Capitolo VIII

Una cinquantina di ragazze stavano ancora aspettando le loro compagne in mezzo al corridoio. Non mi fu difficile individuare la matassa rossa di W, seppur la ragazza fosse voltata.

Avanzai con discrezione verso di lei, cancellando ogni forma di espressione dal mio viso. Nessun luogo all'Istituto poteva essere considerato sicuro. Sapevo che, chiunque avesse ascoltato o inteso quanto accaduto, non avrebbe esitato a raccontare tutto a Miss Hedd.

Nel corso degli anni avevo rischiato di finire in isolamento fin troppe volte. Ciononostante la mia sfrontatezza riusciva sempre a scamparla per qualche assurdo motivo.

In ogni caso W si era esposta per aiutarmi e non avrei permesso che si rovinasse compiendo qualche gesto avventato. Sentirmi in colpa era l'ultima delle mie necessità.
Poggiai una mano sulla sua spalla, ancora indecisa sulle parole da utilizzare. Dovevo essere cauta, al fine di evitare una reazione degna di spettatori.

W si voltò di scatto, la mascella serrata. Sembrava nervosa. Più del solito.

"Ho finito."

"Di già?"

La scrutai imperturbabile e W si morse un labbro scarlatto.

"Di già." scandii. "Andiamo."

M'incamminai, più che decisa ad abbandonare la zona del nemico. A quanto pareva tuttavia, W non aveva afferrato il concetto.

"Aspetta!" esclamò dietro di me.
Due ragazze accanto a noi ci lanciarono uno sguardo ambiguo. Ci stavano ascoltando.

"Aspetta, A! Dovresti sapere che--" farfugliò, fissando il pavimento.

"Taci." sibilai. "Impara da chi è più esperto di te." proseguii, con voce appena udibile.

W assunse un colorito perlaceo e le si dilatarono le iridi verdi, traboccanti di terrore. Prima che potesse lanciarsi la tipica occhiata intorno, conferma dei loro sospetti, afferrai un lembo della sua camicia e la trascinai di peso lungo il corridoio.

W non parlava, né si ribellava alla mia presa. Fissava il vuoto, il volto una maschera di ghiaccio. E intanto il muro grigio, intervallato dalle anonime porte bianche, scorreva al mio fianco. Neanche stavo tenendo il conto delle stanze. Non me ne importava.

"Qui" W puntellò i piedi a terra.
Trasalii, colta di sorpresa, e il tessuto della camicia di W scivolò tra le mie dita.

"Sai anche questo" constatai, la bocca impastata.

Imbarazzata W chinò il volto, le labbra curvate in un sorriso nervoso.

"Sapevi che avevo la chiave"

"Sì, ma..." tentò la ragazza.

"E per qualche inspiegabile motivo, sapevi che gli uomini di Miss Hedd avrebbero evitato quella." Indicai la tasca di W leggermente rigonfia.

D'istinto la ragazza affondò la mano nella giacca. Osservai il suo volto mutare da un'espressione all'altra, finché non s'illuminò d'un sorriso sollevato.

"Aspetta" le intimai. Spinsi la maniglia in basso ed entrai nella stanza, seguita da lei.

"Eccola qui." W estrasse dalla tasca il piccolo tormento di metallo, il quale pendeva agganciato a una catenina argentea che non avevo mai visto prima. Troppo euforica per pormi qualche dubbio, mi lanciai verso la chiave. W fu più svelta di me e ritrasse il braccio, celandolo dietro la schiena.

"Che vuoi?" scattai furente.

"Calma. Ti darò la chiave, ma a delle condizioni" stabilì.

"Ti ascolto."

"Le tue alleate non verranno mai a conoscenza di questa conversazione."

"Alleate?" Scoppiai in una risata isterica.

"Le cameriere" precisò W innervosita.

"Allora?"

Ingoiai una battuta acida e annuii di malavoglia. "Accetto"

W si rilassò d'un tratto. I muscoli in tensione si distesero, le nocche bianche strette intorno alla catenina si colorirono, segno che aveva allentato la presa. La maschera gelida che le aveva adombrato il viso calò, come le tenebre che si dissolvevano al mattino, e tornò a essere la solita, volubile W.

"Parla."

"Miss Hedd, molti anni fa, mi chiamò nel suo ufficio" iniziò esitante.

"E io dov'ero?"

"Non c'eri. O meglio, non eri ancora la mia compagna di stanza" si corresse.

"Era passata qualche ora dal nostro primo incontro. Temevo che si fossero accorti del mio tentato sabotaggio al lavoro del cuoco." S'interruppe e un sorriso le increspò le labbra. "In parte avevo ragione. Miss Hedd aveva davvero osservato la nostra discussione, e la tua offerta allettante, e il modo in cui io ti avevo reguardita. E proprio per quel motivo riteneva che fossi la più adatta all'incarico."

"Quale incarico?"

"Mi disse che tu avevi idee malsane, che dovevano essere estirpate per la tua stessa salute. E lei avrebbe potuto risolvere i tuoi problemi, se solo l'avessi aiutata." W stette in silenzio per alcuni minuti, lo sguardo immerso nel ricordo di quel giorno. "Dovevo essere i suoi occhi. Voleva conoscere ogni tuo movimento, ogni tuo tentativo di trasgredire il Regolamento, ogni tuo pensiero."

"E tu hai accettato. Vero?" completai per lei il racconto, un sapore amaro in bocca.

"Mi dispiace..." sussurrò W, la voce rotta.

"Quanto ha scoperto?" la interruppi, inespressiva.

"Quasi nulla, a dire il vero. Non appena ti ho conosciuta, ho capito che tu non avevi bisogno del mio aiuto o di quello di qualcun altro. Ma ormai, se mi fossi tirata indietro, Miss Hedd avrebbe... iniziato a dubitare di me." La udii vacillare, ma non ebbi la forza di affrontare un altro punto interrogativo privo di risposta.
"Così abbellivo la verità. Se interrompevi un professore, replicavo che in camera avevi asserito di essere stato molto attenta durante la lezione. Se finivi nel suo ufficio, dicevo che subito dopo avevi giurato di non ripetere l'errore mai più. E andavo avanti tra mezze-verità, sperando che né tu, né lei mi scopriste."

La voce di W arrivava da lontano alle mie orecchie, come un flusso di termini sconnessi e privi di senso. Era come se uno specchio si fosse frapposto tra me e la realtà per tutto quel tempo, rimandando sempre la visione che io desideravo osservare. Quella manciata di parole l'aveva ridotto in schegge, in un solo attimo. E in quel momento dovevo fronteggiare la realtà, a dispetto dei frammenti che incidevano sangue sulla mia pelle.

Di colpo tutto acquistava un senso: l'occhiata complice tra Miss Hedd e W, la strana disattenzione degli uomini in nero, le minacce mai avverate di mettermi in isolamento. Era più facile controllarmi lì, accanto a una spia, invece che in una stanzetta dove, sebbene potesse tenere d'occhio ogni mia azione, rimaneva all'oscuro dei miei veri pensieri.

"Non ti ho semplificato il lavoro" riuscii a mormorare.

"Affatto."

Temevo di porre il quesito che più mi assillava. Un sospetto aveva messo le radici nel mio animo, un sospetto che non avrei mai voluto si realizzasse. Fissavo il vuoto, scaricando il nervosismo sulla stropicciata gonna della mia uniforme.

"Quando hai scoperto delle mie... fughe notturne?"

W divenne più pallida di quanto già non fosse.

"Quando?" ripetei.

"La prima volta avevo sette anni. Non riuscivo a prender sonno e ti ho udita uscire di soppiatto. Da quel momento, svelato il trucco che usavi per farmi addormentare, ti ho vista molte altre volte. E ho sfruttato quelle occasioni per andare da Miss Hedd."

"Ma lei, lei lo sa?" la incalzai.

I silenzi di W mi risultavano estenuanti, non ne potevo più. L'ira consumò l'ultimo briciolo di autocontrollo che avevo.

"D'un tratto il tuo coraggio è scomparso e non riesci a proferire un semplice sì o un altrettanto breve no?" sbraitai sprezzante.

W sussultò e si affrettò a rispondere: "Fino a ieri non lo sapeva. La scorsa sera, quando mi hai mentito l'ennesima volta, ho preso una decisione. Sono andata da Miss Hedd e le ho detto di averti sentita rientrare dopo il coprifuoco e di avere le mie ragioni per credere che tu fossi in possesso di una chiave. E stamattina ha indetto l'ispezione, solo ed esclusivamente per colpa mia." L'ultimo soffio di vigore si dissolse nella voce di W e tacque, forse per vergogna, forse per il solo desiderio di riflettere.

Un nucleo incandescente di rabbia esplose nel mio petto, ma si limitava a corrodere il mio spirito, piuttosto che a cingere con lingue di fuoco la mia volontà. Non riuscivo ad arrabbiarmi sul serio con W, sebbene avessi le mie ragioni. Quella mattina, per qualche assurdo motivo, aveva corso dei rischi per me. E persino in quel momento lo stava facendo, mettendomi nelle mani un'arma contro di lei. Perché non opponeva resistenza?

"Oggi, a colazione, mi sono sentita un verme" confessò a bassa voce.

Non riuscivo a trovare le parole adatte per controbbattere: lo zucchero non si confaceva alla mia indole e un'offesa sarebbe stata troppo dura.

W mi sottrasse dall'impaccio e si riprese, distendendo le dita ancora strette attorno alla chiave. "Tieni." Me la porse.

"Io ancora non capisco." Ignorai il palmo teso verso di me. "Come mai gli uomini ti hanno fatto passare? Miss Hedd non ha detto loro nulla, l'ho osservata. Perché le hai parlato, quindi?"

"Non le ho solo parlato." Un sorriso furbo le si dipinse sul viso. "In quale modo pensi ci vedessimo, di notte? Io possiedo una copia della chiave, attaccata a una catenina che la distingue al tatto dalle altre. È da diversi anni ormai che gli uomini di Miss Hedd ne sono a conoscenza. Sono andata da lei e, fingendo di aver perduto la catenina, le ho dato la tua chiave. Dopo sono arrivata lì e sono passata, con la mia chiave."

Una fievole ammirazione crebbe in me. Mai avrei immaginato che W potesse pianificare con tanta attenzione un'azione contro l'Istituto, disponendo inoltre solo di una quindicina di minuti. Un dettaglio tuttavia ancora non s'incastrava alla perfezione con il resto.

"Miss Hedd sa che andiamo sempre nella stessa stanza, se ti ha dato una precisa chiave Perché non prova a... impedirlo?"

"Lei, nel momento in cui mi diede la chiave, mi pregò di ritornare sempre nella stessa stanza. Sai, all'inizio non ci riuscivo, e cambiavo chiave di continuo. Dopo tu hai risolto il problema" rivelò.

"Che amara ironia..." osservai, non trattenendo una risata.

W strappò con ferocia inattesa la catenina, lasciando ricadere la chiave tintinnante sul pavimento. Poi si avvicinò alla finestra e la scagliò fuori, e brillò come un diamante nel cielo terso.

"Già. Che amara ironia." La udii mormorare. E non potei evitare d'immaginare che ci fosse qualcos'altro dietro le sue parole.

"W... qual è il vero motivo--"

"No, A. Basta. Ti ho detto ciò che dovevi sapere" troncò di netto la mia domanda. "Sappi che stamattina ti ho aiutato. Ma la prossima volta potrei non farlo. Io manco di coraggio, A. E ce ne vuole molto, troppo, per andare fino in fondo."

Spazio Fiore

Scusarmi di nuovo è superfluo. Purtroppo nell'ultimo mese sono stata impegnata, come sapete ho avuto gli esami. Ciò non giustifica il mio enorme ritardo, né i miei precedenti ritardi, ma spero comprendiate ugualmente. Ho gli occhi che bruciano, è tardi, ma volevo pubblicare oggi, a ogni costo. Mi auguro che il capitolo risulti gradito.

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