Capitolo XXI


Miss Hedd sedeva davanti a me, un'espressione irata a marcare i suoi tratti.

"Perché hai sporcato così la tua divisa?" domandò, soppesando ogni parola.

Alluse alla mia giacca, appesa all'armadio del suo ufficio con una stampella. Sulla stoffa grigia spiccavano ghirigori di pennarello rosso, frutto del lavoro terminato quell'alba, mentre ancora tutti giacevano nel sonno. Un sorriso impertinente comparve sul mio viso, al ricordo.

"Pensavo di renderla più carina." Un'ostentata innocenza dipingeva la mia voce, nello stesso modo in cui il rosso aveva dipinto l'uniforme.

"Dove hai trovato quel colore?"

A terra, nel corridoio.

Scartai subito la verità. Una bugia sarebbe stata di gran lunga più divertente.

"L'ho rubato" mentii.

La rabbia pulsava nelle iridi di Miss Hedd. Ero abbastanza soddisfatta del mio operato.

"E da dove, sciocchina?" proseguì il suo interrogatorio, imperterrita.

Sebbene vederla perdere le spalle conservasse il suo fascino, volta dopo volta diveniva via via più scontata. Riconoscevo i segnali. Tamburellava dapprima le dita sulla scrivania, scandendo i secondi. Piano piano il suo tono si caricava, la calma usuale lasciava spazio a una ben più esilarante ira. Si tratteneva ancora un po', finché non scoppiava del tutto, e allora sì che lo spettacolo aveva inizio. Per il momento, avevo registrato solo il primo segnale. Questione di tempo.

"Questo è un segreto." Finsi profondo rammarico. "Questo proprio non glielo posso dire, Miss."

"Non c'è posto per i segreti qui" decretò, in un palese tentativo di contenersi.

"Ah, sì?" Curvai le labbra. "Non c'è scritto sul Regolamento."

"Ci sono alcune regole non scritte" ribatté la vicedirettrice.

"Con tutte quelle che già ci sono, vuole dire che devo pure stare dietro a quelle invisibili?" domandai, appiccicandomi addosso una sentita incredulità.

"Esattamente."

Miss Hedd riacquistò la calma perduta, anche se io ancora non mi ritenevo del tutto vincente.

"Me le può elencare, per piacere?"

Non si aspettava quella mossa. Le iridi scure furono invase dalla sorpresa.

"Sono anche non dette" enunciò, qualche secondo dopo.

"Be', allora qualche errore si può perdonare, se le devo pure scoprire da sola!"

Miss Hedd sospirò. Allora si portò un palmo sulle tempie, e sospirò un'altra volta. "D'accordo. Il pennarello sarà confiscato. Tu indosserai un'uniforme pulita e stavolta rimarrà tale, altrimenti..."

Si rese conto di non disporre di una minaccia efficace.

"Altrimenti mi caccia dalla scuola e posso andarmene?" azzardai.

Sapevamo entrambe che non sarebbe mai accaduto. Miss Hedd ricambiò duramente il mio sguardo di sfida, ma non proferì altro.

"Nel corridoio ti attende la cameriera. Fai quanto ti ho detto."

Impiegò un po' per rompere il silenzio.

"Certamente, Miss."

Sorrisi ancora, e sorrisi anche mentre mi dirigevo fuori dall'ufficio. La felicità si frantumò in mille pezzi quando scorsi Corinne.

"Andiamo."

Svettava sopra di me. Non mi era mai parsa tanto alta. Mi accompagnò fino alla mia stanza, perseverando nel suo silenzio. Ogni secondo vuoto equivaleva a un chiodo nel mio stomaco.

"Parla, ti prego." Cedetti, ormai davanti alla porta.

C mi fissò a lungo, lo sguardo ghiacciato. "Perché l'hai fatto? E non rifilarmi la risposta che hai dato a Miss Hedd. Non me la bevo."

"Perché... perché..." balbettai.

"Volevi farle dispetto?"

Deglutii a fatica, colta di sorpresa. Annuii.

"E pensi che sia stato in qualche modo utile?" continuò.

Non diedi alcun segno di risposta, d'un tratto fra le braccia della vergogna. Mai avevo visto Corinne perdere la sua dolcezza di fronte a me. Mi stava sgridando, usando frasi simili a quelle di Miss Hedd. Eppure quest'ultima mi aveva smosso una risata, mentre C sembrava incidermi pian piano.

"Amira" bisbigliò C, in modo che la udissi solo io. "Che combini? A fine semestre assegneranno i compagni di stanza. Tu devi comportarti bene, anche se non ti piace, altrimenti ti lasceranno qui."

"Non è importante" mormorai. "Tu sei stata bene senza!"

Corinne si aprì in un dolce sorriso colmo di amarezza. "Sei una bambina troppo intelligente per pensarlo davvero."

Mi ero distratta. Ancora una volta. Fissai la mia attenzione sul tavolino deforme davanti a me. Gli mancava una gamba. Una sola, lurida, gamba. Era tutto ciò che avevo ottenuto in quelle ultime settimane. Il ronzio del ricordo persisteva nel mio capo, per quanto m'impegnassi.

Corinne.

Era incredibile quanto fossi cresciuta, in seguito ai suoi rimproveri; avevano avuto più effetto di tutte le mezz'ore che avevo trascorso nell'ufficio di Miss Hedd. Da quel momento, mi ero imposta il massimo impegno. Per mesi non aveva trovato un motivo per riprendermi, non gliene avevo dato modo. Gli insegnanti stupiti, Corinne orgogliosa. Era difficile essere tanto rigida, tanto ligia, ma ci riuscii. Fui impeccabile. Rividi le pareti dell'ufficio di Miss Hedd soltanto l'ultimo giorno di quel semestre, quando fui chiamata perché mi comunicassero che avevo in qualche modo colmato i deficit che m'impedivano di stare a contatto con i restanti alunni. Sarei stata assegnata anch'io.

Naturalmente proseguire su quella linea sarebbe stato fatale, quindi una volta raggiunto il mio obiettivo, tornai a distinguermi, ma in modalità diverse. I mesi trascorsi mi avevano insegnato che non mi era necessario commettere atti sciocchi e immaturi, volti esclusivamente alla lotta contro l'Istituto, perché rimanessi me stessa.

Avevo deciso di convivere con l'Heddem Institute allora. Ora dovevo convivere con quella decisione.

"Dov'è il problema?"

Ripiombai nella realtà. Rivolsi uno sguardo seccato a J, che osservava i miei fallimenti da una settimana senza fiatare. Glielo avevo imposto, in quanto la richiesta di non volgere mai il capo verso di me sarebbe stata difficile da contentare. Almeno in quel modo non avrei dovuto subire commenti o quesiti sciocchi, come quello che mi aveva appena posto.

"Sono serio" proseguì J. "Rivivi il tuo peggior ricordo, ma l'hai già superato una volta. Dovrebbe essere facile rifarlo."

"Non è come svolgere un test di matematica" ribattei.

Cosa poteva saperne lui? Era inglobato in un sistema di cui neanche conosceva lo scopo, sottoposto a limitazioni di cui non avvertiva il peso. Mi ritrovai quasi a invidiarlo. Apparteneva a a un mondo crudele, incosciente della sua crudeltà. Doveva essere un dono magnifico, al pari del vivere in un mondo buono, ignari della fortuna concessa.

"Non intendevo dirlo." Tacque per qualche istante. "Sono due ore che ti eserciti, penso sia abbastanza."

"Puoi andartene, se ne hai voglia" gli offrii. "Non ho bisogno di te, come vedi."

Ero soddisfatta. Le ultime due settimane avevano testimoniato la totale inutilità di J, il cui ruolo si era ridotto a quello di spettatore silente. Eravamo ormai arrivati al sesto incontro senza svenimenti o malesseri di alcun genere, dunque mi auguravo che se Miss Key fosse rimasta ferma nella sua opinione, almeno J alla lunga avrebbe riconosciuto di essere superfluo e si sarebbe dileguato.

Gli avevo già proposto di lasciarmi sola, ma non aveva mai abbandonato la sua posizione. Per quanto il mio ottimismo fosse stato intaccato dai suoi netti rifiuti tuttavia, ancora non demordevo. Prima o poi avrebbe ceduto.

"Sai che non posso."

La replica giunse scontata, identica alle precedenti. Trattenni un sospiro snervato, ma non aggiunsi altro. Era terminato il nostro scambio usuale, da quel punto in poi avremmo taciuto. Insistere non sarebbe servito, non con lui, non in quella circostanza.

Un silenzio prolungato si stirò fra di noi. Gli voltai le spalle, abbastanza sicura che entrambi avessimo recitato egregiamente le nostre battute, e feci per ridistendere il braccio in avanti.

"A, è ciò che vuole Miss Key."

Vuoi continuare, quindi?

Spostai l'attenzione su di lui, quasi incuriosita dalla piega che avrebbe preso la discussione. Non si era mai spinto tanto in là. Sotto il mio sguardo accusatore, il nervosismo si attorcigliò attorno alla sua voce e curvò le labbra in un sorriso di plastica. "Se potessi..."

"Smettila" lo interruppi di scatto. "Se potessi, se potessi... tu puoi. Tu sei perfettamente in grado di lasciarmi sola, dato che possiedi due arti inferiori funzionanti per muoverti e una mente autonoma per comandarli."

"Non è semplice come credi" mormorò lui, sconfitto.

"Ah sì? Allora perché non lo fai, perché non mi dai ascolto?"

Un vortice d'intensità turbinava nel mio stomaco. Non mi capacitavo del motivo per cui fossi così presa da quel battibecco insensato. Persino l'iniziale scopo del dialogo stava sfocando dinanzi a me, in mezzo al confuso ribollire di pensieri. Era un litigio fine a sé stesso, allora perché continuavo a condurlo con tanto fervore? La mente lucida dentro di me s'interrogava, seminava tali incertezze. Eppure con maggiore fermezza un'energia che mai avevo provato le erodeva come l'acqua con la roccia, e di loro non rimaneva che una traccia sbiadita, mentre quel fiume in piena s'impossessava della mia voce.

J taceva, non osava rispondere. Era stato travolto anche lui da quella forza, ma in senso inverso.

"A..." sussurrò.

"Non lo fai perché ti è arrivato un ordine dall'alto, e tu esegui, esegui come una marionetta!" esclamai piena d'impeto.

"Mi dispiace."

Trasalii. I suoi occhi castani mi puntavano.

"Cosa?"

L'onda che si stava per abbattere su di lui si bloccò, la cresta che sfiorava l'orizzonte. E ricadde sulle mie spalle.

"Hai ragione, J, penso che per oggi possa andare."

Volevo uscire di lì. Mi fiondai verso la porta semichiusa. In un altro momento, avrei investito J di insulti per aver svolto male anche quell'unica mansione, ma allora fui solo colpita dalla constatazione che chiunque avrebbe potuto udirci. Ebbi un fremito, e tentennai sulla maniglia più del dovuto.

"A, vorrei--"

"Di' a Miss Key di venire, la prossima volta" lo interruppi. Gettai uno sguardo sul tavolino informe rovesciato a terra, mancante di una gamba. Non ero riuscita a ottenere risultati più soddisfacenti, tutti i miei sforzi erano racchiusi quel pezzo di legno malridotto. Il fallimento pesò sul mio capo. "La Riproduzione Rapida non funziona" mormorai.

"Lo farò" assicurò J. "Buonanotte, A."

L'ombra di un sorriso mi attraversò il volto, mentre chiudevo la porta.

"Buonanotte, J."

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