38. Inferno d'inchiostro

Fiamme avvizzite
Desideri infranti,
Bruciami l'anima, bruciala!

Corrosa.
Svuotata.

Perdonami...
Perché ti ho guardata,
Nel mio mondo ti ho trascinato.

Perdonami.

Io sono
il tuo più grande
Peccato.

https://youtu.be/Y6Had_4bbrc



Mi voltai di scatto, mi liberai con uno strattone dalla mano di Ivan.

Lo sapevo, ancor prima di vederlo con i miei occhi.

Lo sentivo, in ogni filamento di figlia della luna che piangeva.

Lo percepivo, nel mondo che si era sospeso, trattenendo il respiro, attirandomi verso l'altro capo del mio destino, quel filo rosso che si era conficcato nel cuore, sgusciando nelle mie ombre e imbrigliandomi nelle sue schegge di luna...

Annaspai, i capelli mi frustarono il volto.

Mi si stropicciò l'animo mentre osservavo verso l'altro lato della carreggiata, di lato alla carcassa in fiamme.

Mio padre si irrigidì.

«So che cosa vuoi da me, Moon

Piegato sulle ginocchia, sul parapetto in muratura, la notte a incorniciare le sue tenebre. Con una lentezza che aveva dell'innaturale, Nicholas si eresse in tutta la sua statura dinoccolata, estrasse le dita pallide dalle tasche dei pantaloni neri ed eleganti che indossava.

Il collo e il volto erano lattei come la luna, che quella sera non aveva avuto il coraggio dimostrarsi.

«Nicholas...»

Le schegge frantumate del mio cuore erano pezzi disgregati di quello che un tempo era stato un sentimento limpido e motrice dell'universo.

Nicholas si avvicinò, ponderato come un felino, il fuoco che gli sagomava il profilo tagliente del volto.

Non fui più padrona di niente.

Lo sentii, il grido implorante e furibondo di Ivan, le sue dita che provarono a trattenermi, invano.

Superai mio padre e sentii il suo sguardo spiazzato e sgomento penetrarmi la nuca. Ma ero ormai oltre.

Nicholas si bloccò, affilò lo sguardo, immobilità ostentata di pantera.

«Nicholas...»

Mi fermai, pochi passi a dividerci.

L'aria densa di fumo tra di noi. L'attesa che si caricava di elettricità, le fiamme come cornice della mia dannazione, di quei nostri sbagli, come la prima volta alla baita. Con quella mia insicurezza verso il mondo che si era trasformata, con quella sua reticenza di bestia che si era sbriciolata sotto il mio tocco audace...

Il primo che ne era stato fautore.

Inspirai. Avanzai di un passo.

Nicholas serrò le dita a pugno, le vene sui dorsi delle mani gonfie come se stessero incanalando, trattenendo, imbrigliando.

E fu quella, l'unica conferma di cui avevo bisogno...

Allora come adesso.

La prima volta che avevo guardato oltre e che avevo compreso quella sua reticenza nell'allontanarsi da me.

Sollevò il mento, mi squadrò da quell'altezza schiacciante. «Te l'ho già detto, vattene.»

Era nera la maschera stessa che aveva scelto di mostrare, la prima volta che l'avevo visto, come ora. Ma era nera anche quella parte del mio cuore che portava il suo nome sopra.

«Non ti credo.»

Alle mie spalle Ivan gridò, lo sentii avvicinarsi. Li sentivo raggiungerci.

Nicholas calò lo sguardo screziato e perforante, si ingobbì su di me, le vene sul collo sottile così gonfie da chiedermi se riuscisse a respirare.

«Ho. Detto. Vattene.»

Soffiò le parole fuori dai denti serrati. Una minaccia affilata, un ringhio che masticava la paura altrui a ogni boccone. Inneggiando la ragione a scappare; preda braccata.

Ma la ragione era per chi aveva smesso di ascoltare il cuore. E il mio, gocciolante sangue come un rubinetto rotto, aveva un solo nome inciso in frammenti di luna sopra.

«Non ti ho creduto, sai?»

Avanzai di un passo, inarcai il collo; il calore che emanava mi baciò la pelle scoperta dello sterno, il suo alito si schiantò contro di me, i respiri si raccolsero tra i nostri volti.

«Cosa non ti è chiaro di quello che hai visto?» ringhiò, il refolo caldo mi frustò il naso. «Forse hai frainteso, la prossima volta sarò più esplicito. Te lo mostrerò meglio. Vattene

«Non ci credo, Nicholas.»

Strinsi i pugni, delimitai il mio dolore, imbrigliai la mia forza. Ripensai a come mi aveva cercata, baciata, toccata in quella stanza buia durante la cena di gala. Non ebbi dubbi.

Nicholas scese ancora, incombendo come l'incubo che non era mai stato, il mosto pronto a sbranare.

«Credi alle mie parole. Quello che c'è stato era errato. La distanza ha messo in chiaro tante cose.»

Non vacillai. Era incongruente, io no. Lui temeva, non io.

Inarcai il collo, salii verso di lui.  «Vuoi dire la tua paura?»

Occhi negli occhi, mille ombre tra di noi in quello sguardo così crepato da toccarmi in punti mai sfiorati prima.

«Dovrei credere alle parole dettate da chi ha il terrore di ferire gli altri? Di colui che decide di sacrificarsi per gli altri... solo per liberarli dallo sbaglio che è?»

«Le persone cambiano.»

«Non mentire... ho visto come mi guardavi, come mi hai baciata, Nicholas. Non credo alla tua messa in scena con Amber, mi hai capito?»

Ero così spavalda contro quel terrore a cui lui voleva attingere, ma conosceva i miei punti deboli, le mie ferite e fu proprio dove affondò.

«Davvero ti senti così importante per me?»

Il mio non essere abbastanza per nessuno, persino per me stessa...

Aprii il petto, esternai il mio cuore a brandelli, le mie speranze in bella mostra, solo per lui.

«Ricordi? Usiamo le parole per trarre in inganno... soprattutto noi stessi, Nicholas. Come mi dicesti tu.»

E rimase così immobile, così cristallizzato, così...

«Non credo a quello che ho visto. Mi hai capito, Nicholas? Ci siamo già passati, non ricordi? Non mi sono mai soffermata sulla superficie dei giudizi di Haywards Heath e nemmeno su quella minaccia con cui volevi tenermi lontano.»

Portiere sbatterono in lontananza, qualcuno caricò la pistola alle mie spalle.

Non avevamo tempo. Come non ci era mai stato concesso.

«E guarda dove ti ha portato, Sam.»

Un'implorazione rivestita di minaccia, un destino ammantato di colpe.

«Ho sempre visto oltre, non è vero?» Inarcai la schiena, mi spinsi contro di lui. «Guarda come vedo oltre adesso.»

Sollevai la mano libera, gli sfiorai il profilo della mandibola. Le sue falangi mi bloccarono, serrandosi sul mio polso.

Cristallizzati in quel contatto, pelle contro pelle, occhi negli occhi.

Mi chiesi se anche lui lo percepiva che quella stretta era la dannazione più bella a cui potessimo concederci. Che quel suo stringermi tremante era così vulnerabile da mostrarmi ogni speranza che aveva represso.

Qualcosa scoppiò alla nostra destra, dove si trovava la carcassa in fiamme. La lamiera strusciò a terra.

Mio padre imprecò. Ivan urlò.

«Sam! Dobbiamo andarcene, sono qui!»

Il vociare si sommò allo scoppiettare croccante del fuoco mentre l'auto in fiamme veniva spostata di lato aprendo un varco a BlackMoon.

Rimasi immobile, il polso che si fondeva con le dita di Nicholas. Così graffiate e lunghe, così familiari. Ruotai lo scafoide verso l'apertura tra pollice e indice, uscii con un solo gesto e ribaltai la situazione, stringendogli la mano nella mia e appoggiandogliela sul mio petto, sopra la stoffa fine.

Il mio cuore in mano sua.

«Guardami, Nicholas. Guardami e dimmi che non lo hai fatto solo perché BlackMoon ti ha costretto...»

Uno sparo alle nostre spalle. Ordini gridati. Le sirene che si affievolivano. Scalpiccii.

«Guardami e dimmi se mi vedi dubitare. Pensavi che avrei creduto davvero a quel teatrino?»

Premetti le sue falangi lunghe su di me.

«Hai provato più volte ad allontanarmi. Ma io ti amo, Nicholas, con tutte le tue ombre e cicatrici. E so che tu provi lo stesso.»

Gli occhi brillarono come mille schegge di luna, come mille desideri sepolti sotto il peso del mondo, dati in pasto ai buchi neri del fato. La fragilità di un cuore di neve che, se esposto alla luce, rischia di sciogliersi.

Ivan gridò il mio nome, mi strattonò una spalla. Mi voltai appena in tempo per vederlo oscurare la visuale, frapponendosi tra me e gli uomini di BlackMoon che avevano spostato la carcasa in fiamme.

Uno sparo mi bucò i timpani.

Caddi all'indietro, separandomi da Nicholas, la mano di Ivan stretta alla mia spalla; caracolammo a terra, il contraccolpo mi stordì.

Feci perno con le mani sull'asfalto per sollevarmi e un odore pungente mi stordì. Sangue.

Spostai i capelli che mi ostruivano la visuale, osservai con orrore quel liquido cremisi spargersi a macchia d'olio sulla maglia di Ivan.

«No...» gemetti, premetti la mano sulla sua spalla e il rumore viscido e umido mi impietrì.

«Non è... n-niente.» Ivan tossì, le parole gli si aggrovigliarono in gola, si fracassarono nei gemiti.

Gli uomini armati che avevano superato il fuoco erano nascosti al fianco della vettura quasi carbonizzata, apprestandosi a colpirci ancora.

Avevano preso Ivan alla spalla. Il mio volto era a quell'altezza poco prima. Mi aveva salvato la vita. BlackMoon aveva sparato a me e Ivan mi aveva fatto scudo col suo corpo.

«No...no!

Ero paralizzata, terrorizzata...

«Ivan!»

Mio padre entrò nella visuale, affannato, una mano sollevata con la pistola puntata in direzione degli uomini di BlackMoon appostati accanto alla carcassa in fiamme. Premette la sua giacca di jeans contro l'emorragia.

«Premi più forte che puoi, Sam, proprio qui, dietro la clavicola e verso il basso.»

Un trambusto. Imprecò, continuò a mantenere lo sguardo sul fuoco mentre con un braccio sollevò Ivan di peso e attese che facessi ciò che mi aveva chiesto.

«Mi hai capito? Dietro la clavicola e verso il basso! Vai dall'intelligence, Sam! Ivan, non chiudere gli occhi!»

Me lo mollò addosso per sparare due colpi; non cedetti sotto il suo peso a stento. Papà colpì i due uomini che si erano avvicinati oltre le fiamme, uno lo prese alla gamba, l'altro al petto. Entrambi caddero all'indietro finendo a ridosso delle fiamme. Le loro grida furono atroci.

Mi voltai sconvolta. Aveva sganciato la cintura ai pantaloni di Ivan e l'aveva stretta con forza intorno alla spalla dove io premevo ancora la giacca con forza. Il mugugno di Ivan fu gracile e smorzato.

«Andatevene!!»

Ci spinse via. Ivan mi grondò addosso con tutta la sua mole; feci ogni sforzo possibile per non spalmarmi sull'asfalto mentre premevo con forza la giacca sulla ferita.

Ma il sangue era in ogni dove e mi tremavano le gambe, mi tremavano le mani. Mi tremava il cuore.

Attinsi a tutta la mia forza, a ogni briciolo di determinazione che racimolai. Caracolammo via mentre mio padre divaricava le gambe, estraeva qualcosa dalla tasca e lo sganciava con i denti, per poi gettarlo verso BlackMoon. L'esplosione successiva mi stordì; scappammo via dal campo di battaglia.

Ivan era pesantissimo, strusciava i piedi a malapena e i gemiti di dolore si alternavano alle mie parole. Non ero abbastanza forte, non riuscivo a trascinarlo, ma avevo l'adrenalina, quel dono che mi aveva consumata. Ed era quella la mia salvezza.

Macinammo asfalto, barcollando, con disperazione, con grida strozzate, lui di dolore io di sforzo. Lo avrei salvato. A ogni costo.

Gli agenti che si trovavano dinanzi alle auto della polizia all'inizio del ponte, caschetti in testa, giubbotti massicci anti proiettili addosso e armati fino ai denti, ci videro. Qualcuno ci venne incontro.

Ivan divenne molle, pesante, gravoso.

«Ivan! Non ancora! Ci siamo!» Una litania infinita.

Ma inciampai. Scivolammo verso terra, riuscii a malapena a usare il mio corpo per attutire la caduta. L'arma che mi aveva dato era franata accanto al suo busto.

«Ivan!»

Lo schiaffeggiai con forza e gioii l'attimo in cui le sue palpebre si sollevarono mostrando il suo sguardo vitreo e appannato.

«Razza di idiota!»

Sollevai gli occhi, Laila, la bionda facente parte della squadra di Ivan in Australia, si inginocchiò a terra e premette con forza sulla ferita del compagno.

«Non ti azzardare, Walker! Mi hai capito!?» Osservò la ferita, poi si voltò alle sue spalle dove altri due agenti stavano accorrendo.

«Agente a terra. Ferita d'arma da fuoco, foro d'uscita presente. Unità medica!»

Ma non capii altro, mi bastò vedere gli occhi ancora aperti di Ivan per non crollare. Provai a sorridergli mentre le sue labbra esangui si schiudevano senza però dire niente.

Due uomini in divisa accorsero al suo capezzale: due dita al collo, lo guardarono negli occhi, gli tolsero il giacchetto per osservare l'emorragia.

Mi sentii male...

Arteria succlavia, emergenza.

Parole distanti, disconnesse.

Un urlo alle mie spalle mi strappò il respiro.

Un pensiero improvviso mi trascinò via dagli occhi di Ivan e mi scorticò la mente.

Mi voltai con impellenza mentre smettevo di spingere il grumo di stoffa sulla ferita di Ivan e lasciavano che fossero le mani esperte di Laila a occuparsene.

Lo trovai subito.

Giunco nelle tenebre. Illuminato dai bagliori cremisi delle fiamme; accanto al parapetto in muratura, la notte come sfondo, la tenebre come arma. Mio padre era a pochi metri da lui che teneva l'arma direzionata verso i sicari di BlackMoon, che si nascondevano al fianco liberato della carreggiata.

L'intelligence si avvicinava di soppiatto, con le armi puntate sia in direzione di BlackMoon che...

Di Nicholas.

Persi un battito. Nicholas era bloccato. Era accerchiato.

«No...»

Impazzì il cuore, strepitò come un carcerato dinanzi alla pena di morte. Sollevai il capo. Guardai Ivan per un istante prima di mollare la giacca del tutto e lasciarla in mano agli agenti.

Afferrai l'arma accanto al gomito inerme di Ivan, feci forza sulle gambe e scattai verso Nicholas.

Gli spari erano frastornanti, incessanti, mi abbassai schivando un sibilo fortissimo e tenni la pistola ben stretta al petto. La direzionai verso l'uomo più vicino a Nicholas, se agente o sicario non lo sapevo, e non attesi di riflettere. Inspirai. Tolsi la sicura come mi aveva fatto vedere Ivan, caricai la canna con la mano opposta. Espirai. Tirai verso di me l'indice posto sul grilletto.

Avevo mirato al petto. Lo presi invece alla coscia, ma almeno l'uomo arrestò la sua avanzata rimanendo a distanza di sicurezza. Non attesi di vedere oltre.

«Nicholas!!» gridai, le gambe mi dolevano, la pelle del viso accaldata, il fuoco mi accecava.

Sollevò il lungo pugnale che teneva in mano, così insignificante in mezzo a quella sparatoria che stava avvenendo che per un momento quasi scoppiai a ridere.

Curvò le spalle, divaricò le gambe e puntò la sommità della lama verso di me, tenendomi a distanza, in quei metri che ci separavano.

«Sam!» Mio padre apparve accanto a me e calamitò lo sguardo sulla lama che Nicholas mi aveva puntato contro.

Le grida intorno a noi si intensificarono. Urla, spari, gemiti. L'inferno sceso in terra.

BlackMoon accanto alla carcassa in fiamme, l'intelligence che avanzava dal lato opposto.

Mio padre mi superò, avvicinandosi al parapetto del ponte, tenendo lo sguardo ben piantato su Nicholas.

«Nicholas...»

Persi le parole, la brezza mi scompigliò i capelli, gli spari alle mie spalle mi fecero sussultare, ma non erano diretti a noi.

Non ancora...

«Hai sbagliato, Sam.» Nicholas fece un passo all'indietro, mi perforò con le iridi scheggiate.

Un elicottero si fermò sopra le nostre teste con un ronzio tremendo, il vento che le eliche spostavano ci venne addosso.

Mi avvicinai, allungai le dita della mano libera verso Nicholas.

«Hai sbagliato a guardare oltre.» Si ritrasse, scosse la testa con rabbia. «Non c'è speranza per quelli come me.»

Indietreggiò ancora calando la lama puntata nella mia direzione.

Un boato alle nostre spalle, l'onda d'urto mi sbilanciò in avanti, riuscii a inginocchiarmi sull'asfalto per sostenermi.

Sollevai lo sguardo. Mio padre calò il braccio con cui si era parato il volto e si voltò a fissare Nicholas. Vicinissimi.

E fu uno scherzo del destino, forse, o la vendetta finale che giungeva a compimento.

Nicholas mi guardò un'ultima volta e vidi tante cose dilagare in lui.

Vidi l'inferno delle ombre che giungeva al suo apice, una gioia straziante e fuorviante crepargli lo sguardo un'ultima volta, prima che si lasciasse divorare da quella pena da scontare...

L'urlo silenzioso dell'inferno d'inchiostro negli occhi di Nicholas riecheggiò all'infinito in me... Perdono. Peccato.

Non riuscii a capire in tempo, ad afferrarne i significati nascosti.

Perdono.

«No...»

Peccato.

Mi alzai in piedi. Distesi un braccio.

Ma compresi troppo tardi...

Perdono...

Mio padre sollevò la pistola verso Nicholas.

Gridai.

Non riuscii a raggiungerli in tempo.

Peccato...

Nicholas si gettò su mio padre, raggiungendolo con un salto, con cui lo spinse all'indietro, con cui lo sbilanciò oltre il parapetto alle sue spalle, con cui lo trascinò oltre, di sotto...

Precipitarono insieme.

Giù. Dal. Ponte.

NDA:
Vorrei dire, ma non posso.
Vorrei consolarvi, m non sarebbe giusto.

Il prossimo capitolo è Il peso della speranza...

Siete pronti?

Come state?

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