13. Confusione
Another sleepless night
staring through the ceiling
Wondering how could I calm my head,
'cause I see red
My blood is boiling
and it shows
Against the Current - Weapon
Mi precipitai verso il punto in cui, il ragazzo che stava fissando i miei amici, si trovava poco prima; appoggiai le mani sul gabbiotto in legno e mi diedi lo slancio per svoltare oltre. Mi lanciai alla rincorsa con tutta la forza che avevo, ogni muscolo delle gambe che reagiva indomito sotto la mia richiesta; il cuore in gola pompava come un ossesso.
Il ragazzo aveva cambiato direzione, circumnavigando la parte posteriore del baracchino. La luce crepuscolare mi lasciava intravedere senza parsimonia di dettagli il suo aspetto. Le sue spalle larghe e dalle dimensioni taurine erano il mio obiettivo.
Incamerai aria, ingranai la rabbia nelle fibre muscolari, un passo dietro l'altro. Il distanziamento tra di noi diminuiva, i granelli di sabbia crocchiavano tra l'asfalto su cui si trovavano e sotto i miei passi furenti.
Lo stavo raggiungendo, il cuore mi esplodeva.
Pochi metri, le sue spalle diventavano più grosse man mano che mi avvicinavo... c'ero oramai.
Non rallentai. Mi gettai addosso a lui con tutto il peso, trascinando entrambi a terra; sfregamenti di indumenti sulla pavimentazione ruvida, ossa che cozzano, pelle frizionata.
«Chi diavolo sei?» il grido mi grattò la trachea.
Mi sedetti su di lui a cavalcioni e mi piegai in avanti premendogli un ginocchio sulla gola.
Digrignò i denti, emettendo un verso frustato e gutturale. Tentò di sollevarsi per colpirmi con un pugno e fui costretta ad arretrare pur di scansarlo, perdendo così la posizione di vantaggio. Mi disarcionò nell'immediato, caddi a terra e lui nel mentre si rimise in piedi rapido nonostante la mole. Lo imitai.
«Perchè li stavi spiando?»
Un guizzo della mascella possente, la pelata glabra riluceva nella penombra, mi fissò con insistenza serrando le mani, quasi sentii le nocche scricchiolare dalla rigidità. Ma non accennò a rispondermi.
Alla fine si voltò.
No, non glielo avrei permesso.
Provai a colpirlo alle spalle. Si girò mentre le mie dita già sentivano il tessuto soffice della maglia baciarmi le dita. Mi piantò la gamba fra le mie e mi fece perdere l'appoggio con un movimento rapido di bacino.
Non fui abbastanza svelta per evitarlo.
Cozzai con la schiena a terra, tossii, il dolore mi riverberò davanti agli occhi in mille lucine accecanti.
Mi squadrò dall'alto, la mole troneggiante e il tono quasi sprezzante. «Torna dai tuoi amici.»
Serrai la mascella. Bramavo il confronto così tanto che sentivo sentivo la furia grattarmi dietro lo sterno.
Urlai. Gli bloccai la gamba a me più vicina con entrambi i piedi, uno dietro la caviglia, la pianta dell'altro premuta contro l'attaccatura della coscia e sforbiciai.
Barcollò all'indietro, ma senza cadere. Mi sollevai da terra raggiungendolo, gli poggiai una mano sotto il mento e spinsi verso l'alto, seguendo lo slancio del movimento con cui lo avevo destabilizzato precedentemente.
Si liberò dal mio tentativo, svelto, e mi lanciò via. Letteralmente. Mi allontanò come se fossi stata un minuscolo essere fatto di gelatina di frutta, leggero e molleggiante. Innocuo e infantile.
Mi sentii così schiaffeggiata nell'orgoglio, da rimanere inerme mentre mi voltava la schiena per andarsene, di nuovo.
«So chi sei!» la rabbia ruggiva, le dita formicolavano per l'impotenza. «Ti ho visto, eri alla discoteca a Gold Coast! Ci stavi osservando anche allora!»
Soffermò la camminata, le spalle larghe strizzate nella maglia chiara a maniche corte. Inclinò impercettibilmente il mento verso la spalla destra, confermandomi che mi stava ascoltando e poi riprese ad allontanarsi.
Non ero degna della sua attenzione?
Ma io fremevo di rabbia, l'adrenalina era un ruggito nelle vene, ero stanca di essere troppo piccola e inutile... non volevo lasciare che altre cose sfuggissero al mio controllo, non potevo.
Quel nero fardello in me parve essere imbevuto di benzina e, l'unico modo per alleggerirlo, era lasciarlo ardere...
Volevo vincere, volevo avere delle possibilità, volevo essere forte...
Gli diedi fuoco.
Mi gettai in avanti urlando con ogni particella di ira, gli salii sulla schiena con un salto, serrai le ginocchia intorno alla vita massiccia e strinsi come una tenaglia. Gli passai un braccio sotto il mento, bloccandogli la carotide; serrai le mani l'un l'altra creando un cappio.
Forte, come lo ero stata quella sera di mesi prima. Folle, con quel disperato bisogno di vivere.
Iniziò a divincolarsi. Mi spostai prontamente dalla traiettoria della sua nuca pelata, con cui tentò di rompermi il setto nasale. Mi arpionai con tutta la volontà febbrile.
Non avrei mollato per niente al mondo!
«Sam!!»
Ruotai la testa all'indietro. Emily e William avevano gli occhi spalancati, erano ansanti, sul bordo della marciapiede antistante la spiaggia. La musica e le persone si estendevano alle loro spalle, in lontananza, a festeggiare sulla spiaggia.
Ivan emerse dietro di loro; i pugni serrati e le spalle irrigidite.
«Lascialo andare» sillabò con voce grave.
«Vi stava spiando!»
Il pelato ne approfittò: si chinò in avanti, facendomi rotolare oltre di lui, capitombolando con una capriola. Il sotto divenne sopra, ruzzolai sull'asfalto; dolore bruciante in ogni angolo di pelle che sfregò sul manto stradale.
Quando riaprii gli occhi, e scostai lo sguardo dall'imbrunire docile del cielo limpido, misi a fuoco nuove figure: due, stagliavano dietro il pelato dalla massa poderosa. Un ragazzo identico a lui ma con i capelli rossicci e una figura longilinea, ammantata di nero, di cui distinguevo la chioma variopinta.
Ivan si avvicinò all'uomo che li stava spiando; Emily si avvicinò a sua volta ma Will la trattenne per un polso. La tensione si stava accalcando nell'aria frizzante di salsedine.
«Stiamo tutti calmi-» allargò le braccia Ivan.
«Calmi un cazzo!» tuonò il pelato. «Mi ha quasi strangolato la tua amichetta!»
La sua amichetta?
La figura vestita di nero dalla chioma arcobaleno fece un passo avanti, gli stivali scricchiolarono sull'asfalto, la voce bassa e controllata: «Si è solo difesa».
«Mi ha attaccato lei!» mi indicò. «Lo hai visto che non le ho fatto nulla».
«E come biasimarla, ti sei fatto beccare in flagrante J.» intervenne il suo sosia con voce altrettanto profonda ma dall'inclinazione più morbida.
Il taurino scosse la testa e puntò un dito contro il petto di Ivan. «E' colpa tua! Chi cazzo se l'aspettava che mi avrebbe visto!»
Ivan incrociò le braccia al petto, gonfiando il pettorale su cui era puntato il dito dell'altro. Il taurino fece un verso di stizza e rabbia, schioccando le labbra, e il dito si tramutò in un pugno. Lo spinse all'indietro.
La mia rabbia scoppiò come un petardo.
«Non lo toccare!!» gridai puntando i gomiti a terra e lottando contro gli spasmi doloranti del mio corpo.
Mi issai in piedi a forza, sostenendomi sulle ginocchia, il dolore serpeggiava sotto pelle come un martello pneumatico. I suoi occhi scattarono nei miei, il pugno ancora immobile contro il petto di Ivan.
«Ah, sì?» una risata ruvida, la pelata lucente nel crepuscolo.
Si faceva beffe di me?
Se solo lo avesse toccato un'altra volta, glielo avrei fatto vedere io!
«Scheggia...»
«Ah!» lo interruppe il pelato, spinse all'indietro piantandogli lo sguardo addosso, una smorfia dipinta sulle labbra. Le sue spalle erano il doppio di quelle di Ivan, il che era tutto dire.
«Che pensi di fare?» scosse la testa Ivan, sciogliendo le braccia.
«Voglio proprio vedere cosa fa...»
Gli afferrò un polso.
Avrei dovuto soffermarmi, avrei dovuto ripulirmi dall'incendio di adrenalina che mi offuscava la mente. Ma ero troppo annebbiata, troppo smaniosa.
Avevo ancora l'immagine di Nicholas davanti agli occhi, il suo supplizio che mi incombeva addosso come un incubo che aveva preso campo nella realtà, senza darmi tregua. Le nostre vite in pericolo. Il terrore di perderlo, l'angoscia della sua sofferenza, la paura che fosse tutta colpa mia... che non potessi fare nulla...
Terrore. Che me lo strappassero via.
Ero stata così impotente.
Un baratro di angoscia, il gorgo del non ritorno.
Mi infiammai. Fu una miccia che giunse alla tanica ricolma di benzina, la sentii avvampare con un boato, otturandomi le orecchie, annichilendo la ragione.
Mi gettai tra di loro con irruenza. Vedevo solo Ivan, incolume.
Il mio obiettivo era lui. Era difenderlo. Era smettere di essere impotente.
Afferrai il polso del taurino pelato, per bloccarlo, ma si liberò subito. Lo colpii al fianco per allontanarlo, poi gli assestai un calcio al ginocchio. Ma in entrambi i casi lo sfiorai e basta.
Tuttavia ero riuscita a frappormi tra di loro e allontanarlo dal mio Ivan.
«Razza di-»
Fui svelta: gomitata sotto la costola fluttuante, polso in leva dal lato opposto da in cui si era ripiegato per l'affondo al fianco, una gamba dietro le sue, una mano sotto il mento che spinge verso l'alto, spazzata circolare, bacino che accompagna.
Lo feci cadere a terra in un sol gesto, il suo polso ancora stretto tra le mie mani, piegai il palmo verso il basso strappandogli un gemito. Tentò di sollevarsi ma cambiai l'angolazione della leva, stringendo con le dita sull'articolazione. Lo bloccai ancora.
Bastava avere un polso in mano e saperlo usare, per riuscire a immobilizzare il proprio avversario, come una macchinina il cui telecomando giaceva fra le proprie mani.
«Che cazzo le lasciate far-»
Mi fiondai su di lui, con tutto il mio peso, schiacciandolo a terra.
Ardevo senza sosta, leggera come una fiamma, adrenalina inebriante, nessun terrore a scalfirne il fluire costante. Così vuota, così appagante.
Qualcosa mi strinse le spalle e iniziò a tirare verso l'alto, allontanandomi da lui.
«Lasciatemi!»
Mi sbatterono a terra con forza, il viso mi venne scagliato lateralmente e si scontrò col ruvido cemento che strofinò malamente col mio zigomo. Il sapore acre del sangue si raggrumò in bocca.
Voltai il capo con lentezza, un occhio socchiuso dal dolore. Mi ritrovai le mani della nera dalla chioma variopinta che spingevano saldamente sul petto per mantenermi a terra. Appoggiò un ginocchio sul mio stomaco, per rimarcarne l'insistenza.
Mi ribellai come un'anguilla in preda a quel fuoco che aveva bisogno di spazio per espandersi, per lottare; rotolammo sull'asfalto in un trambusto di fruscii, colpi andati a segno e gemiti di sofferenza.
«Sam!»
Sentii la voce di Emily avvicinarsi, ma qualcuno parlò, bloccandola.
«Ehi, Walker, ci dai una mano o cosa?» digrignò i denti la ragazza contro cui stavo ancora tentando di liberarmi del tutto.
Le assestai una spallata. «Tu non azzardarti a rivolgerti a lui!»
Lei mi lanciò uno sguardo che mi gelò.
E fu allora, in quel lasso minuscolo di tempo, che riconobbi pure lei, incorniciata dal crepuscolo: la ragazza che avevo visto con Ivan quando li avevo pedinati!
Allora non aveva tutti quei colori arcobaleno tra le ciocche bionde, ma l'abbigliamento scuro e il viso marcato era il suo. Senza alcun dubbio!
«Ma tu-»
Qualcuno mi alzò di peso, ancora.
«Sono io, Scheggia, sono io.»
Riconobbi le mani calde e abbronzate di Ivan, il suo profumo che mi avvolgeva riponendomi con i piedi a terra. «Hai fatto anche troppi danni, adesso basta».
Mi voltai con i capelli che frullarono in ogni dove, la confusione che mi scoppiettava nel cervello. Le sue mani scivolarono sulle mie braccia nude.
«Che significa?»
Emily e William mi raggiunsero, attoniti, gli occhi sgranati e le bocche dischiuse, in confusione quanto me.
Una voce si intromise: «Va tutto bene, qui?»
Ci voltammo tutti verso l'interlocutore: un agente della polizia, ben riconoscibile non solo dalla divisa ben nota, ma anche dalla corporatura atletica, gli abiti che ne marcavano la fisicità e le armi appese alla cintola che erano sufficienti a decretarne l'autorità. La donna accanto a lui aveva due gambe talmente tanto tornite da chiedermi se con quelle tenaglie d'acciaio ci potesse spaccare persino le ossa.
Altro che la polizia inglese... gli australiani non scherzavano.
Bene!
Feci per avvicinarmi, ma Ivan mi trattenne scuotendo la testa...
Lo fissai, esterrefatta... scusa?
Il tipo dalla capigliatura rossiccia si avviò dagli agenti tenendo in alto le mani. «Scusate, abbiamo avuto solo un fraintendimento».
Un fraintendimento??
Stavo accumulando bile nel retro della bocca e l'adrenalina corrosiva mi stava schiacciando la volontà, ma la mano di Ivan era serrata con troppa forza sulla mia spalla.
E fu in quel momento che rimasi tanto perplessa quanto confusa oltre ogni dire.
Il taurino rossiccio prese qualcosa dalla tasca e glielo mostrò. Non vidi cosa, avendo la schiena rivolta nella nostra direzione, il crepuscolo gli era complice.
Qualsiasi cosa fosse, i due agenti annuirono con un gesto lieve del capo. Ci gettarono un'occhiata repentina disquisendo a bassa voce con il rosso e, in conclusione, si allontanarono...
I loro passi sull'asfalto riecheggiarono nel silenzio fino a quando si persero nella confusione distante dalla festa che avveniva sulla spiaggia. Ero talmente basita...
Ma che diavolo stava succedendo?!
«Lui vi stava spiando!» gridai, puntai il dito contro il pelato massiccio che stava sputando a terra, le mani aggrappate ai fianchi.
«Certo che vi stavo spiando, idiota-»
«J!» lo interruppe la bionda, battendogli una mano sulla spalla.
«J. un cazzo! Ormai è inutile la discrezione. Ci hanno visto, addio la riservatezza e il "coinvolgiamoli il meno possibile". Quella è una cazzo di tornado!»
«Modera le parole» intervenne Ivan mentre il suo braccio mi avvolgeva i fianchi.
«Modero le parole un cazzo, Walker» si avvicinò con passo furente, calcando con troppa decisione l'asfalto. «Guarda che casino hai combinato! E non rifilarmi quello sguardo innocente, è chiaro che è dall'inizio che tenti di rivelarle tutto.»
«Ma non l'ho fatto.»
E la voce di Ivan al mio orecchio parve così soddisfatta da farmi accendere una lampadina, in tutta quella confusione di discorso, che per me non aveva alcun senso.
«Quando faremo rapporto ci faranno la pelle, maledizione!»
La donna si avvicinò a noi, le mani impegnate a legarsi i ciuffi colorati in una coda alta.
«Inutile disperarsi. Ormai è andata» lanciò un lunghissimo sguardo ad Ivan, ammonitore.
La musica ovattata che giungeva dalla spiaggia pareva lontana anni luce.
«Scusate» si fece avanti Emily con voce tagliente, Will tentò nuovamente di trattenerla ma lei lo scrollò con decisione.
«Si può sapere che cavolo sta succedendo?»
I due ragazzi dalle moli massicce e la donna slanciata si guardarono per un lungo istante, nel crepitio elettrico che aleggiava tra di noi.
Rimanemmo tutti immobili, con la tensione che si accavallava tra le nostre occhiate trattenute fino a quando Ivan calò lo sguardo su di me, le dita mi accarezzano il dorso della mano e sorrise.
«Vi presento la mia squadra» allargò il braccio libero verso i tre. «E' grazie a loro che siete qui, sani e salvi.»
Eravamo rimasti indietro. Ivan mi teneva premuto del ghiaccio sullo zigomo; avevo la parte destra del viso completamente anestetizzata, l'acqua sciolta mi rigava la guancia e scendeva nel colletto della maglia, creandomi piccoli brividi cristallini.
Lo scalpiccio dei ragazzi dinanzi a noi si attenuò, le risate che percorrevano le strade vivaci di Byron Bay erano presenti anche a quell'ora tarda; la spiaggia si estendeva alla nostra sinistra, l'atmosfera disseminata di piccole luci colorate e mille note musicali cariche di bassi potenti e vibranti. Il ponente frizzante della notte prometteva rugiada e sale.
Osservai gli occhi di Ivan che mi osservavano, oltre il braccio con cui sorreggeva il ghiaccio.
«Hai sempre tentavo di farmelo capire, non è vero?»
Lui annuì senza prodigarsi in spiegazioni, quello sguardo valeva più di mille parole.
«Quando dicevi che non potevi dirmelo... era perché loro non volevano?» indicai con la testa i ragazzi che si erano allontanati con Emily e William.
«Erano gli ordini e non si trasgredisce agli ordini. Solitamente chi è sotto copertura non ha il beneficio di sapere. Ma voi siete diversi, Scheggia. Tu sei stata coinvolta più di tutti e non sai nemmeno quanto... volevo solo che fossi messa al corrente.»
«Volevi che io sapessi chi eri» mi incagliai nel suo sguardo, così intimo da percepirlo sfiorarmi abbandonate e recluse lontano.
Annuì.
Ora lo riconoscevo, senza quell'ombra con cui mi nascondeva segreti che mi allontanavano sempre di più da lui. Non lo aveva mai fatto prima, non di sua spontanea volontà. Se quella volta lo aveva fatto, ci doveva essere stato un motivo più grande di lui.
Come potevo essere stata tanto cieca? Oppure solo distratta...
«E' per questo che stamani mi hai insegnato a tenere i sensi allerta?»
Tolsi il ghiaccio dal volto per guardarlo meglio.
«Diciamo che ci ho sperato...» mi fece un occhiolino complice, un segreto baciato dalla brezza notturna. Sorrisi.
«Non sai che fatica tenerti all'oscuro.»
«Se mi avessi detto che lavoravi per...» mi persi nel racimolare una definizione.
Beh, ancora non ci avevano dato spiegazioni vere e proprie...
«Non qui, Scheggia» mio sfiorò la fronte con il dorso del indice. «Non è sicuro, appena arriviamo in albergo vi spiegheremo tutto.»
«Tutto?»
Mi circondò il volto con le mani calde, i polpastrelli ruvidi e mi diede un bacio fugace sullo zigomo ormai già gonfio, lo fece con una delicatezza tale che mi fece sciogliere il cuore, fra le costole e le cicatrici.
«Il più possibile. Li ho messi in una posizione scomoda. Indirettamente ho trasgredito agli ordini...» sfiorò il naso con il suo, pollici che dipingevano traiettorie pittoresche sulle mie guance incavate.
«Ma ci sono troppe cose in gioco, alcune di cui nemmeno io sono stato messo al corrente. Le scopriremo insieme, d'accordo?»
Mi chiesi quanto e cosa ancora non sapessi.
Si trattava di BlackMoon? Di mio padre? Di Ivan stesso?
Ma la sentivo, l'eccitazione vibrarmi nelle vene; me le sarei prese quelle risposte, le avremmo trovate insieme. Di qualsiasi cosa si trattasse...
«D'accordo.»
Mi baciò nuovamente lo zigomo gonfio, trattenendo un sorriso dubbioso sulle labbra, l'incertezza a completare il quadro con cui depositò uno sguardo fugace alla distanza inesistente che ci separava.
«D'accordo.»
NDA:
Io immagino che, nonostante ancora non sia stato spiegato nulla nel dettaglio... voi stiate intuendo oramai. Che ne dite?
E sì, finalmente nel prossimo capitolo abbiamo delle risposte... forse anche piu' di ciò che vi aspettate, ma non per questo vi piaceranno...
Attenderò le ipotesi XD Ma vedrò di non metterci troppo ad aggiornare.
Nel frattempo, piccolissima precisazione: se ve lo siete mai chiesto in Australia gli agenti di polizia incutono timore. Almeno quelli che ho incontrato io solo a guardarli chinavi la testa in silenzio XD
Il video all'inizio del capitolo è una canzone degli Against the Current (azzeccatissimo il testo, non trovate?) e la cantante stessa quando anni fa aveva i capelli scuri con sfumature rossastre scure era l'incarnazione della nsotra Sam. E' sempre stato un personaggio nato dalla mia testa, Lily Collins è sopraggiunta come miglior prestavolto... ma non vi nego che altrimenti sarebbe stata lei:
Voi immaginate mai i personaggi in altro modo (è quello il bello della lettura) e se sì, come?
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