Capitolo 6
Leslie guardò per l'ultima volta Shin, prendendo un grosso respiro e buttandolo fuori rumorosamente con un esasperato ma lieve scuotere di capo.
Aveva finito di occuparsi di lui e gli aveva lasciato l'ultimo bicchiere di limonata per tenerlo buono ed in effetti questo aveva funzionato: lo aveva reso calmo, calmo al punto tale che sembrava quasi anormale vederlo in tale maniera, come se lo avessero drogato o simili.
Eppure, anche se poteva non sembrare, era proprio il succo del frutto acido a renderlo così, non qualsiasi altra sostanza allucinogena passata sottobanco.
Non aveva ancora capito che genere di magia facesse la limonata e perché funzionasse così tanto, ma finché poteva essere un aiuto, bhe, lo avrebbe sfruttato a suo piacimento, portandogliene quanto l'albino ne desiderava.
E quindi l'uomo tornò a lanciare uno sguardo ai suoi turni, riprendendo a vagare nell'enorme edificio, cercando di non perdersi.
Dopo A13 gli toccava infatti visitare A8, lo sapeva... E per certi versi gli dava una brutta sensazione.
Il paziente, Jaime Duran... Era uno di quelli che gli piaceva meno visitare: non tanto perché fosse ribelle, non tanto perché gli appariva noioso od antipatico, anzi! Tutto il contrario.
Se il giovane doveva ricevere specifici aggettivi, quelli nominati non facevano parte della sua categoria, poiché costui risultava più che altro timido ed ansioso, delicato anche soltanto nelle sue espressioni.
In generale Leslie non apprezzava andare da nessuno di quelli che in pubblico trattava come mocciosi... Ma, diciamocelo...
Gli occhi grandi, lucidi e nocciola dello spagnolo, i quali lo avevano osservato così tanto spesso - troppo spesso - con quel terrore puro e con quella incertezza di chi credeva che non avrebbe mai più rivisto la luce del sole... Gli ricordavano quelli di qualcun altro.
Qualcuno che era stato ferito nello stesso identico modo diversi anni prima.
Qualcuno che ancora lo tormentava mentre dormiva, tanto da capitare nei suoi sogni in maniera quasi regolare.
E forse per questo, come tutte le altre volte, quando fece la sua entrata nella stanza del castano - poco dopo aver visto e fatto un cenno a Savannah che usciva dalla stanza A4 trascinandosi a dietro la Gazza Ladra, ricevendo un sorrisetto dalla donna - mettendo a fuoco il suo viso innocente, il suo modo terrorizzato, un po' perso anche, di guardarlo... Sentí il suo stomaco ribaltarsi disgustato, con il rigetto che lo percorreva nelle fibre della suo stesso DNA, il tutto mentre si costringeva a sbrigarsi nel mettersi al suo fianco, il passo estremamente rapido, addirittura frettoloso.
-Come ti senti stamattina, Jaime?- chiese lui, la voce bassa e forse un po' arrochita che cercava di mostrare naturalezza in maniera fallimentare.
Non avrebbe voluto parlargli, non avrebbe dovuto neanche parlargli, in pratica, lo sapeva: era suo interno masochismo trattare ogni paziente con premura ed attenzione iniziale, non comportandosi come gli altri che semplicemente usavano i loro nomi in codice o il numero dato loro... Prima di attuare i suoi esperimenti, i suoi attenti studi.
Restituiva loro parzialmente la nomea da persona che gli altri tre scienziati nemmeno permettevano loro di toccare con la punta delle dita, poi gliela strappava dalle mani con i trattamenti finali, lo sapeva.
Lo sapeva in maniera netta.
E come se non bastasse, sentiva le loro reazioni sulla sua pelle e le accettava, poiché, dopotutto, sarebbe stato stupido fare in maniera diversa.
-M-mi f-fa m-m-male un p-po' l-la t...t-testa- balbettò il castano sdraiato a letto, mostrando un ovvia smorfia di dolore, il tutto mentre strizzava le palpebre visibilmente, un accenno di sudore che gli attraversava il volto e scivolavano lungo il suo collo pallido.
-Gli effetti della tortura di Carol di ieri non se ne sono ancora andati?- chiese dolcemente, andando a sfiorare con delicatezza la fronte del castano, strappandogli un ansito ed un quasi seguire del contatto umano, soltanto capace di aumentare la brutta sensazione che già aveva provato.
-N-no- rispose lo spagnolo, sempre ansimando pesantemente, gustando un poco forse la fredda temperatura delle mani di Leslie per via del suo strusciare la fronte contro il suo palmo come un cucciolo in cerca di affetto e dell'espressione che diventava leggermente meno sofferente.
-D-duole t-t-tutto- gemette il diciassettenne.
Ed era vero, Jaime non era un bugiardo, né un attore: si vedeva in maniera palese come il suo corpo irrigidito reagisse alla pena che stava ancora subendo... E tutto questo dolore non era finto, era estremamente reale.
Capitava che il trattamento della dottoressa corvina ferisse in questa maniera la sua mente, i suoi occhi - i quali bruciavano come se qualcuno ci avesse ficcato dentro dei carboni ardenti - ed il suo fisico reagiva di conseguenza, cercando di spargere il dolore altrove, così da renderla più facile da controllare e da reprimere... Ma non era una cosa semplice.
-Se vuoi ti darò un oretta per dormire e cercare di riprenderti un po'. Per il resto sarò costretto a procedere, purtroppo... É il mio lavoro. Ma sarò il più delicato possibile, lo prometto- sussurrò, continuando ad accarezzare il giovane, spostando alcune ciocche dalla sua fronte, lasciando che ricadessero al loro posto dopo una serie di secondi, andando perfino a portargliene una dietro all'orecchio nero.
-O-o-okay- bisbigliò Jaime con voce strozzata, andando a chiudere dunque le palpebre con la sicurezza di chi sapeva che, come Leslie gli aveva permesso quell'ora, allora non avrebbe dovuto temere nulla per davvero, almeno per il momento: seppur Leslie fosse una delle cattive persone che lo torturava, che faceva soffrire lui e gli altri "urlatori" - così li aveva sentiti venir chiamati - non era il tipo da rimangiarsi la propria parola.
Ed in effetti Leslie neppure vi provò a riprendere indietro la sua promessa: si mise seduto sulla unica sedia che c'era in quella camera totalmente bianca e chiuse bene la porta alle sue spalle, non staccando lo sguardo dallo spagnolo per i primi minuti, sentendo un nodo allo stomaco nel notare le sue espressioni, nel vedere la mano destra, colorata di rosso, che pareva scossa da leggeri fremiti... Tutto prima che il suo respiro si regolarizzasse e questa cessasse dal mostrare sofferenza, ricadendo sulle coperte con un movimento di polso pacato, quasi rotatorio.
L'uomo dunque si stiracchiò, spostando lo sguardo, cominciando a massaggiarsi le spalle e lasciando che la sua attenzione si spostasse altrove, come ignorando il resto del mondo, ma tornando subito alla realtà all'udire le urla fuori, urla che agghiacciavano il sangue, portando il rizzare di ogni singolo capello sulla sua testa... E che riconobbe all'istante, poiché le aveva già sentite fin troppe volte ed era come se fossero ormai rimaste totalmente impresse nella sua memoria, come delle fotografie scattate e stampate su carta lucida.
"É Kristiyan" pensò subito, prima di riscuotersi e mettersi in piedi "In teoria lo ho come quarto turno di lavoro oggi..."
Serrò i denti ed i pugni all'unisono, sentendo come se la sua mandibola stesse per essere distrutta da un momento all'altro e soprattutto come se le unghie delle sue mani gli stessero per strappare le carni da un momento all'altro, trattenendo qualsiasi tipo di suono che sarebbe potuto uscirgli per poi ricomporsi in fretta e furia, facendo schizzare lo sguardo sul muro a vuoto.
Era una fortuna che almeno nelle camere avessero staccato le telecamere: nei primi giorni le avevano tenute attaccate, ma poi si erano resi conto che l'unico risultato ottenuto era quello di portare vari blackout generali, forse dovuti all'esagerato utilizzo di energia elettrica.
Avevano dunque rimosso soltanto le telecamere nelle camere, lasciandole invece negli specifici ambienti di tortura e nei corridoi, così da tenere d'occhio qualsiasi cosa, anche il più piccolo dei dettagli, forse definibile come insignificante nei primi istanti.
Per questo Leslie sapeva.
Sapeva e non poteva non sapere che reazioni espressive come quella che aveva avuto nella camera A8 non doveva essere mostrata altrove, dopotutto si sarebbero fatti delle domande in caso contrario e non poteva permettersi stronzate improvvise, soprattutto se con un pubblico.
Ma comunque l'ennesimo grido del bulgaro lo infastidì, tanto che fu costretto a prendere ossigeno e buttarlo fuori varie volte, cercando di isolare la propria mente e di basarla piuttosto sul caos totale che qualche settimana prima la sua bastarda di una gatta aveva fatto: gli aveva mandato all'aria le tre piante - un cactus, un tulipano ed un vaso di primule - che aveva comprato, facendole riversare a terra.
Queste non si erano riprese: nel giro di quattro giorni erano morte tutte, lasciandolo a vedere il bancone a cui si appoggiava per prendere il caffè se si svegliava in un giusto orario, con espressione parecchio desolata.
Davvero, non aveva ancora capito come potesse il suo partner definirla un angioletto.
Già... Angioletto dei suoi stinchi! Pansy sapeva dimostrarsi proprio una vera e propria stronzetta quando ci si metteva.
In ogni caso, non poté fare a meno di sorridere un poco ed uscire così dal suo ricordare, lanciando un occhiata all'orologio.
Mancavano dieci minuti... Dieci minuti e poi sarebbe stato costretto a svegliare Jaime per attuare il suo trattamento, cosa che all'istante parve come congelarlo, neanche la luce nei suoi occhi si fosse spenta all'improvviso, rinsucchiate chissà dove.
Lasciò che i secondi scorressero, quasi sperando che rallentassero e gli rendessero impossibile svegliare il castano, ma purtroppo questi svanirono fin troppo in fretta, portandolo ad alzarsi e così a scuotere lo spagnolo, riuscendo a fare schiudere gli occhi di Jaime, assonnati e sempre un po' arrossati.
-É ora, mi spiace- asserí a mezzo tono, iniziando a slegare la catena, strappandogli a malapena un annuire spaesato al castano ed un deglutire a vuoto, pochi attimi prima di tirarsi su con buone maniere ed osservarlo con palese confusione.
Era ovvio che non capisse il suo modo di atteggiarsi, era ovvio che non comprendesse la sua dolcezza parziale, sostituita dal trattamento finale... Ed era un bene che non sapesse decifrarlo, per il momento, anche se parzialmente Leslie era convinto che gli sarebbe bastato solo un pensarci più a fondo per capire: sapeva che nessuno dei tredici giovani era stupido; qualcuno, prima o poi, avrebbe fatto due più due.
E sapeva, anzi, lo sentiva, che qualcuno doveva aver già messo su delle supposizioni su di lui... Era meglio che fosse dunque più cauto.
Ciò che doveva fare non poteva essere capito, non subito... O molto probabilmente sarebbe stato scoperto in definitivo... E non solo dai ragazzi.
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WELLA. Pubblicazione il 6 aprile. UN GIORNO SOLOH.
Piove. Nevica. Cade il cielo.
Mi amate? XD
Just joking. Vi sto facendo soffrire con la mia instabilità e la mia lentezza generale. Dovreste odiarmi hahah
Anywaaaay
QUANTO É PUCCIOSO JAIME? KK
TROPPOH per me
-vi è piaciuto il capitolo? O fa cagareh?
-cosa ne pensate di Leslie? Che sensazione vi ha dato? Parlate a ruota libera di lui, delle tesi, del tutto insomma u.u
-cosa ne pensate di Jaime? OHO
-Jaime é OOC????????
-Sono l'unic* a vedere il rapporto tra Leslie e Jaime o come quello tra papà e figlio o come in un ipotetica ship? (Giuro. Li trovo teneri, devo ancora capire in che fase sono delle due lmao. Send help)
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