11 - L'istinto infallibile

"Andrea, ti scongiuro, il rischio che stai correndo è troppo alto, ti prego, lascia perdere!" Patrick la stava letteralmente pregando con le mani giunte perché abbandonasse il suo intento di sabotare quel matrimonio, ma Andrea sembrava proprio insensibile alla sua preghiera e non lo degnò nemmeno di uno sguardo.

"Qual è il motivo per cui sei arrivato all'improvviso, questa volta?" Era davvero irritata.

"Andrea, ti prego..."

Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, lo sguardo stanco, a quel punto finalmente Andrea si voltò verso di lui, ma non diede segni di cedimento. Si guardarono in una muta supplica reciproca, ma sapendo che non avrebbe mai e poi mai vinto questa silenziosa battaglia, Patrick, con un groppo in gola, distolse lo sguardo e sospirò.

"Tuo padre ha finalmente trovato il modo per riportarti a casa."

Andrea spalancò gli occhi e schizzò in piedi, emozionata. "Davvero?"

Patrick annuì. "Però non è così facile come può sembrare, devi trovarti esattamente nel solito posto in cui ti sei ritrovata quando sei saltata in questo tempo, nel momento preciso in cui tuo padre azionerà la procedura. Se ritarderai anche di un solo secondo potresti pentirtene."

Andrea lo osservò senza rispondere. In quel preciso istante avrebbe fatto di tutto per poter tornare nel suo tempo.

"E quando ha deciso di farlo?"

"Secondo i suoi calcoli, sarebbe opportuno farlo al solito orario in cui tu sei saltata. Erano le 8 di sera, con un lavoro alla sua macchina ha scoperto il momento esatto, e la procedura si deve verificare allo stesso preciso istante."

Il cuore di Andrea prese a battere violentemente nel suo petto. "Quanto tempo ho prima di fare il salto?"

Patrick la fissò serio: "Non molto, Andrea, non molto."

☣☣☣

"Adesso, puoi ripetere quello che mi hai detto?" Andrea si rivolse a una timida Elizabeth.

Seduto alla sua immensa scrivania, il signor Tavern sembrava un re autoritario e annoiato, che guardava in giù dall'alto del suo scanno il suo popolo in attesa di una sua parola. Elizabeth ne ebbe una profonda paura.

"Non lo so, io... non sono più sicura che..." balbettò fissandosi i piedi.

"Ti prego, Elizabeth. È importante!" la pregò Andrea.

"Mi dispiace signorina, ma io..."

"È evidente che Elizabeth non ha proprio niente da dire." Frederick Tavern era scocciato per il tempo che stava perdendo. "Chissà, magari si è inventata tutto solo per farti simpatia."

"No, non è vero, io so che non ha mentito," ribatté Andrea con vigore, "è solo impaurita, ecco tutto."

"Impaurita di che?" Il signor Tavern alzò un sopracciglio, scettico. "Se davvero avesse qualcosa da dire non avrebbe motivo di tacere, se davvero ti vuole bene come dici, parlerebbe."

Andrea strinse i denti per non rispondergli a tono, ne aveva fin sopra i capelli della totale mancanza di rispetto che a quei tempi vigeva nei confronti delle classi più povere. Era certa che la giovane Elizabeth avesse solo bisogno di rassicurazioni.

"Elizabeth, guardami!" la incitò alzandole il viso e incrociando i suoi occhi. "Ti prometto che se parlerai non ti succederà niente, ma devi dire la verità."

La giovane governante sembrava tremendamente mortificata, un pulcino bagnato. Abbassò di nuovo lo sguardo, fissandosi le punte delle scarpe.

"La prego signorina, io..."

"Lo vedi che ti ha solo preso in giro? C'è un motivo per cui ci sono le persone di grado inferiore, perché sono, per l'appunto, inferiori, è inutile che le tratti come un tuo pari, Annabelle."

Sempre piu irritato il signor Tavern distoss finalmente l'attenzione dalle due ragazze e la riportò ai suoi libri contabili.

"Ora, se non vi dispiace, ho da fare, tra poco devo andare a fare il mio solito giro nei campi di cotone, il signor Thomas mi sta aspettando."

Con questo fu come se per lui le due ragazze non esistessero più, aveva già perso troppo tempo prezioso aspettando che quella servetta si decidesse a parlare.

Ad Andrea quasi  vennero le lacrime agli occhi dalla rabbia repressa che il signor Tavern le ispirava. Stava iniziando a pensare ad un metodo per far parlare Elizabeth definitivamente, quando la sentì borbottare:

"Avete ragione, io... voglio parlare..." sussurrò appena. I due la guardarono di colpo, entrambi sorpresi dalle sue parole.

"Hai detto qualcosa, Elizabeth?" Chiese Frederick Tavern, incredulo.

Andrea non osò proferire parola per paura di spaventarla ulteriormente e mandare in fumo tutti i suoi sforzi. Elizabeth arrossì esageratamente, incapace di guardare il signor Tavern in viso.

"Voglio... voglio confessare quello che so sulla prima moglie del signor Conte." Borbottò a denti stretti.

"Siamo tutt'orecchie!" La incitò lui.

Elizabeth deglutì sonoramente. "Io avevo solo sette anni all'epoca. Dormivo da sola in una stanza al primo piano della magione del signor Conte quando lo vidi spingerla giù dalle scale..."

Alzò finalmente il viso, spinta da un rinnovato vigore.

"Non potrei mai dimenticare quando vidi il signor Conte spingere mia sorella giù per le scale."

Gli altri due si guardarono in faccia ma non dissero niente, riportando subito l'attenzione su di lei.

"Fu spinta dalla cima delle scale dallo stesso Conte, per via del fatto che, secondo sua signoria, non riusciva a dargli un degno erede. Io, all'età di appena sette anni, ero abituata ad attendere mia sorella nella mia stanza per la buonanotte, ma quella sera tardò ad arrivare e non capii perché. Quando sentii dei rumori provenienti dal corridoio fuori della mia stanza aprii di poco la porta per vedere senza farmi scoprire, e attraverso la fessura scorsi mia sorella litigare con il signor Conte. Ricordo che a quei tempi era ancora in lutto per aver perso il figlio del Conte che teneva in grembo, perciò non mi fu difficile distinguere le parole incapace di procreare dalla bocca del signor Conte. Lei mi aveva raccontato che la perdita del bambino le aveva causato una profonda depressione. Come sorella della Contessa mi era stata data una camera al primo piano della villa di Seattle e non mi fu difficile assistere. Mentre il resto della servitù si era appena ritirata nelle proprie stanze, mia sorella venne spinta, e cadde per una rampa di scale."

Il signor Tavern rimase del tutto spaesato per alcuni istanti.

"Annabelle, cara, vorresti per cortesia chiamare anche il maggiordomo del signor Conte, so che lavora per lui da moltissimo tempo."

Andrea sorrise. "Si, padre."

Grazie ai metodi di persuasione dello stesso Tavern, il cameriere diede la sua versione dei fatti, che coincise con quella data dalla piccola Elizabeth. Sempre per scrupolo venne ascoltata anche la cameriera, e la sua versione con cambiò più di tanto, entrambi sentirono la lite dalle loro stanze al piano terreno, e anche le urla del Conte che la colpevolizzava e quelle di aiuto della Contessa, per poi ritrovarla la mattina dopo in fondo alle scale col collo spezzato.

Alla fine dei due racconti il signor Tavern alzò lo sguardo sulla figlia, solenne e austero come sempre.

"Non permetterò che mia figlia sposi un uomo capace di uccidere la propria moglie."

Gli occhi di Andrea si riempirono di orgoglio e quelli dell'uomo di inumidirono di commozione.

"Farò di più." Picchiò debolmente un pugno sulla scrivania. "Lo denuncerò alle autorità competenti. Qui non potranno tirarsi indietro se sarò io a denunciare."

☣☣☣

Andrea tornò felice nella sua stanza, aveva raggiunto il suo scopo, adesso il matrimonio con il Conte di Devonshire non avrebbe avuto luogo. Entrò nella camera con un sorriso estasiato sulle labbra, e trovò Patrick ad attenderla, irrequieto e smanioso. Appena lo vide, Andrea sembrò venire colpita da un fulmine. Senza dire niente lo fissò impaurita per diversi secondi.

"Non dirmi che..."

Patrick sembrava del tutto inconsolabile. "Sei riuscita a sabotare il matrimonio. Andrea, potresti smettere di esistere, te ne rendi conto?" Gli ci volle molto sforzo per pronunciare quelle parole.

Andrea non rispose, ma sentì un vuoto all'altezza dello stomaco allargarsi come un buco nero e risucchiare ogni bella sensazione provata finora.

Passaro o alcuni istanti, cercando di riprendersi dalle parole di Patrick. "Però sono sempre qui."

"Chissà per quanto ancora."

Ma l'istinto di Andrea era cocciuto, forse più di lei.

"Controlla su quel dannato tablet." Gli indicò il piccolo congegno che teneva in mano.

Sconsolato, Patrick lo osservò come se lo vedesse per la prima volta. "Andrea..." borbottò esausto.

"Ho detto di controllare cosa dice quel tablet, Patrick. Vuoi darmi almeno il beneficio del dubbio?"

Non convinto, lui tentò di persuaderla. Non voleva leggere quello che più temeva, ovvero che il futuro di Annabelle non coincideva più con la storia degli antenati di Andrea. Avrebbe significato che le sue paure si stavano avverando, e tutto perché Andrea non aveva voluto dargli retta.

"Andrea, tuo padre sta comunque azionando il dispositivo. È ora."

Strano, ma per Andrea non sembrò esserci differenza. All'improvviso sentiva come se non avesse più importanza se riuscisse o no a tornare indietro. Dal momento in cui era riuscita a sabotare quel matrimonio tutte le sue energie si erano sgonfiate, ogni altra cosa aveva perso importanza. Nonostante ciò, si portò lentamente al centro del tappeto in cui si era trovata quando aveva saltato nella vita della sua antenata Annabelle. Si voltò verso Patrick, ormai contagiata dalla sua preoccupazione. Continuarono a guardarsi preoccupati per diversi momenti, entrambi non riuscendo a proferir parola. Sembrava che per Andrea fosse arrivata la fine.

Man a mano che i minuti passavano, le parole di Patrick assumevano sempre più importanza, sempre più peso. Come dei grossi macigni di una valanga, stavano diventando difficili da digerire. Con la consapevolezza che forse Andrea avrebbe potuto smettere di esistere da un momento all'altro il tempo sembrò dilatarsi all'inverosimile, aspettando che il padre di Andrea azionasse la sua macchina per riportarla al suo periodo di origine, o che finisse tutto all'improvviso.

Il tempo sembrò diventare insostenibile, i cuori di entrambi stavano correndo frenetici, sopra il filo invisibile dell'incertezza. Di colpo, rendendosi conto finalmente della gravità di ciò che aveva fatto, Andrea guardò Patrick negli occhi, come investita da uno strano sentimento sfuggevole e indecifrabile. Lo fissò con il cuore a terra, ricevendo lo stesso identico sguardo. Per chissà quale misterioso motivo, riprovò a formulare la sua richiesta.

"Controlla quello che dice il tablet su Annabelle Tavern."

Senza più avere niente da perdere, Patrick alzò la mano che stringeva il dispositivo e, distogliendo a forza lo sguardo da lei, compose il nome di Annabelle sulla testiera. Tornò a guardare Andrea negli occhi, convinto che fosse l'ultima volta in cui incrociava il suo sguardo. Ricordava benissimo come erano i suoi occhi, e anche se in quel preciso istante erano di un formidabile verde luminoso, si figurò di guardare quegli azzurri e splendenti di Andrea. Senza prestare attenzione, premette invio, sentendo il cuore sempre più pesante nel petto. Sentì che il tablet dare la soluzione cercata, con uno sforzo enorme staccò gli occhi dal viso di Andrea e li portò sul piccolo schermo che aveva in mano. Lesse in silenzio, avvertendo gli occhi curiosi di Andrea su di sé. Ma più leggeva più sembrava che il peso che aveva sul petto si alleggerisse. Lentamente, l'espressione preoccupata che aveva sul volto si tramutò in un sorriso di sollievo.

Notando quell'espressione, Andrea rimase confusa. "Che cosa succede, cosa c'è scritto?"

Patrick non smise di sorridere. "Dice che la nostra piccola Annabelle si è sposata con il suo bel Philippe Gavoir, e che dalla loro unione è nato... Gregory!"

Andrea lo guardò sconvolta. "Ma non era il nome del figlio che ebbe con il Conte di Devonshire?"

Patrick non seppe cosa risponderle. "Qui dice così. E dice che divenne un famoso scultore, ed ebbe a sua volta tre figli." Patrick si fermò di colpo. "È lui... è lui il tuo discendente. Il figlio di Philippe Gavoir!"

Andrea ebbe come un guizzo. "Vuoi dire che anche il figlio che avevamo letto era sempre di Philippe Gavoir?" Patrick annuì, prendendo sempre più coscienza della verità. A quel punto anche Andrea sorrise. "Questo sai cosa vuol dire, vero?"

"Vuol dire che se prima sarebbe stato solo il suo amante..."

"Adesso diventerà suo marito." Concluse per lui.

"E loro figlio non cercherà il suicidio."

Il sorriso che si disegnò sul viso di Andrea era l'esatto riflesso di quello di Patrick. Si guardarono negli occhi con un fortissimo senso di sollievo. All'improvviso, l'intero corpo di Andrea fu illuminato da una strana luce azzurra. In brevissimo tempo, un forte calore si irradiò intorno a lei, esattamente identico a quello provato all'interno del frigorifero nello studio di suo padre. Di colpo Patrick e la lussuosa stanza da letto di Annabelle sparirono e, come risvegliandosi da un sogno improvviso, si ritrovò in una serata calda al centro di un campo con l'erba alta, illuminato soltanto dalla debole luce della luna.

Sorpresa, si guardò attorno, non riuscendo a capire dove si trovasse. Doveva essere da un'altra parte, lo sentiva, ma non riusciva a spiegarsi dove. Si guardò addosso, notando la minigonna di un vago colore rosso, ai piedi un paio di stivali rossi a metà polpaccio, il busto era coperto da un top attillato e molto sexy. Si guardò la mano, dove delle unghie lunghe e smaltate di rosso riflettevano la luce della luna. Di colpo, una voce femminile esclamò:

"Cristie, dai, muoviti! Che cosa stai aspettando?"

Alzò lo sguardo verso la provenienza di quella voce, una ragazza con dei lunghi capelli neri e vestita più o meno come lei le faceva cenno di camminare e seguirla. Sconvolta, Andrea si guardò attorno.

"Oh, porca vacca!"    

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