveva messa in guardia sulla loro pericolosità. Ma lei non aveva paura di niente. Al centro della stanza vide un grandissimo frigorifero, uno di quelli con la maniglia a chiusura. Senza pensarci lo aprì, aspettandosi di trovarci dentro bottiglie di aranciata e i panini che cucinava sempre sua madre, fu piuttosto delusa quando lo trovò completamente vuoto. Sentì suo padre ridacchiare alle sue spalle.

"Credevi di trovarci i panini di tua madre? Stai attenta, tesoro mio, si può aprire solo dall'esterno, quindi non è un posto dove potersi nascondere, anche se dentro non c'è niente."

Lo guardò spaesata, senza capire di cosa stesse parlando. Una volta saziata la sua curiosità su quella stanza misteriosa, ubbidiente, uscì fuori, seguita dal padre che subito si chiuse a chiave la porta alle spalle.

"Mi raccomando, non tornare qua dentro da sola, anche se dovessi trovare la porta aperta. E soprattutto, non portare mai qua tua sorella. Intesi?" 

Andrea annuì, leggermente sconvolta, pensando che se non avesse toccato niente avrebbe anche potuto tornare là dentro e far vedere tutte quelle cose a sua sorella.

Venne svegliata da una voce femminile e squillante, che la incoraggiava ad aprire quei meravigliosi occhi che Dio le aveva donato. Confusa, Andrea si tirò a sedere nel letto, cercando di capire dove si trovasse e chi fosse stata a svegliarla. Non si era accorta di essersi addormentata.

Una donna grassottella ma dal viso dolce e giovanile le si avvicinò e la squadrò con uno sguardo di rimprovero. "Annabelle, sei andata a dormire vestita, ieri sera?" 

Andrea la guardò confusa, la dinna indossava un vestito scuro che le arrivava ai piedi, largo e vaporoso, e un grembiule immacolato le copriva il seno prosperoso e la parte davanti della gonna. Sul capo, una graziosa cuffietta la aiutava a mantenere i capelli in ordine. Era senz'altro una governante.

"Che giorno è, oggi?" Borbottò, fingendo di essere ancora mezza addormentata, sfregandosi un occhio con le nocche.

"Mercoledì sedici ottobre, tesoro, ed è esattamente l'ora in cui tu ti faccia un bagno e ti tolga quelle vesti sudicie. Non vorrai presenziare alla tua festa di fidanzamento con gli stessi vestiti che hai indossato il giorno prima!"

Le parole della governante la fecero rimanere senza fiato. Festa di fidanzamento? La situazione in cui si era ritrovata per puro caso era molto più seria di quello che aveva pensato in un primo momento.

"Ma io non voglio sposarmi, Nicole!"

Un momento, pensò, come faccio a conoscere il suo nome?

☣☣☣

Andrea si sentiva sballottata in mezzo a tutta quella gente. Le fecevano male i piedi a furia di accogliere all'ingresso tutti gli ospiti per la sua festa di fidanzamento, gente sconosciuta e ridicola si susseguiva senza sosta davanti a lei. Ognuno di loro la trattava con un certo rispetto, quello dovuto alla figlia di un ricco mercante di sete preziose e proprietario di un'immensa piantagione che dava lavoro, vitto e alloggio a migliaia di persone. Era uno di quei lavori che stavano passando di moda, ma che il signor Tavern continuava a mantenere nonostante in altre parte d'America i vecchi possedimenti erano stati tutti depredati per l'aumento della popolazione locale, in tutto il paese erano rimasti pochissimi a continuare quella tradizione, rendendolo conosciuto in quasi tutta la Carolina. La sua fama e la sua ricchezza lo rendevano uno degli uomini più ricchi del paese, rendendo la mano di Annabelle, sua unica figlia, la più ambita tra molti uomini in cerca di una moglie.

Ma quello che più sconvolgeva Andrea in quel momento era la familiarità con cui tutti, nonostante la deferenza che le mostravano, riuscivano a trattarla. E per di più, sentiva di conoscere ognuno di loro, anche se era la prima volta che li vedeva. Decise di assecondare la situazione, in attesa di un momento di migliore lucidità mentale per comprenderla meglio. Era evidente anche a sé stessa che era ancora scossa dagli avvenimenti del giorno prima. Cercò di sorridere e di mostrarsi cortese, cercando di imitare i modi di fare delle altre donne attorno a lei.

L'ultimo ricordo nella sua testa che aveva un senso era quando era entrata dentro il frigorifero nello studio di suo padre... Figuriamoci! Se quello aveva un senso, perché tutti gli altri ricordi di vita normale nei panni della giovanissima Annabelle le risultavano invece strani?

La festa si spostò nel grande giardino della loro villa. Heaventree, come era riuscita a comprendere dall'uomo che si definiva suo padre, era un maniero di discrete dimensioni a poche miglia di distanza dalle piantagioni di canna da zucchero e di cotone che il signor Tavern manteneva a gran regime. In quel momento si trovava all'ombra di una grande quercia, indossando un vestito di un tenue color pastello con un cappello di paglia a tesa larga per proteggersi contro il sole, con i nastri che riprendevano il colore del vestito. Si sentiva una bambola di porcellana.

Salutava e sorrideva in continuazione ad ogni invitato che le si avvicinava per congratularsi per le imminenti nozze. Per lei era tutto così surreale che le sembrò di giocare ad uno strano gioco di ruolo.

Il proprietario del maniero, nonché suo padre, Frederick William Tavern, stava accanto a lei, con un orecchio costantemente rivolto a ciò che gli diceva il suo braccio destro, il signor Thomas, sull'andamento dei suoi affari. Purtroppo, avendo perso la moglie quando la figlia aveva appena sei anni, toccava a lui accogliere gli ospiti in quella occasione. Anche se la crescita della figlia era stata affidata a una tata, mister Tavern la amava profondamente e non avrebbe perso per niente al mondo la possibilità di starle vicino in un momento simile, seppure riuscendoci a modo suo. Era un uomo massiccio e imponente, non troppo alto ma dall'aspetto aristocratico e che incuteva un certo timore.

Ad un tratto tra i presenti si fece avanti colui che la sera prima era entrato nella camera da letto di Annabelle, il couturier Philippe Gavoir. Appena si palesò, prese la mano affusolata di Annabelle tra le sue e le sfiorò le nocche con le labbra, scoccandole una profonda occhiata che sapeva di promesse rubate e amori segreti. Andrea rimase un attimo confusa da quel contatto. Tutti gli uomini le avevano baciato la mano con deferenza, ma solo lui si era attardato in quel gesto.

"La vostra bellezza mi stupisce ogni giorno di più, mademoiselle Annabelle."

Il padre fece sentire un colpo di tosse. "Monsieur Gavoir, credo che gradirà senz'altro il rinfresco che il mio cuoco personale ha messo a disposizione per i miei ospiti, laggiù, da questa parte."

Lo afferrò per la redingote e lo scortò personalmente in quella direzione, lasciando sola la povera Andrea. Come in un limbo, lei si guardò attorno per cogliere un viso anche solo lontanamente famigliare, ma era una causa persa in partenza, non poteva conoscere nessuno.

Il suo promesso sposo non era ancora arrivato, un suo lacchè, trafelato, aveva avvisato del suo ritardo per motivi di affari. La curiosità di Andrea non venne soddisfatta. Si chiese che tipo poteva essere colui che era destinato ad una simile ragazza. Annabelle Tavern era bella, giovane e ricca, si chiese perché mai, se era innamorata del giovane Philippe, stava per sposare un uomo diverso. Non credeva che potesse essere innamorata di due uomini contemporaneamente. E, purtroppo, nessuno poteva aiutarla a fare luce su questo dilemma.

Liberata dall'opprimente presenza di quel padre, Andrea si sentì libera di vagare in mezzo a quella folla sconosciuta. Mai nella sua vita avrebbe creduto di poter vivere un'avventura simile. La confusione mentale non la abbandonava mai e strane sensazioni la investivano a ondate, come sballottata continuamente da un'insistente marea che non le dava tregua.

All'improvviso qualcosa attirò la sua attenzione e affilò lo sguardo, cercando di cogliere meglio ciò che vedeva.

In un angolo appartato, da solo in mezzo a quella folla, un uomo stava in piedi guardandosi nervosamente attorno. Le persone gli passavano davanti senza nemmeno notarlo e questi continuava a guardarsi attorno irrequieto. Si avvicinò incuriosita e si fermo a diversi metri da lui, osservandolo concentrata, senza farsi vedere. La cosa che la sconvolse non era tanto l'irrequietezza che avvertiva nell'animo di quell'uomo, ma il suo aspetto. Non aveva i capelli acconciati e impomatati come tutti gli uomini attorno a lei anzi, erano pettinati in un'acconciatura estremamente bizzarra per quel periodo, senza alcun fronzolo e senza quelle enormi basette che pareva andassero tanto di moda. Abbassò lo sguardo sui suoi indumenti, nessuna redingote fino alle ginocchia copriva le sue gambe, e nessun paio di braghe attillate e scarpe con la fibbia d'argento erano indossate da quell'individuo. Quell'uomo indossava dei semplicissimi jeans neri e comode scarpe da ginnastica, con una camicia bianca con il colletto aperto a velare un fisico asciutto ma ben disegnato. Si avvicinò incredula a quella visione. Cosa stava succedendo, ancora? L'uomo continuava a guardarsi attorno, sembrava in cerca di qualcuno. Senza staccare gli occhi da lui, Andrea si avvicinò con passo lento, incuriosita e spaventata al tempo stesso. Quando gli fu di fronte lo sconosciuto la guardò e Andrea si sentì trafiggere da due occhi scuri e intensi, con un paio di occhiali da vista con la montatura leggera. Questi la osservò emozionato, a bocca aperta.

"Andrea... Andrea, sei tu?" Chiese concitatamente, avvicinandosi di un passo.

Un peso opprimente si impadronì di lei, avvertendolo nel proprio ventre. Conosceva quell'uomo, ne era certa. Di colpo sentì il sangue defluirle dal viso e perse i sensi, accasciandosi al suolo, inerme.

Spazio Autrice:

Salve a tutti!

Come al mio solito quando inizio a pubblicare una storia inizio col presupposto di farlo gradatamente, un po' alla volta, per non accavallare i capitoli e farvi rincretinire dai troppi aggiornamenti, poi mi faccio prendere dall'ansia e finisco per pubblicarli molto più velocemente del previsto.

Perdonatemi!

Ma, tornando alla storia, se credete che stia diventando alquanto confusa, non temete, ogni cosa ha un senso e avrà la sua spiegazione a tempo debito. 

Un saluto a tutti!

-Laura-

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