3
Riaprii piano gli occhi.
Il rumore dei tacchi di zia Annie rimbombava dolorosamente nella mia testa. Cercai di alzarmi ma non ne trovai la forze.
— Dovevano essere due, Sarah, due! Questi sono tre!
— So contare, Annie — replicò mia madre in tono seccato.
— E allora perché sono tre?
— Non... io...
La zia si sedette sulla poltrona del nonno, all'angolo del salotto. — Sarah, è grave. Temo che la Casa di Londra non digerirà facilmente una cosa simile, tantomeno Evelina...
— Al diavolo Evelina! Non la possono condannare per una cosa di cui non è colpevole.
Qualche minuto più tardi riuscii a mettermi a sedere, gemendo dal dolore. Sentivo la testa stranamente leggera, le gambe e le braccia mi formicolavano e avevo la netta sensazione di dover vomitare da un momento all'altro.
— Maggie, tesoro! — Mia madre mi fece di nuovo sdraiare, poggiandomi sulla fronte un panno umido. — Come ti senti?
A parte il senso di vomito, un formicolio generale e la sensazione che tutto fosse una bugia, mi sentivo benissimo. Solo in quel momento mi accorsi che in casa regnava il silenzio. Evidentemente mia madre intercettò il mio sguardo. — Se ne sono andati, cara — rispose. — Quasi tutti.
Ash scese le scale a testa bassa, i ciuffi neri che gli creavano una lucente cortina davanti alla fronte, le maniche della camicia tirate fino ai gomiti. In tutto quel caos, le mie guance trovarono il coraggio di arrossire. Sarà stato anche uno stronzo, ma non si poteva dire niente sul suo aspetto. In tutto ciò, mi chiesi dove fossero i gamberetti che avevo cercato di rubare dal buffet.
— Di sopra non c'è niente — disse saltando l'ultimo scalino. — A parte Lizzie chiusa a chiave in camera sua.
— Grazie — replicò zia Annie.
— Arrivederci — disse mia madre.
Il ragazzo si fermò sulla soglia del salotto, rivolgendomi una breve occhiata. — Come ti senti?
Ci misi un po' a capire che stesse parlando con me. Stavo pensando al globo di luce ricordando, nel mentre, quella macchina fantasma che mi aveva quasi travolta.
Allora potevo vederli anche io.
— Come mi sento? — ripetei smarrita. Non sapevo se ridere per la stupidità di quella domanda oppure se cercare davvero una risposta, dato che non ce l'avevo.
— Direi che non stai troppo male. Almeno non sei caduta dalle scale — continuò pragmatico.
— Ma sì, guardiamo il lato positivo. Fortuna che fai l'Esorcista e non il dottore.
— Buona questa — replicò, lo sguardo colmo di divertimento. — Domani sarò felicissimo di partecipare all'incontro che mia nonna ha deciso di fare con tutte voi. Sono sicuro che ci saranno un sacco di altre cose su cui ridere.
— Un incontro? — Mia madre, pallida in volto, lo guardava come se fosse la ragione di tutti i problemi nel mondo.
Il sorriso di Asher si allargò. In realtà, un po' sembrava fosse quella ragione. — È una situazione un po' grave, dopotutto. Domattina alle nove. Non vi conviene farci aspettare. — Fece per lasciare il salotto, ma poi si fermò. — Falsa terzogenita — mi disse, — congratulazioni. Adesso hai trovato il tuo scopo.
Ero allibita. — Ti preferivo quando non potevi parlarmi.
— Avremo tempo per conoscerci e avere preferenze.
— Grazie, Ash. Puoi andare — sibilò mia madre. — Mia figlia ha bisogno di riposare.
Dopo un attimo di esitazione del tutto calcolata, il ragazzo chinò la testa in segno di saluto. Chiaramente non mi sfuggì il sorrisetto sarcastico che ci rivolse prima di andare via.
Ero allibita. — Basta. — Mi alzai in piedi, un po' barcollante. Le due donne si voltarono a guardarmi. Mia madre mi prese la mano ma mi divincolai immediatamente. — Vado in camera mia.
— Ma... — ricominciò lei guardandomi disperata.
— Domani — sbottai. Fortunatamente quando uscii dal salotto non mi seguì.
La mattina seguente facemmo colazione immerse in un silenzio surreale. Avevo dormito sì e no un'ora. Una volta dai Grandville, al cospetto della Console, mia madre ci avrebbe spiegato per filo e per segno tutta la situazione. Nonostante fossi ancora dell'idea che non avrei fatto parte dei Sensitivi nemmeno se mi avessero coperta d'oro, le mie domande esigevano risposte. — Quindi, voi vi definite Esorcisti — commentai con freddezza una volta in macchina. — E Satana è felice del vostro lavoro?
— Satana non c'entra nulla con noi — ribatté zia Annie con altrettanto gelo, accendendo il motore.
— Dipende da ciò di cui sei convinto — precisò Elise.
— Tu di che cosa sei convinta? — le chiesi.
Lei sospirò sconsolata squadrandomi da capo a piedi. — Del fatto che forse avrei dovuto prestarti uno dei miei vestiti.
Sbuffai e distolsi lo sguardo concentrandomi sul paesaggio oltre i finestrini. — E com'è possibile che abbia visto quella roba fluttuante solo ieri? — tornai all'attacco.
— "Quella roba fluttuante" è l'anima di un defunto — replicò Elise. — E di solito la Percezione si manifesta in età preadolescenziale, o verso i vent'anni.
Aveva senso. Assieme a tutti i problemi dell'età si aggiungeva anche la capacità di vedere le anime dei morti. Perché non bastavano i brufoli e il liceo.
— Evelina non si risparmierà — disse mia sorella.
— Sono la partner di suo nipote. Mamma, volevi far sfigurare il loro Casato di proposito non dicendo nulla?
Ma mia madre continuava a darci le spalle. Non rispose. Elise era paonazza in volto.
— Un momento, non capisco. In che modo questa cosa comprometterebbe il Casato di quel ragazzo?
— Siamo partners! — disse esasperata, sull'orlo del pianto. — È ovvio che venga compromesso anche lui...
— Se te lo chiedo non è poi così ovvio.
— Meg — intervenne la zia mentre mia sorella si soffiava il naso e mi mandava a quel paese. — Essere partners significa agire come un'unica persona. Se Elise rimane coinvolta in uno scandalo, l'immagine di Ash e del suo Casato ne rimane inevitabilmente intaccata. Questo normalmente non sarebbe un grosso problema, ma Ash sarà il prossimo Console degli Esorcisti. E deve mantenere un'immagine pulita e positiva di sé e del suo Casato.
— E se non succedesse non avrebbe più quel posto?
— Non esattamente. — Si fermò a un semaforo. — La carica è ereditaria. Tuttavia, per avere il rispetto di tutti i Casati deve mostrare un'immagine impeccabile di se stesso.
— Non mi sembra che s'impegni molto per farlo — commentai.
— Oh, ma taci — sbottò Elise.
— Il senso di questo discorso è solo che gli faresti fare brutta figura — insistei, guardandola. — La buona notizia è che ce la fa anche senza il nostro aiuto. La cattiva notizia è che sua nonna potrebbe prendere sul personale questa tragedia greca. E la notizia pessima è che lui continuerà a lavorare mentre tu potresti essere messa alla gogna. Capisci che dovresti odiarlo? Perché lo difendi? — E, ancora più agitata, aggiunsi: — Perché ci lavori?
Si infossò nel sedile. — Tu non capisci.
Non c'era niente di più irritante del sentire quella frase quando cercavo attivamente di capire. — E tu sei stupida!
Fece per rispondermi ma la zia accostò e prese a suonare il clacson all'impazzata finché Elise non abbandonò il proposito. Si voltò e rivolse a entrambe l'occhiata più spaventosa che le avessi mai visto fare. — Noi, ora, proseguiremo il viaggio — disse piano, scandendo ogni parola. — Le spiegazioni dopo. Se vi sento fiatare, torniamo a casa e aspettiamo allegramente l'esilio. Che ne dite?
Anche se non avevo idea di cosa comportasse per loro l'esilio, non suonava particolarmente piacevole come cosa. Mi strinsi le braccia al petto e tacqui, sorbendomi i singhiozzi strozzati di Elise per i venti minuti rimanenti. Non vedevo l'ora che mia madre, ora chiusa in un silenzio impenetrabile, si decidesse a parlare.
L'auto superò un cancello bianco: sul nostro c'era un disegno, che era lo stemma di famiglia – un bocciolo di rosa con rami spinosi sullo sfondo –, su quello, invece, vi era un serpente piuttosto minaccioso attorcigliato a un pugnale. La macchina percorse una stradina di ghiaia costeggiata da perfetti prati all'inglese; l'enorme tenuta bianca troneggiava al centro del giardino e notai con una certa stizza che quella casa fosse molto meglio della nostra. Esibizionisti. Tutti scesero dalla macchina tranne me.
— Su, Megan — fece zia Annie con il suo solito modo sbrigativo. Per un momento colsi lo sguardo di mia madre e distolsi subito il mio. Se la regola dei due primi figli era fondata, allora aveva davvero tante cose da spiegare.
Salimmo gli scalini di marmo e bussammo. Ci aprì un vecchio maggiordomo, che ci accompagnò fino a un corridoio. — Vado a chiamare la signora Console, con permesso. — Ci fece un breve inchino e salì le scale. Subito mi guardai intorno in cerca di un posto dove accomodarmi, ma il corridoio era solo pieno di quadri; riconobbi un volto: quello di Ash. Per qualche motivo era stato rappresentato due volte, in due quadri diversi, più o meno nella stessa posa.
Megalomane.
Vidi anche un quadro raffigurante una ragazza dai capelli rossi legati in una treccia austera, il volto pallido, l'espressione vacua. Chissà chi era.
Alcuni minuti dopo, una signora dai lunghi e lisci capelli grigi ci venne incontro; indossava un completo nero che le fasciava il fisico slanciato e i suoi elaborati guanti neri terminavano sul polso con della pelliccia verde; la pelle del volto tutto spigoli non aveva un filo di trucco. Non appena mi vide mi squadrò da capo a piedi, rimanendo in silenzio. Aveva un aspetto severo, freddo, i lineamenti affilati, lo sguardo tagliente come il pugnale dello stemma Grandville.
— Buongiorno — osai dire.
— È lei la falsa terzogenita? — domandò invece.
Non riuscii a trattenere una risata. — Non usate i convenevoli, tra di voi?
Zia Annie mi posò una mano sulla spalla, stringendola fino a farmi male. — Sì, Console — rispose in tono piatto. — È lei.
La donna fece un profondo sospiro prima di superarci e aprire l'unica porta nel corridoio.
Un elegante studio illuminato dalla luce mattutina. Una grossa scrivania piena di carte dall'aria importante. Una libreria che occupava tutta la parete. Un divano molto carino.
Non avevo le forze e la voglia di stare in piedi mentre mi venivano rivelate cose sconvolgenti, dunque decisi di accomodarmi e sfidare la sorte: se mi avesse detto di alzarmi perché era stato messo lì solo per bellezza, me ne sarei proprio andata da quella casa.
Anche Ash entrò nello studio, ed Elise subito si affiancò a lui. Il ragazzo non pareva di buon umore, sembrava che tutto lo innervosisse, compresa mia sorella, la quale lo stava tempestando di mormorii ansiosi. Quando i nostri sguardi si incrociarono lui distolse subito il suo, accigliato, e io lo imitai. Niente, a quanto pareva dire "buongiorno" era una cosa da Ignari.
Mia madre si sedette poco distante da me tormentandosi nervosamente le mani, mentre zia Annie si fermò in piedi accanto a lei.
— Quel divano non è fatto per sedersi — disse Evelina Grandville dopo averci rivolto una breve occhiata.
— Allora avrebbe dovuto mettere un paio di sedie — replicai. — E magari non un divano inutilizzabile.
— Ragazzina! — La zia mi rivolse un'occhiataccia.
Proprio come in realtà avrei voluto fare sin dall'inizio, mostrai i palmi in segno di resa e mi alzai. — È proprio questo posto che non è adatto per me, in realtà.
La Console si sedette dietro la scrivania. Dopodiché, con calma, replicò: — Questo lo decido io. Accomodati pure. Non importa.
Così cominciò la nostra allegra riunione.
La mia mente fu subito distratta da mia sorella. Non riuscivo a cogliere nessuna parola del suo discorso, o meglio, del monologo (Ash continuava a non replicare) ma avevo sentito il mio nome e la mia curiosità si era accesa violentemente. Appena Ash si accorse che li stavo fissando sussurrò qualcosa all'orecchio di Elise. Lei si zittì immediatamente, guardandolo con gli occhi gonfi di lacrime.
Volevo tornare a casa e non vedere mai più nessuno dei due.
Evelina Grandville si schiarì la voce con l'intento di attirare l'attenzione dei presenti, quindi disse: — Credo che tutti siamo d'accordo su un punto. — Rivolse un'agghiacciante occhiata a mia madre. — Questa è una situazione imbarazzante. Sarah, con questo atteggiamento hai infangato il nome dei tuoi genitori e di generazioni di Stonheaven, e lo posso affermare anche senza sapere nulla della faccenda. Il solo fatto che tu abbia sposato un Ignaro ha gettato sugli Stonheaven un'ombra scura di cui ancora rimane la schifosa patina. — Guardò Elise in modo molto eloquente, la quale arrossì seduta stante. — Siccome la cosa per voi non era abbastanza, avete deciso di fare questo alla Casa di Londra. E a mio nipote.
Guardai male il nipote in questione, che rispose alla mia occhiataccia con una quasi peggiore.
— In ogni caso — continuò la donna, — mi aspetto che tu spieghi per filo e per segno perché sia spuntata un'altra Sensitiva in famiglia.
Mia madre perse la poca sicurezza che le era rimasta e balbettò: — Io... — I suoi occhi scattarono su di me. Rimasi immobile. Ero terrorizzata da ciò che stava per svelarci. Si prese il viso fra le mani. — Non so da dove cominciare. A vent'anni decisi di lasciare gli Stonheaven e la Casa di Londra, stufa di rischiare costantemente la vita. Volevo un lavoro Ignaro, volevo vivere davvero...
— Non siamo qui per ascoltare la storia della tua vita, Sarah — la interruppe l'altra con stizza. — Ti ho fatto una semplice domanda.
— E questa è la mia risposta — replicò mia madre. Evelina strinse le labbra, impaziente. I suoi occhi neri incontrarono i miei e vi lessi un disprezzo sconfinato.
— Incontrai Johan e ci sposammo. Nacque Neth. Pochi anni dopo anche Elise. Poi, scoprimmo che Johan era gravemente malato. Morì. Mi lasciò sola. Ritornai a casa quando Neth aveva poco più di tre anni ed Elise due. Ero incinta di Megan e nessuno sospettò nulla, ma la verità è che... una sera di qualche mese prima ero tornata a casa per il compleanno di Annie. Lei aveva organizzato una grande festa. — La sua voce si spense per un attimo mentre lasciava che le lacrime le solcassero il viso. — Conobbi un americano, ero piuttosto ubriaca, e...
— Chi era? — chiese Evelina Grandville. — Chi era l'americano che conoscesti?
— Dorian. Dorian Cavendish — mormorò mia madre.
— Mio Dio, non un Cavendish... — sbuffò la donna scuotendo la testa.
A quel punto scoppiai. — Chi diavolo è questo Dorian Cavendish?
— Un membro di un Casato di Boston — rispose Ash, sospirando. — Dorian era il loro esponente, ma poi ha violato un paio di leggi Ignare e la Casa di Boston lo ha sospeso dal servizio.
Un attimo. Esistevano altre Case sparse nel mondo? Altri Sensitivi schizzati come loro? Mi voltai a guardare mia madre. — È tutto vero?
Lei pareva distrutta. — Maggie, mi dispiace tanto...
— Perché l'hai fatto? — Non mi interessava affatto che stesse per sciogliersi in lacrime davanti a tutti. — Perché mi hai nascosto quello che sono?
— Pensavo di poterti proteggere da questo mondo — rispose, — non ti meritavi di vivere così tanti pericoli, volevo una vita diversa per te. Ma poi, hai cominciato comunque a vedere e sentire cose che non avresti dovuto percepire, e...
— Era per questo che insistevi così tanto, gli altri giorni. — Finalmente il suo strano comportamento aveva una motivazione.
— Cos'hai percepito, la prima volta? — domandò Evelina.
La fulminai con lo sguardo. — Non capisco.
Alzò gli occhi al cielo. — La tua prima esperienza paranormale.
— Credo... credo fosse una specie di macchina fantasma, o qualcosa di simile.
Evelina Grandville fece un profondo sospiro, scuotendo la testa con disapprovazione. — È una vergogna, Sarah. Lo sai questo? Lo è per tutti noi.
— Con tutto il rispetto, mia sorella non era in sé quella notte con Dorian Cavendish — intervenne la zia. — Lui ha approfittato della situazione, è lui quello da incolpare. È lui l'unico che dovrebbe vergognarsi.
Evelina fece spallucce. — Non stiamo accusando Sarah di quello, cara Annie. La stiamo accusando di averci nascosto la natura di sua figlia per diciassette anni. Non so se vi è chiaro, ma il vostro non è solo un lavoro. Voi appartenete alla Casa di Londra. Voi siete la Casa di Londra. Non esiste che segreti come questo ci vengano nascosti. Alla sua età avrebbe già potuto offrire un solido contributo alla nostra comunità, a prescindere da come sia stata concepita, o dal perché. Avreste dovuto avvisare me, quantomeno.
— Non è che siamo esattamente migliori amiche — replicò mia madre a quel punto.
— Cristo — imprecò Elise.
La Console si alzò, gli occhi ridotti a due fessure maligne. Un lento sorriso le piegò gli angoli della bocca prima che dicesse: — Siccome sospenderti dal servizio sarebbe come darti una vacanza, sarà Elise Stonheaven a subire la punizione per te. A tempo indeterminato.
Mia sorella sgranò gli occhi, impallidendo di colpo. — Cosa?
— No, Console! — Mia madre si alzò di scatto, in lacrime. — La dia a me, è colpa mia!
La vecchia Sensitiva rise divertita. — Oh, certamente è colpa tua. Porterò la proposta al Praetor, ma vedilo già come un responso ufficiale. Tu, invece — si rivolse a me, girando attorno alla scrivania, — da domani comincia il tuo addestramento. Tra meno di un mese ti arriverà il contratto. Se firmerai, ti impegnerai a lavorare con la Casa per sempre. — Sogghignò. — E se non firmerai, non solo non lavorerai con noi, ma non potrai stare mai più con la tua famiglia. A te la scelta.
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