Capitolo XVIII

Mai avevo fronteggiato il dolore altrui così da vicino.

Ero abituata ad addomesticare il mio, e il mio solo. Ne conoscevo a memoria il volto, ed ero sensibile alla sua voce. Sapevo che il silenzio lo gratificava, e che la notte lo acuiva. Lo sapevo appagare, domare, sfinire. In quale modo un altro avrebbe potuto aiutarmi, più di quanto io non aiutassi me stessa?

Udivo la sofferenza di Corinne crepitare, e scuoterle con deboli tremiti le spalle. Eppure il dubbio mi bloccava. E se quell'animale, che in quel momento divorava Corinne, fosse stato uno spirito solitario? E se, colto dall'ira, avesse divorato con più ferocia la sua preda?

"Perdonami."

Sussultai, la fragile preghiera di Corinne nelle ossa.

"Ti mentito." Svelò il viso umido di lacrime, lo sguardo fissamente rivolto al vuoto. "Come tutti."

"Corinne..." Lasciai fluttuare il nome, incapace di proseguire.

"Vattene." Un singhiozzo le si bloccò in gola. "Ti prego."

Ci osservammo per un lungo istante. Le ombre la serravano in una morsa soffocante, come se si fossero plasmate sul suo corpo, e i suoi occhi luccicavano di pianto e fierezza. Un tremore la scosse, e s'aggrovigliò ancora di più in sé stessa, quasi che temesse di occupare troppo spazio.

Si stava trattenendo. Aspettava che uscissi per sciogliersi da quel precario equilibrio.

"Amira."

Un ultimo tentativo. La stanchezza le languiva la voce.

Ma io non mi mossi. I piedi inchiodati a terra, lo sguardo irremovibile incollato al suo. Quattro parole, dure quanto cemento, nella bocca.

"Non me ne andrò."

Il dolore rifluì sulle gote scure di Corinne. Il dolore ricominciò a consumarla, implacabile, con quel suo lento e fatale moto erosivo.

Fu in quel momento che capii.

Ero impotente.

Dovevo vedere Corinne soffrire e, in altre misure, soffrire anch'io. Qualunque potere decisionale mi era sottratto. Perfino sperperando l'esistenza alla ricerca di una soluzione, ne sarei uscita sconfitta; quello era il mio destino, quelle le sbarre che mi erano state predisposte.

Non avvertii l'usuale nausea aggrapparsi al mio stomaco, tuttavia, nel realizzare di trovarmi dinanzi all'ennesimo confine, all'ennesimo limite. La consapevolezza si depositò dentro di me, placida e silenziosa, e di lì, l'istinto me lo suggeriva, non si sarebbe mai mossa.

Mi accucciai accanto a Corinne, temprata dalla recente scoperta. Nella pericolante costruzione che si stava ergendo nella mia testa però, non avevo ancora collocato un mattone. Giaceva al suolo, ruvido e impolverato, e io ne osservai con attenzione il bordo irregolare.

"C" esordii dopo averlo esaminato a lungo, sotto la luce fioca della luna. "Perché piangi? Perché io ho letto la lettera? Per quello che c'è scritto?"

Non udii alcuna risposta, se non dei singhiozzi soffocati.

"Allora... piangi per quel tale? Quel Fargi? Fagi?" ritentai, indefessa.

"Faraji."

Fu poco più di un sussurro.

"Chi è?" le chiesi dolcemente.

"Lui è... è..." Un balbettio, inframezzato da singhiozzi. "Non lo so. Non lo so nemmeno io."

Perché quello sconosciuto ti chiama sorella allora?

Mi trattenni dall'imporgli una domanda così dura, la pressai fra i denti. Un interrogatorio non l'avrebbe rassicurata. E m'interessava di più che stesse bene, piuttosto che smascherare le sue bugie. In alcuni momenti, con alcune persone, persino la verità poteva passare in secondo piano.

"Chiunque sia non merita le tue lacrime."

Corinne rimase in silenzio, tanto che ebbi il dubbio per qualche minuto che non mi avesse sentita.

"Ho fallito" mormorò a un tratto, la voce roca. "Ho fallito con lui, e ho fallito anche con te."

"Me?" Trasalii.

Non rispose.

"Corinne, che razza di stupidaggini stai dicendo?" sbottai, gli ultimi residui di calma assorbiti dall'impeto. "Non so chi sia Faraji, però so chi sono io, e tu non ha mai fallito con me."

"Ho fallito, ho fallito, ho fallito..." Mormorii riempivano la sua bocca, mormorii che recitavano uno stesso mantra. Lo ripeteva come se stesse scrivendo su terra di sabbia, e questa fosse scalfita da una perpetua folata di vento. "Ho fallito, ho fallito, ho fallito..."

E allora, colta dalla rabbia, esplosi in un gesto che non avrei mai pianificato.

Uno schiaffo.

Il colpo sordo fremette dentro di me.

"Non azzardarti a dire una sciocchezza simile."

Corinne parve destarsi di colpo. Mi osservò in silenzio, gli occhi sgranati e confusi, un singhiozzo morente sulle labbra.

"Mi dispiace" disse in un soffio.

Scattò in piedi, l'uniforme spiegazzata e i ricci sconvolti attorno al viso. Le gambe quasi le cedettero e dovette appoggiarsi a una parete.

"Tu non stai bene."

"Sono solo un po' stanca" sussurrò. "Puoi andare."

Ignorai quell'invito per la seconda volta in un giorno. Le ordinai di stendersi sul letto, soffocando la preoccupazione insorta nel mio animo, e mi precipitai fuori dalla stanza. Dimentica dei rischi, corsi a piedi scalzi finché non ebbi il sentore di trovarmi di fronte la porta di Beatrice. Bussai incautamente.

"Beatrice! Beatrice!"

La donna comparve poco dopo, abbigliata ancora a giorno. "Santa pace!" Un'esclamazione in una lingua sconosciuta fuoriuscì dalla sua bocca. "Che fai qui, a quest'ora?" domandò irritata subito dopo. "Non mi pare di averti detto che potevi tornare. E storpi ancora il mio nome."

"Tu sei un medico."

"Così mi hanno detto alla laurea."

"Curi le persone ed è questa la tua priorità" proseguii, incerta.

"Arriverai diritta al punto da sola o dovrò ripetere il Giuramento di Ippocrate?"

Presi un sospiro profondo. Era raro che io seguissi un impulso senza riflettervi su, ancor di più se questo implicava far correre dei rischi a qualcuno che non fossi io. Non avevo alcun desiderio di mettere alla prova l'affidabilità di Beatrice, quindi dovevo inventarmi una menzogna abbastanza convincente che potesse quantomeno assicurare a Corinne la totale assenza di conseguenze.

"Ero venuta qui per cercare Miss Key" mentii. "Sono qui perché ho visto una ragazza, una cameriera penso, quasi accasciarsi al suolo, mentre tentavo di ricordare quale fosse la stanza di Miss Key. Sei l'unico medico che conosco, quindi..."

"Dov'è?" m'interruppe Beatrice.

"Nella sua stanza. È abbastanza confusa, dubito che abbia riconosciuto in me un'alunna. L'ho solo accompagnata, dato che mi sembrava un po' spaesata..." Bugie poco credibili scottavano sulla mia lingua.

"Hai per caso letto la sua targhetta?"

"L'ho vista di sfuggita" improvvisai. "Credo sia una C o una G."

"Oh." Uno strano sorriso si disegnò sul viso di Beatrice.

"La conosci?"

"T'interessa?" ribatté la donna, afferrando una valigetta. "Fammi strada."

La condussi, il cuore in gola e la bocca asciutta, fin davanti alla soglia della stanza di Corinne. Mi accorsi subito dell'effetto che la vista della ragazza, sfinita e distesa sul letto, ebbe su Beatrice. S'irrigidì un poco, una sfumatura di tenerezza le attraversò le iridi scure. C era stata vinta dalla stanchezza in quella decina di minuti ed era piombata in un sonno agitato, a giudicare dalle coperte scomposte.

"Io... io vado" balbettai, una stretta dolorosa allo stomaco. Dovevo mantener fede al mio ruolo. Dovevo farlo per Corinne.

Beatrice nel mentre aveva adagiato un palmo sulla fronte di Corinne. "Ha la febbre alta. Purtroppo un docente è stato così stupido da tornare dopo le ferie, nell'Istituto, ancora con l'influenza. Anche i Marchiati più piccoli si sono ammalati."

Mi sorpresi di sentirla parlare ad alta voce e rimasi impalata, la mano agganciata fermamente alla maniglia.

"Di solito noi resistiamo a questo genere di attacchi esterni, ma l'insegnante essendo in età avanzata ne ha risentito, e allo stesso modo un bambino è più esposto."

Una pausa.

"Le vuoi molto bene, vero?"

Spazio Fiore

Questo capitolo in realtà è solo la metà di uno più lungo, che sto ultimando. Mi sono accorta che stava venendo troppo lungo, quindi l'ho diviso in due capitoli più brevi. In più così posso dilungarmi un po' di più e aggiungere una sorta di "conclusione" a un capitolo che integralmente avrebbe sforato di troppo il limite.

Detto questo, tutt'ora non sono convinta di questo capitolo, ed è per questo che ho impiegato tanto per pubblicarlo. Giace nel mio computer da Venerdì. Concludo questo inutile spazio autrice rimandandovi a un continuo che sarà, e questa stavolta è una certezza, puntualissimo!

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