39. Il peso della Speranza

NICHOLAS POV



Nessuna luna in cielo quella sera. Solo un lampione illuminava il giardino.

Adam strinse William a sé, le spalle che ancora tremavano, non aveva smesso un attimo di piangere.

Mamma gli tenne la porta di casa aperta per invitarli a entrare; un delizioso odore di scones proveniva dall'interno. Il piatto preferito di Will, che aveva preparato il giorno prima per il suo undicesimo compleanno.

Spostai lo sguardo sulla lapide adagiata in giardino su un cumulo di terra scavato di recente. Rex, c'era inciso sopra con grafia storta e imprecisa.

«Entri?»

Sollevai il capo per osservare mia madre, il volto indurito dalla sofferenza oppure solo dalla mia presenza. Distesi le labbra, allungai un passo per seguire i miei fratelli dentro casa, ma il suo sguardo calò repentino su di me e mi pietrificai.

«Lo sai perché Rex è morto?»

Scossi la testa.

«Perché il riccio che si nasconde nel nostro giardino, e a cui Will da sempre da mangiare, ha deciso di attraversare la strada.» Indicò con la testa oltre la siepe accanto a noi. «Will diceva sempre che Rex e il riccio erano amici. E a quanto pare era vero.»

Rimasi in silenzio. Non riuscivo a parlare, era a causa del tono che stava usando, non mi piaceva.

«Quello stupido riccio ha deciso di attraversare la strada proprio mentre stava passando un'auto. E il coraggioso Rex cosa ha fatto? È corso in mezzo alla carreggiata per salvarlo.»

I capelli scuri e lisci di mia madre vennero scossi da un vento gelido.

«Quel riccio porta con sé una maledizione, lo sai?»

Scossi di nuovo la testa, incapace di parlare.

«Rex non è morto perché è stato investito dall'auto, no, è morto per colpa degli aculei di quello stupido riccio che gli si sono conficcati in bocca mentre lo stava salvando. È colpa del riccio se Rex è morto. Non doveva diventare suo amico, questa è la sua maledizione.»

Mi scavò il cuore e vi lesse tutto il nero che ero. «E la tua, Nicholas.»

Mi sentivo sporco, mi sentivo male, mi sentivo nel posto sbagliato. Come se io, lì, non ci dovessi stare.

«Entri?» Un invito e un ammonimento.

«No...»

«Bene.» Ed entrò in casa lasciando sbattere la porta dietro di sé.

Mi sedetti a terra, incrociai le braccia esili, arricciai la felpa sui polsi e lasciai cadere il mento su di essi.

«Perché sei morto?» La mia voce si disperse nella notte... e poi lo vidi.

Rimasi immobile. Il riccio avanzò rapido, corse sul tappetto d'erba fino a raggiungere la zolla di terra.

«Perché l'hai fatto morire per te?»

Il riccio si spaventò, trotterellò via lesto, nascondendosi dietro il pietrone, ma rimanendo accanto alla tomba. William era triste, Rex era morto... per colpa sua.

Stavo guardando il riccio così come mia madre guardava me?

«Stupido, vero?»

Sussultai. Voltai lo sguardo sulla veranda alle mie spalle. Mio padre mi fissava con le braccia incrociate, quegli occhi vitrei che bucavano la notte tanto erano brillanti. Si sedette accanto a me.

Ci mettemmo a osservare entrambi il lastrone di pietra, i singhiozzi di Will che provenivano da dentro casa mi facevano male al petto.

«Mamma mi teme per la mia maledizione?»

«Mamma ti teme perché non sei come lei, o Adam, o Will. Tu, Kayle, sei come me.»

«Ma a te mamma vuole bene...»

«Si ama solo ciò che ci appartiene, Kayle, ricordatelo.»

Non capii. Io ero suo figlio. Mi voltai a guardare i suoi occhi luminosissimi.

«...e io non appartengo a lei?»

«Tu appartieni a me, Kayle. Appartieni solo a me.» Non sorrise, non distolse lo sguardo dal mio.

«E anche tu hai la maledizione del riccio?»

Eravamo uguali io e lui. Non ero solo. Il dolore al petto parve meno pesante o forse era solo meno gravoso se lo portavamo in due...

Papà sorrise in modo storto. William diceva che i sorrisi riempivano il cuore. Quello di mio padre me lo riempì, ma di qualcosa nero e terribile.

«Oh no, Kayle. Il riccio sei tu e solo tu. Nessuno è come te e chiunque si avvicina a te farà la sua fine.»

Seguii il gesto del suo mento e osservai la lapide di Rex nel giardino, il riccio stava annusando la terra smossa.

La sua fine...

L'animale sollevò lo sguardo, occhietti neri, così minuscolo nel giardino, così spinoso, così solo.

«Tu tieni a Will, non è vero?»

Annuii, sempre continuando a osservare il riccio. «Ma io non farei mai sacrificare Will per me.»

«Nicholas, forse hai frainteso. Tu credi che il riccio volesse che Rex si sacrificasse per lui?»

Morto. Rex era morto. La bestiola mi fissava e io di rimando. Non risposi.

«Certo che no. Ma il riccio sa che i suoi aculei sono letali per gli altri. Sa che deve sempre stare attento, che non può farli avvicinare.»

«E allora perché l'ha fatto?»

«Per la speranza, Kayle. La stessa che quando sei con Will ti fa venir voglia di dirgli del gatto che gli hai ucciso, di chiedere il suo perdono. Tu speri che lui ti voglia bene un giorno, come se fossi normale.»

Avrei voluto dirgli che io non speravo mai. Ma non era vero.

Inorridii. Will era una mia debolezza, quelle che mio padre mi faceva trovare e poi estirpava via, bruciandole, facendomele distruggere.

«Cerca di ricordartelo, Kayle. Perché arriverà il giorno in cui qualcuno si farà molto male. E la colpa sarà solo tua perché non sarai stato abbastanza forte per allontanarlo.»

Il dolore al petto divenne forte. Troppo.

Il riccio mi guardò ancora. Non aveva mai smesso. Come se lui sapesse che noi due eravamo uguali.

Ma io sarei stato bravo, non avrei mai lasciato che qualcuno si avvicinasse a me. Mai. Nessuno sarebbe morto a causa mia. Nessuno.

«Il cuore è una debolezza, Kayle. Se tieni a qualcuno, devi tenerlo lontano. Distruggi la speranza e vedrai che la maledizione del riccio non si avvererà.»

«Nicholas?»

Il tentennare sulle lettere finali la tradì. Mi voltai indossando le mie ombre e la fissai senza fiatare, dall'alto della mia statura.

Amber de Clare. Nessuna forma di donna si era accennata in lei, nessuno sguardo malizioso o provocante, come le quindicenni della sua età, o le diciannovenni della mia. Così vogliose.

I de Clare erano politici, dovevano aver uno stupido gioco in progetto per lei, per continuare a trascinarla agli eventi dei Benefattori, come quello a cui stavamo presenziando.

Mi voltai per andarmene ma mi trattenne.

Le sue mani esili e gelide sul mio polso. Mi stava toccando. Stupida ragazzina.

«Ti prego, Kayle, aspetta...»

Mi voltai come una furia, prosciugai l'aria intorno a lei e le piombai addosso.

«Non chiamarmi così.»

L'indecisione si mescolò all'incertezza nel traballare degli occhi smeraldini. Era davvero fragile: una lepre nel covo dei lupi.

«Va bene, scusami. Ti chiamerò solo Nicholas-»

«Mollami.»

Me la scrollai di dosso ripristinando il mio spazio vitale. «Che diavolo vuoi?»

Era così minaccioso e graffiante il mio tono da averla fatta accartocciare su se stessa. Bene. Chissà se aveva volontà a sufficienza per proseguire nonostante questo.

«Io volevo... volevo chiederti.»

«Sì?» la incalzai.

Era tutt'occhi, era delicata e quasi tremolante.

«Tornatene da tua sorella, Amber, e dille che qui non appartieni.»

Mi avvolse di nuovo il polso e il contatto mi diede alla testa, me la scrollai con troppa forza e la sentii quasi gemere dal movimento brusco.

«N-no... ti prego...»

Mi bloccai cercando lo sguardo che aveva rivolto verso terra, le spalle nude che le tremolavano. Stava piangendo?

Dannazione, all'evento dei Benefattori! Le prede hanno un istinto combattivo pur di non farsi sbranare, no? Dov'era il suo?

Ma poi i miei pensieri si infransero e mancò poco che non le feci del male per davvero.

La sua bocca era premuta contro la mia.

Amber de Clare mi stava baciando.

L'afferrai per le spalle e la spinsi contro il muro, per allontanarla, la pelle delle braccia era liscissima e perlacea. Una fragranza floreale mi colpì quando i suoi capelli biondissimi mi sfiorarono il mento rasato.

«Ma che diavolo pensi di fare?»

La fissai col mostro che mi gridava nelle orecchie quel contatto non voluto; nessuno si poteva avvicinare a me. Nessuno. Stupida lepre.

Ma il suo sguardo scappò oltre la mia testa, oltre di me, con il terrore che le offuscava le enormi iridi smeraldine, rivolto altrove. Mi voltai giusto in tempo per capire chi stesse fissando.

«Non guardarli!»

I de Clare. Stava guardando la sua stessa famiglia con paura.

«Non ho idea a quale gioco stupido tu stia giocando, ma vedi di finirla.»

Mi sollevai ma le sue mani si avvinghiarono con forza ai polsini arrotolati della camicia e l'unghia del pollice mi penetrò la carne.

«Ti prego, no, ti prego...»

Mi riabbassai sul suo volto impaurito e dubitante. «Spiegami.»

«Ho bisogno... ho bisogno che tu...»

«Te lo ridico nuovamente: spiegami adesso o me ne vado. Ultima possibilità.»

E mi baciò ancora, con ritrosia, con labbra serrate all'inverosimile, mani avvinghiate, non con desiderio, ma con un timore frastornante; l'arreggersi all'ultimo appiglio prima di franare nel baratro.

Una sensazione che conoscevo.

Qual'era il suo baratro?

«Perché non mi accontenti? Perché non... vieni con me?» Inclinò il capo facendo scorrere i capelli oltre l'incavo del collo; un gesto sensuale, se non fosse stato per l'angoscia che le irrigidiva i movimenti e le faceva traballare gli angoli delle labbra lucide.

«Risparmiatelo.» Trattenni a stento la risata di scherno. «Non sono esattamente nei tuoi gusti, dico bene?»

Lei sgranò gli occhi.

Io annuii. Certo che lo sapevo il suo romantico segreto.

«Tu, non-»

«Tu e la tua fidanzata siete a nascondervi da anni, Amber. Credi che ad Haywards Heath nessuno ti abbia mai visto?»

«Ma tu...»

Mi chinai su di lei, impallidita a tal punto da sparire nel candore della parete alle sue spalle.

«Non ho ritenuto opportuno rivelarlo a nessuno.»

Una grazia che le avrei rifatto mille volte. Gli adolescenti sono solo delle infide creature, io la peggiore di tutte.

Amber mi guardò e qualcosa mutò nelle sue iridi limpide. «Grazie.»

Come quella sera, tanti anni prima, dove avevo giustiziato l'assassino di suo fratello.

«Non dovresti venire qui.»

Stavo osando troppo.

«Non ho scelta» confessò chinando il capo, così vulnerabile da spingermi a incomberle addosso per nasconderla al resto della sala. A quegli avvoltoi che non facevano altro che aspettarsi passi falsi. Era solo una quindicenne, ma questo non la rendeva intoccabile, anzi.

«Se loro mi scoprissero, se loro scoprissero me e Alice.» Un singhiozzo le sussultò nello sterno, facendola tremare.

«Piantala» ringhiai.

Stupida lepre. L'avrebbero sbranata.

«Aiutami.» Sollevò gli occhi lacrimanti su di me, implorante. «Ti prego, aiutami, Nicholas.»

Puntellai le braccia ai lati del suo volto, celandola allo sguardo di una coppia che ci fissava curiosa. Avevo diciannove anni, ero maggiorenne e un Moon. Potevo permettermi di fare quello che volevo, con chi volevo e nessuno avrebbe mosso un dito, persino davanti a tutti.

«Loro non devono scoprire niente. Mia sorella ha iniziato a farmi delle domande, a chiedermi quando mi avrebbe visto con un ragazzo. E io-»

«E tu hai pensato a me?» Il ringhio si mescolò a una risata, macabra, che le scrosciò sulle gote porpora.

«Sì.»

Voleva che io fossi la sua aquila. Stupidissima.

«Ti prego. Loro mi vedranno, così smetteranno di sospettare. Ti prego.»

Scossi la testa con forza, i ricci mi caddero sugli zigomi.

«Non voglio che scoprano di me e Alice, che ci rovinino. Io le voglio bene, tengo a lei. Non posso coinvolgerla in tutto questo, capisci?»

Le cadde una lacrima.

Gliela leccai via e poi scesi verso la sua bocca, respiro contro respiro. Ci avremmo vinto entrambi, ci saremmo usati a vicenda.

«Sei sicura?»

«Sono pronta a tutto.» Le dita mi percorsero la parte bassa dell'addome, tremolando verso il mio inguine.

«Persino a questo?»

«Sì, a tutto pur di proteggerla.»

Si aggrappò alle mie spalle e mi strinse con audacia, premendosi contro di me. Come se fossi il suo appiglio finale. Oppure l'aquila salvatrice.

Ma io non lo ero. Ero un Moon. Un mostro, il mostro.

Ma decisi di illudermi, almeno per quella volta, di essere chi volava libero nel cielo, invece che incatenato a terra.




Avrei presenziato a quello stupido evento di BlackMoon all'hotel e poi avrei messo in azione il mio piano. Sam mi attendeva.

«Che cazzo pensi di fare?» Scostai le dita di Amber de Clare dalla mia vita.

«Qualcosa non va, Nicholas?»

«Perché mi stai toccando?»

Nascose un sorriso mentre lasciava passare nel corridoio una coppia di Benefattori che si dirigeva al galà indotto da Black al piano superiore dell'albergo.

«Io...» Chinò il viso, imbarazzata, arricciò la bocca.

D'improvviso mi ricordò Sam, mentre si mordeva il labbro quando nessuno la guardava. Il mio cuore perse un dannato battito, mi doleva così tanto che dovetti costringermi per non piegarmi su me stesso.

«Nicholas... tu mi hai aiutato una volta, non me lo dimentico. E so quello che provi-»

«Tu non sai proprio niente» le ringhiai addosso.

Ma lei strinse le labbra e la comprensione le irrorò le fronte, distendendole le pieghe degli occhi.

«Ho conosciuto Sam. Alice non mi ha voluto dire tutto se non che vi siete avvicinati molto. Sai, ci vediamo ancora, nonostante quello che è successo siamo riuscite a-»

«Arriva al punto, Amber.»

Non avevo pazienza. Non avevo testa, mi scoppiava il cuore.

Sam, Sam...

«So che Sam e Emily sono sparite. E so che c'entra BlackMoon.»

Non lo era più, quindi, ingenua. Era una lepre che a stento manteneva il pelo lucido nel terreno dei lupi.

«Loro mi hanno ordinato di fare una cosa.» La colpevolezza le fece calare lo sguardo.

E un allarme nauseante mi scavò lo sterno e iniziò a lampeggiarmi in testa.

Loro. Black.

«Cosa, Amber?»

Rimase con gli occhi bassi, lo spallino del vestito floreale le sgusciò giù oltre la spalla, non si preoccupò di risollevarlo.

«Ma io non so come fare, Nicholas. Tu mi hai aiutato. So che sei buono, oltre quello che fai vedere, però...»

Il timore mi fracassò lo stomaco. I suoi dannati occhi verdi erano vitrei e quasi torbidi. Dov'era la sua anima pulita?

Non erano gli occhi lo specchio dell'anima? Che fine aveva fatto la sua?

Avanzai.

«Dimmi. Cosa. Amber.»

Ma quando sollevò gli occhi con le labbra lucide quasi esangui da quanto le premeva l'un l'altra, già sapevo che qualsiasi cosa le avesse chiesto di fare BlackMoon, ero fottuto.

Dannatamente fottuto.

«Io non voglio, ma loro le faranno del male se non lo faccio, Nicholas.» Iniziò a tremare, in modo disarticolato.

«A chi faranno del male, Amber?»

Contenevo a stento la bestia che mi masticava le viscere, mi gorgogliava nel petto, implorava di andare a prendere Sam e portarla via con me. Ora.

«A-alice... Da quando hanno scoperto di noi ho fatto la brava, mi sono allontanata da lei, mi sono forzata ad avere altre relazioni, ma loro non ci hanno creduto.»

Un'altra vittima, vulnerabile e inconsapevole. Un altro strafottente e sporco gioco. Sempre lo stesso.

Il respiro mi gonfiò il petto, la camicia si tese sui bottoni frontali che volevano placare quel terrore che mi gonfiava i polmoni.

«Nicholas, non so che fare...»

«Amber.» Mi avvicinai ancora, il profumo pungente nel corridoio mi stava stordendo tanto era forte. «Che cosa ti hanno chiesto di fare?»

Lei sollevò lo sguardo, uno sdrucciolare funesto nel gorgo che mi attendeva. Qualsiasi cosa fosse, ero io la vittima, eravamo io e Sam l'obiettivo.

«Lo hai già capito, non è così? Loro non vogliono solo che io ti aiuti a ferirla, vogliono che tu la d-distrugga, Nicholas... n-noi...»

Il mondo mi franò sotto i piedi mentre un'altra lacrima scappò al controllo di Amber.

Troppe lepri in quel territorio.

Troppi predatori in agguato.

E nessun'aquila ad attenderci per portarci in salvo.


https://youtu.be/q-ekMaUmqkU

Era così vera che mi si spaccò il petto e ricompose nell'attimo di un battito mancato. Stupido fragile cuore che mi esplose nel petto, inglobando ogni speranza che avevo riposto nel gorgo ombroso della mia anima marcia.

E il mondo brillò di colori che avevo dimenticato.

Si capovolse e riassestò nel momento esatto in cui i suoi occhi incontrarono i miei.

Quei metri che ci dividevano nella sala erano costituiti di impronte di figli della luna che avevamo lasciato su quella terra infernale.

Non potei fare niente mentre Sam sorrideva, ebbra di me come io lo ero di lei, e iniziava a corrermi incontro.

Era così bella, era così vera, era così tutto per me, che sarei voluto cadere in ginocchio e schiantarmi al suolo mostrando quanto il mio cuore fosse suo prigioniero, da qui all'avvenire.

Ma il contatto visivo s'interruppe.

«Tuo padre ha un messaggio per te, Kayle.»

Provai a scansare la sagoma che mi oscurava a tratti la visuale.

Sam era lì, a pochi metri da me, la vedevo correre tra i vestiti ingessati ed eleganti dei Benefattori. E non mi importava più di nulla, ma poi qualcuno la fermò, bloccandola per la vita e mi ribollì la mostruosità che celavo in me.

Tenebre che osannavano e imploravano di essere liberate.

Incenerii Trevor Black con ogni anfratto scavato a masticato di ombra che il mio animo malridotto aveva sputato. Lui che la stringeva in vita, guancia contro guancia.

Ma Sam continuava a rimanere intrappolata in me, con quegli occhi così grandi.

Non riuscii a muovermi, così castigato dalle mie pene infernali, mentre Trevor le poggiava una mano sullo sterno nudo e scivolava giù, in quella striscia trasparente che mi faceva desiderare tante cose, tutte insieme. Irrorandomi di sangue bollente in punti dimenticati.

«Un messaggio da tuo padre: la maledizione del riccio è venuta a reclamare il suo prezzo, Kayle.»

«Cosa?»

Mi voltai per intravedere a stento lo sguardo dell'uomo che aveva parlato, fisso e funesto, che si disperdeva nella folla. Un uomo che non conoscevo e che persi nella confusione.

Una coppia mi spintonò all'indietro, caracollai come uno stupidissimo ragazzino dell'asilo, confuso e spaesato. La gravità non mi teneva ancorato con i piedi a terra, no. 

Mi teneva ancorato a lei.

Sam.

Mi si parò dinanzi, occhi negli occhi, respiri spezzati a separarci.

Il suo profumo dolciastro di vaniglia e cannella. Mi aggrappai a lei, lei a me.

E il mio nome sulle sue labbra fu la promessa di una vita, fu la speranza che a lungo avevo cercato brancolando nel buio.

La strinsi, la tenni salda a me, ripetendo il suo nome. Una nenia senza fine per il mio animo bestiale.

Ma poi mi resi conto di uno sguardo di troppo, di alcune persone che ci fissavano.

E la realtà era sfocata, era ondulata, come se io non fossi lì, come se...

Arretrai terrorizzato, andai addosso alla porticina laterale e vi entrai, trascinandomela dietro.

Niente ci avrebbe più separato. Niente.

Le sue mani su di me si serrarono, dita piccole e preganti. Colori che si dipanavano dal punto stesso di collisione dei suoi occhi nei miei, il mio cuore bruciava.

I rumori si ovattarono, le luci si affievolirono e la sentii tutta, sotto di me, contro di me.

Il bacio fu la dannazione del mio essere, eppure l'unica luce che avrebbe mai potuto benedire le mie ombre, anche le più buie, anche quelle in cui credevo di essermi disperso per sempre.

Luna, lei era la mia stessa luna.

La sua bocca era così calda. La mia lingua la pretendeva, ne aveva bisogno e la sua colmò ogni mio vuoto. Ogni mio dubbio, ogni mio timore.

Stai bene, pensai o glielo dissi, mentre la mia fronte si beava del calore del suo collo, di quel suo cuoricino che pompava sangue sotto di me.

Sprofondai a terra, senza forza per oppormi.

Collimammo in destini sfilacciati e preganti.

Le mie mani pretesero di sentirla, di dipingerne i contorni, di scolpirmela a memoria, non in quella della mente, ma in quella del cuore. E non resistetti, ci ritrovammo a terra, senza modo di capire, di fermarmi. Non riuscivo... ogni suo respiro affannato mi riempiva di gioia, ogni sua parola sussurrata mi abbracciava le cicatrici.

La baciai, la toccai, ero suo schiavo e volevo solo fare qualsiasi cosa i suoi occhi mi pregassero di fare. Tutto. Tutto e di più.

Afferrai quelle cosce così toniche che mi entravano nel palmo, quasi le potevo circondare completamente, salii e i glutei sparirono sotto il mio tocco, il bollente spingersi del suo punto sensibile contro le dita con cui la stavo toccando e poi gemette.

Persi un battito... non era di piacere quel verso.

Mi sollevai, staccando il gomito dalla sua coscia e vidi delle forbicine infilzate nella carne,  le tolsi.

La guardai, per davvero.

La realtà mi cadde addosso come una cascata gelida. Affannai. La razionalità riaffiorò, spaccandomi le tempie.

La osservai e vidi lo spettro della Sam che ricordavo: le spalle così sporgenti da voler quasi bucare la pelle, la vita così sottile che non sapevo se le avrei fatto del male stringendola troppo e quelle dannate gambine così esili da essere degli stecchini.

Sollevai lo sguardo e il cuore mi sprofondò.

Niente volto ovale, guance morbide... gli zigomi sporgevano con drammaticità, gli occhi così scuri da celare quasi le cicatrici opache sulla fronte, la pelle sbiadita e quasi... malaticcia.

Troppo secche le labbra, troppo opaco l'incarnato, visibile persino con quella luce fioca.

Buttai sul pavimento le forbici.

«Che cosa ti è successo?»

Scostai le mani perché si ritrasse sotto il mio tocco. Ma non mi trattenni e la baciai trasmettendole ogni ombra screpolata del mio cuore rotto e sbagliato.

La tranquillizzai, le sussurrai che andava bene così. L'avrei fatta stare bene, l'avrei aiutata io. L'avrei fatta a sorridere, le avrei tenuto le mani mentre si ricostruiva pezzo pezzo.

Mi disse che era preoccupata per me e mi venne da ridere.

Oddio quanto avrei voluto ridere.

«Tu ti stavi preoccupando per me? Tu...» Spinsi con la fronte contro di lei.  «Sei tu, Sam, che sei in pericolo, tu-»

Cicatrici sbiancate alla tempia.

Maledizione del riccio.

Cena dei Benefattori.

Il riccio. Rex.

Mi sollevai di scatto, la realtà un fiume in piena travolgente. Mi risvegliai del tutto. Mi ero distratto, mi ero lasciato andare e non me ne ero accorto.

Il mondo mi crollò addosso.

Mi appoggiai al muro, mi aggrappai a tutto ciò che trovai.

No...

No.

Guardai Sam e mi fracassai.

No! La maledizione del riccio mi pugnalò il cuore e la vidi, così magra e sfibrata... e capii.

Vidi come ogni mia speranza le si fosse impressa addosso, le mie colpe. Quel corpo gracile che per miracolo la teneva ancora in piedi. Era colpa mia.

La mia debolezza. L'avevo avvicinata, l'avevo coinvolta con BlackMoon...

A causa mia. I miei aculei.

Lei mi aveva stretto nonostante il mostro che ero, nonostante quello che fossi, nonostante tutto...

Come Rex con il riccio.

Lei non mi aveva lasciato andare. Sam mi aveva dato tutta se stessa e guarda io cosa le avevo fatto.

Morì qualcosa in me.

Forse fu il mio cuore. Alla fine. A cedere.

Amber entrò dalla porta catapultando il resto della realtà nella stanza. E mi guardò.

Sam continuò a chiamarmi, confusa.

Ma io dovevo mettere distanza tra di noi, anche se ogni cicatrice che si stava allargando risucchiata dalle tenebre si era tenuta in piedi per un solo motivo, per il filo cauterizzatore che portava il suo nome sopra.

Dovevo strapparlo, dovevo liberarla.

Afferrai la mano di Amber. Anche lei aveva qualcuno da salvare, qualcuno legato anche a Sam.

Avevo fallito. La speranza mi aveva accecato. Avevo perso. Le mie ombre potevano erigersi tutte insieme. Avrei avuto bisogno di ognuna di loro, per non soccombere sotto il peso dell'unica speranza che mi era rimasta.

Mi apprestai a fare l'imperdonabile.

Perché solo così Sam si sarebbe allontanata da me. Solo così BlackMoon l'avrebbe lasciata andare. Solo così lei avrebbe avuto una possibilità...

Senza di me.

La maledizione del riccio non si sarebbe compiuta e la speranza di darle una vera opportunità si sarebbe realizzata.

Una vita senza di me.

Un destino insopportabile, ma sotto cui non mi sarei spezzato per lei.

Il peso della speranza mi trascinò a fondo verso le mie ombre, implacabili. E glielo lasciai fare. Perché solo così sarei riuscita a distruggerla...

La dannazione più dolce.

Il peso della speranza.

NDA:

Non so se sono mai stata tanto male in vita mia per questa storia come il giorno in cui ho scritto questo capitolo... Perchè anche lui alla fine è risucito a sperare. Ma il fardello, il peso, di quella speranza è ciò che lo ha portato a fondo.

🌑 Abbiamo svelato il titolo... ve l'aspettavate?

🌑 La domanda piò sembrare superflua ma: cosa ne pensate?

🌑 Lo odiate per questo? Io sì, perchè è un testone e mi fa ammattire.

Vi ho voluti bene per essere arrivati fin qui, per aver atteso le sue spiegazioni e anche per averlo infamato pesantemente... perchè se lo meritava!

🌑Ma Alice e Amber?

🌑 E i Black che usano sempre lo stesso asso nella manica per piegare chi vogliono... c'era un motivo se Nicholas non voleva legarsi a Sam nel primo e forse, a ragion veduta, aveva ragione, no?

🌘 🌑 🌒

https://youtu.be/q-ekMaUmqkU

Questa canzone qui, che ho inserito nel capitolo, fa sentire un po' la disperazione di Nicholas, se siete curiosi... e direi idem il testo è la voce stessa del cantante, graffiante e profonda come quella del nostro figlio della Luna 🖤

Adesso manca solo l'epilogo... Abbiamo lasciato Sam da sola su quel ponte dopo che Nicholas ha buttato suo padre e se stesso di sotto dal ponte.

Siete pronti?

A prestissimo 🌘 🌑 🌒

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