34. In fondo al burrone
Il cuore è stato fatto per essere rotto.
~
Oscar Wilde
Il respiro implose nel petto. Divenne argilla a cospetto dell'impetuosità di quelle emozioni sovrane che mi strapparono il cuore e lo gettarono nei suoi occhi di luna.
Era dall'altro lato della sala, oltre gli eleganti gruppi di persone che presenziavano all'evento; si ergeva al loro cospetto come un graffio gotico su una tela barocca, racchiudendo la sua minaccia in quegli occhi di bestia.
Nicholas era nella mia stessa stanza, era lì, a distanza di metri.
Nicholas, che anelavo da mesi come solo l'ossigeno che dà vita, può mancare.
Nicholas, figlio della luna, con quelle ombre sbeccate che lo rendevano così affine a me.
Nicholas.
Collo pallido che sbucava dalla camicia nera, le clavicole che pungevano la pelle per mostrarsi, spigoloso nella piega delle labbra fino agli zigomi e le sopracciglia arcuate che si rigettavano sotto la cascata di ricci d'inchiostro. Una mano sospesa a mezz'aria accanto alla tempia, le dita in procinto di insinuarsi nel folto della sua chioma, ogni oscurità affilata del volto che convergeva nelle pupille ruvide.
Mi vide. La mano si paralizzò.
I suoi occhi mi bucarono l'anima, mi cristallizzarono il cuore.
Era così pietrificato, così impalato in me mentre io lo ero in lui. Il mondo in uno sguardo. Inizio e fine dello stesso filo.
Un gruppo di persone si frappose tra di noi, lo persi di vista...
Mi risvegliai, ansimai, racimolai l'ultimo barlume di controllo sul mio corpo. Le gambe si mossero, le pupille si annebbiarono. Le luci erano inutili, erano i suoi occhi l'unica cosa che brillava in me.
Uragani di schegge mi perforarono i polmoni, ma io non ne avevo bisogno per respirare, io avevo lui e il mio mondo era tornato a ruotare.
Ridussi la distanza, guadagnai ogni metro che ci separava. Sempre più veloce, sempre più impaziente, la musica docile, i chiacchiericci contenuti, il sudore che mi scorreva sul collo, stoffe pregiate e colorate che rivestivano quelle persone che ci ostacolavano...
Oltrepassai alcuni ridacchianti brindatori e lo ritrovai con la sinuosità della pantera inchiostrata che era: le spalle sottili con cui si ergeva oltre la folla nella sua altezza, così alto da sovrastare tutti, occhi spietati come lame, così indomito da gridare pericolo.
Ma era così pietrificato, con gli occhi troppo sgranati, i lineamenti spigolosi troppo tesi. Le lunghe dita diafane che ancora teneva sospese scivolarono verso il basso, ma erano indecise, erano rallentate, erano... tumultuose in quella indolenza.
Mi guardó come se io fossi il riflesso accecante del sole sulla coltre di neve e lui ne fosse rimasto accecato.
Aumentai il passo, pochissimi metri a separarci.
Le sue labbra spaccate si distesero nell'agonia di un desiderio affiorato, di una gioia strappata.
Ma eravamo lì, noi, vivi, veri, figli della luna. Vivi. Insieme.
Quel filo che ci collegava si riavvolse, strattonò, tiró.
Qualcuno gli parlò, invitandolo a porgergli attenzione, ma il suo sguardo era solo per me.
Allungai le dita anche io, in procinto di colmare un vuoto che si estendeva nei respiri che avevamo condiviso, nelle cicatrici svelate...
Qualcosa mi placcò, bloccando la mia avanzata. Mi si staccò l'anima continuando a percorrere i metri che ci dividevano. Nicholas allungò il collo, le dita si serrarono a pugno mentre un ghigno affilato gli colmò di tenebre il volto fissando qualcosa accanto a me.
Mi voltai con la collera che bruciava sulla punta della lingua, incontrai una signora con una elegante giara sui capelli mori che impallidì oltre la maschera di trucco pesante, poi guardó oltre la mia testa.
Qualcosa mi strinse il polso.
«Black.» La donna si prodigò in una reverenza servile.
Fissai la mano con cui Trevor mi tratteneva l'articolazione.
«Lasciami!» gridai.
La signora lecca-piedi mi squadrò sdegnata prima di andarsene. Black si chinò su di me, la camicia frusciò a quel gesto.
Lo sentivo ancora, lo sguardo di Nicholas che mi perforava la nuca, che si era piantato nella mia anima come una freccia giunta a destinazione.
«Un attimo solo, Rossa. Non attarderó il vostro incontro, fosse mai. Mio padre non attendeva altro-»
«Arriva al punto!»
Nicholas, l'unico pensiero della mia mente.
Nicholas, l'unico battito del mio cuore.
«Sai cosa disse Oscar Wilde?»
Tirai per liberare il polso, me lo torse verso terra. Barcollai andandogli addosso. Strusciai il naso contro il tessuto liscio della sua camicia e il suo petto poderoso spinse contro il mio seno.
«Suppongo sia un no, Rossa. Ma ti conviene ascoltare bene, a discapito del-»
«Non me frega un cazzo!»
«E invece ti importa eccome. Perché non rimpiango quello che ho fatto, avrei voluto fare molto di più con te, ma non questo. Non sono crudele come credi.»
Ne dubitavo.
«Il cuore è stato fatto per essere rotto. Ricordati il mio consiglio, Rossa. A volte non ne vale la pena.»
Mi avvolse la mandibola, mi passò un braccio intorno alla vita. Nemmeno il suo busto che avvolgeva il mio, oramai, mi faceva più effetto. Sentivo solo quel bruciore in me che aveva inciso a fuoco il nome di Nicholas.
«Vedi?» Premette la guancia contro la mia, bucandomi la pelle con la barba rada. «Chissà cosa starà pensando adesso il tuo amante, vedendoci così. Forse dovresti lasciarglielo credere, dovresti fingere per il tuo bene, se davvero ti vuoi salvare.»
Nicholas ci stava divorando con lo sguardo, con i ricci che grondavano sul viso, con quella bestia che affiorava dalle ombre che lo inghiottivano.
«Se adesso scegli lui, te ne pentirai, Rossa.» Mi lasciò andare. «Siamo entrambi vittime di questo gioco e tu non sai ancora quanto. Non sempre scegliere col cuore ti salva.»
La libertà mi diede alla testa, oscurò le minacce che aveva pronunciato, annebbiò quei consigli. Non me ne fregava più di niente.
Mi voltai a cercare Nicholas, quell'assenza di colore, quell'immobilità fremente del felino che era, sinuoso come la notte. Non lo trovavo, la vista mi stava giocando brutti scherzi. Era lì, fino a un momento prima.
Colmai la distanza che ci aveva separato prima, giunsi nel punto in cui l'avevo visto, addossato alla parete, distante dall'arcata che conduceva alla sala adiacente, poco dietro la porta in legno socchiusa accanto al quadro d'oro.
Lui non c'era. Non c'era... dov'era?
Mi appoggiai con le mani aperte al muro, la festa alle mie spalle erano voci gorgheggianti di un universo parallelo. Era lì, lo sentivo, lo avevo visto pochi secondi prima!
Mi lasciai guidare da quel treno folle che scandiva il deragliare della mia povera anima chiamato cuore. Ci sono tanti fili che ci guidano nel destino che ci attende, ma ce ne sono pochi che percorrono le costole, che si infiltrano negli alveoli fino ad adornare i sogni più reconditi nei roveti di noi stessi.
E sono quei fili invisibili che ci tendono come marionette verso chi, il nostro animo, lo custodisce come proprio.
Mi voltai, annaspai.
Mille schegge di ghiaccio mi balenarono dinanzi, un refolo bruciante si dipanò sulla fronte, il suo profumo di limone mi colpì come un iceberg.
«Nicholas...»
Mi afferrò la vita, mi aggrappai al suo colletto.
Ci respirammo addosso. Il tempo si sospese.
Mi scoppiò il petto, si risanarono le ferite del cuore, mentre i suoi occhi mi guardarono in un modo così intimo che la realtà sparì.
«Sam...» Graffi di cocci ruvidi.
Morii e rinacqui in quelle tre lettere.
Nicholas mi attirò all'indietro. Gettò una rapida occhiata alla parete alle sue spalle e ci si spinse contro, aprendo una piccola porta e trascinandomi all'interno della stanza, allontanandoci dall'evento.
La penombra ci avvolse, la confusione venne meno. E i nostri respiri divennero melodia nel silenzio; infranti, irregolari, tremebondi.
«Nicholas...»
Gli sfiorai le clavicole pungenti oltre l'apertura della camicia; il suo calore mi scaldò gli anfratti gelati da mesi di assenza. Sollevai lo sguardo su di lui e mi si stracciò il cuore: era bello come non mai.
Il suo petto si gonfiò contro le mie mani, mi ansimò addosso.
Non resistetti più. Lo baciai.
Mi strinse, mi colmò. Labbra screpolate e scavate, incastri su misura sulle mie.
Attimi di bruciore vitale, schizzi colorati su una tela annerita. Spinse contro di me, i respiri si rincorsero, le lingue colmarono un bisogno che erano mesi di silenzi mancati, di occhi sognati, di futuri frantumati.
Mi afferrò tutta. E non era abbastanza. Non era un bacio. Era una preghiera, un'agonia, la sinfonia di anime sgretolate. Ed ero fuoco primordiale che mi consumava, che mi tremava nelle caviglie, desiderava e chiedeva, voleva che sopravvivessimo, che...
Vivessimo.
Si staccò da me, le labbra mi bruciarono, pulsarono.
Spinse la fronte contro la mia, una richiesta moribonda con cui morì nei miei occhi. Salii in punta di piedi, perché non era sufficiente. Perdemmo l'equilibrio, cozzammo con la parete, appassimo verso terra, avvolti nella penombra. Mi tirò su di sé; gli salii a cavalcioni. Lo strinsi tra le cosce, le ginocchia sfiorarono la parete; il vestito si increspò risalendo, le forbicine affondarono nella pelle.
«Stai bene...»
Mi baciò il collo, la spalla, il bordo della mandibola. Ed erano respiri infranti, cuori come tamburi, i suoi polpastrelli ruvidi nell'incavo delle ginocchia, caviglie come ragnatele, ricci impugnati come salvagenti, parole che si dispersero, sguardi come melodie di sbagli, pelle come percorsi proibiti.
Cademmo, disarticolati; schiena che rabbrividisce col freddo del pavimento, abiti che strusciano, lui sopra di me.
Mi aggrappai alla sua schiena, la percorsi tutta, fasce di nervi che guizzavano. Spinse contro di me, schiacciandomi tra il suo ventre e il pavimento. Vestiti di troppo, cuori che desideravano battere all'unisono, colmarsi, riempirsi, dipingersi.
Gli afferrai i ricci, mi inarcai, gemette sul mio collo e gli afferrai il lobo dell'orecchio tra i denti, lo tirai verso di me, gli assaporai pelle, profumo di quella notte passata insieme che mi ammaliava.
Ringhiò, mi baciò la spalla, mi stritolò la coscia; gli sbottonai il colletto.
Avevo bisogno di sentirlo, di più.
Mi strattonava quel bisogno, mi disfaceva, mi annichiliva, tirandomi verso di lui, un elastico teso per troppo a lungo. Solcò la pelle che si abbelliva di brividi, fino a sfiorarmi l'addome col pollice e poi scendere, sinuoso, bisognoso, come non lo era mai stato, senza fremiti a trattenerlo.
Sgusciò oltre gli slip; mi spezzai, agonizzai. Mi baciò, silenziandomi.
Le forbicine affondarono nella pelle, mentre il suo avambraccio ci premeva sopra.
Ma i bottoni erano arnesi complessi e non riuscivo a toglierli dalle asole. Scesi, oltrepassai il bordo dei pantaloni e gli tolsi la camicia, collimando con la sua pelle.
Mi strinse l'anca nella mano, le dita che raggiunsero il mio punto più sensibile. Ma il suo gomito premette contro le forbicine infilzandomele nella coscia e il dolore mi fece digrignare i denti.
Nicholas si bloccò, si sollevò da me, confuso.
L'assenza del suo busto sul mio mi strappò il petto dal cuore.
Ma lui sollevò la stoffa e tolse il freddo dell'oggetto dalla mia coscia.
Mi puntellai sui gomiti e mi sollevai a guardarlo, le luci opalescenti che trapelavano dalle finestre gli illuminarono lo sguardo.
Mi paralizzai.
Scostò lo sguardo dalle forbicine al rigolo di sangue che scendeva dalla ferita sulla gamba e poi mi guardò, mi guardò tutta, distesa sotto di lui.
Impallidì. Assottigliò gli occhi.
Risalì con quelle iridi scheggiate, strusciò con lo sguardo sulle ossa sporgenti del bacino ora visibili, mi toccò il costato oltre il vestito, con dita titubanti, osservò l'addome incavato che la stoffa non riusciva a mascherare, seguì il profilo di ogni prominenza.
Il suo sguardo si colmò di mille ombre, affilato come lame. Buttò le forbicine a terra, un suono cristallino nel silenzio dei nostri respiri.
«Che cosa ti è successo?»
Provai a scostarmi, imbarazzata, tornai a sedere; le sue dita si sollevarono appena, senza costringermi, sfiorandomi i lunghi capelli incastrati in ogni dove.
E quel mio essere diversa, sbagliata, affiorò tutto in una volta, gorgheggiando di mille errori commessi che non volevo mostrare, bensì nascondere tra le pieghe del mio essere figlia di luna...
Non me lo permise, non mi lasciò sprofondare.
Mi si gettò addosso accogliendo quella mia fragile pelle, quel mio addome affamato di vita.
«Va bene così, vai bene così... scusami, Sam. Scusami.»
La dolcezza di quel bacio mi sussurrò di sbagli che non erano tali, di dolori che erano condivisi, di sofferenze che erano specchi dell'anima. E fu come guardare giù dal precipizio in quel baratro che ci attendeva.
Ma i suoi baci erano promesse senza tempo, le sue mani che mi toccavano, che mi custodivano, ossa sporgenti e pelle consumata, erano scialuppe di salvataggio. Che non mi avrebbero lasciata annegare.
«Mi sei mancato come nient'altro al mondo... Non farlo mai più. Non mi mandare via. Non più. Tutto quello che è successo, tutto questo.» Ogni pensiero alla deriva, ogni logica dispersa sulla battigia, come resti di un naufragio. «Ogni giorno ero terrorizzata all'idea che ti fosse successo qualcosa.»
Un gorgoglio di petto, quasi l'avvenire di una risata, labbra su labbra.
«Tu ti stavi preoccupando per me? Tu...» Spinse con la fronte contro la mia. «Sei tu, Sam, che sei in pericolo, tu-»
Si scostò di scatto.
Il mondo si riversò con crudeltà nei suoi occhi.
Il piombo inondò le vene.
«Che ci fai qui, Sam?!»
Si pietrificò il cuore.
La semioscurità si avviluppò intorno a lui.
«No...» ringhiò, inerpicò le dita tra i capelli, si accartocciò su se stesso. «No...»
Si issò in piedi, lo seguii a mia volta; i capelli incastrati nelle nostre vesti, la camicia fuori dai pantaloni, le prime asole vuote, le pelli bollenti che ancora si cercavano.
«Non è possibile!» ringhiò. Ogni nervo si gonfiò sul collo, le dita si serrarono con violenza.
Cosa...
«No!!» Sbatté un pugno al muro, un latrato straziante.
Sussultai, terrorizzata, incredula. Dopo tutto quello che avevamo passato. Stavamo bene, ci eravamo ritrovati.
«Nicholas...»
Bastava quello, bastavamo noi.
Gli sfiorai il lembo della camicia arricciata sull'addome.
Si voltò di scatto, come la pantera che era, scostandosi dal mio tocco, come se non fosse desiderato, come se bruciassi; mi sovrastò, così alto da occupare ogni angolo della visuale.
«Vattene.»
Mi precipitò qualcosa, negli abissi del mio animo. «Nicholas?»
«Vattene, ti ho detto!»
L'ossigeno raschiò in gola, la mente si inondò di pensieri sconclusionati...
Voltò le spalle larghe e sinuose, strusciò con il palmo aperto contro la parete fino a raggiungere il battente socchiuso che lasciava entrare le luci flebili della festa.
Allungai ancora la mano, verso di lui, vuota come non lo era mai stata, ricolma di parole a cui non sapevo dare forma.
«Nicholas... ma di cosa parli? Perché mai me ne dovrei andare?»
Avanzai, perché non me ne sarei mai andata, certo che non me ne sarei mai andata! Ma che discorsi erano?
«Aspetta! Nicholas. Spiegami che sta succedendo. Certo che non lo farò, neanche morta. Nicholas-»
La porta si aprì di scatto. La lama di luce mi ferì gli occhi, mi schermai il volto col braccio e quando rimisi a fuoco riconobbi una figura esile e sottile, una cascata di capelli diafani come ragnatele.
«Amber?»
Un paio di teste si voltarono curiose verso di noi, oltre la sua figura minuta. Ma lei rimase immobile, il braccio ancora teso, con il palmo aperto sul battente della porta che aveva spalancato.
Nicholas era inerte dinanzi all'uscio, a qualche passo da lei, la schiena nella mia direzione.
Gli occhi di Amber erano grandi come quelli di un bambino, la luce alle spalle le lasciava il volto in una semi penombra. Mi guardò e fu come se la mia vista le pesasse, la schiacciasse, come se partecipasse a una sfida di cui non sapevo i concorrenti, ma di cui lei era la sconfitta...
La de Clare chinò il capo e alla fine sollevò l'attenzione su Nicholas, a pochissimi passi da lei.
Così alto e sgraziato al suo confronto.
«Nicholas?» lo chiamai ancora, con quel grondare di confusione che mi serrava lo stomaco in una morsa.
Chissenefregava se c'era Amber, da lei non dovevo nascondermi.
Nicholas abbassò una spalla e calò il mento su di essa, il suo sguardo mi trovò per un bisbiglio di secondo, incastrandosi in me. Così breve da aver timore di essermelo immaginato, così fugace da sentirne già la mancanza.
E quel qualcosa gridò in me, per quella reticenza con cui si stava allontanando, per quella distanza che non mi spiegavo. Stava inscenando una recita strana di cui non afferravo il senso.
«Nicholas.» Amber allungò un braccio nudo e sottile, la spallina dell'abito floreale le scivolò sulla pelle scoperta.
Lui, docile e reticente, rivolse la sua attenzione a quello spazio che gli separava, a quelle dita che gli stava porgendo.
Nessuno si fidava di Nicholas e lui di nessuno, vedere qualcuno che gli porgeva la mano mi sgualcì il petto di una tenerezza intima.
E, mentre il mio cuore si crepava sul culmine di quel sentimento puro, Amber calò gli occhi. Nicholas le prese la mano, colmando quello spazio, come non aveva mai permesso a nessuno se non a me e William. La seguì.
Allontanandosi da me.
Allontanandosi. Da. Me.
Rimasi pietrificata mentre sparivano nella confusione della festa, mentre le parole di Trevor mi tornavano alla mente.
Non capii più niente.
Ero già in fondo al burrone.
E il cielo non mi era mai parso così distante...
NDA:
Amber de Clare?
Idee? Ci manca qualche pezzo? Svariati? Ipotesi?
Cercherò di aggiornare appena possbile, impegni permettendo, questi ultimi capitoli andrebbero letti tutti in rincorsa, me ne rendo conto. Quindi grazie per la pazienza smisurata che state dimostrando :)
E citando Aurora... "gioie sì, ma prepariamo i fazzoletti". Secondo me esagera XD
La mezza gioia ve la siete goduti, vero?
Un abbraccio enorme che ne abbiamo bisogno!
Silvi
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