22. Scale mobili (parte prima)
All the spirits gather 'round
like it's our last day
To get across you know
we'll have to raise the sand
Muddy Waters - LP
Era tremendo.
Com'era possibile che quel dannato livido violaceo fosse ancora così visibile dopo una settimana da quando me lo ero procurato?
Cos'è... anche il mio corpo iniziava ad avercela con me, adesso?
Prima la diminuzione drastica del ciclo, poi la pelle che si screpolava sempre con più frequenza... e ora guariva anche a rilento?
Non si poteva stare più in pace nemmeno con se stessi?
Come se lo fossi mai stata...
Aggrottai le sopracciglia e sollevai le dita. Mi avvicinai con la punta del naso al vetro lucido e pulito del bagno, su cui il mio alito disegnò cerchi appannati che mi coprivano in parte il riflesso. Ma rimase scoperta la fronte alta, l'attaccatura indisciplinata dei miei capelli mogano e quella tremenda cicatrice che, dopo quei mesi al sole, pareva essere lattea e pallida come non mai.
Qualcosa mi batté con forza sulla sommità della testa. Sollevai lo sguardo e strizzai gli occhi venendo accecata dalla luce a neon sopra la mia testa.
«Ma che fai?» borbottai stizzita allontanandomi dallo specchio ovale del bagno.
«Vuoi o no?» Emily mi allungò la bottiglia d'acqua, la stessa che mi aveva tirato in testa.
Scossi la testa. Lei spinse col retro in plastica contro la mia spalla, solerte.
«Vuoi anche disidratarti adesso?»
Il cipiglio critico con cui rincarò il concetto, feci finta di non notarlo. L'afferrai senza guardarla negli occhi e ne bevvi qualche lungo sorso.
«Potevi chiedermelo per bene.»
«Davvero, Sam? Ti ho chiamato mille volte ma tu eri in modalità estraniata-dal-mondo.»
Chiaramente non me ne ero accorta.
Uscimmo dal bagno dell'hotel che avevamo scelto per quell'unica notte a Sydney e superammo la chiassosa reception dove una ragazza dai capelli blu ci salutò tentando di intrattenerci. Senza successo. Lei non poteva saperlo, ma non eravamo davvero turiste alla ricerca di avventure.
Scendemmo in strada e rabbrividii. Faceva decisamente freddo per essere solo le cinque di pomeriggio, d'altronde giugno coincideva con l'inizio dell'inverno in Australia.
Mi concentrai sull'argomento di cui stavamo discutendo da quando avevamo raggiunto la città: come comunicare con Alice.
Quello era il motivo che ci aveva portato ad andare a Sydney, dopo che Cliff ci aveva negato il permesso di utilizzare i loro dispositivi sicuri. Non ci aveva vietato solo quello, bensì qualsiasi contatto in assoluto con persone non autorizzate da loro...
Beh, noi eravamo preoccupate, stanche e terribilmente irrequiete. Avevamo sperato che ci tranquillizzassero e si accollassero il problema di accertarsi che non le succedesse niente.
Ma così non era stato. E noi allora avevamo deciso.
Per questo ci trovavamo lì: a Sydney non potevano controllarci.
Lo sarebbero venuti a scoprire? Probabile, ma ne avremmo affrontato le conseguenze e ovviamente avremmo adottato tutte le precauzioni del caso.
«Fammi capire bene...»
Aprii e chiusi la bocca un paio di volte arruffando i concetti che Emily aveva espresso poco prima. Mi scansai schivando l'appendice scodinzolante di un husky talmente alto che mi arrivava all'altezza del bacino, la coda era lunga quanto tutto il mio avambraccio.
«Non hai capito» sbuffò Emily fermandosi davanti alle strisce pedonali.
«Perchè, tu sì?» la affiancai notando un'anziana signora dal vistoso e sgargiante cappellino rosa confetto che ci stava sorridendo.
«Più o meno... sicuramente non del tutto, ma so come dobbiamo fare. Will me ne ha sempre parlato fino allo sfinimento! VPN, tunnelling, protocolli di cifratura, chiavi pubbliche e private... e no, non guardarmi così che non ho intenzione di rispiegartelo!»
«Allora proverò a fidarmi...» il tono di voce pungente mi allappò la bocca e ne storpiò l'ironia.
«Spero sia sarcasmo o dico ad Ivan che ha torto marcio.»
Il semaforo scattò e attraversammo.
«Che significa?» Mi allarmai.
«Ivan sostiene che ti fidi di noi e questa è una cosa... rara» tentennò. «Devo dargli ragione?»
«Ivan parla troppo.»
«Almeno lui.»
La osservai attentamente, che significava? Le pupille guizzavano nei miei occhi irrequiete, rattristate...
«Va tutto bene con Will?»
La pelle sotto l'occhio vibrò tremendamente in risposta.
«No che non va bene con Will. Da quando non parli con lui?»
Non ci avevo mai parlato troppo ma ultimamente non lo incontravo mai, era sempre con l'intelligence...
«Appunto. Sta seguendo una strada che non mi piace per niente... Ivan sostiene che sia per i sensi di colpa.»
Lasciai passare una vivacissima signora anziana che parlava ad alta voce al telefono per poi avvicinarmi nuovamente ad Emily.
«... di cosa si sente in colpa?»
«Ha sempre tentato di scappare dalla sua famiglia, di non averci niente a che fare. E credo che si sia reso conto che se c'è qualcuno che ha abbandonato ingiustamente, è Nicholas...»
Un grumo in gola, un cazzotto al cuore.
Emily si schiarì la voce, scuotendomi una spalla. «E comunque non mi hai risposto: ha ragione Ivan, ti fidi di me?»
Scappai dal suo sguardo. «Certo che mi fido...»
Quella confessione si depositò fra la frenesia della città come una piume soffice, eppure il peso che mi si sgretolò dentro fu molto più significativo di un soffio.
«Sono preoccupata per lei e per loro, Sam.»
Lo sapevo. Lo ero anche io.
Ciò che poteva abbattersi su di noi da un momento all'altro si aggirava stringendosi nelle sue spire, sempre più vicino.
E non solo su di noi, ma su chi avevamo vicino...
«Basta! Adesso andiamo a mangiare e prepariamoci per domani. Odio questo stallo! Domattina ci metteremo in contatto con lei, quando da loro sarà notte fonda... Tu hai fame?»
I capelli mi ondeggiarono sospinti dalla brezza. «No... »
«Appunto, questa è un'altra delle cose che sostiene Ivan.»
Scossi la testa sentendo una spina affondare nel ventre a quelle parole. «Basta con ciò che dice Ivan-»
«Verità scomode?»
La fulminai con lo sguardo, ma mi scontrai con la lapidarietà nel suo.
Scacciai quella sensazione amara e feci per avviarmi lungo lo stradone principale, ma Emily mi tagliò la strada, con le lunghe gambe che doppiavano i miei passi.
«Devi mangiare, Sam. Non sono tua madre, ma tengo a te! Non so se te ne sei resa conto, ma se continui a non mangi-»
«Piantala!» mi conficcai le unghie nei palmi, aggrumando la rabbia nel retro della bocca.
«No! Ora mi ascolti. Credi di essere l'unica che soffre? Ivan dice di darti tempo, ma non ne hai più, non lo vedi? Se continui così, rischi di non arrivare al momento in cui rivedrai Nicholas!»
Fu una pugnalate fra le costole, mi penetrò il cuore con un sol colpo.
Qualcosa mi si infiammò nelle viscere...
Alzai le braccia, strinsi i pugni, il battito mi guizzò furente nelle tempie, in gola e la rabbia mi gonfiò come un pallone aerostatico.
Avrei voluto tirare un pugno, fracassare qualcosa, rompere...
Si ammucchiò quell'adrenalina, come se avessero sollevato una diga e le correnti impetuosi si stessero accalcando nel bacino disponibile. Riempiendolo, soffocando lo spazio rimasto, spingendo contro i bordi, sollevandosi, desiderosi di strabordare oltre distruggendo tutto...
Emily fece un passo all'indietro, allargò gli occhi e schiuse le labbra in una linea tremolante.
Era... paura?
Mi paralizzai.
...paura?
«Scusami...»
...di me?
Mi coprii il viso con le mani, affondai i polpastrelli nei capelli e li strinsi forte cercando di far sfumare via la rabbia.
«Sam».
«S-cus...»
Non riuscivo a parlare, non riuscivo a respirare, non riuscivo a muovermi. Mi tremavano le mani, mi si infrangeva il respiro, il buio delle palpebre calate volevo obliviarmi la mente.
Ma i rumori erano troppo forti, il mio cuore era una locomotiva impazzita.
«Sam...» la voce di Emily era vicina, vicinissima.
Rimpicciolivo sotto quell'agglomerato di rabbia instabile e bramoso di distruggere.
«Sam... mi chiedevo: quali sono i segnali per capire se qualcuno ci sta pedinando? Ne parlò Ivan, ricordi?»
«...c-osa?»
Sollevai il mento adagio e incontrai il sorriso striminzito di Emily, aveva lo sguardo attento puntato oltre la mia testa.
Mi costrinsi a respirare profondamente, recuperando le informazioni necessarie: «Bisogna tenere d'occhio i dettagli di chi ci circondano: anelli alle mani, scarpe, lo stesso passo riscontrabile in persone diverse, la stazza. Il profumo anche, se abbastanza vicino. Se li vediamo più di una volta, bisogna iniziare a preoccuparsi...»
Calai le palpebre cercando di placare quella frenesia martellante che ancora mi bruciava nel petto.
«Come lo stesso cappello rosso con un piccolo logo bianco sopra...» bisbigliò Emily..
Provai a voltarmi seguendo il suo sguardo fisso ma trafelato.
«Non girarti!»
«Ma che dici?!» portai l'attenzione sulla pelle nocciola della bionda, tesa sugli zigomi e raggrinzita agli angoli degli occhi.
«Ma ci sei, Sam? Siamo in un ppt sotto guida dell'intelligence britannica, con identità falsa, nascoste sulla parte opposta del globo, giusto per iniziare. Se qualcuno ci sta fissando, non è un buon segno...»
Mi spinse con la mano, obbligandomi a voltarmi.
«Certo che potrebbe solo trattarsi di qualcuno curioso, magari siamo solo paranoiche... qui è pieno di gente, no?» la sua voce svaporò sulle ultime lettere per poi trasformarsi in un imprecazione.
«Ma chi cazzo ci crede alla coincidenze dopo tutto quello che è successo! Cazzo!»
«Magari lo è davvero. Ma dobbiamo seminarlo, anche solo per precauzione e poi... col cazzo che ci facciamo beccare adesso!» sbottai.
Emily si fermò, un ghigno soddisfatto che le sollevò un angolo della bocca.
Mi osservai intorno. Eravamo dinanzi ad uno shopping center luminoso, dal viavai sostenuto di persone all'entrata.
Bingo!
«Hai... un piano?»
Annuii, senza guardarla.
«Scale mobili...» bisbigliai.
«Scale mobili?»
«Sì, scale mobili.»
Poteva essere sciocca come idea? Sì.
Avevamo scelta? No.
Ma potevo scegliere di non essere vittima, di non soccombere all'ennesima minaccia, di non lasciarmi sopraffare come mille altre volte già era successo.
Io. Potevo. Lottare.
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