Capitolo X

"Non urlare."

Le ombre scavavano il volto cereo dello sconosciuto, un ovale dal mento aguzzo. Sebbene non spendessi molto tempo insieme ai ragazzi, riconobbi in lui dei lineamenti familiari. La sfumatura platino dei capelli, le iridi castane, l'incarnato pallido.

"Urlare? Non mi conosci" replicai scettica.

J non si scompose. I suoi occhi saettavano sul mio volto, impermeabili a qualunque emozione, e mi studiavano con accortezza.

"Hai intenzione di parlare?" sbottai dopo qualche minuto.

Un'ombra d'emozione lampeggiò nel viso dell'individuo che si era introdotto nella stanza. Fu repressa così velocemente da passare inosservata, di fronte a una persona normale. Non a me.

"Dovrei, in effetti."

Mi accorsi che, a discapito della sua espressione impassibile, le dita di J fremevano di nervosismo e torturavano la torcia, come se fossero percorse da scariche elettriche. Sembrava che si fosse svegliato all'improvviso in quella stanza, in quella posizione, e fosse costretto a destreggiarsi in un contesto a lui estraneo.

In un altro momento sarei stata comprensiva. Forse. Ma in quei giorni avevo esaurito una quantità di pazienza pari a quella che avevo sprecato in quindici anni di vita.

"Potrei riconsiderare l'opzione delle urla."

"No!" J scattò in avanti e premette una mano sulla mia bocca. La sorgente della luce rotolò sul pavimento e un velo d'oscurità adombrò il viso del ragazzo. Riuscivo a percepirlo solo attraverso il suo respiro affannato, unico rumore in quell'immenso silenzio. "No" ripeté, la voce intrisa di disperazione.

"Hai ragione. Iniziamo dal principio. Ti trovi nell'infermeria dell'Istituto, è quasi l'ora del coprifuoco. Una persona mi ha mandato da te. Una persona il cui aiuto ti è necessario. E io ho il compito di portarti da lei" spiegò, le frasi che si rincorrevano senza sosta. "Se mi seguirai, entrambi avremmo ricavato qualcosa da questa nottata. Ci stai?"

Mugugnai infastidita e J, imbarazzato, mi liberò.

"Ci sto. Ma riprovaci e te ne pentirai" sibilai.

"Non oserei mai" ribatté, il tono indecifrabile. "Recupero la torcia e andiamo."

Il telaio del letto cigolò, segno che J stava scendendo.

Lo imitai e poggiai i piedi nudi sulle mattonelle, liscie al tatto. Un'infiermera doveva avermi tolto gli scarponcini. Un brivido strisciò lungo la mia spina dorsale nell'accorgermi che, oltre ai piedi, aveva avuto la splendida idea di svestirmi. Indossavo solo una leggera camicia da notte, poco adatta a una fuga notturna.

"Aspetta!" esclamai verso J. Troppo tardi. Sentii l'interruttore della torcia che scattava e un getto di luce accecante fu puntata su di me. Di recente mi capitava spesso.

"Oh" mormorò il ragazzo. "Oh. Sei..."

"In camicia da notte. Sì." Annuii inespressiva. "Esci. Devo mettermi l'uniforme."

"Io... vado. Ti aspetto. Davanti alle scale."

"Ti troverò" assicurai ironica. "Esci."

Appena J si chiuse la porta alle spalle, un sospiro di sollievo mi rinfrescò la gola riarsa. Da quanto non bevevo? Scacciai il pensiero dalla mente. Dovevo trovare la mia uniforme, prima di tutto. Ed ero immersa nel buio più totale.

Tastai la parete, in cerca di una lampada. Scoprii che al lato del mio letto opposto alla porta c'era un comodino. E su di esso, una graziosa abat-jour. La accesi vittoriosa e notai che la stanza era più ampia di quanto mi aspettassi. Da piccola, a causa dell'isolamento, la infermiere venivano nella mia camera quando non stavo bene. Ero finita lì una o due volte e mai per più di un'ora.

Un mugolio si levò da un angolo della stanza. Raggelai. Non ero sola. Il mugolio divenne presto un lamento che squarciava l'atmosfera inerte dell'infermeria, e il timore che fosse udito serrò il mio stomaco.

Mossi alcuni passi verso il suono, incerta. E se avessi solo peggiorato la situazione? Tuttavia ormai avevo deciso. Affrettai il passo, mentre letti intonsi sfilavano di fianco a me, finché non ne trovai uno occupato.

Un bambino di appena tre anni stava apparentemente dormendo. Utilizzai la sua lampada per illuminargli il viso, bianco come un lenzuolo. Era scosso dai brividi e uno stridio lamentoso si levava dalle sue labbra, aumentando di volume ogni secondo.

Era addormentato.

Un'idea lampeggiò nella mia mente. Potevo cercare l'uniforme e lasciarlo là. Non mi avrebbe sentito.

Eppure non ne ebbi la forza. Lo destai d'impulso, scuotendo il suo corpicino gracile.

Il bambino spalancò gli occhi di colpo. Trasalii. Erano neri, l'iride non si distingueva dalla pupilla.

"Ho avuto il solito incubo. Sei... sei Beatrice?"

"Sì" mentii. "Che succedeva, piccolo?"

"Mi chiamo R. Te l'ho già detto, non lo ricordi?" Lo sguardo del bambino si tinse di delusione ed ebbi una stretta al cuore.

"Perdonami. È tardi e non riesco a ricordarlo chiaramente. Potresti raccontarmelo di nuovo?" Mi sforzai di sorridere, ignara del motivo che mi spingesse ad aiutare R.

"Mi trovavo in un posto. Era tutto nero. E io ero l'unico lì, l'unico colorato. Per questo volevo diventare nero. Come il resto. Ero solo" sussurrò il bambino, lo sguardo assente.

"Non preoccuparti. Era solo un incubo. Torna a dormire."

"E se ritornasse? Ritorna sempre." R mi osservò spaventato, sicuro che io, o almeno colei che credeva fossi, avesse una soluzione.

"Pensa a qualcosa di bello."

"Tipo?"

"Tipo..." Il mio sguardo vagò nella camera e si posò su un piatto su cui erano sparse delle briciole, adagiato sul comodino di R. "... ti piacciono i dolci?"

"Sì! Soprattutto i dolci al cioccolato!" Il bambino curvò le labbra in un tenero sorriso sdentato.

"Bene... allora immagina che, al posto del nero, ci sia in una stanza fatta di tavolette di cioccolato. Ricorda che l'incubo è il tuo. Tu sei il re indiscusso laggiù."

"Lo farò" mormorò R, più sereno.

"Bravo. Adesso terrò ancora la lampada un po' accesa, ma non preoccuparti. Dormi, sarai stanco."

"D'accordo."

Feci per alzarmi, ma R mi bloccò. "Non mi dai il bacio della buonanotte?"

Rilassai i muscoli, per un terribile istante avevo creduto si fosse reso conto della mia vera identità. Mi chinai su di lui e premetti le labbra sulla sua fronte bollente. R abbassò le palpebre e in poco tempo il respiro divenne regolare.

Solo quando mi staccai dal letto, scorsi un segno sbiadito sulla tastiera di legno. Una croce rossa, disegnata con il pennarello. Turbata la cancellai con un lembo della camicia. Non sapevo cosa significasse. Non lo sapevo, eppure sentii la necessità che smettesse di gravare sul capo di quel bimbo innocente.

Mi maledissi subito dopo. Qualcuno si sarebbe accorto della sua mancanza. Presi persino in considerazione l'idea di cercare il pennarello e ritracciarla, ma stavo già ritardando abbastanza. R mi aveva distratta dal mio obiettivo principale: trovare la divisa scolastica.

Frugai nei cassetti, frenetica, finché non la trovai, ripiegata con cura. Gettai su una sedia la veste setosa e mi abbottonai la camicia, mentre con l'altra mano tiravo su la gonna a pieghe. Spensi in fretta le lampade e uscii dalla stanza di corsa, a piedi scalzi.

J mi aspettava di fronte alla rampa di scale, gli occhi guardinghi che percorrevano l'infinito corridoio. Si fermò quando mi vide.

"Ci ho messo molto. Ho impiegato molto per trovare la divisa. Mi domando perché tanti cassetti vuoti, se nell'Istituto non ci si ammala mai. Sai che non c'era nemmeno l'ombra di un'infermiera?"

J si riscosse e borbottò: "Un mio amico se ne sta occupando."

"Chi?" m'informai.

"Il mio compagno di stanza, L."

Incominciò a scendere le scale, gli scarponcini che rintoccavano sulla pietra.

"Dove andiamo?"

"Al piano di sotto."

"E il tuo amico?" proseguii, insoddisfatta.

"L sa cosa fare. Fidati, lui ha meno bisogno di aiuto di noi due." Eravamo ormai alla fine della prima rampa di scale. J si voltò, fissandomi colmo di serietà. "So che vorresti delle risposte. E le avrai dalla persona da cui ti sto portando."

"Tu cosa ci guadagni?"

"Libertà." Una scintilla di vita attraversò i suoi occhi, tingendoli di speranza.

"Libertà?" Mi rivolsi a lui, incuriosita.

Tuttavia J non mi stava ascoltando. Eravamo appena giunti al piano inferiore a quello dell'infermeria. I sotterranei. E lui aveva già posto l'attenzione sul corridoio deserto.

"Siamo arrivati" constatai, dimentica a un tratto di J. Energia liquida iniziò a bruciarmi nelle vene alla prospettiva dell'imminente incontro. Quella persona avrebbe risposto alle mie domande? Conosceva il mio passato? L'avevo già incontrata in precedenza?

E soprattutto, chi era?

"Seguimi" mormorò il ragazzo.

"Mi vuoi dire dove stiamo andando?"

"Lo scoprirai tra pochi secondi" si limitò a ribattere J.

Il suo passo divenne più urgente, più rapido, e si distanziò da me.

"Non è una risposta."

Lo rincorsi, testarda.

"Non te lo dirò" Si bloccò, la voce dura, il volto a pochi centimetri dal mio. La luce della torcia gli scivolava sulle ciocche bionde e conferiva riflessi perlacei al suo incarnato chiaro. A differenza mia, i cui colori si confondevano nell'oscurità, lui avrebbe riscontrato problemi persino senza la torcia. Non passava inosservato.

"Spegnila."

"Cosa?" mormorò lui, disorientato.

"Può darsi che i camerieri stiano ancora mangiando. Molti ci ignorerebbero, ma altri hanno giurato fedeltà all'Istituto ancor prima che noi nascessimo." Lo squadrai dall'alto in basso, critica, di fronte alla sua espressione sbigottita. "E tu sei più luminoso di un lampadario."

"Be', ma... io..." bofonchiò J, colto alla sprovvista.

"Sì, sì, non ci avevi pensato. Non hai perso credibilità, tranquillo."

Il mio sarcasmo parve ferirlo nell'orgoglio, riuscii quasi a scorgere l'animale prevaricante celato in lui rintanarsi nella cuccia, bollente di vergogna.

Gli diedi una pacca sulla spalla e gli strappai la torcia di mano, mentre lui rimaneva imbambolato. Le ombre calarono sul corridoio, che impressi come una fotografia nitida nella mia memoria, e lo strumento divenne solo un misero pezzo di metallo. Nel sfiorarla, percepii sotto le mie dita un intarsio. Lo percorsi, tentata dal riaccendere la torcia, ma compresi subito ciò che rappresentava. Due iniziali. Quelle dell'Istituto.

"L'hai rubata?"

"Cosa?" J si ridestò dallo stato in cui era crollato.

"L'hai rubata?" ripetei, fissando la sua sagoma indistinta, l'abbozzo di un disegno mai terminato.

"Mi è stata data."

"Data? Da chi? Solo il personale che ricopre i ruoli più importanti e i docenti possono averla" ragionai assorta.

"Me l'ha prestata la persona da cui ti sto portando." Un sorriso baluginò sfocato nel buio.

Corinne non avrebbe mai messo su una sceneggiata simile per vedermi e lei conosceva ogni membro del personale. Di sicuro un tentativo d'incontrarmi premeditato come quello non le sarebbe sfuggito. Ciò conduceva a un'unica soluzione.

"Un insegnante. Cosa potrebbe volere un insegnante, da me?" mormorai più a me stessa che a J.

"Non lo so. La persona coinvolta non vuole svelare la sua identità, perché crede che tu non andresti da lei se la conoscessi. Tuttavia..." Il suo tono si colorò d'imbarazzo. "Mi sembra che tu sia abbastanza intelligente da non scappare, ora che sei tanto vicina."

Non lo ringraziai per il tacito complimento, temendo che la volontà gli venisse meno nel momento cruciale.

"Colei che mi ha pregato di vederti, che mi ha fornito la torcia, che ha organizzato tutto questo è... Miss Key"

Ebbi quasi un mancamento nel ricordare i minuti d'inferno che avevo speso quel pomeriggio, solo a causa sua.

"Stai bene?"

"Cosa vuole?"

Arretrai barcollando, contro la mia volontà. Se mi avesse costretta a convertire un'altra volta? Se mi avesse domandato il motivo per cui ero svenuta? Non potevo confessarle la verità. Il capo allucinato dalla paura mi suggeriva di scappare, di abbandonare J.

"Mi dispiace..." sussurrò lui. "Io so poco. Meno di te, forse."

"Credimi, è impossibile" lo interruppi, colma di astio.

"Se desideri, puoi andare via. Ma questa occasione non si ripresenterà di nuovo o sarà difficile da replicare, in ogni caso."

"Tu non capisci..." eruppi, la voce spezzata e inerme.

"Hai ragione. Non capisco, non posso capire. Mi è impossibile immaginare cosa ti sia successo stamattina. Mi è impossibile comprendere le tue ragioni, perché non ne conosco la natura. Eppure, se entrambi ci troviamo qui, in una notte sperduta tra le migliaia identiche dell'Istituto, smaniosi di libertà, ci dev'essere un legame tra noi due. E solo in nome di quello, ti supplico. Resta."

Spazio Fiore

Sono leggermente in ritardo, ma questo capitolo è più lungo del solito. Vi piace questo nuovo personaggio (maschile, finalmente)? Ho visto che nello scorso capitolo già avevate iniziato a shippare ahahahah

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