35. Come carta stagnola
Il sangue crepitò nelle orecchie, la vista si appannò.
Che cosa era successo? Amber e Nicholas si conoscevano a tal punto da avere una certa intimità?
Questa mi era nuova... però, in fin dei conti, quanto mi aveva raccontato di se stesso? Quanto sapevo di lui?
No, non era quello, mi fidavo di lui. Io mi fidavo.
Come avevo fatto con pochi, compresa Amber poco prima...
E allora perché mi sentivo così?
Nessuno si avvicinava a Nicholas, né lui lo permetteva.
Mi si contorse lo stomaco, come un serpente aggrovigliato su se stesso. Scacciai quella sensazione nauseante con tutta la lucidità di cui disponevo.
Non ero quello ciò su cui mi dovevo soffermare a pensare, nemmeno lontanamente. Nicholas stava bene, era salvo, era illeso... ed era lì.
Strinsi le mani al petto, la pelle nuda sopra lo sterno era sudata, era bollente.
Arrivai alla porta e uscii dalla stanza. Qualsiasi cosa stesse succedendo me l'avrebbe spiegata lui. Erano mesi che ci aspettavamo, avevamo un'intera organizzazione criminale contro, tutti ci volevano lì... perché? Che cosa stava succedendo?
La luce della stanza era troppo intensa, l'aria che profumava di cibo e fragranze costose era asfissiante. Scostai la testa da un lato e dall'altro. Li cercai ovunque intorno a me: giacche con le iniziali ricamate, gioielli sfarzosi ricolmi di pietre sgargianti, troppi odori, troppi rumori...
Soffocavo.
Un brindisi di un gruppo di tre uomini, accanto a me, mi trafisse i timpani; mi tappai le orecchie, incurvai la schiena. Ansimai con forza fino a quando rimisi a fuoco il pavimento luminoso e dorato sotto i miei piedi.
«Com'è che hai detto, prima?» La voce di Susan era così melliflua da sembrare lo strusciare del ventre di una serpe contro il marmo. «Mi fido di te, le hai detto, giusto?»
Scossi la testa con forza, ma lei non demorse. Mi superò, mi tagliò la strada, mi osservò dall'alto verso il basso.
«Oh, guarda! Che dici, Trevor, la tua Rossa stava proprio dicendo quanto le piace Amber.» Ridacchiò, viscida. «Ironico, non trovi?»
«Vai a farti friggere, Susan!»
Mi sporsi oltre, pronta ad andarmene, ma incontrai lo sguardo serio e inglobante di Trevor.
Tese una mano verso di me, sorpassando Susan, che ne rimase molto contrariata.
Aveva qualcosa, nello sguardo, che mi diede fastidio. Più di BlackMoon che mi aveva rapita, più della sofferenza di mia madre degli ultimi mesi, più della confusione in cui era collassata la mia mente, più dell'intimità di Amber e Nicholas...
Trevor mi guardò e vi lessi dentro dispiacere. Di quello intimo e logorante che non solo si rigetta sugli altri ma che si conosce in modo personale.
Allungai un passo all'indietro, spiazzata. Frastornata.
Trevor Black si stava dispiacendo per me...
Mi sfiorò la spalla.
«Sam...»
Il malessere mi oppresse dietro l'epigastrio. Scansai Black con rabbia e me ne andai da loro mentre la voce giuliva di Susan diventava aspra. «Fai finta di avere un cuore, Trevor?»
Mi allontanai con la nausea che ancora bruciava, con un tarlo tremendo che mi bacava i pensieri. Mi aveva chiamata Sam...
Scossi la testa con forza, i capelli mi frustarono la pelle nuda delle spalle.
Non mi importava, non mi importava...
Dovevo concentrarmi, dovevo impedirlo. Sentivo lo sgusciare funesto dei miei pensieri, dei concetti che non afferravo, dei segreti che mi avvolgevano nelle loro spire...
Salii su una sedia dall'imbottitura bianca latte e osservai la sala dall'alto. Abbracciai tutta la visuale con lo sguardo. Portai l'attenzione sulle uscite della stanza dove gli uomini a guardia, la fondina carica che sporgeva dalla giacca lasciata aperta sul davanti, sostavano impettiti e vigili. C'erano due uscite.
Ma i miei sensi convergettero con accurata sensibilità verso l'assenza stessa di colore di Nicholas, in quel tripudio gravitazionale che mi attirava verso di lui. E lo individuai subito, dall'altro lato della sala, il mento sollevato ma lo sguardo torvo e nero che teneva tutti alla larga, se non Amber, le cui dita erano ancora intrecciate alle sue.
Amber e Nicholas.
Mi si sgretolò un pezzo di cuore che non ebbi il tempo di raccogliere.
Non avrebbero giocato con me, non avrei atteso altre risposte mancate. Eravamo io e Nicholas, bastavamo fossimo noi, mi avrebbe spiegato tutto poi...
Scesi raschiando con la mano aperta al muro, per sostenermi nella calata, un rumore di strappo mi comunicò che qualcosa si era lacerato nel vestito. Bene.
Sgomitai tra le persone, tenendo bene a mente il luogo che avevo visto prima, dove li avevo individuati. Ci arrivai appena in tempo, li vidi oltrepassare due delle guardie appostate alle uscite e sparire oltre il battente.
Inciampai negli stivali, sollevai lo sguardo sullo scimmione elegante che faceva da guardia, sicura che non mi avrebbe fatto passare. Non mi importava, mi sarei guadagnata il varco. Sollevai i pugni dinanzi al viso: ero pronta ad affrontarlo pur di andare oltre la soglia.
Ma il suo sguardo vuoto e noncurante mi osservò senza fare niente, bensì mi scrutò contrariato, squadrando la posizione difensiva che avevo assunto. Poi spostò lo sguardo altrove, oltre me.
Rimasi di sasso sorpassando la sagoma dell'uomo e proseguendo oltre.
Pensavo che Trevor mi avesse detto di non uscire...
Forse la guardia non ne era a conoscenza. Ma non ebbi tempo di pensare ad altro, il corridoio appena illuminato mostrò una porta a vetro scuro che scivolava docile nel binario e il vestito floreale di Amber che vi spariva oltre.
Raggiunsi con passo malfermo l'uscio da cui erano passati. Appoggiai la mano sulla maniglia nera e gelida e con forza la feci scorrere. Il buio che mi accolse nella stanza mi spaesò.
La parete a vetri sul lato opposto dello stanzone lasciava entrare opalescenti raggi bianchi che danzavano sul pavimento in parquet. Vidi le loro ombre oltrepassare un'altra porta situata al termine dell'imponente vetrata e un clic secco ne decretò la chiusura.
Un passo. Un battito tumultuoso mi fracassò il petto.
Un passo. Un'insinuazione subdola mi avviluppò i pensieri.
Un passo. L'adrenalina tuonò, ingranò la marcia.
Un raggio latteo sfiorava l'uscio che era appena stato aperto. E mentre avvolgevo la maniglia in ossidiana tra le dita, intravidi la piccola veranda che si estendeva oltre, illuminata in modo debole.
Strinsi forte. Nicholas mi avrebbe spiegato tutto.
Tirai verso di me. Mi affacciai oltre. Arrotolai il nome di Nicholas sul palato, la dolcezza intrinseca che desiderava lenire le mie ferite... ma le parole persero la loro composizione, vocali e consonanti disgregate e incompatibili, si incastrarono nel palato, scivolando via dall'intento.
Lo spiraglio che avevo aperto era sufficiente per lasciarmi passare, ma le dita non si staccavano dalla maniglia.
Non ci riuscivo, non potevo.
Quel loro bisbigliare flebile mi paralizzò.
La lama di luce che baciava la veranda illuminava con spietatezza la parete laterale, le loro due figure addossate a essa ne pretendevano il palcoscenico.
«Forza...» Amber pregò con voce delicata, flebile sul finale, soffice.
«Forza, Nicholas.»
Nicholas ringhiò in risposta, un tormento di ombre.
E poi avanzò, spingendo la sagoma minuta di Amber all'indietro verso il muro alle sue spalle. Sollevò un braccio in modo repentino e colpì la parete accanto alla sua testa, un tonfo agghiacciante e furibondo.
Ma lei non si mosse, non si distolse, non scappò...
La luce flebile esterna che filtrava in quel punto della veranda li sfiorava, subdola.
Nicholas incurvò la schiena e poggiò l'altra mano al lato opposto del suo capo, circondandola con le braccia distese e rigide, bloccandola.
...Nicholas?
La maniglia tra le mie dita era gelida come l'assenza stessa di calore, era liscia come una lama affilata, consistente come niente in me lo era più...
«Lo avevi promesso...» Espirò Amber con tono implorante, salì in punta di piedi in quello spazio esiguo che li separava.
Nicholas gemette, piegò le braccia avvicinandosi a lei, annullando la distanza tra di loro.
E qualcosa fu così familiare nella reticenza di quel gesto, nel modo in cui lei era così inerme dinanzi a lui, che il filo che teneva insieme i pezzi mal ridotti del mio cuore parve cedere...
«Sì, l'ho promesso...» Voce graffiante e ovattata, chiusa tra i loro corpi.
«E allora fallo.» Fantasmi di lacrime nelle parole.
Nicholas si chinò su di lei.
La vista si appannò, ma non abbastanza; i rumori si ovattarono, ma non a sufficienza.
Lo schiocco umido fu troppo chiaro.
Non vedevo, non respiravo, mi mancava... ossigeno.
E non potei, non riuscii...
I loro corpi si avvicinarono, troppo, le loro bocche erano unite. Unite. La stoffa frusciava, i respiri si frastagliavano, le loro figure si unirono in un'unica silhouette.
Non riuscivo a muovere, non riuscivo a... non riuscivo... non-
La schiena di Amber si separò dalla parete, si inarcò, i capelli fini caddero all'indietro sulle spalle. Le braccia di Nicholas si abbassarono, le mani la cercarono in quel avviluppo di figure...
Il sangue nelle vene divenne piombo, l'aria si addensò in vapore asfissiante.
Un gemito strozzato, un frusciare di abiti stropicciati.
Pelle che veniva afferrata. Non la mia.
Dita nei capelli. Non i miei.
Labbra che si fondevano. Non le mie.
Le calotte spezzate del mio cuore si allontanarono definitivamente, lo strapiombo mi accolse. Precipitai.
Caddi verso terra, sbattei con ginocchia al suolo, palmo aperto, capelli in ogni dove. Il cuore divenne un pesce palla, gonfiò, inglobò, si ingigantì...
Nicholas le strattonò la testa all'indietro.
Il mio cuore mise gli aculei.
Le dita diafane le percorsero i fianchi tremando. Le stesse che mi avevano pregata, con le quali mi aveva accarezzata e sostenuta.
Quegli aculei iniziarono a penetrare.
Gli tremò addosso, come di qualcosa di represso.
Tremai dentro, come foglia nella sua discesa finale.
Stritolai la maniglia perché la mia mano era ancora lassù. Le lacrime mi bruciarono la pelle, il fiato mi sgretolò la gola...
Credevo fosse solido, il cuore.
Un pezzo di carne.
Ma divenne carta stagnola, si accartocciò come fosse spazzatura.
Implose, stropicciando tutto, dentro e fuori. Si appallottolò su se stesso, senza consistenza. Sopraffatto dal dolore...
No.
Il cuore era fragile come un respiro di vita.
Quello che Nicholas mi aveva dato, quello che loro mi avevano appena strappato...
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