Capitolo XIV

Un'altra notte particolare si dispiegava davanti a me.

Miss Key camminava nell'Aula XXIII con domita irrequietezza, i tacchi che battevano un motivo estenuante sulla pietra.

"Ti sei accorta che sto convertendo al posto tuo."

Non risposi. Quella constatazione non necessitava di conferme.

"Ti sei accorta anche che hai bisogno del mio aiuto."

Deglutii una risposta acida. Era lei ad avere ragione. Era lei a essere in vantaggio. E per quanto potesse essere irritante subire la sua voce incidere il mio orgoglio e rendere più netti i contorni della mia sconfitta, non avevo scelta.

"Lo prendo come un sì."

Spostò il suo sguardo glaciale su di me, un lieve sorriso le increspò le labbra e il tempo si addensò intorno a me.

Era quello il momento.

Eppure ancora faticavo ad aprire bocca, ad ammettere ad alta voce la mia sconfitta, e a investirla con gli interrogativi che echeggiavano nella mia testa e anziché affievolirsi, asfaltati dalle ore, divenivano sempre più forti, sempre più violenti... sempre più dolorosi.

"Gli altri... W, J, L... loro non provano nulla." La osservai, dura in viso, osservai il divertimento baluginare nel grigio delle sue iridi. "Perché?"

"Mi aspettavo ci arrivassi da sola."

"La speranza è la più logorante delle illusioni."

Miss Key sembrò accorgersi della mia presenza solo in quel momento. Pose un freno a quel suo movimento incessante e una tiepida soddisfazione insorse dentro di me, nel realizzare di aver ottenuto la sua esclusiva attenzione.

"Suggestiva e poco realistica. Vero?" esordì. "Tuttavia riassume alla perfezione quello che non avrei potuto spiegarti in tre incontri. Un risparmio di tempo e noia per entrambe."

"Si è appena contraddetta" obiettai.

"Non credo."

Miss Key si diresse in un angolo della stanza, nel quale il fascio della torcia non arrivava. Si curvò, la sagoma della sua schiena tratteggiata dalle tenebre, e io indugiai per qualche secondo.

Nell'Istituto un gesto simile avrebbe significato scarsa volontà di proseguire con la conversazione. Ma lei non era una comune insegnante dell'Istituto e io non corrispondevo di sicuro ai canoni di studentessa perfetta, quindi proseguii imperterrita.

"È falsa, che dovrebbe insegnarmi?"

Miss Key raddrizzò la schiena, lo chignon albino ebbe un lieve fremito.

"Sei arrivata qui a tre anni. Dovresti conoscere le fiabe."

Sussultai, divenni più pallida di quanto già non fossi e una lacrima di ghiaccio scese lungo la mia schiena.

"Sì" mormorai, la bocca asciutta.

"Ricordi... Biancaneve? O La Sirenetta?"

Uscì dal buio con due sgabelli, fluttuando sui tacchi, e li poggiò a terra.

"Pinocchio? O La Bella e la Bestia?"

"Cenerentola" interruppi la sequela di titoli a me sconosciuti. "Ricordo Cenerentola."

Mi sedetti, rendendomi conto solo in quel momento di quanto fossi stanca.

"Esempio perfetto." Miss Key occupò l'altra scomoda seduta, curandosi che l'abito bordeaux non si stropicciasse. "È chiaro che non esista il Principe Azzurro. Ma è discretamente possibile che invece l'amore, o quantomeno il matrimonio, sia reale."

Un silenziò imbarazzato seguì alle sue parole. Un silenzio che Miss Key soffocò sul nascere.

"In quanto al resto... ti sei mai chiesta la ragione della rigidità dell'Heddem Institute? Ti sei mai chiesta perché vengono portati qui da neonati?"

Non ci avevo mai riflettuto a lungo. Intuivo riguardasse i Marchi, sì, ma attribuivo la mania del controllo a un colpo di follia dei fondatori. Oppure ritenevo che interrogarmi su quel dettaglio non avrebbe fatto alcuna differenza, dato che io ormai ero lì, chiusa in quei muri impermeabili al mondo circostante, e quello non sarebbe cambiato.

"No" ammisi.

"Avresti dovuto. Perché è nel problema che risiede la soluzione." Fece una pausa, come se fino a quel momento si fosse trovata su un'auto in corsa e fosse stata costretta a una brusca frenata.

D'un tratto capii di aver sbagliato domanda.

Miss Hedd mi aveva definito un imprevisto, al mio arrivo. Un problema. E se tutto si riconducesse lì, all'espressione infastidita della vicedirettrice?

Nonostante mi fossi ritenuta sempre diversa, a volte anche migliore degli altri alunni, non avevo mai riflettuto sulla motivazione concreta che portasse Miss Hedd a odiarmi.

Sarebbe stato naturale se, dopo le continue insolenze subite dai professori e le svariate volte in cui avevo infranto il Regolamento, lei non mi avesse preso in simpatia. Ma sin dal primo giorno, sin dal primo istante in cui l'avevo vista, i suoi occhi scuri erano stati colmi di rabbia, disgusto e disprezzo nei miei confronti.

Non dovevo chiedermi per quale motivo W, J, L, o chiunque altro non provasse nulla mentre convertiva. Dovevo chiedermi il motivo per cui io fossi costretta a quella sofferenza atroce, perché io avessi sempre costituito un problema all'interno di quel freddo edificio.

"Sono diversa dagli altri alunni" enunciai, ferma.

Miss Key curvò appena le labbra in segno di consenso, un invito a proseguire. Solo che io non ne avevo bisogno.

"Sono arrivata qui tardi. Non ho visto nessun altro arrivare qui alla mia età." Mi accorsi di star stringendo convulsamente i bordi usurati dello sgabello, le nocche prive di colore. Rilassai i muscoli, mentre udivo le parole risuonare nella stanza ancor prima che le pronunciassi. Era come se fossero state sempre lì, in attesa di essere consumate sul silenzio. "Loro non conoscono le fiabe che conosco io. Loro non hanno avuto l'infanzia che ho avuto io. Loro non hanno avuto la vita che ho avuto io. Ed è questo il problema, è questo il motivo per cui io provo qualcosa e loro no."

"Perspicace" mormorò Miss Key. "Molto perspicace. Ma non abbastanza. Sbagli ancora termine."

"Quale?" Non mi abbandonai alla confusione, la stanchezza annullata dalle scariche di tensione che convergevano dentro di me.

"Tu non provi, Amira." Mi fissò intensamente. "Tu ricordi."

Si rizzò in piedi e riprese a camminare. Anziché restare a osservarla come all'inizio del nostro incontro, non esitai a seguirla, un flusso di rinnovata sicurezza in corpo.

"E loro non hanno nulla da ricordare" dedussi.

"Giusto."

Miss Key si bloccò di fronte alla parete destra della stanza e anch'io dietro di lei mi fermai a un soffio dallo sbattere contro le sue scapole ossute.

"Ricordi quando ti parlavo di fiabe?"

"È accaduto circa dieci minuti fa."

Iniziò a tastare i mattoncini di pietra inerte, con un'indifferenza e una classe tali da lasciar credere che non vi fosse assolutamente nulla di strano nel suo comportamento. Ma forse, considerando che la stessa procedura era stata subita dalle assi di legno sul pavimento e aveva svelato un passaggio segreto, era proprio così.

"Molti ricordano avvenimenti accaduti anni fa e ignorano cosa hanno mangiato a pranzo" replicò asciutta Miss Key, dopo qualche istante. "Dunque... anche la leggenda è una fiaba, almeno per coloro che sono sani di mente, e ha degli insegnamenti nascosti. Il Nulla si attacca a tutto ciò che è reale e lo disintegra. E avrebbe distrutto questo mondo da tempo, se non avessimo avuto una sostanza che a quanto pare gli resiste chiamata impropriamente ualoV*, in greco antico alabastro, cristallo o vetro."

"Come le bottiglie."

"Come le bottiglie." confermò l'insegnante sovrappensiero. Si spostò verso il centro del muro, senza smettere di... accarezzare? Toccare? Insomma, fare quel che stava facendo.

"Mi può dire che sta cercando? Un altro passaggio nascosto?"

Il mio nervosismo palpabile non la scosse di un millimetro.

"No."

"Quindi è solo un hobby?" la incalzai, con l'ironia che mi contraddistingueva.

"No."

"Perfetto." Trassi un respiro profondo. Sarebbe stato meglio mantenere la calma. "Può dirmi almeno se questo tempo sprecato sarà utile?"

Miss Key smise di muoversi per un secondo, le dita ferme in un punto del muro. Subito dopo si sfilò una forcina dallo chignon e iniziò ad armeggiare. Una ciocca tremò e si liberò dall'acconciatura, sciogliendosi in una sottile scia albina.

Nell'Istituto non era permesso alle alunne di tenere i capelli lunghi o di scegliere come sistemarli. Tutte avevamo lo stesso taglio, che veniva ridefinito una volta ogni due mesi, ricorrenza in cui alcune cameriere s'improvvisavano parrucchiere e dieci aule venivano riempite da svolazzanti ciuffi di capelli. Ai ragazzi invece venivano tagliati ogni tre mesi.

Non m'interessava il gesto in sé, dato che non avrei mai sprecato un solo minuto per riflettere sull'aspetto della mia capigliatura, ma quel che rappresentava. L'ennesima ostentazione di potere dell'Istituto.

Uno sfregare sommesso mi riportò alla realtà. E Miss Key, di fronte ai miei occhi, tirò un cassetto fuori dalla parete.

Sebbene non fosse di sicuro quanto di più sorprendente potessi vedere, celai a stento la sorpresa.

"Sapevo che c'era ancora" si limitò a dire Miss Key.

Mi avvicinai per osservare il contenuto del cassetto fantasma, mimetizzato alla perfezione con la parete contigua.

All'interno era fatto di legno e, adagiati sul fondo del cassetto, c'erano una pila ordinata di fogli bianchi, un quaderno con la copertina blu cobalto e una decina di penne e matite appuntite.

"Per non rovinare l'atmosfera dell'aula, decisero di inserire questo cassetto nella parete, in caso di necessità. So che hai conosciuto solo le lezioni monotone di Serringard, che si rifiutava di insegnarvi a convertire, ma ai miei tempi già dai dodici anni si iniziava. Oggetti piccoli, all'inizio, certo. Poi sempre più grandi" narrò con voce spenta. "Una cattedra avrebbe solo occupato spazio" aggiunse, riassumendo il suo solito tono a metà strada tra il glaciale e il costantemente irritato.

"Perché l'Aula è stata chiusa così a lungo?"

"Sicurezza" dichiarò Miss Key. "Giù c'è il Contenitore."

"Ma c'è sempre stato. Vero?"

"Sì, è così." Puntò lo sguardo sul vuoto per alcuni attimi e io non ebbi il coraggio di approfondire.

"Prendi una penna" ordinò.

Afferrò un foglio bianco, lo tenne saldo in una mano, l'altra avvinghiata intorno alla torcia, e percepii il suo sguardo incollato come sudore sulla mia mano mentre prendevo una penna dal mucchio.

"A cosa servono?"

"Ti devo mostrare una cosa."

Ci sedemmo sugli sgabelli, il foglio posato sulle sue ginocchia, e le porsi la biro.

"Devi sapere che l'intera organizzazione dell'Istituto è volta al proteggere i suoi alunni, per quanto possa sembrare assurdo" dichiarò. "Vedi... quando si converte, non si rivive un ricordo qualunque. Si rivive il dolore più forte, incisivo, sfibrante, della propria vita."

Lo avevo intuito, ma non aprii bocca, desiderosa di saperne di più.

"Ma un dolore è forte, solo se paragonato allo stato emotivo medio. Se una persona soffre, e non smette mai di soffrire, non saprà di star soffrendo. Mi segui?"

Annuii, mentre assorbivo ogni sua singola parola.

"Mentre una persona felice è, paradossalmente, più soggetta al rischio di provare dolore." Miss Key tolse il tappo alla biro, ma la penna non tracciò riga sul foglio. Lei la osservò, non con fastidio, bensì con estrema intensità. Passò qualche secondo prima che si riscuotesse e mi domandasse di prenderle un'altra penna.

Accadde anche con la seconda, la terza, la quarta e la quinta penna.

A quest'ultima lei sospirò, ancora all'apice della tranquillità, e mi consigliò di prenderne una con il tappo argentato.

Io lo feci e quella, sorprendentemente, scrisse.

"Immagina una linea retta" riprese, e tracciò una riga netta sulla carta. "Questo è lo stato d'animo medio di un individuo qualunque. In teoria, lui potrebbe essere un orfano la cui maggiore gioia sarebbe stabilirsi in una casa o un signore sposato, attorniato dalla sua famiglia. Potrebbe essere chiunque, ma non è importante." Segnò un punto al di sopra della riga. "Questa la riterrà felicità. E questo...", fece un altro segno sotto la linea, "...lo considererà dolore."

Osservai la linea e i punti, immaginando cosa si potesse celare dietro ognuno di loro.

"L'Istituto si prefigge di mantenere questa riga il più invariata possibile. Poiché è molto facile che una sofferenza debole, come quella che possono aver provato W o J, non sia abbastanza potente da richiamare il ricordo. Loro navigano solo in una sorta di silenzio ovattato, con il sentore di dover ricordare qualcosa, senza riuscirci."

"Ma a diciannove anni si esce dall'Istituto, o almeno questo vale per gli studenti regolari" obiettai.

"Con l'adolescenza si acquista stabilità."

"Stabilità? I ricordi smettono di... valere?" chiesi confusa.

"Più o meno."

"Che succede?"

"Lo vuoi davvero sapere?"

Il suo sguardo era muto, ma l'energia che emanava era ipnotizzante.

Mi irrigidii.

Lo volevo davvero sapere?

In passato non avrei dubitato, nemmeno per un istante. Ma riconobbi che quella notte non ero pronta, non dopo ciò che avevo scoperto.

Il silenzio parlò al mio posto.

"Saggia decisione" disse Miss Key. "Ora ti farò una proposta. Una proposta che dovrai esaminare con attenzione."

"Ti ascolto."

"Puoi scegliere. Io ti posso iniziare al mondo della neroveggenza con ciò che conosco, affinché tu ti unisca a noi quanto prima e fugga quest'Istituto. Ritornerai a Londra, dove la comunità di tuo padre ti aspetta, e non dovrai mai più convertire." Si mise in piedi, innalzandosi sopra di me. "Oppure ti darò ogni aiuto impossibile per far sì che tu converta, ma non illuderti. Non si tratterà mai di una procedura indolore. Può solo velocizzarsi, divenire come lo strappo di un cerotto, solo mille volte più atroce, e smettere di essere così evocativo."

Rimasi in silenzio, attonita da quel che mi aveva concesso. Era più di quanto osassi sperare. Eppure...

"Hai bisogno di tempo." Miss Key lesse il dubbio nella mia espressione.

"Sì" mormorai.

"D'accordo. Contatta J, come l'ultima volta. Gli ho fatto avere una copia della chiave della sua stanza, quindi potrete vedervi anche in serata tarda."

Recepii appena quanto mi aveva detto, la udii intimarmi anche di sistemare gli sgabelli, ma forse fu solo la mia immaginazione. In ogni caso, non lo feci.

Me ne andai dall'Aula, e percorsi i corridoi come se fosse la prima volta. Tutto mi appariva diverso. Più familiare, più sicuro.

Mi sentivo diversa.

Forse perché in un oceano tempestato dai dubbi, una nuova consapevolezza ardeva in me.

Non soffrivo perché ero strana, o avevo sangue di neroveggente in corpo.

Soffrivo perché c'era stato un tempo, per quanto lontano, in cui ero stata felice.

Spazio Fiore

L'ultima volta mi ero dimenticata di dirvi che ho cambiato l'iniziale di Z (il compagno di J) con L. Detto questo, mi dileguo. Alla prossima!

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top