29. Shlimazl
There's a fire inside me
Waiting for something
Burning uncontrollably
If I do nothing
The Waiting Game - Kalandra
NICHOLAS POV
Uscii da Victoria Station e sollevai il cappuccio della felpa per schermarmi dalla pioggia.
Osservai i comignoli paralleli che svettavano pignoli sui tetti rossi della stazione. Approfittai della confusione creata da un paio di cab, accostati al marciapiede, per attraversare la strada e disperdermi verso Grosvenor Gardens.
Un uomo mi stava seguendo. Lo avevo notato da quando avevo finto di dirigermi nei bagni della stazione. Non si stava nascondendo, né teneva una distanza di sicurezza.
Voleva che lo vedessi.
Superai la statua di Ferdinand Foch notando come quella zona del parco fosse sgombra da occhi indiscreti. Circumnavigai una siepe cava e, appena l'uomo che mi stava seguendo fu a portata, cambiai direzione e lo investii gettandolo addosso alla muraglia di piante.
Gli premetti la lama allo stomaco, mentre con l'avambraccio gli schiacciai la trachea. Sgranò gli occhi, sollevò le mani mostrandomi il telefono che teneva tra le dita, lo schermo illuminato, una chiamata attiva.
Squadrai l'uomo prima di afferrare l'oggetto e portarmelo all'orecchio.
«Mi fai pedinare?» ringhiai.
«Se avessi voluto pedinarti, non ne saresti venuto a conoscenza, no?» decretò mio padre.
Lo ingnorai. «Ho le coordinate che avevi richiesto.»
«Non è solo per quello che ti ho chiamato, Kayle. Il piano è cambiato. Sanno lei dov'è.»
Mi si sgretolò l'ultimo pilastro che mi impediva di impazzire, di sprofondare nei meandri delle ombre che mi reclamavano.
Digrignai i denti, soffocai quell'impotenza che mi sbarrava le vie d'uscita. Le emozioni sono debolezze, le mie ombre la mia forza. Ma Sam era entrambe ed era tutto per me. Tutto.
«Devo accertarmi che non la trovino.»
«Credi di avere altre alternative che non sia io? Ascoltami-»
«Sì che ho alternative. Smettere di fare il tuo lavoro sporco e consegnarti a BlackMoon.»
«Hai finito?» mi schernì Aeron. «Dimentichi che se vuoi ci posso pensare io a lei. Tu dimmelo e ci penso io-»
«Toccala e sei morto!»
Il ringhio spaventò un piccione solitario che cascò giù dalla statua alle nostre spalle. L'uomo che mi aveva pedinato rimase con lo sguardo vigile a debita distanza.
«Dio, Kayle. Guarda come ti rende debole. Dovresti sbarazzartene tu stesso, sei la tua stessa vergogna.»
Avevo un gorgo di rabbia che mi masticava l'addome. Se lo avessi avuto lì davanti forse avrei davvero messo fine a questo gioco perverso in cui eravamo finiti io e Sam. Avrei eradicato i problemi alla radice, uno a uno.
«Sono serio.»
«Anche io. Scegli: temi più me o Black?»
Io temevo il destino, alla fine. Shlimazl non esisteva.
Rimasi in silenzio.
«Bene. Le coordinate che hai trovato sono confermate?»
«Sì.»
«È ancora qui a Londra quindi?»
«Sì.»
«Perfetto. L'aver confermato che sia tornato su suolo britannico è ciò di cui avevamo bisogno. Deve avere ancora con sé le informazioni che stiamo cercando, se non sono state ancora rese pubbliche.»
Sollevai lo sguardo al cielo, a quella coltre di nubi che sapevo celare, dietro di sé, il sole. I raggi di quella speranza che non muore mai, ma che siamo solo noi a non vedere più.
«Il suo ritorno farà il resto... siamo tutti vulnerabili quando le emozioni entrano in gioco, Kayle. Perciò Nathan Cross lo staneremo noi.»
La pioggia mi franò negli occhi.
«Sua figlia è un punto chiave. Lo sai che non hai altre possibilità se arriveremo alla resa dei conti, vero?»
«Non succederà.»
«Sicuro, Kayle? Ricordi vero la maledizione del riccio?»
Un turbine di nero, un ricordo pesante, l'inchiostro nelle vene.
Vicolo cieco.
«Ricordi quale fosse il peso della sua speranza?»
Serrai le palpebre, incapace di capire se era il cielo che piangeva o il mio cuore.
Ci credetti, a shlimazl.
Il cielo piangeva e la speranza diveniva il peso più lacerante che avessi mai dovuto sopportare in tutta la mia vita.
SAM POV
Vedevo nero, un guazzabuglio di forme inconsistenti. Quando inspiravo la stoffa mi tappava le narici cercando di conficcarsi all'interno; quando espiravo l'aria intorno al volto si intiepidiva. Vedevo sempre nero.
«Dovè Ivan?! Dov'è mia madre?!»
Una cantilena infinita. Mi ribellai da quel qualcosa che mi teneva le spalle serrate in una morsa.
«Sta ferma!»
«Lasciami o ti stacco le dita a morsi!» gridai all'ignoto incanalando quella furia che erano mille spilli infuocati nelle vene.
La risata che sorse alla mia destra si spense con un colpetto di tosse di una terza persona, di cui non riuscii a identificare la locazione.
«A Williams ha spaccato il setto nasale.» Voce baritonale, femminile. «Quindi non abbassate la guardia.»
Flebili indistinte figure si srotolavano dietro il lembo scuro che mi copriva la testa. A ogni battito di palpebre le ciglia sfregavano contro il lembo che mi oscurava la visuale e mi avvolgeva il capo. Mi avevano bendata come in un rapimento televisivo.
«Dove sono?!»
«Silenzio.»
Schizzai da un lato all'altro, cercando di mettere a fuoco qualcosa. Era inutile, era troppo spesso quel grezzo materiale che odorava di juta e mi copriva gli occhi. Mi avevano legato le mani dietro la schiena e qualcosa mi immobilizzava le spalle impedendomi di muovermi liberamente.
Un rumore sordo, scivolai in avanti con i glutei, la stoffa sfregò con attrito minimo sulla seduta. Stavamo... frenando?
Mille altri rumori soggiunsero tutti insieme. Il suono dello sportello che si aprì, profumo di pioggia, aria fresca sul mento.
«Addirittura il setto nasale, eh, Rossa?»
«Black! Loro dove sono?!»
Scattai nella direzione della sua voce, qualcosa mi afferrò la vita e poi, alla fine, il tessuto che mi copriva il volto scivolò via, increspandomi i capelli, sgusciando sopra le palpebre.
Tornai a vedere. La luce filtrò tutta in una volta, ferendomi gli occhi. Calai le palpebre e continuai a spingere in avanti per liberarmi.
«Sì, glielo ha spaccato con una ginocchiata» statuì la voce femminile appartenente alla donnona che, ora riuscivo a distinguere, era seduta accanto a me. La stessa che mi aveva bloccato all'aeroporto e che dopo mi aveva puntato una pistola al bacino.
«Se vuoi lo faccio anche a te!»
Sollevai le ginocchia cercando di raggiungere la diretta interessata.
Si scansarono al volo. Mi avevano legato le gambe tra di loro ma, nonostante questo, potevo ancora muoverle come se fossero una sola.
«Oh, oh! Rossa, stiamo calmi.»
Trevor entrò nell'auto dal lato del passeggero, dopo aver fatto uscire un uomo vestito di grigio che teneva premuto un lembo di stoffa contro il naso; quest'ultimo aveva il mento insanguinato e uno sguardo omicida rivolto solo per me.
L'auto conteneva due file di sedili posteriori, larghi abbastanza da aver ospitato me e altre tre persone come passeggeri. Vi era un vetro oscurato a dividere noi dalla parte anteriore della vettura.
«Rossa.» Trevor si accomodò sulla seduta speculare alla mia, appoggiò i gomiti sulle ginocchia, poi si curvò verso di me.
«Il bel fusto e tua madre sono gli ultimi dei tuoi problemi adesso.»
Non potevo muovermi ma potevo sempre sputargli. «Tu-»
«Placa questa rabbia e sii ragionevole.» Congiunse le mani a pugno e liberò solo pollici e indici, con cui tamburellò contro il mio sterno.
«Tua madre sta bene, è solo molto delusa di non essere partita.»
«Come posso crederti?» Serrai la mandibola e frenai le parole acide che mi sgorgavano dal petto.
Soffermò il tamburellare ritmico, i suoi occhi si aggrapparono ai miei, così vicino da poter osservare quanto le sue pupille si mescolassero con l'iride onice. Con gli indici giunti mi sollevò il mento, inarcandomi il collo.
«Non puoi. Credimi se ti dico che sono io la tua migliore opportunità adesso, mmh? Sarà mio padre a dirti che intenzioni ha con lei.»
«Non me ne frega un cazzo di quel pezzo di merda!»
Un clic, un battito di ciglia, un fruscìo mi scansò i capelli.
Qualcosa di freddo si premette contro la mia tempia facendomi ciondolare le ciocche ribelli da un lato.
«Mettila giù» sillabò Trevor.
Un ordine, la mascella squadrata serrata, le spalle larghe rigide sotto la camicia che lo rivestiva, gli occhi puntati contro la donnona alla mia destra.
L'oggetto gelido spinse contro la mia tempia. La luce che filtrava dalla portiera socchiusa, dove due figure stavano di guardia, pareva lontana anni luce.
Eressi la schiena, calai le spalle spingendo con la fronte contro la pistola.
«Roys, abbassa l'arma. È un ordine, chiaro?» imprecò Black.
La voce profonda e imponente come un organo a canne. Un ordine che aveva una data di scadenza.
Il fiato mi sfuggì dalle labbra come un carcerato in fuga. Le palpebre di Trevor si contrassero ornandogli lo sguardo indecifrabile, marcandogli il taglio poderoso della mandibola.
Molto piano, la pistola premuta contro la mia tempia, scivolò via.
Trevor gonfiò il petto, la camicia bianca si tese sui pettorali, fulminò con lo sguardo la guardia femminile alla mia destra.
«Capisci, Rossa. Non sei in un'ottima posizione.» Tornò a distendere le labbra, senza nessun barlume di gaudio. «Per rispetto ti toglierò queste costrizioni, ma tu non fare sciocchezze o nessuno se la caverà da qui a stasera.»
Mi slegarono braccia e gambe. Ogni istinto mi gridò di colpirli, uno a uno, farmi largo con rabbia, audacia e guadagnarmi la fuga. Ma Trevor pronunciò una frase, una sola, che mi impedì di dare adito alle mie fantasie tremebonde.
«Il bel fusto ti sta aspettando.»
Non potevo fare sciocchezze, almeno per lui. Ingenua lo ero stata fin troppo.
Ivan, dovevo pensare prima a lui.
Il lusso sfrenato di quel luogo tentava in ogni modo di farmi sentire inferiore, lo sentivo. Quel porpora intenso e abbellente si intonava con macabra nefandezza all'agglomerato indistinto che mi pompava dentro.
La donnona camminava a passo di marcia dinanzi a me, due guardie facevano lo stesso alle mie spalle; ci scortarono nei corridoi, lasciandomi a malapena lo spazio per vedere dove mettevo i piedi. La moquette dorata ovattava i rintocchi dei nostri passi e lasciava che le note lussureggianti, che venivano riprodotte nell'ambiente, fossero l'unico suono udibile. Quel posto puzzava di disinfettante, fragranze costose e ammalianti.
«Hai una brutta cera, Rossa.» Trevor mi sfiorò l'orecchio.
«Tu invece hai la solita faccia a bastardo.»
Mi piantai i denti nel labbro inferiore per impedirmi di continuare. Dovevo stare zitta e tenere bene a mente le mie priorità. Ivan, mia madre, Nicholas, Emily...
«Si vede che non si mangiava bene ovunque tu sia stata finora, eh?»
Ci fermammo dinanzi alla porta in fondo al corridoio, a doppio battente, alta quasi tutta la parete, adornata di rifiniture barocche pacchiane.
«Ma deve averti anche sciolto la lingua, perchè non ti ricordavo così... spigliata.»
Voltai la testa e sollevai il mento verso di lui, gli arrivavano a stento alla spalla; i suoi occhi mi attendevano, desiderosi.
«Se vuoi ti mostro in cos'altro sono diventata così spigliata.»
Si chinò, la camicia si increspò ai bicipiti, le dita mi sfiorarono la silhouette del mento. «Nel fare inginocchiare gli uomini ai tuoi piedi?»
La donnona bussò alla porta dinanzi a noi, facendo finta di non ascoltarci.
«Nel far pagare gli stronzi come te» sibilai.
Le sue dita si soffermarono al bordo delle labbra e dovetti implorare ogni barlume di lucidità per non morsicargli il dito e staccarglielo.
«Se sei tu a farmi pagare, allora aspetto il conto.» La voce melliflua mi accarezzò la fronte, i suoi occhi mi scorticarono la pelle fino a depositarsi sulle mie labbra.
«Sei la peggior feccia che abbia mai visto, Trevor. Per quelli come te il conto da pagare è troppo alto.»
«Niente è troppo per me, Rossa.»
«Hai ragione. Devi aver avuto una bella vita di merda per permetterti di giocare così con quella altrui.»
La pelle che gli adornava gli occhi si contrasse, i polpastrelli indugiarono sfiorando il calore della mia guancia. Quelle sue tremende iridi scure si impalarono nelle parole che avevo pronunciato. Rimasero in bilico su di un burrone di cui non sapevo l'origine.
«Hai ragione...»
La porta a doppio battente si spalancò.
«Ma attenta.» La sua guancia si accostò alla mia, i nostri respiri si incalzarono. «Non sono io il pezzo di merda più grande qui dentro.»
Il cuore pulsò con foga, la sua barba pizzicò a contatto con la mia guancia, poco prima che si scansasse. La sua mano si appoggiò in fondo alla mia felpa, sopra le lombari e mi spinse in avanti.
Un uomo ci attendeva all'interno della sala.
Mi bastò un misero sguardo per capire che chi avevo davanti non poteva che essere lui...
Charles James Black.
NDA:
È stato fatto un accenno a "Il peso della Speranza". Ancora non abbiamo detto altro, ancora la maledizione del riccio non la conosciamo... la scopriremo poi.
🌓 Sam non ha più filtri con Trevor, riuscirà a contenersi anche con Charles Black?
🌓 Cos'è la maledizione del riccio?
🌓 Riuscirà Aeron Moon a stanare Nathan Cross?
Siete pronti per Charles?
Io no... sappiate che è la mia nemesi XD
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate, ormai stiamo per tirare le ultime fila... tenetevi pronti.
A presto,
Silvi
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