28. Colpevole




Burn,
let it all burn
This hurricane's chasing us
all underground

Thirty Seconds to Mars - Hurricane


Il tabellone dalle mille scritte verdi fluorescenti, impresse su sfondo nero, stagliava in alto sopra le nostre teste. Era ben visibile da ogni lato del rullo trasportatore che conduceva a destinazione le valigie dei passeggeri.

Strinsi la sacca che conteneva i miei unici averi; sistemai il cappellino in cotone verde oliva sui lati della testa.

Ogni respiro smorzato, risata gorgheggiante e improvvisa, passo che cambiava direzione... tutto mi metteva sull'attenti. Ero una molla, elastico che si allungava e ritraeva tra un pensiero e l'altro. L'adrenalina latrava, il fuoco scintillava, in attesa.

Perchè, ora come non mai negli ultimi quattro mesi, sentivo una parte di cuore battere a un ritmo incalzante, logorante e sfilacciante... e sapevo cosa significava quel codice morse irrequieto.

Era vicino, Nicholas, ora come non mai. Mi mancava, ogni respiro di più.

Ero venuta a salvare mia madre, ma il prossimo era lui.

«Concentrati, Scheggia. Siamo arrivati come previsto con cinque ore di vantaggio.»

Lode al fuso orario.

Sollevai il capo di scatto, andai a sbattere contro la spalla di Ivan; mi scrutò contrariato da dietro le spesse lenti che gli coprivano gli occhi ambrati.

«Osserva tutto. Come ti ho insegnato. Siamo sardine nella rete dei pescatori, Sam. Hanno troppi uomini, sarebbe troppo facile prenderti se qualcosa andasse storto. Non si arrischieranno a portare Amy all'interno dell'aeroporto, troppi spettatori in un luogo pubblico. Ma la terranno vicina, questo è certo. Li servirà per convincerti.»

Annuii, l'adrenalina mi pregava solo di agire. Tentai di tirare i miei pensieri a terra, come zavorra che frena un aquilone trascinato dalle correnti.

«Quindi?»

Se non ci fosse stato Ivan, lì con me, a pianificare le nostre azioni, sarebbe stato un disastro. Lui in 24 ore aveva pensato a tutto; io a nulla.

Faceva falle da tutte le parti il suo piano? Sì.

Non prevedeva piano B o C, in caso di imprevisto? No.

Avevamo altre alternative? Non al momento.

Dovevo solo confidare nella dea bendata. Ero venuta a riscuotere il conto, e ne avevo di arretrati.

Ivan si adagiò contro una colonna con appesa una nota informativa sulle norme igieniche vigenti.

«Will ha condiviso le coordinate che è riuscito a rintracciare delle attuali guardie ristrette di Charles. Smettila di guardarmi così, Scheggia, mi fido di Will.» Spostò lo sguardo da me al circondario, per poi riporre il telefono nella tasca laterale dei pantaloni kaki. «Secondo il gps stavano lasciando ora Haywards Heath.»

Il groviglio che mi attanagliava lo stomaco sembrava ingigantirsi; ma non era terrore... no, era smania. Era un tirare, un solcare il terreno col tallone per apprestarmi alla battaglia successiva.

Ivan si fidava troppo.

«Quando avremo individuato la posizione di tua madre, chiameremo Charles sul cellulare che ha utilizzato per mettersi in contatto con te. Lasceremo il telefono il più lontano possibile da dove si trova Amy, in modo tale da depistarli mentre noi la liberiamo e la portiamo via.»

Ecco perché non l'avevamo distrutto.

Si staccò dalla parete, senza degnarmi di uno sguardo; le sue dita invece sfiorarono le mie, con una richiesta viva e calda.

«Ci troviamo al parcheggio dei taxi antistante l'uscita. D'accordo?» mormorò spingendo con l'indice gli occhiali che gli stavano scivolando in avanti verso la punta del naso.

Annuii. Se avessi aperto bocca avrei rischiato o di vomitare o di ringhiare... o entrambe.

Fissai le spalle larghe di Ivan mentre si incanalava nel fiume di passeggeri verso l'uscita. Il mio sesto senso era irrequieto come un bambino lasciato da solo al parco giochi.

Le stampe alle pareti preannunciavano ai turisti il meglio dell'Inghilterra, dalle pietre misteriose di Stonehenge alle meraviglie gotiche di Westminster.

Arrivai al controllo documenti.

Le sopracciglia dell'hostess vestita di rosso si contrassero, disegnando solchi in mezzo alla fronte. Strinsi le dita a pugno, trattenni il respiro nel petto...

Socchiuse la bocca piccola, il labbro inferiore le tremò.

Ingollai a vuoto.

«Può andare.»

Scappai oltre il banco, incanalai l'aria che mi era mancata negli ultimi secondi. Ero andata in apnea. Allargai il colletto della felpa; mi sentivo soffocare.

Sorpassai le porte scorrevoli, la confusione del terminal mi investì: odori di troppe persone, discorsi che si accavallavano, con lingue dolci e soavi in contrapposizione ad accenti marcati e gutturali.

Scansai valige che mi urtarono le ginocchia, sgusciai via da occhi indiscreti e isolai gli annunci urlati all'altoparlante. Troppe persone, troppi oggetti, troppi movimenti...

Imbottigliai l'irrefrenabilità dell'adrenalina mordendomi il labbro inferiore. Era solo qualche metro, pochi ancora. Niente panico, niente ansia, niente furia, Ivan era lì fuori ad attendermi.

La lama d'aria della porta a vetri dell'ingresso mi accarezzò la punta del naso. Uscita.

Inspirai con forza, ammirando la coltre perenne di nubi, l'odore di pioggia mi accarezzò come un vecchio amico.

Si sintonizzò, qualcosa, intorno a me.

Ingranaggi che si incastrano all'improvviso: la ruota conduttrice partì, le miriadi di ruote condotte vennero trainate, senza scampo, combaciando alla perfezione.

La lama d'aria mi arruffò i capelli.

Una donnona dalla frangia scura, alla mia sinistra, annuì portandosi un dito all'orecchio. Una berlina nera e lucida accostò bruscamente sul ciglio della strada, subito fuori dall'entrata. L'anziana coppia davanti a me si fermò di colpo, facendomi andare a sbattere contro le loro schiene curve.

«Perdonatemi...» farfugliai, assottigliai gli occhi.

Il cuore iniziò a battere come una locomotiva che si appresta alla salita.

Non avevano valigie con loro.

Il marciapiede dinanzi all'uscita non era adibito al pick up.

Qualcosa mi afferrò il polso, qualcos'altro mi strappò il cappello di dosso. Non ebbi tempo di reagire in altro modo se non inciampare nei miei stessi passi. Le schiene ricurve dei due anziani davanti a me erano divenute dritte all'improvviso.

Lo scialle della donna abbandonato a terra, il bastone dell'uomo brandito come un'arma.

«No...»

Il profumo della pioggia mi penetrò le narici gridandomi la mia appartenenza a quel paese e... la distruzione definitiva delle mie flebili e ingenue speranze.

Inciampai in una valigia, vennero gridate imprecazioni. Gattonai all'indietro, pestando scarpe e ricevendo improperi.

Mi rimisi in piedi, l'adrenalina erano fiotti di magma che mi spronarono; la coltre di nubi che non riuscii a raggiungere divenne il soffitto di una prigione.

Tirai una gomitata alla bocca dello stomaco del presunto anziano, poco prima che la donnona con la frangia mi si stringesse addosso; catene umane, braccia che divennero tenaglie, profumo di gomma e caffè.

Provai a gridare, voltare la testa, ma la sua mano mi premeva con forza contro il suo petto, asfissiando le mie parole; la spessa felpa mi finì in bocca, l'alito mi ritornò indietro scaldandomi il palato, la zip sfregò contro il labbro inferiore.

Vedevo nero.

No...

Respiravo a malapena. Boccheggiai dal terrore, mi dimenai con ogni furore, ma le sue braccia erano catene salde come acciaio.

No, no...

La mancanza di ossigeno mi diede alla testa. Il buio che vedevo mi implorò di fuggire.

La donna mi strinse con più forza, la gola si tese, il metallo mi lacerò il labbro.

No!

Non ero impotente, non sarei stata sopraffatta... non avevo fatto tutta quella strada per niente. Non potevo mollare adesso.

No... no!

Gridai con tutto il fiato, un gemito strozzato appena udibile. Come sott'acqua.

Ma io, sott'acqua, ci ero stata fin troppo e, di quel mondo ovattato, ne avevo abbastanza. Adesso, volevo emergere, volevo urlare ed essere sentita.

Mi sollevò serrando la presa intorno al mio busto. Colsi ogni briciolo di vantaggio. Sollevai il ginocchio e glielo piantai fra le gambe, con quanta forza avevo, con quanta rabbia provavo. La presa si affievolì, sfiorai il pavimento con la punta delle scarpe.

«Sta ferma!»

Mi tirò i capelli, le dita affondate nella nuca.

«Col cazzo!» gridai, adesso sentita.

Spalancai la bocca e affondai i denti del tessuto, serrai la mascella come se ne andasse della mia stessa vita, come se fosse l'ultima chiusura che la mia mandibola avrebbe mai fatto.

Piegai le ginocchia, appoggiai i piedi a terra, nel residuo spazio di movimento che avevo e mi diedi lo slancio: le colpii il mento con la sommità della nuca.

Il cozzo fu sordo e prepotente. Il dolore nauseante.

Ma avevo vinto; le sue braccia calarono e fui libera. La donna si piegò su se stessa, caracollò all'indietro.

Mi allontanai e rimasi esterrefatta. Mi si ghiacciò il sangue: nessuno degli inconsapevoli e menefreghisti turisti si era fermato per aiutarmi, nessuno incontrò il mio sguardo sgomento.

Com'era possibile che nessuno ci stesse guardando? Nessuno aveva notato cosa mi aveva appena fatto?!

Cercai gli addetti alla sicurezza con lo sguardo, oltre la massa informe e discontinua di passeggeri. Nessun segno di guardie o agenti.

Poco male, se non potevo vederli, mi sarei fatta sentire io, oh sì!

Volevano rendermi invisibile, come ero stata per il resto della mia vita. Ma non ora.

Qualcuno, tutti, mi avrebbero sentito. Ero in un cazzo di aeroporto dopotutto.

I Black non volevano essere scoperti, desideravano mantenere un profilo basso, aveva detto Ivan. Io li avrei smascherati invece. Loro speravano che la folla sarebbe stata loro complice, per quello mi avevano attirata lì, be', l'avrei trasformata nel loro incubo!

Arretrai verso la vetrata.

Una parola sola avrei gridato. Me la assaporai sulla lingua, la immaginai prorompere dalle labbra, gutturale tanto l'avrei urlata a squarciagola.

Caricai l'urlo, lo incanalai in gola, montò nel petto.

Qualcosa entrò nella visuale: una chioma castano miele, familiare.

Mi paralizzai, l'intento sgusciò tra le labbra socchiuse, si sgonfiò come un palloncino bucato, così ricolmo del nulla.

«Mamma...»

Il cappotto avana le avvolgeva l'esile busto come un mantello, la cintura le cadeva dai passanti, morbida. Le mani gesticolavano nell'aria e le dita disegnavano percorsi leggiadri, aggraziati.

Non ci pensai oltre. Scattai. Era appoggiata con il fondoschiena alla poltrona nera sotto i tabelloni d'arrivo. Metri di distanza da me.

Sgomitai tra i passeggeri, troppi, che ci dividevano.

Ma la lapidaria voce della ragione mi gridava come un ossesso, come fosse il ricordo di un sogno, piantato nel retro della mia mente... impossibile da scacciare.

Mamma. Non l'avrei lasciata andare, l'avrei stretta a me come in fondo non avevo mai fatto. In quell'amore che avevamo condiviso sempre a metà, ognuna colpevole di non averci provato.

La ragione si imputò, la domanda mi riecheggiò tra le tempie... perché mia madre era già lì?

Ma solo una cosa gridava il mio animo sbriciolato: lei, almeno lei, stava bene.

Qualche metro appena. Sollevai le braccia tra le folla, per farmi vedere più facilmente.

«Eccoti.»

Qualcosa placò la mia corsa. Venni strattonata all'indietro, i capelli continuarono a sfrecciare in avanti, finendo oltre la spalle.

No!

Mi voltai con terrore. «Tu!»

«Mi sei mancata, Rossa.» Il sorriso ammaliante e sfacciato, una corta barba scura gli tempestava le gote, quella maledetta mandibola squadrata.

«Razza di-»

«Stronzo? Bel pezzo di gnocco? Anche entrambe se vuoi, a me sta bene.» Rise, sfacciato, ammaliante. I suoi occhi mi scavarono il volto, pezzo pezzo.

Ruotai il polso, indirizzai una ginocchiata all'inguine e strattonai per liberarmi dalla sua presa. Ci riuscii.

«Toccami ancora e te la spezzo quella cazzo di mano!» Le parole raschiarono palato, ragione, speranza.

Trevor si chinò verso di me, sfiorandomi col lembo aperto della giacca in pelle, sollevò le mani increspando le linee piene delle labbra in un affascinato sogghigno.

Mi apprestai a distruggergli la faccia. Al diavolo l'aeroporto e il buonsenso, si meritava ben altro! Serrai i pugni, mi conficcai le unghie nei palmi, avanzai piegando i gomiti.

«Ah, ah! Pensaci bene.» Gettò un'occhiata perforante alle mie spalle.

«Sai, Rossa, si aspettavano da te questa reazione. Mi trovo qui proprio perché speravano che facessi da pacificatore. Con il trascorso che condividiamo hanno pensato che ti avrei, come dire, addolcita

Mirai dritto a quello strafottente sorriso che aveva invaso i miei incubi, nelle notti soffocanti dove i miei demoni avevano gridato vendetta.

Schivò il colpo. Barcollai in avanti, ma non demorsi. Deviai la traiettoria, gli piantai il gomito nel fianco: la punta dell'ulna spinse contro vestiti e pelle, scontrandosi alla fine contro le fragili costole.

Qualcuno mi afferrò, mi strattonò indietro, allontanadomi da lui.

Mi voltai di scatto lasciandomi Trevor alle spalle e trovai un paio di occhi minuscoli vicinissimi: la donnona di poco prima.

Digrignai i denti. Chinai lo sguardo per identificare che cosa mi stava spingendo contro il fianco e l'adrenalina mi ruzzolò in gola, si incagliò tra sterno e rabbia.

Aprì un lembo del trench e mi mostrò cosa si celava sotto di esso. E non potei che trangugiarmi il bisogno di urlare con tutto il fiato.

Perché ero impotente, specialmente contro una pistola.

Serrai i pugni, furia che scorticava e pregava. La canna dell'arma incontrò l'osso del bacino e il clic secco che scattò fu chiaro, nonostante la confusione aeroportuale intorno a noi.

«Stiamo tutti calmi!» intervenne Trevor.

Ero stretta tra di loro, intrappolata tra due bulldozer; ero l'auto da rottamare.

«Stavo appunto tentando di avvertirti, Rossa.»

Inclinai il capo sulla spalla. «Vaffanculo, Black!»

Mi sfiorò il mento con le dita calde, l'odore chimico che lo contraddistingueva mi diede la nausea.

«Siamo passati ai cognomi? Addirittura?»

Mi ritrassi, schifata da quel contatto. Sentivo la mascella dolere tanto la tenevo serrata. Ne avevo abbastanza delle minacce. Ero stufa di quell'impotenza!

Ribollivo di quel magma disintegrante. Ogni mio intento veniva soggiogato dalla sua irruenza. Ero un vulcano che stava tentando di trattenere l'esplosione imminente.

Ma solo i folli possono pensare di controllare la natura... e il buon senso era per chi, la ragione, l'ascoltava ancora.

Tirai una ginocchiata alla donna, colpii la canna della pistola con l'esterno della rotula prima che potesse premere il grilleto.

Giocai col fuoco, rispondendo con un rogo.

Colsi quel momento di distrazione: afferrai la giacca in pelle di Trevor, lo spinsi, portai una gamba dietro il suo ginocchio, ruotai il bacino per fargli perdere l'appoggio. Ma lui cambiò posizione, all'ultimo, allargando le gambe e ristabilizzando il baricentro.

Mi avvolse stretta bloccandomi le braccia contro il busto, insinuò le gambe tra le mie e le divaricò, spingendo col bacino contro il mio, portandomi in una posizione instabile in cui non avevo nessuna possibilità di manovra.

«Ritenta, Rossa. Non sono allenato come il tuo amante, ma ci so fare.»

Il dorso della mia mano, che lui aveva bloccato tra di noi, sfregò contro i suoi jeans.

Sorrisi, famelica. In ogni situazione vi è una via di uscita, sempre se si è disposti a sfruttarla.

Piegai l'indice e affondai la nocca nel suo inguine, alla ricerca del punto di dolore.

«Oh!» Si tirò indietro e mi bloccò il polso.

L'avrei evirato, e ci avrei goduto. La stizza mi grattò la gola e la voglia di sputargli in faccia crebbe come non mai.

«Avevi proprio tanta voglia di vedermi, eh, Rossa?» La risata ammiccante che gli distese le labbra piene era tanto vicina da ricordarmi fin troppo bene il suo sapore.

«Non sai quanto.»

Ma non era ancora finita; vedevo rosso, collera come tendini, grida come ossigeno.

Salii in punta di piedi, strusciai col petto sul suo torace e, prendendo forza nell'atto, ignorando il dolore lancinante dell'estrema torsione, feci ruotare la spalla e gli tirai una gomitata al mento.

Lo colpii in pieno. Le sue braccia mi lasciarono all'improvviso, il grugnito di dolore mi giunse forte e chiaro. La donnona tentò di bloccarmi, le rifilai una ginocchiata nei genitali. Ancora.

Mi allontanai, traballai.

Corsi tra i passeggeri che mi guardavano incuriositi, finalmente.

Arrivai al punto in cui ero diretta poco prima, vicino ai tabelloni 22 dei check in. La fila si era sparpagliata, così come era svanita mia madre. Il cuore mi ruzzolò in gola, il fiato mi sgusciò via. Mi osservai intorno, allarmata...

Dove era?

Serrai i pugni, gli occhi si appannarono, il dolore al gomito pompava con foga. L'euforia mi stava divorando.

Fu quell'irrequietezza, il cappio che mi circondò il collo.

«Ti avevo avvertito.»

Mi voltai di scatto. Le labbra di Trevor mi sfiorarono la guancia. Il profumo chimico e forte si impadronì della mia rabbia.

«Lei dov'è?!»

«Forza, Rossa, vieni con me.»

Risi, il suono mi raschiò il palato divenendo rauco e macabro. «Aspetta e spera.»

Si chinò, le sue dita si serrarono intorno al bordo elastico dei miei leggins, celati sotto la felpa.

«Non ti sei chiesta dove sia il bel biondino

Si pietrificò qualcosa nel petto. Un incantesimo ancestrale che mi tolse la capacità di muovermi.

«Rossa, Rossa, vedo che questo tuo essere tutta pepe non ti ha aiutato con l'ingenuità.»

L'ingenuità... mi gravò, mi schiacciò. Ancora.

Di quanti fallimenti si può rivestire un cuore, prima di venire sopraffatto? Sbagliare è umano, ma perseverare non è diabolico?

«Voltati

Lo feci, con ogni briciolo di timore che mi impediva di respirare, di vedere, di ragionare. E lo trovai subito. Come se quel mio sesto senso, che lui mi aveva insegnato a tenere allerta, fosse legato a lui, fautore del suo stesso risveglio.

Ivan era seduto, rigido, sull'ultima seduta in alluminio nero della fila che si allungava dinanzi ai tabelloni delle partenze, così distante da me. Le sue pupille arpionarono le mie, le spalle tremarono, eppure... eppure nessuno lo teneva bloccato. C'erano solo un uomo e una donna, ai suoi lati, con le braccia conserte, gli sguardi imperscrutabili.

Perchè non si muoveva?

«Lui non è stato ingenuo, sai?» La melliflua voce di Trevor mi solleticò il lobo dell'orecchio.

Non avevo il coraggio di muovermi; troppi i dettagli che mi sfuggivano, troppe le lame puntate nella mia direzione che non riuscivo a individuare. Mi passò i capelli dietro l'orecchio, il dito caldo mi accarezzò la pelle sensibile e spinse, inclinandomi il capo di lato.

Non riuscivo a staccare gli occhi da quelli ambrati di Ivan.

Eravamo pietrificati in uno sguardo che non aveva inizio né fine, parole disperse e introvabili, emozioni lapidarie e gravi come pene dell'inferno.

«Lui ha visto subito con chi era tua madre. Ha individuato con una certa velocità gli uomini che lo stavano pedinando dal momento esatto in cui ha varcato i controlli di frontiera.» Mi tolse i capelli rimasti nel colletto e se li arricciò intorno al dito.

«Eppure, proprio mentre avveniva il cambio della sicurezza, ha pensato bene di andare ad avvistare le autorità

Mi imploravano gli occhi di Ivan, con quel petto che si alzava e abbassava senza freno, quelle spalla larghe così tanto immobili, da urlare l'impotenza di cui era succube. Gli occhiali inclinati da un lato.

«Non è mai arrivato a destinazione-»

«Cosa gli avete fatto?» latrai, ansimai.

Non gestivo più nemmeno le parole. Avevo perso anche contro quella parte di me. Avevo perso contro tutto.

Peccavo di non essere stata all'altezza, di non aver ascoltato la ragione. Peccavo. E adesso ne pagavo le conseguenze.

«Noi niente. Come puoi ben vedere è illeso. Ma aveva individuato la maggior parte degli agenti che vi pedinavano, compresi quelli che tenevano sotto tiro tua madre.»

«Non è... Non potete... È un luogo pubblico!» rantolai, frustrazione imbevuta di terrore.

Lo aveva detto, Ivan, lo aveva detto!

«Ah, Rossa. Hai ragione, è un aeroporto. Ma esistono tanti modi per passare inosservati nei luoghi pubblici, sai. Estorcere informazioni, ricattare le persone giuste, cctv in loop. Chi credevate che fossimo, una banda da quattro soldi?»

«Lei dov'è?» rantolai.

La furia mi pizzicò le mani, le stesse che Trevor avvolse e mi portò dietro la schiena, contro le sue cosce.

Rimasi inerme, incapace di muovermi. Gli occhi di Ivan gridavano, senza sbattere le palpebre, un urlo caustico e implorante.

«Non è più qui, Rossa. Hai perso l'unica occasione di rivederla oggi sana e salva.»

Voltai la testa. «Tu-»

Mi strinse i polsi, la pelle sfregò fino a bruciare, l'omero scricchiolò. Scosse la testa, schioccando la lingua tra i denti.

«No, no, Rossa. Tu fai qualcosa che non ci va a genio e mio padre non sarà clemente con tua madre.»

Avevo inghiottito il mondo e le sue colpe adesso erano le mie.

«Quindi smetti di fare la ribelle, collabora e nessun altro si farà del male. Intesi? Il tuo biondino lo aveva capito e nessuno lo sta costringendo, vedi?»

Lo guardai e pensai che esistessero tanti modi al mondo per rinchiudere le persone in gabbia anche senza avere sbarre o manette.

L'anima può essere soffocata dal buonsenso, ma il cuore può essere sotterrato solo dalle colpe.

«Ottimo.»

La donnona ci raggiunse con due uomini alti e piazzati.

«Mio padre già mi odia da quando sono nato, almeno non dargli altre possibilità per rifarsela con me.»

La confessione svanì sul mio collo, dove la sua barba mi pizzicò prima di donarmi un bacio fugace. Una lacrima decretò il solco con cui mi si scavò la guancia e l'ultima parte di cuore che avevo ritenuta degna di difendere.

Non ero stata in grado di salvare mia madre.

Ero colpevole. Potevo solo cedere ciò che mi era rimasto per salvare chi, del mio cuore, se ne era sempre preso cura.

NDA:

Siamo giunti in Inghilterra, alla fine. O siamo tornati sarebbe meglio dire.

Chi si aspettava che non varcassero nemmeno le porte dell'aeroporto questi poveri cristi?  🙌

Vi era mancato Trevor? (A lui sì!)

Un gesto avventato quello di Ivan, o ha ancora degli assi nella manica?





Sam è molto cambiata dall'ultima volta che ha visto Trevor, speriamo che sia un bene e non un male. Ma di questo suo nuovo lato ne avete appena avuto un assaggio. Siete pronti?

🌗 BlackMoon adesso ha sia Sam che Ivan in pugno. Quale sarà la prossima mossa di Charles?

🌗 La madre di Sam e Alice staranno bene?

🌗 Qualcosa è andato storto con le informazioni di Will, come mai? E l'intelligence?

E la domanda che ormai ci chiediamo tutti... Dov'è Nicholas?

Spero che vi si piaciuto e sentite liberi di esprimere pareri :)

Ci vediamo presto... cercherò di aggiornare il prima possibile :)

Silvi

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