19 - Ritorno alla normalità...
Lentamente Cristie si riprese dal suo soggiorno in quella struttura demoniaca. Il suo viso riacquistò la forma ovale di un tempo, le ombre scure sotto gli occhi sparirono e la carne tornò a rimpolpare il suo fisico magro. Fiorì ancora più bella ma negli occhi mancava sempre quella scintilla di vita che aveva prima di quella storia. Eppure nessuno poteva accorgersene, Andrea non lo avrebbe mai permesso. Non aveva mai desiderato suscitare pietà negli occhi degli altri, piuttosto avrebbe preferito morire.
Il ritorno alla normalità avvenne per gradi, dove Matt assunse un ruolo fondamentale per ridarle fiducia in sé stessa. Le rimase accanto in ogni istante e, quando venne il giorno che dovette affrontare nuovamente il ritorno a scuola, lui era lì.
"Allora, sei pronta?"
Andrea annuì e scese dall'auto di Matt, che subito le si affiancò per sostenerla.
La voce sulle vicissitudini che aveva dovuto affrontare in quella struttura si era sparsa a macchia d'olio, quando mosse i primi passi nell'istituto scolastico tutti gli sguardi erano puntati su di lei.
Matt continuò a camminarle accanto, facendole forza e regalando occhiatacce astiose a chi la guardava male in modo più insistente. Avrebbe voluto impedire a tutti di indicarla e far cessare quei bisbigli che avvertiva dietro alle spalle mentre passavano. La macchia di malattia mentale era difficile da mandar via.
Mary, la ragazza della tavoletta Oujia, era scomparsa dalla scuola e dalla faccia della terra, sembrava che non fosse mai esistita, nessuno si ricordava di lei. A parte loro, ovviamente. Ma quello fu il male minore, la cosa passò in secondo piano per Cristie e Matt, l'importante era che la ragazza si riprendesse del tutto e che la gente smettesse di parlarle alle spalle.
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Passarono diversi giorni nell'attesa che la situazione per Andrea tornasse alla normalità. Patrick era tornato al lavoro, anche se si recava costantemente allo studio del signor McLeap per controllare la situazione. Adam aveva istallato una sorta di letto improvvisato nel suo studio e non era più tornato nel suo appartamento. Non voleva allontanarsi troppo dall'unica cosa che poteva mantenerlo informato sulla vita di sua figlia.
Una mattina, svegliandosi di soprassalto, si accorse che una spia della sua macchina del tempo lampeggiava insistentemente. Per un attimo rimase spiazzato dalla sua funzione, ultimamente era stato talmente preoccupato e preso da non ricordarsi ogni minima funzione che aveva costruito. La esaminò con perizia, controllando ogni collegamento e alla fine ricordò la funzione di quella spia. La sua accensione significava che la macchina stava perdendo l'energia accumulata per fare il salto. Resosi conto dell'importanza della cosa avvisò immediatamente Patrick.
"Ho bisogno di te nel mio studio, c'è un piccolo problema."
Chiuse il telefono e rimase in un'attesa ansiosa. Non c'era tempo da perdere, dovevano preparare nuovamente Andrea per farle fare il salto. Sperando che sarebbe stato l'ultimo.
Questo non osò pronunciarlo nemmeno a sé stesso ma si ripromise che appena fosse riuscito a far tornare Andrea a casa avrebbe smantellato quella macchina infernale, imparando ad accettare la vita per come gli si proponeva.
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Patrick arrivò in un battibaleno, il fiatone e il sudore che scendeva copioso sulla fronte.
"Eccomi, sono pronto. Cos'è successo?"
La gravità della situazione non gli permetteva di perdere tempo prezioso, e anche se in preda all'ansia e al nervosismo, la speranza di riabbracciare finalmente la sua Andrea tornò a fiorire nel suo cuore. Adam gli spiegò la novità sulla spia, e Patrick si fece ologrammare istantaneamente davanti ad Andrea.
In quel momento lei era sola in casa, si stava preparando per farsi una doccia rilassante e mettersi finalmente a letto dopo una giornata pesante. Aveva ripreso a lavorare come babysitter, nonostante la nomea di malata mentale, e grazie alla scuola e all'aiuto che dava a sua madre, alla fine della giornata era molto stanca.
Stava giusto infilandosi l'accappatoio per recarsi in bagno quando, voltandosi, si ritrovò Patrick di fronte a sé, nella sua stanza. Uno spavento improvviso la fece sobbalzare. Provò ad urlare ma la paura la immobilizzò.
Patrick la vide sgranare gli occhi e osservarlo con il terrore. No... non doveva andare così.
"Andrea, sono io, sono Patrick!" tentò di persuaderla.
Ma la paura in Andrea era troppo grande per venire spazzata con una semplice frase, anche se pronunciata con sentimento.
"Chi sei... cosa vuoi da me?" Riuscì a chiedere con voce tremante.
"Andrea, sono io..." Ripeté, ma di colpo si rese conto che questa volta Andrea non lo avrebbe riconosciuto facilmente.
Infatti la vide fare un balzo all'indietro e tendere le braccia davanti a sé, come per allontanarlo da lei.
"Non farmi del male, ti prego! Non ho niente... non ho fatto niente!"
La reazione di Andrea fece cadere Patrick nella più completa disperazione. Alzò le mani per Carmela e cercò di parlare con voce dolce e pacata.
"No, tranquilla! Non potrei mai farti del male. Tu mi conosci meglio di chiunque altro, Andrea... sono qui per aiutarti!"
Il mento di Andrea tremò: "Io non ti conosco... e il mio nome è Cristie... mi hai scambiato per un'altra..."
A quel punto Patrick si rese conto che la situazione era molto più grave di quello che avrebbe mai pensato. Si allontanò dalla porta, permettendo ad Andrea di scappare dalla sua stanza. Rimase lì, da solo, completamente incapace di comprendere perché Andrea non riuscisse più a riconoscerlo. Il trattamento che aveva subìto in quella struttura psichiatrica aveva fatto molti più danni di quello che potevano immaginarsi e il tempo passato senza farsi vedere da lei aveva fatto il resto.
Non avrebbero potuto farle fare il salto, soprattutto perché non c'era sicurezza che sarebbe saltata nel presente e non potevano correre il rischio che si ritrovasse nella vita di qualcun altro in un simile stato di confusione mentale. D'altro canto, se non avesse ritrovato la memoria in breve tempo, l'energia accumulata dalla macchina inventata da suo padre si sarebbe persa e chissà quanto tempo ci sarebbe voluto prima che potesse essere di nuovo completamente carica.
Nel petto di Patrick la speranza di poterla fisicamente riabbracciare dopo tanto tempo svanì tristemente, come una stanza che piomba nell'oscurità dopo essere stata rischiarata appena da una finestra socchiusa.
Tornò al presente e si affacciò di fronte al grande schermo della macchina del tempo insieme al professor McLeap, intento a guardare Andrea rifugiarsi in bagno sconvolta, guardarsi allo specchio e sciacquarsi più e più volte la faccia con l'evidente intento di scacciare dalla mente l'incontro che aveva appena fatto.
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Guardandosi allo specchio Andrea, o meglio Cristie, ricordò vivamente il periodo trascorso all'interno della struttura psichiatrica dove era stata rinchiusa. Anche se il tempo ivi trascorso era stato poco più lungo di un mese, lo ricordava come il più lungo della sua vita. La maggior parte del tempo era troppo sconvolta e frastornata dalle droghe che le iniettavano per rendersi conto del tempo che trascorreva, ma le umiliazioni, la privazione del cibo e il dolore fisico e psicologico a cui l'avevano sottoposta non le avrebbero mai permesso di dimenticarsi di tale periodo. Ebbe svariati flash di quell'avventura traumatica. Immagini della dottoressa che l'aveva in cura, dei suoi inservienti pronti a legarla, delle sbarre alle finestre... del macchinario per l'elettroshock... Di colpo si tappò le orecchie, stringendosi la testa tra le mani. Strizzò gli occhi in un muto urlo di dolore e si trascinò a terra con una smorfia, come a cercare di non voler sentire le sue urla e la voce della dottoressa Borgard. Mai e poi mai avrebbe permesso di rivivere un'esperienza del genere. Mai e poi mai avrebbe rivelato di aver avuto una nuova visione schizofrenica.
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Una mano femminile, bianca e affusolata, con uno smalto rosa antico sapientemente steso sopra ogni unghia limata alla perfezione, suonò con insistenza al misero campanello del professor McLeap. Attese inerme per alcuni istanti, ma troppo brevi prima di premere nuovamente il dito impaziente contro il campanello.
Dentro il suo laboratorio il professor McLeap si bloccò col cuore in gola a quel suono. Nessuno veniva a disturbarlo lì, nemmeno il postino. Ammise tra sé e sé che erano parecchi giorni, ormai, che non passava più da casa, nemmeno per ritirare la posta, ma nessuno a parte la sua famiglia conosceva quell'indirizzo.
Il campanello si fece risentire nuovamente e dopo un breve scambio di sguardi con Patrick decise di andare ad aprire.
La sua ex moglie apparve alla porta in tutto il suo splendore. Non si ricordava nemmeno da quanto tempo non la vedeva ma era esattamente come se la ricordava... tranne con qualche ruga in più. I capelli erano sempre biondi e voluminosi, che andavano ad incorniciare quel viso perfetto che lo aveva fatto innamorare nel periodo della loro giovinezza e che sembrava non subire assolutamente l'effetto del tempo che passa. Anche gli occhi erano gli stessi, azzurri e bellissimi di sempre, solo che adesso avevano un'espressione preoccupata, rendendo un po' più evidente la sua età.
"Regina... che ci fai, qui?" La vista della sua ex moglie lo destabilizzò più di quello che già non era.
"Andrea non risponde al cellulare da tre giorni, Adam! All'ospedale hanno detto che si è presa un periodo sabbatico via mail da più di una settimana e da allora non l'hanno più né vista, né sentita. A casa non c'è, poi vengo qui e vedo la sua macchina parcheggiata fuori dal tuo laboratorio... Dai, fammi entrare, devo dirgliene quattro!" Cercò di scansarlo per entrare dalla porta, ma Adam non si mosse, impedendole di passare.
Regina alzò lo sguardo irritato su di lui, ad Adam sembrò di cadere.
"Perdonami Regina, ma Andrea non è qui." Borbottò.
Lei lo fissò per alcuni istanti negli occhi, come se vi leggesse dentro che stava mentendo.
"Dai, fammi passare, lo so che è qui."
Ma Adam non si mosse. "Mi dispiace, Regina, ma non posso farti passare." Ripeté con più convinzione.
Regina rimase a bocca aperta a fissarlo, rise nervosamente. "Andiamo, cosa ti prende? Lo so benissimo che è qui, non dirmi bugie. Perché altrimenti ci sarebbe la sua macchina parcheggiata qui davanti?"
Adam rimase in silenzio senza più sapere come ribattere. Non era mai stato capace di prevaricare su sua moglie, tanto più in un momento simile, così confuso e destabilizzante come nessun altro.
Come ai tempi del loro matrimonio, Regina decise di avanzare anche senza il suo permesso e, scansandolo con un braccio, entrò nel suo studio, chiamando la figlia a gran voce:
"Andrea? Andrea, rispondi, so che sei qui!"
Adam era sempre più confuso dalla sua irruzione e la fissò imbambolato. "Regina... qui non c'è..."
Ma lei non intendeva farsi prendere in giro dal suo ex marito. Da quando si era rinchiuso in quella sottospecie di rifugio era diventato l'ombra di sé stesso. Non meritava più alcun rispetto. Gli lanciò uno sguardo di sfida e si diresse verso l'altra porta che vedeva oltre la confusione che regnava in quel posto.
"Regina, aspetta..."
Lei non gli diede ascolto e spalancò la porta con aria tronfia, convinta di trovare sua figlia seduta da qualche parte a fare chissà cosa. Aveva già pronto un bel discorsetto da farle, non le avrebbe permesso di evitare le sue chiamate e di sparire dalla faccia della terra senza avvisarla o renderla partecipe delle sue intenzioni. Ma quando oltre la porta vide Patrick da solo, in piedi, contornato da tutte quelle apparecchiature strane, il suo ego si sgonfiò come un palloncino bucato.
"Patrick..." balbettò a bocca aperta. "Ehm... mi scusi... dottor Guardian. Anche lei qui?"
Patrick rimase sorpreso tanto quanto lei per questa irruzione. Era da quando frequentava ancora Andrea che non vedeva sua madre, e allora lo chiamava semplicemente Patrick. Il nome del suo titolo, accompagnato dal cognome e basta, lo mise a disagio, ricordandole che per quella donna lui non era più il fidanzato di sua figlia.
"Signora McLeap... è un piacere rivederla." Rispose con voce tremante.
"Non sono più la signora McLeap da molto tempo, ormai." Puntualizzò avvicinandosi a lui. "Mi fa piacere rivederti, ma se Andrea non è qui perché tu invece sì?"
Patrick boccheggiò non sapendo cosa rispondere. Spostò lo sguardo verso lo schermo, sperando ardentemente che la madre di Andrea non se ne accorgesse. Ma fu proprio quel gesto ad attirare l'attenzione di Regina.
Corrugando la fronte si avvicinò ad esso e, curiosamente, guardò l'immagine di una ragazzina bionda di circa diciassette o diciotto anni intenta a preparare la tavola in una casa arredata in stile anni '60. Cosa stava succedendo in quel posto? Quei due sembrava che stessero stalkerando una ragazzina nella sua quotidianità. Erano impazziti?
Vedendola avvicinarsi allo schermo della sua macchina del tempo, Adam avanzò velocemente verso di lei cercando di allontanarla da lì.
"Regina, non credo che tu debba guardare queste cose..."
Ma questo strano comportamento da parte di lui e l'evidente intenzione di impedirle di vedere fu proprio ciò che spinse Regina a schivare le mani di Adam che si protendevano verso di lei per allontanarla e continuare a studiare l'immagine in quello schermo.
"Perché vuoi così tanto che me ne vada? Cosa state nascondendo voi due?"
Di colpo la sparizione della figlia era passata in secondo piano. In fondo era grande e vaccinata per badare a se stessa, ma l'attività di quei due, insieme, era sospetta.
"Regina, credimi, non è niente che tu dovresti saper-"
"Lascia che sia io a deciderlo, questo." Lo interruppe, continuando ad osservare la ragazza nello schermo.
C'era qualcosa in lei che la incuriosiva, le sembrava di conoscerla. Eppure era certa di non averla mai vista prima di allora. Insieme alla ragazzina vide apparire un ragazzo più o meno della stessa età e la sua curiosità crebbe. Entrambi avevano dei lineamenti molto familiari; il portamento della ragazza le faceva tornare in mente quello di sua nonna. Li vide scambiarsi uno sguardo d'intesa e un veloce bacio sulle labbra. A quel punto una donna, evidentemente la madre di lei, entrò nella stanza con loro portando a tavola una pietanza in una pentola. I due ragazzi si misero a sedere e la donna si fece vedere in volto. Il cuore di Regina perse un battito. Quella donna era incredibilmente simile a sua nonna... quella stessa nonna che l'aveva cresciuta e amata come una madre.
"Cristie, passami il piatto." La sentì rivolgersi alla ragazza alla sua destra.
Il caso era davvero burlone, a volte: non solo quella donna era pressoché identica alla donna che l'aveva cresciuta, ma la ragazza sua figlia aveva persino lo stesso nome di quello di sua madre.
"Che strana coincidenza..." bisbigliò assorta da quella scena.
"Regina, va tutto bene?" Adam era rimasto immobile accanto a lei, preoccupato per l'espressione sconcertata della ex moglie.
Ma lei non sembrò nemmeno sentirlo, era troppo concentrata su quella scena per accorgersi delle sue parole.
Il ragazzo a tavola alzò il suo piatto rivolgendosi alla donna per farselo riempire, si sentì mancare. "Grazie, Janet... il tuo arrosto è il migliore che abbia mai mangiato."
Ma furono le parole della ragazza a darle il colpo di grazia: "Non adularla troppo, Matt. Mia madre sa riconoscere una bugia quando ne sente una..."
Regina si sentì mancare del tutto e crollò a terra all'improvviso, prontamente sorretta dai due uomini che la adagiarono su una poltrona lì vicino.
"Cosa le è successo? Perché è svenuta?" Patrick guardò l'amico, confuso.
"È successo quello che temevamo... credo che abbia riconosciuto sua nonna e i suoi genitori."
Patrick rimase di stucco, e adesso cosa sarebbe successo?
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