25. Toro imbizzarrito
Sbriciola, grida, scappa...
Bestia incattivita,
aroma di una libertà sfuggita.
Stritola, fuggi, urla...
Più tiri e più ti stringe.
Più scappi e più ti ingabbia.
La paura ordina, esegui.
Il cuore piange,
non c'è balsamo per quel dolore,
solo un annebbiante furore.
Ha vinto.
Diveniamo solo meri schiavi,
tra le grinfie del terrore.
🌘🌓🌒
AmberShiver
Non si sceglie l'attimo successivo.
Si può a stento avere l'illusione di controllare quello presente, per poi guardare indietro al secondo sfumato e rendersi conto che nemmeno quello lo si è vissuto.
Il tempo è un cerchio, un andare e venire, un rincorrersi, estenuante e sfilacciato.
L'illusione è il bacio della vita e la pugnalata del destino.
Un filtro a cui ci si aggrappa come un salvagente sgonfio ma colorato che ci tiene a galla a stento. Prima o poi, si sgonfia.
E, quel tempo che mi avrebbe permesso di salvarmi, quell'istante stropicciato prima della deflagrazione finale e lo sprofondare negli abissi, io, non lo afferrai.
Mi scivolò via tra le dita, la possibilità di scelta; via dalle mani, il salvagente ormai sgonfio.
«Sam?»
Lasciai andare il telefono. Cadde sulla moquette panna con un tonfo ovattato. Sembrò quasi rimbalzare, così docile, così placido, mentre in realtà l'esplosione fracassava tutto intorno a noi.
«Sam!»
Sollevai lo sguardo. Emily si inclinò verso di me, la figura longilinea che ormai mi sovrastava mentre ero addossata con le scapole che spingevano contro la parete solida e fredda alle mie spalle.
«Black.»
Le sue pupille scattarono come mine vaganti, da un mio occhio all'altro.
«Black, che cosa?!» la voce roca era salita di diverse tonalità. Osservai la mano con cui mi aveva afferrato un braccio.
«Sam, rispondi!»
Avevo sbagliato... ancora.
Ero stata ingenua, una bambina che si beveva le giornate di sole riprodotte in tv mentre la tempesta imperversava oltre la finestra alle sue spalle.
«James, il compagno di mia madre...»
«Cosa c'entra Black con James?!»
Il sangue strillò compresso nelle vene.
«È lui. James Charles Black.»
Rimasi a fissare il telefono nero che stagliava noncurtante sul pavimento, tra i nostri piedi, le scarpe sudicie e scolorite che contrastavano col candore sotto i nostri piedi.
Il telefono vibrò.
Mi chinai, ma Emily fu più svelta. Mi piantò le iridi nocciola, liquide e perforanti come mai le avevo viste, addosso.
«Non ci provare.»
«Em.» Mi scansai dalla sua presa, le labbra si spalancarono diverse volte prima che fossi in grado di articolare i miei pensieri.
«È con Black! Mia madre... lui è il padre di Trevor. Lui-»
«Non puoi rispondere Sam!»
«È mia madre» si accalcò fra le lettere, la mia rabbia, la scintilla di adrenalina.
«Da quanto tua madre sta con lui e non lo sapevi? Credi che ora che sai chi è, cambi qualcosa?»
Il cuore scalpitò per la mia stupidità, ingenuità. Ero stufa di esserlo; così moscerino contro il vento.
Ne ero stanca. Oltre ogni limite.
«È mia madre, non la lascerò ora! Non mi importa di quello che dicono, non posso!» Sfregai con le scapole contro il muro, scrollandomi di dosso le sue parole, la ragione che mi implorava.
Il cellulare continuava a vibrare.
«Dammelo, Em!»
Assottigliò lo sguardo, mille sfumature d'autunno che turbinavano, imploranti.
«Non stai ragionando, Sam-»
«Dammelo!» Allungai la mano per afferrare l'oggetto che aveva appena smesso di squillare.
Lei spostò il braccio all'indietro, io feci un passo in avanti; le risate ovattate fuori dalla porta parvero stridere con la tensione che si accumulava fra le quattro mura.
«Sam, ascoltami» chinò il capo, calò le spalle. «Hai ragione, sei spaventata, hai paura per lei... non so che cosa ci faccia con il padre di Trevor, né perché stiano insieme, né come mai non ce ne siamo accorti prima. Ma non è questo il punto! Perchè rivelartelo ora? Perché proprio adesso? Pensaci! Vogliono qualcosa, hanno uno scopo. Non ci cascare!»
Feci un altro passo in avanti, il suo profumo caramellato mi schiaffò le narici. La mano aperta di Emily era dinanzi a me, vi spinsi contro il petto.
«Sam-»
«No!»
Una furia, cieca e corrosiva, risaliva dal profondo delle vene come un ragno. Vedevo solo rosso.
«Dobbiamo avvisare Ivan e l'intelligence. È per questo che siamo qui! Per proteggerli, ci penseranno loro, Sam. Dobbiamo agire d'astuzia e in modo razionale.»
Eppure glielo lessi nel tremito delle falangi contro il mio sterno, che mi capiva, sapeva cosa stavo provando. Se ci fosse stata sua sorella, dall'altro capo del telefono...
«Lo so...» Ma era flebile come la convinzione delle mie parole, la voce della ragione.
Feci un altro passo in avanti. Sollevai il mento, i capelli frusciarono contro gli zigomi, piombando oltre le spalle.
«Sam» mi ammonì. «Non fare stronzate!»
La furia si aggrumò in gola, si annidò nel retro delle pupille; sbraitava un unico messaggio, lo stendardo della sua avanzata.
«Dammelo, Em.»
La convinzione vacillò anche in lei, le colò fuori dal tremito delle palpebre.
Il grido d'avanzata nelle mie tempie latrava tre parole.
Spinsi in avanti. Una sfida. La mano di Emily si frappose, come muro contro il mio sterno.
Mi supplicò, la ragione rimasta nelle sue iridi.
Mi supplicò, la rabbia che mi sbranava viva.
Tre parole, un unico boato di guerra.
Rividi l'ultimo saluto con mia mamma, i suoi occhi languidi color bosco mentre era incorniciata dal freddo invernale, con la vestaglia che le frusciava attorno al busto, che io guardavo dietro il vetro della jeep di Nicholas.
Allungai un braccio.
«Sam!»
Il boato di guerra giunse alle corde vocali. Lo gridò con maggior condanna.
È colpa tua!
«Sam-»
Il telefono squillò.
Mi gettai in avanti.
Rotolammo a terra. Frusciare di vestiti, ansiti che si persero tra i nostri corpi aggrovigliati. Mi allungai svelta oltre la sua testa. Puntellai un ginocchio, con l'avambraccio le scansai il capo, i capelli biondi rimasero incastrati sotto il gomito.
L'avevo quasi preso, nel suo squillo incessante, a pochi centimetri dalle mie dita.
Mi colpì al fianco. Ruzzolai, sbattei con l'anca, il gomito cozzò contro l'angolo comaptto e stondato del letto.
«No...»
L'avevo preso!
Strusciai a terra, la mano stretta al petto. Mi voltai su me stessa, mi scansai al volo, schivando le sue braccia che miravano all'oggetto in mio possesso. Spinsi col piede il panchetto in legno che si trovava ai piedi del letto e glielo feci scivolare tra le gambe.
Caracollò a terra, imprecò.
Non attesi.
Chiusi la porta del bagno alle mie spalle, ruotai la sicura in metallo.
Il fracasso dei pugni di Emily contro la porta andò di pari passo con il grido di castigo della mia adrenalina.
«È colpa mia...»
Non sarei divenuta vittima di una carneficina che aveva il mio nome puntellato sopra.
Premetti il tasto della risposta. Sollevai il telefono, il crepitio della ricetrasmittente mi accolse.
«Vedo che sei uno stronzo, come tuo figlio.»
La risatina velata e contraffatta dal telefono mi increspò il sangue nelle vene.
Non attesi una sua risposta. «Non la toccare! Mi hai capito?! Non ti azzardare-»
«È una minaccia?»
Sì, sì, lo era!
«E comunque l'ho fatto finora e non mi pareva che le dispiacesse.»
Placai la nausea dietro l'attaccatura del naso. Frenai l'istinto di fracassare il telefono contro il coperchio, sollevato e in ceramica bianca, del gabinetto davanti a me.
«Bastardo!»
«Se intendi opportunista, con questa parola volgare, allora sì.»
Aveva una voce calda, ricolma di sfumature, di quelle che ascolti alle conferenze stampa, che sanno intrattenere l'attenzione di miliardi di persone per ore intere, vaneggiando sulla forma delle noci.
«Ma non ti ho chiamata per farmi insultare, Sam. O preferisci che usi il tuo nome per intero? Tua madre lo abbrevia sempre.»
«Lei dov'è?»
«A preparare le valigie, no? Te l'ha detto prima se non erro.»
«Sta bene? Dimmi che intenzioni hai!» Vomitai fuori l'angoscia stringendo i denti. Mi dolevano le ossa delle braccia, dall'incanalare la furia che mi faceva tremare le spalle.
«Perchè non dovrebbe? L'hai sentita poco fa, mi pareva che stesse meravigliosamente, anzi. Non vedeva l'ora di partire. Non ho motivo di farle del male.»
«Che cosa vuoi!?»
Niente mezzi termini. Tutte le carte scoperte. Non me ne fregava più un cazzo di nulla. Non adesso. Erano tutti in pericolo per colpa mia e io me ne stavo dall'altra parte del pianeta a trastullarmi con sabbia e bizzarri pennuti.
«Il tempo è scaduto, Sam» la voce si fece greve. «Non intendevo arrivare a tanto. Mi spiace tu mi abbia conosciuto così, in fondo poteva nascere qualcosa di interessante. Ma ogni gioco deve valere la candela e il mio, oramai, non la vale più.»
Mi conficcai le unghie nel tessuto ruvido dei jeans, spinsi i talloni contro i glutei, rannicchiata contro la porta.
Emily pareva silente, dall'altro lato. In attesa del verdetto.
Come lo ero io...
«Cosa c'entro io? Cosa vuoi da me e da lei?!»
Le mille risposte che non avevo avuto, negli ultimi mesi, erano un guazzabuglio sempre indistinto a cui mi stavo rassegnando.
«Te lo sto spiegando. Ma dalla tua insistenza deduco che non sei abituata a pazientare, oppure a ricevere risposte» era giocoso il tono, grondava comprensione e calma.
«Tu sei la pedina che dà lo scacco matto, Sam. Lo trovo molto interessante. Sai, ho tentato con tua madre all'inizio, perché devi sapere che scovare tuo padre è una vera e propria impresa. Ma eri tu la pedina vincente. Da entrambi i capi tiri i fili principali del gioco.»
Che cosa significava?
«Vogliamo tuo padre. Ovviamente non siamo gli unici, come puoi aver ben dedotto.» L'insinuazione me la persi. «Ma colui che avrebbe dovuto fare il lavoro sporco per me non è riuscito a eseguirlo in un lasso di tempo ragionevole. Adesso è bene far valere la posta in gioco. Sono stato un uomo paziente a lungo. Con Trevor, con tuo padre e con Nicholas. Adesso tocca a me.»
Ero la loro leva, come mi avevano detto. Volevano me. Volevano piegare Nicholas...
«E, a proposito, ci tengo a scusarmi per l'inconveniente con mio figlio. L'ho trovato barbaro.»
«Barbaro!?» sbottai.
«Sì. Mi scuso.»
Mi venne da ridere e da piangere. Mi venne da urlare e stare in silenzio, come sotto il pelo dell'acqua. Ma non fu quello che scelsi di fare.
«Come se ti dispiacesse per davvero! Mi vuoi utilizzare per fare fuori Nicholas. Tu sei il barbaro! Non sono stupida, come pensi di piegarlo al vostro volere? Con paroline dolci e un per favore?!»
«Forse non mi sono spiegato bene.» Mi schernì, come se io fossi una bambina capricciosa che non aveva afferrato il concetto.
«Mi scuso perché lui ha usato come prima soluzione quella poco ortodossa. Solitamente la si sfrutta solo al momento consono. Ha buttato via un'opportunità preziosa. Questo intendevo, con le mie scuse. Non ho detto che io non sarò barbaro.»
Il respiro si cristallizzò in gola, formò una vera e propria stalactite che scese fino a perforarmi lo stomaco.
«Per il resto, parleremo faccia a faccia quando torni. Non mi piace disquisire di questi argomenti tramite un telefono. Sarò vecchio stampo, ma preferisco godermi la conversazione con i cinque sensi.»
Faccia a faccia.
«Cosa vuoi che faccia?»
«Voglio che tu salga su un aereo e torni in patria, Sam. Il gioco è bello quando dura poco. Abbiamo trovato la ricetrasmittente a Bangkok, addosso a una scimmia piuttosto birichina nel parco nazionale delle sette cascate. Un divertentissimo espediente» rise, trastullato in modo genuino da quel diversivo.
«Ci siamo lasciati depistare a lungo, lo confesso. Ma non era la mia unica garanzia di riuscita o sarei stato un credulone. Quindi ti aspetto, Sam, torna in Inghilterra.»
Desiderai averlo davanti solo per tirargli una testata sui denti.
«Perché dovrei?»
«Domanda sciocca. Il tuo tono di voce non è saldo, è chiaro che sei già disposta a fare quello che ti chiedo per salvare tua madre. Quindi prendi un volo diretto per Londra, non mi fare perdere altro tempo. Ti attendo all'aeroporto di Heathrow il pomeriggio del cinque Giugno, ai tabelloni di arrivo antistanti l'ingresso del Terminal 2.»
Il cinque giugno era il giorno seguente. Quante ore avevamo di fuso orario rispetto all'Inghilterra? Undici?
«A proposito, dove ti trovi esattamente? Sono stato clemente, ti ho dato il preavviso necessario per permetterti di tornare da qualsiasi angolo del globo tu ti trovi, sempre se parti adesso.»
«Non te lo dirò e non starò al tuo gioco. Fottiti!»
La parte razionale di me applaudì con così tanto fragore che desiderai acquietarla con uno schiaffo.
«Cinque giugno alle sei, Terminal 2. Tua madre sarà con me. Non garantisco per lei se non ti vedo, è più chiaro così?»
Rimasi in silenzio.
Un'esclamazione di una voce femminile mi fece accapponare la pelle.
«Mamma!!»
Stava strillando? Cosa diceva?
«A ogni modo, scoprirò dove sei. In fondo ti ho tenuta al telefono fino a ora. Credi che fosse perché avevo davvero voglia di scambiare due chiacchiere con te? Ho detto che preferivo farlo di persona, no?»
Stavano rintracciando il telefono!
La sua risata mi perforò la mente.
Buttai giù la chiamata.
Il silenzio mi gravò addosso come il maggiore dei peccati. Strinsi le ginocchia al petto e vi poggiai sopra la fronte. Ero così esausta che persino il fiato mi usciva a forza dai polmoni.
Lasciai andare il telefono dalle dita e ascoltai il rintocco pesante del suo ruzzolare sulle piastrelle marmoree.
«Sam.»
Inspirai con forza, alla ricerca di quella furia che fino a poco prima aveva tinto tutto di rosso, rendendomi un toro imbizzarrito. E stupido.
Ingenua, colpevole e stupida.
La voce di mia madre mi si era incastrata in testa, rimbombava in un eco senza fine, senza trovare la via d'uscita.
Sollevai con estrema fatica un braccio, le dita tremarono a contatto con la sicura della porta. Appena si aprì l'uscio, Emily entrò piano piano, come se sapesse che ogni rumore era un tamburo nelle mie tempie, ogni parola un grido di giudizio in più che non sapevo come accettare.
Non avevo forze.
Non ero abbastanza. Per salvarla, per salvarlo, per salvarli.
«Sam...»
Sollevai il capo e la vidi sfocata.
Mi tremarono le corde vocali, ma potevo fare una sola cosa per non sopperire sotto quella mia stupidità.
«Chiama Ivan.»
Le si indurì lo sguardo mentre piegava le ginocchia, estraeva il telefono e se lo portava all'orecchio.
«Siamo nella merda?»
Non vi era giudizio, non vi era rabbia. Solo comprensione, delusione e stanchezza.
Annuii. Incapace di rincuorare entrambe.
Ancora. Era colpa mia...
NDA:
Spero che abbiate compreso come mai Sam abbia commesso tali sbagli...
Purtroppo la paura annebbia, l'adrenalina è una droga e il dolore una brutta bestia. Sam è ferita e lotta come una bestia in cattività per non lasciarsi sovrastare.
Alcuni sbagli si comprendono come tali solo dopo averli commessi.
E ora? Abbiamo conosciuto un po' meglio Charles Black... che ne pensate? Avevamo visto solo un suo lato fin'ora e preparatevi perchè non sarà l'ultima volta che lo vediamo purtroppo...
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