16 - Menomale che ci sei

Andrea camminava con difficoltà tra i rottami di quella casa, cercando di non inciampare e stramazzare al suolo in mezzo a tutto quello schifo. Ci mancava solo che contrasse una qualche malattia, non era certa che a quei tempi il vaccino contro il tetano fosse disponibile al primo pronto soccorso. Patrick era accanto a lei e, anche se si trattava solo di un ologramma, la aiutava infondendole un po' di coraggio, anche solo con la sua presenza.

"Ancora non ho capito perché sei voluta venire qui, non credo che... attenta!" Urlò vedendola inciampare e perdere l'equilibrio.

Fortunatamente Andrea riuscì a non cadere. "Uff! C'è mancato poco!" Sospirò lei, cercando di calmare i battiti del cuore.

Da quando era entrata in quella casa aveva avvertito una strana sensazione. La ragione faceva a pugni con le credenze di quel tempo, ai quali sicuramente Cristie credeva ciecamente. Forse era per questo che aveva sentito il forte desiderio di avventurarsi in quel posto. Aveva camminato a lungo attraverso la città per arrivarci, sbagliando addirittura strada, ma alla fine era arrivata a destinazione riconoscendo la strada sterrata dove avevano parcheggiato lei e Mary il giorno prima.

"Ho come la netta sensazione che devo scoprire di più su quella ragazza che ho visto qui la prima volta." Si diresse verso la grande sala con le enormi vetrate.

Patrick non sembrava convinto e cercava di starle accanto. "E perché mai, lo sai che i fantasmi non esistono."

"Appunto! Se i fantasmi non esistono chi era quella ragazza in fondo alle scale?"

Patrick non seppe cosa ribattere e rimase in silenzio. Una volta all'interno della grande sala con le vetrate, entrambi avvertirono il rumore di un frettoloso scalpiccio, come se una serie di piedini stesse scappando lontano da loro.

"Cosa è stato?" Patrick, di colpo allarmato, guardò sulle loro teste.

Andrea lo guardò impaurita, ma decisa a non scappare. Sembrava di vitale importanza per lei scoprire cosa nascondesse quella grande casa. Senza rispondergli avanzò ancora un po', ma si bloccò col cuore nelle orecchie quando sentì, chiaro e limpido, delle risatine infantili che rimbombarono tra le varie pareti spoglie e prive di intonaco. L'eco di quelle voci sembrò riverberarle anche attraverso la cassa toracica, facendo concorrenza con il suo cuore che sembrava non voler diminuire di velocità.

Guardò Patrick ancora tremante: "Anche l'ultima volta le abbiamo sentite."

"Tu e l'altra ragazza che era con te quando sono arrivato io?"

Andrea annuì e si guardò attorno, incapace di compiere un altro passo. In realtà era immobilizzata dalla paura, e la cosa, in un certo senso, le risultò addirittura comica se vista sotto una certa prospettiva. Lei, la grande dottoressa Andrea McLeap, pietrificata dal timore di incontrare un fantasma in un luogo abbandonato e fatiscente. Era esilarante, soprattutto considerando come in passato avesse sempre sostenuto che i fantasmi erano soltanto un'invenzione dei genitori per spaventare i loro figli e convincerli a fare i compiti o a sistemare la loro stanza, e inoltre aveva sempre pensato che chi asseriva di parlare con i propri cari defunti o con qualche entità dall'aldilà, era semplicemente un ciarlatano di primo livello. Nessuno poteva parlare con una persona morta, e chi diceva di poterlo fare voleva solamente approfittarsi delle persone ingenue o solamente disperate per la perdita di una persona amata. Aveva sempre detestato questa specie di malfattori, imbroglioni e ladri. Ripensando a queste cose e al fatto che invece, proprio in quel momento, era alla ricerca di un fantasma, scoppiò in una fragorosa risata.

Patrick la osservò incredulo, lei si portò una mano alla pancia e si piegò in avanti, scossa dall'ilarità a cui non sapeva dare un freno.

"Andrea, ti senti bene?" Patrick si accigliò, confuso.

Ma lei continuò a ridere per diversi minuti, tanto che Patrick iniziò a preoccuparsi.

"Andrea, cosa ti prende? Smetti di ridere!"

Si portò di fronte a lei per poterla guardare negli occhi e cercare di farla rinsavire. Sembrava letteralmente fuori di testa, non riusciva a smettere di ridere. Continuò per diversi minuti, come medico Patricksi preoccupò sempre più, sapeva benissimo che una risata troppo prolungata poteva danneggiare l'apparato respiratorio e digerente di una persona, e il fatto di non poterla toccare lo fece allarmare ancora di più.

"Ti prego, Andrea, torna in te. Aiutami, smetti di ridere."

Finalmente, dopo alcuni minuti di risa insensate, Andrea lo guardò tra le lacrime involontarie e, lentamente, riuscì a smettere di ridere. Si asciugò le ciglia e rimase in silenzio alcuni secondi, senza raccapezzarsi di quello che aveva appena fatto. Non era da lei iniziare a ridere senza senso e da sola. Cosa le era preso?

"Cosa è successo?" Con un fil di voce cercò di capire cosa le fosse preso.

"Andrea, hai iniziato a ridere sguaiatamente da sola senza un motivo. Questa cosa non mi piace," Patrick si guardò attorno, "questo posto mi mette i brividi, per favore, andiamo via."

"No!" Urlò lei d'istinto. "Io... io sono qui per un motivo preciso."

"Un motivo preciso?" Alzò le sopracciglia. "E quale sarebbe?"

Lei abbassò lo sguardo concentrandosi per qualche secondo su di un sasso ai suoi piedi. "Ancora non lo so..."

Patrick era sempre più confuso e preoccupato. Tutta questa storia gli stava piacendo sempre meno, e il comportamento di Andrea era decisamente anomalo, anche per una semplice ragazzina degli anni Sessanta. Perché aveva insistito tanto per andare in quel posto? E poi qual era il motivo che la spingeva a rimanere quando era evidente che era proprio quel posto ad avere una cattiva influenza su di lei? La Andrea che conosceva se ne sarebbe accorta, non si sarebbe lasciata coinvolgere in qualcosa di... sovrannaturale. Oddio, sembrava davvero da folli pensare ad una cosa del genere, ma non gli veniva in mente altro per descrivere tale situazione.

E se invece fosse veramente così e Andrea fosse stata vittima di una sorta di possessione? Scosse la testa cercando di riprendersi e darsi una specie di schiaffo mentale, ma cosa diavolo stava pensando? Non era il momento per farsi prendere dal panico. Andrea, come in trance, avanzò verso la grande scalinata che portava ai piani superiori.

"Andrea, che stai facendo?" Si allarmò, portandole inutilmente una mano su una spalla per fermarla.

Ma ovviamente lei continuò ad avanzare e non gli rispose. Sembrava letteralmente assente da sé stessa. Doveva fare qualcosa, e subito. Le si parò davanti e cercò di fermarla.

"Andrea... Andrea riprenditi, non sei in te, te ne rendi conto?"

Andrea sembrava non riuscire nemmeno a vederlo e lo oltrepassò, continuando verso le scale. Sembrava come richiamata da un'entità che solo lei sentiva. Patrick si stava davvero facendo prendere dal panico, il fatto di non essere fisicamente lì con lei era davvero un problema.

"Andrea... svegliati..." urlò!

Andrea sembrava totalmente controllata da qualcun altro, si sentiva impotente. La vide salire il primo scalino, con lo sguardo fisso rivolto verso la cima delle scale. Non sapeva che fare, l'unica cosa che gli venne in mente era quella di piazzarsi di fronte a lei e sbraitare in faccia:

"Andreaaa!"

Le urlò in faccia con tutto il fiato che avevava e finalmente Andrea sembrò infastidita, sbatté le ciglia e si riprese.

"Cosa è successo?"

"Non lo so, sembravi posseduta, non mi sentivi, non posso toccarti e continuavi a camminare, come un'indemoniata..." blaterò velocemente, aveva i nervi a fior di pelle. "Per favore, vieni via da qui."

Andrea sembrava non sentirlo di nuovo, il suo sguardo era fisso verso la cima delle scale, ma questa volta non era in preda di qualche entità oscura, era perfettamente in sé. Aveva gli occhi sgranati dalla paura e la bocca spalancata, atta ad urlare ma senza emettere alcun suono. Patrick si voltò per seguire il suo sguardo e subito imitò la sua espressione.

Lassù, in cima a quelle scale rotte e fatiscenti, la stessa ragazza della volta precedente stava ferma, immobile, a osservarli con dei profondissimi occhi neri. La lunga camicia da notte la copriva fino alle caviglie, proprio come la volta scorsa, facendo vedere i piedi nudi ed estremamente pallidi, esattamente come la pelle del suo viso. I capelli lunghi e neri le aderivano alle guance scavate, ornandole il volto con un ammasso di fili scarmigliati e sporchi. Sia Patrick che Andrea rimasero impietriti a fissarla, in preda al panico più totale.

☣☣☣

Andrea stava correndo fuori da quella casa come se fosse inseguita da un animale feroce. Non appena ebbe la presenza di spirito di scappare, iniziò a correre a perdifiato, saltando e volando sopra i calcinacci come se nemmeno esistessero. La nuova visione di quella ragazza l'aveva resa una sorta di Usain Bolt al femminile. Una volta raggiunta l'aria aperta continuò a correre in preda alla paura, fino a che non sentì la voce di Matt che la chiamava.

"Cristie! Cristie, fermati!"

Continuando a correre si guardò alle spalle e vide il ragazzo biondo che era con lei la prima volta. Di colpo si fermò continuando a respirare con l'affanno, attendendo che il ragazzo la raggiungesse. Sembrava preoccupato, serio.

"Tua madre mi ha detto che non sapeva dov'eri, così sono venuto subito qui. Perché ci sei tornata?"

Cercando di riprendere fiato Andrea tentò di non farsi prendere dallo sconforto. "Come hai fatto a sapere che ero qui?"

Senza rispondergli, Matt la prese tra le braccia e la strinse contro il suo petto. "Cristie, è da quasi un mese che sembri ossessionata da questa casa, mi spieghi perché?"

Per Andrea quella fu davvero una novità; prima ancora del suo arrivo la sua antenata Cristie era già ossessionata da quella casa? E perché mai? Ma, in fondo non era la stessa cosa che aveva detto Mary?

Si lasciò stringere tra quelle braccia robuste chiudendo gli occhi, il profumo di colonia di Matt le entrò nelle narici, lieve e buonissimo, facendola sentire al sicuro e protetta. Doveva ammettere che la presenza di quel ragazzo riuscì a calmarla. Quando riaprì gli occhi, alle spalle di Matt vide Patrick che la osservava con uno strano cipiglio. Un senso di vergogna si impadronì di lei di colpo e si staccò da Matt.

"Scusa... mi accompagni a casa?"

Il ragazzo sembrò sorpreso da questa reazione, Cristie non si era mai allontanata da lui così bruscamente prima di allora. Notò però la faccia sconvolta della sua ragazza e decise di non indagare per il momento. Le avvolse le spalle con un braccio e la accompagnò verso la sua macchina.

Il tragitto fino a casa di Cristie si svolse in un assordante silenzio. Andrea era ancora scossa dall'avventura vissuta all'interno di quella villa e Matt cercò di non stressarla con mille domande. Era lusingata da quelle premure, avvertiva una sorta di attrazione fisica verso quel ragazzo tanto gentile e bello. Già... per la prima volta si soffermò a osservarlo. Aveva dei lineamenti molto avvenenti, dolci ma al tempo stesso ugualmente virili. Il naso diritto, le labbra sottili, gli occhi azzurro chiaro, sembrava disegnato. Ma nonostante questa nuova consapevolezza, l'incontro con la ragazza fantasma era ancora troppo vivido nella sua mente da permetterle di rilassarsi completamente.

Quella ragazza l'aveva chiamata, ne era certa! Aveva avvertito in modo forte e chiaro una strana energia che la spingeva a salire al piano di sopra di quella villa, sentiva una forza invisibile che le aveva come imprigionato la volontà di agire liberamente, impedendole di fermarsi da sé. Non poteva fare altro che salire. Se non ci fosse stato Patrick chissà a cosa sarebbe andata incontro.

Era talmente scossa che una volta tornata a casa non si accorse che l'ologramma del buon dottore la osservava in silenzio da una certa distanza.

☣☣☣

Patrick la osservò in silenzio, quel giovane ragazzo la sorreggeva aiutandola a rientrare in casa, e cercò di non intervenire quando lo vide abbracciarla e baciarla nei momenti in cui la madre di Cristie non li vedeva.

Rimase a osservare la donna che amava venire abbracciata e coccolata da un ragazzo che non era lui senza poter fare niente, e poco importava se in quel momento l'aspetto della sua Andrea non fosse quello a cui era abituato, quella era la donna che amava. Eppure non avrebbe avuto nessun diritto di mostrarsi geloso in ogni caso, dato che erano diversi mesi che la loro relazione era finita, figuriamoci se avesse potuto reagire in una situazione così paradossale come quella. Non poté fare altro che osservare inerme e silenzioso, cosa che non gli riuscì con difficoltà dato che nessuno poteva vederlo e sentirlo, e, a quanto pareva, nemmeno Andrea avvertiva la sua presenza.

Un velo di tristezza si posò su di lui a quel pensiero, ma rimase ancora ad osservare mentre Matt, dopo una cena frugale e dopo essere rimasto abbracciato a lei sul divano a guardare un film per tutta la sera, la aiutò a mettersi a letto e darle la buonanotte. Lo vide mentre le lasciava un bacio sulla fronte e le sorrideva per infonderle sicurezza. Restò con prepotenza a studiare le mosse di quel ragazzo mentre si alzava in piedi e si allontanava dal letto di Andrea mentre questa si accingeva ad addormentarsi. E quando questi spense la luce e chiuse la porta dietro di sé, Patrick continuò ad osservare la sagoma di quella ragazza accucciata sotto le coperte. Un forte senso di preoccupazione lo afferrò; cosa stava succedendo alla sua Andrea?

Si decise ad abbandonare quel tempo e tornare al presente, ma la voce di Matt lo bloccò. Come mai era ancora in quella casa? Si teletrasportò nel salotto dando delle coordinate diverse al tablet che aveva in mano, in modo da spostarsi di pochi metri dalla persona di Andrea, e vide il giovane Matt parlare animatamente con la madre di Cristie.

"Questa volta sono davvero preoccupato, Cristie si sta comportando sempre più in modo strano. Si sente che è successo qualcosa in quella casa, ma lei non ce lo dirà mai."

"Lo so, hai ragione."

La madre di Cristie sembrava desolata, abbassò lo sguardo e si sedette su una sedia, appoggiandosi al tavolo da soggiorno con un gomito e reggendosi la testa con una mano.

"Io non posso impedirle di andare in quella casa, fisicamente intendo, anche perché non farei altro che alimentare la sua curiosità, ma sono sicura che c'entra qualcosa quella sua amica."

"Quale amica?" Matt corrugò la fronte.

"Quella che è venuta l'altro giorno a trovarla, quella vestita di nero... mi rivolgeva continui sorrisi compiacenti, ma ho avuto la forte sensazione che fosse falsa. È rimasta con Cristie per quasi tutto il giorno, poi io sono dovuta andare al lavoro e non so cosa abbiano fatto, ma sono sicura che siano tornate in quella casa, perché poi la sera Cristie mi è sembrata particolarmente strana."

"Perché, cosa ha fatto?"

"Beh... non ne sono sicura, ma giurerei di averla sentita parlare da sola attraverso la porta della sua stanza."

Patrick si avvicinò alla donna, con l'istinto di smentire le sue parole, Andrea non stava parlando da sola, stava parlando con lui. Ma poi si ricordò che nessuno poteva vederlo e tentò di calmarsi.

"Perdonami Janet, ma devo confessarti una cosa," borbottò Matt con aria afflitta.

Janet alzò di scatto la testa per guardarlo. "Che cosa?"

"Alcune sere fa ci siamo recati tutti insieme in quella villa, e..."

"Voi cosa?!" Si infervorò la madre di Cristie alzandosi in piedi di scatto.

"Mi dispiace, avrei dovuto dirtelo prima, ma l'ho fatto soprattutto per tranquillizzare Cristie, continuava ad asserire che là dentro doveva esserci qualcosa, che c'era qualcuno che la chiamava e che doveva assolutamente accertarsi di chi fosse."

"E cosa è successo?"

"Beh, ecco... c'era anche Mary con noi... quella di cui stavi parlando prima." Janet annuì come per incoraggiarlo a proseguire, "aveva portato con sé una tavoletta Oujia."

La madre di Cristie si portò una mano alla bocca. "Ma voi siete pazzi!"

"Lo so, perdonami, è colpa mia. Sapevo che Cristie stava sviluppando un'insana curiosità su quella casa e pensavo che se si fosse accorta che in realtà erano solo dicerie e che non c'era niente si sarebbe calmata..."

"Ma?" Janet lo spronò a continuare.

"Ma... all'improvviso, dal nulla, è apparsa una ragazza." Deglutì, vergognoso. "Siamo scappati subito, ma ho paura che Cristie ne sia rimasta comunque colpita."

Janet si accasciò sul tavolo con entrambe le braccia, coprendosi il viso con le mani. "Non potete capire cosa significa questo per Cristie!" borbottò con amarezza. "Già ti parlai dei problemi che affliggevano suo padre, e i dottori mi hanno sempre assicurato che Cristie stava bene e non aveva problemi simili, ma mi avvisarono che i figli di un individuo affetto da schizofrenia possono manifestare disturbi psichici nella pubertà."

A Patrick sembrò di essere precipitato in un bruttissimo incubo. Negli anni Sessanta i problemi psichici venivano affrontati in un solo modo dalle istituzioni; gli ospedali psichiatrici pullulavano di pazienti, e pochissimi di essi riuscivano a riacquistare una parvenza di vita normale dopo il loro soggiorno in quelle strutture. Molto spesso non ne uscivano più.

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