Capitolo XVI
"È corretto che tu conosca entrambi i punti di vista."
Furono queste le ultime parole proferite da L, e quelle con cui fuggì a passo svelto, abbandonandomi davanti a una porta semiaperta. Era stato un tragitto così breve e le sue spiegazioni così scarse, che non avevo avuto il tempo e il senno materiali per spillargli dalle labbra più di quanto non desiderasse.
A differenza di J, che con una certa arrendevolezza aveva dissolto i miei dubbi, L era stato più fermo. Non aveva la stessa motivazione del suo compagno, lo si intuiva dalla calma con la quale procedeva e la sicurezza che lo contraddistingueva, non sinonimo tuttavia di arroganza, bensì più vicina alla naturalezza che deriva da un gesto dal quale non si trae alcun profitto. Azzardavo addirittura che, se mi fossi fermata e fossi ridiscesa giù per le scale, lui non avrebbe ripetuto gli stessi sforzi di J e anzi, mi avrebbe lasciata andare di buon grado. E forse era stata proprio quest'impressione, sommata alla moderata fiducia che sentivo di poter nutrire nei suoi confronti, a spingermi a seguirlo.
"Avanti. So che sei lì, entra!"
La voce possedeva una compostezza che subito addomesticò il mio istinto. Sospinsi con cautela la porta, e mi ritrovai di fronte alla stanza più colorata che avessi mai veduto. Tappeti brillanti erano stesi sul parquet, dove intrecci di sfumature amaranto, arancioni, e giallo e pizzicavano il mio sguardo, abituato al grigiore dell'Heddem Institute. Una donnina sedeva al centro di essi, un'espressione solenne sul viso segnato dall'accenno di qualche ruga. Teneva i capelli lisci sciolti sulle spalle, e non potei non notare qualche filo argenteo fra di essi, altrimenti di un castano scuro.
"Io sono..."
"So chi sei" tagliò corto la donna. "Siediti."
"Ma io non so chi è lei."
"L non te l'ha detto?"
Indugiai un attimo di troppo, rammentando quel che aveva detto nei suoi riguardi L e d'un tratto, osservando lo sguardo interrogativo e duro della donna, non riuscii a immaginare quali altre informazioni utili dovessi conoscere sul conto di lei.
"Quel che ti turba è non sapere il mio nome?" proseguì, leggendo forse un'aspettativa sul mio volto. "In tal caso, è Beatrice. Non come lo pronunciate voi inglesi, ma all'italiana. Lo puntualizzo sempre, anche se dubito servirà, sbaglierai lo stesso pronuncia. Lo fanno tutti. Ti prego almeno di storpiarla al meglio."
Solo in quel momento avvertii il suo accento straniero, mascherato dalle abilità linguistiche, e una lieve eccitazione mi pervase lo stomaco. Lei non aveva studiato all'Heddem Institute, altrimenti la sua lingua madre sarebbe stata l'inglese. Le differenze di provenienza lì si appiattivano alla sola certezza di appartenere all'Istituto, e di essere destinati ad appartenergli per sempre.
"Beatrice?" Quel nome non suonava estraneo nella mia testa, per quanto fosse stato pronunciato con differente tono e differente accento, in un contesto lungi da quello in cui mi trovavo.
"Sì, Be-a-tri-ce. Ora siediti. Abbiamo molto di cui discutere e il tempo è veramente poco."
Le obbedii, mentre un dubbio iniziava a formarsi nella mia testa. Non esitai a dargli voce tuttavia, ed ella rispose con un sorriso dall'orgoglio impercettibile.
"Non sono un'infermiera, ma una dottoressa. Tuttavia non è questo argomento di dialogo, poiché ripeto che il tempo sfugge e io ancora non ho assolto ai miei doveri" dichiarò con fermezza. "Dunque, direi di saltare le premesse. Miss Key ti ha fatto una proposta, una proposta su cui avrei molto da ridire a onor del vero, ma anche questo sarebbe una completa e inutile perdita di tempo prezioso." Una lieve nota di irritazione marcava la sua voce ed era palpabile il desiderio che invece aveva di sollevare le sue critiche. Non lo fece, però, come aveva preannunciato, e io non avvertii la necessità di udire la sua opinione, che mi sarebbe stata solo causa di un'ulteriore rete di dubbi e incertezze.
"Non appena L ha organizzato quest'incontro, sotto mio consiglio, ho immaginato che sarebbe stato complicato riassumere tutto quel che hai il diritto di sapere in meno di un'ora. Ma ho acconsentito, perché la mia coscienza avrebbe impedito il contrario" proseguì, più riflettendo ad alta voce con sé stessa, che rivolgendosi a me. Subito dopo il suo sguardo si fece più presente e denso e asserì: "Io sono qui essenzialmente per farti conoscere l'altra faccia della medaglia, perché trovo scorretto illuminarla tramite l'ignoranza."
Un breve silenzio seguì le sue parole, ma io, talmente sbigottita anche solo per aprire bocca, non lo riempii di domande incatenate l'una con l'altra, come mio solito.
"La tua vita, se deciderai di entrare a far parte dei Neroveggenti, non sarà né serena, né facile."
"Lo immaginavo" replicai asciutta.
Quella donna già aveva smesso di ispirarmi simpatia. Mi riteneva stolta? Un burattino incapace di comporre un pensiero proprio? Anche senza che Miss Key lo dicesse apertamente, sapevo che qualunque strada avrei intrapeso, il Marchio sarebbe sempre stato un peso, e avrebbe disseminato il mio cammino di difficoltà. Non necessitavo di una dottoressa eccentrica per capirlo.
"Se è tutto quel che aveva da dire, sappia che non ne avevo bisogno. Arrivederci." Mi mossi per andarmene, ma la donna mi bloccò.
"Amira!"
Dunque ormai il mio nome era di dominio pubblico.
"La prego di non chiamarmi così e così ad alta voce" mi schermii adirata.
Ma la donna non mi stava prestando attenzione. Aveva abbassato le palpebre e mormorava qualche frase sottovoce, in una litania indistinta. Rimasi a osservarla, colpita dalla sua concentrazione, intrappolata nella mia posizione.
Quando riaprì gli occhi, erano neri, più neri di come erano quelli di R, il bambino che mi aveva intenerito in una notte ormai lontana.
"Lei..." sussurrai, il fiato mozzato dalla paura e dalla sorpresa.
Beatrice non mi udiva. Non sembrava essere conscia di me, o della stanza, o dei tappeti sgargianti.
"Beatrice..."
Nel sentire il suo nome, le iridi della donna tornarono normali, tingendosi di umanità.
"C'eri quasi, stavolta. Ma ricorda che è una C, non una S." Un sorriso sornione curvò le labbra della donna. "Ho come l'impressione che ora sarai disposta ad ascoltarmi!"
"In infermeria, quando sono svenuta, ho visto un bambino" proferii, dopo qualche attimo di titubanza. "Aveva i suoi stessi occhi."
"Eri tu, quindi! L'avrei dovuto immaginare!" esultò, spiazzante. "Quel Robert è troppo sciocco per suggerire un'idea così fantasiosa. Ah, Samantha! Se lo sapessi!" La sua voce si frantumò in una risata liberatoria e la stanza s'impregnò di quella stessa, spontanea, allegria. Era difficile veder qualcuno scoppiare a ridere, in qualunque ambiente di quell'Istituto. Era incredibile come gli alunni studiassero cinque lingue differenti, e non sapessero produrre una vera risata in nessuna di quelle.
Beatrice travisò la mia espressione pensosa e spiegò: "Robert è un collaboratore che Samantha mi ha appioppato l'anno scorso, nella speranza di trovare un rimpiazzo e potermi scacciare dalla scuola. Non corro rischi, però. È un totale incapace. Ma circa un mese fa si è attribuito il merito di aver compiuto un miracolo." Una smorfia di stizza le comparve sul viso. "Sapevamo entrambi che non era stato lui. Gli avevo permesso di terminare il turno prima, per aiutare J, anche se non ero del tutto d'accordo. Il mattino dopo, quando abbiamo visto che il nero aveva iniziato a sbiadire dai suoi occhi, non potevo credere che ne avesse combinata una giusta. Quell'idiota si è subito andato a vantare da Samantha. Naturalmente. Più tardi R mi ha detto che aveva fatto quel che io gli avevo consigliato, riguardo alla cioccolata, e qualche dubbio è sorto. Ma, sai, si è ciechi quando si viaggia. Poteva aver confuso le voci. Solo che ignoravo quali voci avesse confuso." S'interruppe sulla cresta dell'entusiasmo e mi osservò, colma di ammirazione. "Con lui non ha funzionato nulla. Gli ho persino svelato il suo nome, anche se non avrei dovuto, perché quello è un metodo infallibile. Eppure, mai avrei immaginato che una soluzione simile avrebbe funzionato. Trattare un viaggio come un sogno. Interessante. Molto." La calma stava lentamente riacquistando il suo spazio, e i termini stavano scivolando dalla sua bocca con intensità. Mi studiava come se fossi un esperimento.
"Sei più intelligente di quanto credessi" ritenne infine.
"Ne sono lusingata" feci in tono sarcastico. "Ora si degna di darmi uno straccio di spiegazione?"
"Poiché il tempo scarseggia, sarò breve. Sai già che gli Alternativi espellono la loro energia, anziché confrontarsi con essa. I Neroveggenti, al contrario, accettano quella parte di loro stessi e vi instaurano una simbiosi. Questo conferisce loro una visione diversa, più reale forse, delle cose."
"Che vuole dire?" la interruppi.
"Voi avete imparato che gli Alternativi convertono materia in non-materia. Giusto?"
Annuii, ancora confusa.
"Vedi, c'è un ragione per cui voi dite convertire, al posto di distruggere, come si è usato fino agli inizi del ventesimo secolo. Voi in realtà riportate la realtà alle sue origini, la ripulite di ogni illusione, seppur solo per qualche istante. È come se il mondo fosse una tela bianca, e noi i pittori che la disegnano, e la dipingono, e la rendono un'opera d'arte." Quanta poesia sussurravano le sue parole! E quanto acume ne traspariva, conficcandosi nel mio petto come una punta affilata. "Quando noi usiamo, in entrambi i casi, il nostro potere, l'illusione si spezza. E tutto si confonde e appare per com'è davvero. Il Caos, l'avrebbero definito gli antichi greci. La differenza fra di noi è che voi concentrate la vostra energia su un oggetto e rompete l'illusione per chiunque. Anche per chi non possiede il Marchio. Dopo però, dovete ricucire lo strappo. E il prezzo lo conosci." Si fermò. D'un tratto l'incertezza la macchiava. La riconoscevo nel suo sguardo, nella sua espressione. Temetti che non avrebbe ripreso. Ma invece riprese. E la violenza con cui parlò mi investì, una ventata d'aria bollente. "I Neroveggenti invece trascorrono un lasso di tempo, più o meno due ore al mese, in cui vedono la realtà nuda di ogni illusione. E durante il resto della loro esistenza sono costretti a sentirsi anime ancorate ingiustamente al proprio corpo, innalzate al di sopra del resto dell'umanità, ma mai abbastanza per non esserne parte, attori in un'illusione a cui dovrebbero credere. Hanno una vita colma di apparenza, solo perché troppo vicina alla sostanza. Il loro è un dolore che perdura in eterno, e li lacera silenziosamente, impietosamente, secondo dopo secondo." Tacque. Le guance colorate di rosso. Gli occhi colmi di emozione.
Incapace di metabolizzare l'intensità del suo soliloquio, la mente che formulava riflessioni sconnesse ed elettrificate dalla tensione, scattai in piedi.
"Lei... non mi deve dire altro?"
Beatrice era pallida, la vitalità che le avevo riconosciuto in precedenza era scomparsa dal suo volto. Si era dissolta fra le sue parole.
"J e Miss Key non dovrebbero sapere di questo nostro... confronto" mormorò.
"Perfetto."
Nemmeno posi qualche domanda al riguardo. Raccolsi le ultime briciole di senno che possedevo e uscii dalla stanza.
L'aria fresca che spirava dalla finestra accarezzò la mia pelle.
Spazio Fiore
Mi dispiace, ho saltato a pié pari un aggiornamento. Purtroppo ho dovuto ricominciare a svegliarmi alle sei ed è dura comporre una frase decente da stanchi. Spero che il vostro inizio anno sia andato bene e che il capitolo sia di vostro gradimento!
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top