Capitolo II - Reborn


Capitolo II - Reborn

Tony strinse le dita intorno al bicchiere di vetro. Le fasciò contro il freddo, gelido del whiskey ghiacciato che lui e Strange si erano versati, mentre, ancora immobile, il corpo di Peter giaceva senza vita su quella brandina tremolante. Morto. Nella casa di uno sconosciuto, che aveva tentato inutilmente di aiutarlo, e che non c'era riuscito. Gli lanciò un'occhiata, incredulo. Strinse gli occhi con dolore e tornò a fissare il suo bicchiere, come se potesse dargli, in qualche modo, una risposta. Come se ce ne fosse una, dopotutto. Gli aveva dedicato una preghiera. Non sapeva come funzionavano certe cose, ma l'aveva fatto perché dopotutto non gli era costato niente. Perché dopotutto non ce l'aveva fatta, ad aiutarlo e, anche se non avrebbe dovuto, si sentiva in colpa.

Strange alzò gli occhi sui suoi, e sospirò. Distolse subito lo sguardo, per quanto Tony avrebbe voluto che gli dicesse chiaro e tondo quanto accidenti lo odiava per aver ucciso il suo allievo. Poi Stephen parlò, e fu inaspettato.

«È tutta colpa mia. Avrei dovuto portarlo subito in sala operatoria e provare a fargli una trasfusione. Era ciò che avrei dovuto dare sin dall'inizio. Non avrei dovuto aspettare.»

«E con quale sangue, di grazia? Il tuo? Oppure, non so, volevo mischiarlo con quello di un maiale, o di un cane, e ucciderlo lentamente con qualche malattia venerea? Strange, non c'era modo. È successo tutto in fretta. Non lo avresti salvato. E nemmeno io. Non ero l'uomo giusto, sin dal principio.» Stephen gli riservò un'occhiata indecifrabile, che non manifestava in alcun modo i pensieri reali del dottore. Era confuso, devastato da un dolore che stava tentando di nascondere in tutti i modi. Poi era arrabbiato con se stesso — e Tony era convinto che un poco di rabbia, era dedicata anche a lui. Poi era impaurito. Scoccava occhiate fugaci a Peter, poi tornava ad abbassare la testa. Come se non volesse crederci e, sinceramente, Tony si sentiva allo stesso modo.

«Che farai, ora? Dove lo porterai?», chiese, mentre cercava di pensare ad una soluzione sbrigativa, siccome aveva un cadavere in casa, di un giovane studente.

«Mi presterai una delle tue carrozze, Stark; non voglio usare la mia, sarebbe troppo sospetto. Lo riporterò al laboratorio e in obitorio. Manderò un telegramma a sua zia e aspettiamo che venga a vederlo, poi ci sarà il funerale, che pagherò di tasca mia. La signora Parker non può permettersene uno.» Strange si passò una mano tra i capelli striati, amareggiato. Guardò di nuovo Peter e, stavolta, i suoi occhi rimasero fissi su di lui, poi sospirò.

«Vuoi fargli un'autopsia per capirci qualcosa?», domandò ancora Tony, anche lui intento a guardare il giovane.

«No,» cominciò, e si alzò in piedi con l'ausilio di due mani sulle ginocchia. Lo seguì fare quel movimento, «ha già sofferto abbastanza, non ho voglia di torturarlo ancora», concluse, poi lo guardò, severo. «La carrozza, Stark.»

Tony rimase cinque, interminabili secondi a guardarlo, prima di esibirsi in un grugnito stanco e, imitandolo, si alzò in piedi e gli fece strada sul retro, ancora troppo scosso da quel fatto per rendersene conto. Sapeva di aver appena visto morire un ragazzo giovanissimo, che aveva appena perso l'occasione non solo di vivere la vita, ma di farlo al massimo delle sue possibilità. Non poteva credere che, qualcuno che aveva combattuto così tanto per ottenere il proprio posto nel mondo – e pareva proprio che fosse andata così, da quello che gli aveva detto Strange – non avesse più la possibilità di coronare i propri sogni. Ecco, questo era uno dei motivi per il quale Tony non credeva in dio, e non perché non volesse farlo, ma perché non ci riusciva. Era difficile anche solo provarci, a credere in qualcuno di così crudele da portarsi via i più arguti e tenere i farabutti sulla terra, a contaminarla di odio.

«Ecco qua. Puoi prenderti uno dei miei cavalli. A patto che domani tu mi restituisca tutto, e ti riporti via la tua, di carrozza.»

«Affare fatto, era quello che intendevo fare.»

Fu difficile rientrare in casa, dopo che Strange aveva portato il mezzo davanti la porta di ingresso, per permettere a Tony di caricare il corpo di Peter. Quando lo prese in braccio si rese conto di quanto potesse essere doloroso, per quella zia lontana, vederlo in quello stato. Era ancora più bianco di come lo ricordava; i lividi verdi sotto gli occhi si erano accentuati e, le labbra, non avevano alcuna cromia. Erano invisibili fogli di pelle, privi di sangue. Si ritrovò a deglutire, scuotendo la testa, iniziando a metabolizzare quella cosa. Un nodo gli si formò in gola, ma lo ributtò giù, in fondo alla propria anima, quando sentì il cavallo nitrire e fermarsi poco lontano. Uscì fuori dalla porta e, con l'aiuto del dottore, caricarono il corpo nella carrozza. Sembrava un ragazzo che si era lasciato andare ad un sonno ristoratore, dopo una lunga giornata di studio... e non la rappresentazione della libertà assoluta, da un dolore inimmaginabile, possibile solo con la morte.

«Fammi sapere quando ci saranno i funerali», chiese, ad un tratto. Le mani, nelle tasche dei pantaloni, tremavano.

Strange si esibì in una breve risata, che per un attimo lasciò che l'atmosfera tornasse quella di sempre; con le loro menti sempre troppo impegnate a competere, piuttosto che a collaborare. «Cos'è? Hai intenzione di venire?»

«Sarebbe strano? È morto in casa mia, dopo che abbiamo tentato di salvarlo. Presentarmi al funerale mi sembra il minimo; parlare con sua zia, dirle che ce l'abbiamo messa tutta.»

«Non penso che queste parole possano esserle di conforto, Stark. Eviterei di parlarle; le dirò che è morto in laboratorio. Non ti metterò in mezzo, se è questo che ti preoccupa», rispose e, sebbene non avesse abbandonato quel tono saccente, sembrava comunque intenzionato davvero a tenerlo fuori da quell'affare.

«No», replicò, «Non mi preoccupo, piuttosto è anche colpa mia, ed è più giusto che lo sappia.»

«Non ci puoi proprio convivere con questo senso di colpa, senza che qualcuno non ti odi a morte, vedo. Tipico di te. D'accordo, le dirò la verità, se sei più tranquillo così.»

No, non era questione di tranquillità. Tony era lontano dalla tranquillità, ora come ora. Un cumulo di oscure ombre si erano ammassate nella sua anima e sulle sue spalle. Si sentiva ingobbito, piegato da quel fatto. Aveva ancora le urla di Peter Parker che gli spaccavano i timpani; i suoi occhi spalancati sui suoi, mentre gli chiedeva di aiutarlo siccome il dolore era insopportabile. Ebbe un brivido e, annuendo, lasciò che il dottore se ne andasse via da lì, portandosi appresso il corpo morto di un giovane e la tranquillità di Tony.

Lo guardò sparire nel buio e, sconsolato, entrò in casa. Non riuscì a chiudere occhio, quando si mise sotto le coperte, lasciando inconsapevolmente la luce accesa. Fissava il vuoto, e ogni volta che chiudeva le palpebre, si trovava davanti quelle scene, ancora e ancora. Strinse gli occhi, ad un tratto e, non potendo più trattenersi, corse in bagno a vomitare ansia e lo stesso digiuno di quella sera; gli bruciò lo stomaco e la gola, ma almeno era vivo. Almeno lui era ancora vivo.

...

Il mattino seguente si alzò tardissimo dal suo giaciglio. Dalla finestra filtrava la luce accecante del sole, pronto a posizionarsi sul suo zenit; doveva essere quasi mezzogiorno. Non era solito dormire così tanto ma, vista la nottata praticamente passata in bianco, alla fine era crollato senza forze e con un terribile mal di stomaco. Si era addormentato per sfinimento, e non perché voleva che accadesse. Fu un sonno confuso, pieno di incubi, dove suo padre lo riprendeva per aver commesso l'ennesimo errore umano. Il peggiore, forse. Non gli diceva cosa, ma Tony sapeva... lo sapeva bene, che parlava di Peter e, se non fosse stato che a dio non credeva, avrebbe potuto pensare ad uno spettro. Ma era la sua coscienza, lo sapeva meglio di chiunque altro. Chi meglio di se stesso poteva riconoscere i propri errori?

Si alzò in piedi arruffandosi i capelli. Il pavimento era gelido sotto ai piedi scalzi e, raggiungendo la cucina, si chiese se avesse davvero voglia di mangiare qualcosa oppure no. Lo stomaco ebbe qualche gorgoglio. Era l'unica cosa che lo convinceva, ogni giorno, a mettere qualcosa sotto i denti. Come una sveglia che, se non ci fosse stata, probabilmente Tony non avrebbe mai mangiato niente in vita sua.

Allungò dunque la mano verso la dispensa e ne tirò fuori dei biscotti da tè, dentro una scatola di latta; fece giusto in tempo a prenderne uno e metterlo sotto i denti – non prima di aver dovuto reprimere un nuovo conato di vomito, quando l'odore della frolla raggiunse le sue narici, che sentì bussare alla porta. Doveva essere Strange che gli riportava la carrozza. Sperò con tutto il cuore che avesse anche già fissato la data e l'ora del funerale. Non era contento di avvicinarsi di nuovo a qualche cattolico – anche se avrebbe dovuto attendere di certo fuori dalla camera ardente, lontano da tutti, dalla bara di Peter Parker, dalla zia in lacrime e dalle infinite baggianate che il prete avrebbe detto.

Il rito, se Strange avesse deciso davvero di pagare il funerale, sarebbe avvenuto nella camera ardente allestita per l'occasione – sicuramente all'interno della struttura universitaria che Parker frequentava – e Tony sperò che gli fosse almeno data la possibilità di seguire il corteo funebre fino a Highgate, il cimitero più vicino a cui potesse pensare. E mentre si riempiva di nuovo la testa di quel fatto e dei propri sensi di colpa, andò ad aprire la porta.

«Stark», salutò Strange. Sembrava provato e privo di sonno anche lui e non poté biasimarlo. Si tolse la tuba e Tony gli fece un cenno con la testa. «Ti ho riportato la carrozza.»

«Lo vedo. Ti apro la rimessa», disse e, mentre faceva per uscire e raggiungere il retro, pensando a tutte le domande che voleva porgergli, Strange tossì, attirando la sua attenzione.

«Tony», iniziò, e lo fece sussultare. Era piuttosto raro che si rivolgesse a lui chiamandolo per nome, «C'è una cosa che devi sapere, riguardo a ieri sera.»

«E cioè?», chiese, alzando un sopracciglio, confuso.

Stephen fece qualche passo indietro, senza voltarsi, poi raggiunse la carrozza e, quando aprì lo sportello, a Tony sembrò quasi di avergli visto abbozzare un sorrisetto. Non appena spuntò una testa castana dall'abitacolo, capì il perché. Sentì un paio di battiti del cuore perdersi nella gabbia toracica. Dovette sostenersi allo stipite della porta, per non cadere, siccome gli girò la testa, improvvisamente.

I capelli erano ben pettinati e un ricciolo ribelle gli cadeva sulla fronte. Intorno agli occhi quel viola inquietante era sparito, lasciando spazio a due luminosissime schegge castane, spalancate sul mondo. Le labbra erano tornate rosa e umane, come il suo colorito e, con quel doppiopetto grigio, la cravatta nera intorno al colletto bianco e una redingote nera, che gli arrivava fino alle ginocchia, sembrava impeccabile. Un'altra persona, Peter Parker, in quegli abiti. Eppure lo riconobbe subito, Tony, e fu vicino all'infarto.

«Signor Stark, il professor Strange mi ha raccontato quello che avete fatto per me! Mi sembrava il minimo ringraziarvi e... be', sono anche qui per rassicurarvi di non preoccuparvi. Sono in ottima forma, anche se forse non lo avrebbe mai detto, vero?», sorrise il giovane, rivelando una voce squillante e allegra, grattandosi una guancia, impacciato, mentre metteva i piedi per terra, con un piccolo salto a gambe unite dalla scaletta della carrozza.

Un tornado umano; una raffica di parole avvolsero Tony, stordendolo, se possibile, ancora di più. Lo squadrò da capo a piedi.

Peter Parker, infine, era ancora vivo.


Fine Capitolo II

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