Prologo
Sarebbe stato difficile per chiunque descrivermi, forse perché nessuno si era mai impegnato a capire davvero cosa mi passasse per la testa. Nell'Heddem Institute non era usuale avere amici, io stessa conoscevo a stento le iniziali di ognuno. Una peculiarità del mio strano collegio infatti era che non ci si rivolgeva l'un l'altro chiamandosi per cognome o nome, bensì utilizzando l'iniziale. Io ad esempio ero una delle molteplici A, la mia irritante compagna di stanza una W. Del resto, un nome costituisce un'identità. E un'identità in quella prigione costituiva guai.
Forse mi ero sempre sentita diversa perché io il mio nome, a differenza degli altri, lo conoscevo. Quando ero sola, alcune volte lo sussurravo alle pareti grigie della mia stanza; lo ripetevo quanto bastava a rammentarmi di non essere solo una lettera simile alle altre. E allora i miei pensieri correvano veloci verso la persona che me l'aveva affibbiato per poi privarmene, colei a cui dovevo tutto e al contempo niente. Kathleen. La donna dal viso sottile che di tanto in tanto si affacciava nella mia mente, la voce rassicurante che aveva scandito i miei primi anni di vita. Ricordavo confusamente il suo sorriso sempre rovinato da una nota di amarezza, un'ombra che nel tempo era calata sulla fievole immagine che conservavo di lei. Sembrava che più la richiamassi a me, più aggiungessi dettagli insignificanti, quasi che questo la rendesse maggiormente concreta, maggiormente vera. Alcune volte mi domandavo quanto fosse vero e quanto falso, nel ritratto che baluginava nella mia memoria. Non l'avrei mai scoperto.
A lei non dovevo nulla, poiché aveva lasciato mi rinchiudessero in quel luogo d'inferno. Eppure se sapevo chi ero, se sapevo il mio nome, era solo grazie a lei.
"Amira." Mi rigirai fra le lenzuola, mentre il suono delicato del mio nome si propagava sulle labbra e affondava le proprie radici nel mio spirito, legandomi a sé indissolubilmente.
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