47. Al momento giusto

What a wicked game to play
To make me feel this way
What a wicked thing to do
To let me dream of you

Wicked Game - Ursine Vulpine ft. Annaca




«Sam.»

Immobile dinanzi alla serratura, la schiena longilinea.

Mi avvicinai, solcai le mattonelle in cemento. Pochi passi a separarci nella penombra di casa Moon, il freddo che ci sferzava, illuminati a stento dal lampione sul marciapiede. Si voltò, strinse le mani a pugno.

«Vattene, Sam.» Un ringhio sommesso che aveva in sé minaccia, ma di quel tipo che mi fece bruciare dentro.

Avanzai. Sicura come mai ero stata. Viva come mai mi ero sentita. «No.»

Il suo sguardo si scurì, le iridi si frastagliarono.

«No, Nicholas, io non me ne vado.» Mi avvicinai ancora, particelle inconsistenti a dividerci; pavimento sdrucciolevole sotto le suole. Brividi sui polpastrelli, fuoco nelle vene.

«Sam.» Guizzo irrequieto di predatore. «Stammi lontana. Questo non deve succedere, non può succedere.»

«Smettila di scappare.» Molecole a separarci; respiri si sfioravano.

Avanzai.

«Non farlo» ringhiò.

«Dimmi perché non posso.» Occhi mi divorarono, brividi mi scolpirono. «Ammettilo, Nicholas.»

«Cosa vuoi da me?» Gli tremarono le spalle.

«Dimmi quello che senti.»

«Non puoi pretendere questo da me!» Gli tremarono le pupille.

«No, pretendilo tu da te stesso.»

«Sarò la tua rovina...» Gli tremarono le mani.

«Lo sei di già.»

Le nostre labbra si schiantarono, un tripudio di sussulti e respiri spezzati. Schiudemmo le bocche; bisogno tremebondo in punta di cuore.

Non volevo ascoltare le mille ragioni del perché non avremmo dovuto, i frammenti di un mondo sbagliato che eravamo io e lui. Volevo solo essere viva. Volevo disegnare i contorni di quella luce che lui non vedeva e scoprire quelle ombre che celava in sé. La sua lingua mi bramò, un vortice di desiderio che mi soggiogò. Mi spinsi contro di lui. Afferrai i ricci morbidi e li strinsi.

Si spezzò nella mia bocca in un lamento. Le sue mani scesero, sinuose e tumultuose, si infiltrarono sotto la giacca, me la strapparono di dosso. Le sue dita calde scesero, frenetiche; con un unico gesto il contatto del pavimento con i miei piedi venne meno.

Mi issò su. Avvolsi le gambe intorno a lui imprimendolo contro di me.

Con un tonfo la porta di casa si spalancò per poi richiudersi alle nostre spalle. Mi ci sbatté contro; le scapole cozzarono con la superficie rigida, il suo bacino spinse contro il mio.

Mi inarcai per sentirlo ovunque, come se non fosse sufficiente, come se fosse il suo stesso calore a scolpirmi di vita. Gli assaggiai ogni angolo di bocca, succhiando e tirando. Mi morse un labbro, mi sollevò il mento; i capelli caddero da un lato liberandomi il collo che lui fece suo. Ma era irruento, famelico. Troppi denti, troppi bisogni. Esseri traboccanti, unghie troppo a fondo.

Mi morse la pelle morbida e sensibile della giugulare. Gemetti, piacere succube del dolore. Perse ogni frammento di quelle catene invisibili che lo imbrigliavano. Approfondì, mi agguantò e succhiò. Ed ero brividi nei meandri più incogniti di me stessa, nelle ombre più fratturate del mio essere. Mi aggrappai alla stoffa della felpa, volevo la sua pelle, un bisogno profondo e viscerale di dipingermelo addosso.

Mi riaccompagnò a terra, le sue mani salirono ad aiutare le mie. Si liberò della felpa. Afferrai i lembi della sua maglia e combattei contro la sua altezza per togliergliela. Si stagliò su di me, imponente e a torso nudo.

Avrei voluto guardarlo all'infinito, per scolpirmelo nella memoria. La luce che filtrava dall'esterno mi permetteva di distinguere i profili dei brividi che gli tempestavano le spalle larghe ma sottili, toniche curve sinuose. Gli carezzai le clavicole, gli obliqui in tensione; la curva sensuale sulle creste iliache che spariva sotto il tessuto del pantalone.

Sfiorai le terribili cicatrici traslucide che gli ricoprivano il busto, raccontavano passati bui e tormentati; la più grande gli partiva da sotto la clavicola e gli arrivava fino alla fine delle costole: era tremenda. E ne aveva altre mille cosparse a fior di pelle, alcune piccole quanto solchi di unghia, altre spesse come matite.

Mi si strinse il cuore. Gliele baciai; cicatrici contro labbra. Desiderai suggellare quel dolore con tutta la dolcezza che potevo donargli. Tornai indietro e il suo sguardo si arpionò al mio. Era in frantumi, disfatto, ansante. Un'immobilità così forzata che temetti si potesse spezzare.

«Mi distrugge.»

«Cosa, Nicholas?»

Le sue mani si adagiarono sulle mie anche. «Questo... il modo in cui mi guardi.»

Le sue dita erano in attesa di modellarmi e io di essere modellata. Le parole non saziavano nessuna parte di me.

«Sam, tu...» I polpastrelli affondarono, il cuore mi balzò in gola e la sua fronte spinse contro la mia. «Stiamo valicando un limite. Non potremo più tornare indietro, lo sai? Mi stai demolendo, Sam, e non so come fermarmi.»

«Credi che sia questo che voglia adesso?»

Eravamo difettosi, pieni di oscurità e imperfezioni; diversi, a causa delle ombre che custodivamo. Eppure, insieme, potevamo creare qualcosa di giusto.

Mi sentivo come la prima volta che avevo messo la testa sott'acqua: nel posto giusto. Al momento giusto. Appoggiai le mani sopra le sue e serrammo la presa sui lembi della maglia; in un movimento trepidante la togliemmo.

«Siamo solo io e te adesso.»

I suoi occhi scivolarono su di me, soffermandosi su ogni lembo di pelle esposto. Vi era qualcosa di così collimante nel lasciarsi vedere nudi, nella vulnerabilità della propria ombra, così come nel proprio corpo.

«Demoliscimi, Nicholas. Demoliamoci insieme.»

La tensione dell'immobilità in cui si era costretto, si infranse. Si gettò su di me. Gli afferrai le spalle possenti, mi avvinghiai con polpastrelli e unghie e ci schiantammo in un bacio; che divenne morsi, tremori, preghiere.

Raggiunse la chiusura del reggiseno e la sganciò. Lo lasciammo cadere a terra col resto degli indumenti. Scese a mordermi la clavicola, affondò nelle lombari, bloccandomi contro di lui. Mi sganciò la gonna e me la fece scivolare lungo i fianchi, con lentezza, come se si aspettasse che lo fermassi... Non lo feci; la scalciai via.

Affondò nel mio seno. Respiro che bruciava pelle, denti che graffiavano l'anima. Affannai, il suo corpo contro il mio, di più. Mi gettai in avanti, inciampai. Si inginocchiò, mi afferrò le cosce e mi porto su di sé, a cavalcioni, la stoffa dei jeans mi raschiò l'interno delle gambe.

Mi leccò il capezzolo e io affondai del tutto la mano tra i suoi capelli, afferrando e tirando. Schegge nel sangue, spilli nel ventre. Le sue labbra si frapposero alla lingua, intrappolando la parte sensibile, succhiando e tirando. Gemetti, un brivido di piacere mi stravolse. Lo strinsi a me con forza. Ombre e sbagli, mani e cuori.

«Guardami, Nicholas.»

Sollevò la testa: ansante contro la pelle nuda del mio seno. Occhi veri e pieni di sfaccettature. Era tanto bello da spezzarmi il cuore.

«Te l'ha mai detto nessuno, che sei bella da star male, Sam?»

Annichilii. Ogni sua ombra mi plasmò.

Si tirò su in piedi tenendomi stretta a sé; mi avvinghiai con le cosce intorno al suo bacino. Salì le scale; gli morsi il collo. Sbatté con la spalla al muro, ansimò; gli affondai le unghie nella schiena, assaporandolo.

«Lasciami arrivare almeno... i-in camera.»

Ma c'erano ansimi che rimbombavano ovunque, ombre così ammalianti da annebbiarmi e quelle nostre anime che abbrustolivano insieme. Passai la lingua sulla clavicola, serrai la presa delle cosce intorno alla sua vita, sentendolo tutto, sentendolo troppo.

Ringhiò, gravità confusa, cademmo. No, mi spinse. Freddo aderì alla schiena, soffitto si presentò davanti a me. Nicholas mi afferrò i polsi entrando nella mia visuale, trascinandomi nell'ombra, e me li bloccò sopra la testa. Braccia in tirare, capelli incastrati tra me e il pavimento su cui ero sdraiata; la vetta dello scalino contro le mie lombari.

«Avresti dovuto lasciare che salissi queste maledette scale» ringhiò sul mio sterno, i capelli mi sfiorarono i seni.

Il suo polpastrello percorse la linea del mio inguine, caldo e sensibile. Si chinò, passò la lingua intorno all'ombelico e raggiunse gli slip. Stavo impazzendo, annichilendo. Mi liberò i polsi per stringere le natiche e sollevarmi verso di lui. Serrai la presa sulle sue spalle e corsi ad afferrargli i ricci.

«Ferma non riesci a stare?» voce profonda, graffiante, che mi incendiò il ventre a pochi respiri dalla sua bocca. Mi osservò da sotto in su, chino su di me.

Affondai con i polpastrelli tra i capelli, godendo di ogni fragilità che stavamo mostrando. «Nemmeno se mi costringi.»

Un guizzo della mandibola, la penombra gli affilò lo sguardo che si incendiò, distruggendomi.

«Allora ti costringerò.» Roco, abissale.

Mi tirò su di scatto, luci opalescenti mi sfiorarono, i miei capelli danzarono tra di noi. Entrammo in una stanza con un letto addossato alla parete, un tappeto grigio a coprire il pavimento e le grandi finestre che lasciavano intravedere la luna e la sua luce che filtrava all'interno. Odore agrumato e di bucato, il suo profumo.

Mi baciò con impellenza, bruciandomi addosso; pelle contro pelle.

«Alza le braccia» sussurrò, stritolandomi le cosce.

Poi mi issò verso l'alto, portandosi le mie gambe sulle spalle. Per poco non caddi giù. Non sapevo dove tenermi. Ero così in alto che ebbi paura di sbattere contro la cornice della porta.

«Aggrappati.» Mi guardò da sotto in su. «Aggrappati molto bene.»

Il suo sguardo era fremente e fragile. Tanto vero da strapparmi il cuore dal petto. Tanto sbagliato da non aver paura di mascherarlo. Indicò qualcosa con gli occhi, sopra di me; feci appena in tempo a capire.

Afferrai la barra per le trazioni sopra la cornice della porta nello stesso istante in cui mi lasciò andare. La gravità mi allungò verso terra, ma era troppo distante, rimasi a penzoloni nel vuoto, nuda.

Nicholas scalzò i miei slip. Mi vibrò addosso, lingua sull'inguine, bollente ed eccitante. Mi esplodeva il cuore, mi esplodeva il respiro, mi esplodevano le vene...

Mi baciò la parte più sensibile con delicatezza, come se fossi fragile. Calai lo sguardo su di lui mentre indugiava sulla mia sensibilità esterna. Reclinò il capo, la mia vulnerabilità alla sua mercè, con gli occhi ricolmi di me, le ginocchia avvinghiate alle sue spalle per non cadere.

«Riesci a tenerti?»

Annuii, fremetti; in tirare, in affanno. Le dita serrate alla nausea sulla sbarra sopra la mia testa. La gravità mi spingeva verso terra, verso la sua bocca.

«E allora tieniti. Forte.»

E poi proseguì. La sua lingua si tuffò con un'intensità che mi tolse il respiro. Mi inarcai, spezzata da quel desiderio che stava divampando nel ventre; i nervi vibrarono, caviglie scosse da tremiti.

E mi incalzò, cercò la parte più nascosta, la parte più sensibile; le sue labbra si facevano largo tra le mie, le afferravano, succhiavano. Piacere mi incalzava e spezzava. Più si impossessava di me, più mi tremavano le braccia nell'agonia del rimanere appesa. Non potevo muovermi.

Le sue mani si aggrapparono con possesso alle mie cosce, le piegarono per portarle sulle sue spalle. Ansimai, castigata, mentre lui spingeva, ancora, furibondo e crudele. Divenni creta sotto le onde di quel piacere, che indugiava, che si accalcava, che mi cercava. Pretendeva di più e il mio corpo rispondeva. Non avevo mai provato niente del genere, ero gemiti che non trattenevo, ero spasmi di piacere nelle vene, ero flutti di desiderio che mi sommergevano.

E salì, quel piacere recondito in me, si addensò nel ventre, si stirò fino a dolere, si accumulò montando e strepitando, scalciando e pretendendo. Ed ero filo, tirata in mille direzioni, ero ragnatele che tornavano tutte al punto di partenza.

«Nicholas.» Implorai, tremai.

Scostò le labbra, le dita in me. «Ti prendo io se non ce la fai.»

Mi inarcai contro le sue labbra, contro quel desiderio che mi stava per far esplodere.

«Nicholas, ti prego.»

«Sono qui, Sam, sono qui.» Parole che si abbatterono sul mio piacere pulsante.

Mi dolevano i polsi, mi scoppiava il petto e mi scoppiava tutto il resto.

«Lasciati andare, Sam.» Tirò e affondò, in me, ovunque. «Lasciati andare a me.»

«Nicholas

Sprofondò in me, esplosi, agonizzai. Mille vampate, bruciori brulicanti. Lo strinsi tra le cosce, tremante e sfibrata. Le sue mani mi strinsero il bacino con possesso. Si accumulò, salì, salì ancora, incalzò una corsa allo stremo. Spinse, crebbe, arrivò al limite e ancora di più...

Esplosi. Scintille di godimento puro, onde che mi travolsero, lamenti di piacere che si infransero in grida soffuse. Ero terra di sensazioni vivide come mai altro; ero una corda tesa al massimo che continuava a essere travolta, stirata, allungata.

Le braccia non ressero.

Mi lasciai andare. Nicholas serrò la presa su di me e mi portò giù. Ero tremante, gambe instabili, respiri rubati. Quando tornai a respirare, Nicholas mi stava guardando, le labbra lucide e gonfie, e lo sguardo stracolmo di me. Aveva un sorriso che non avevo mai visto.

Era fiero, era eccitato e incredulo. Era senza maschere.

Quello sguardo mi distrusse, non volevo vedere nient'altro che quello. Mi gettai su di lui, gli sganciai il bottone dei pantaloni e glieli fece scivolare giù dai fianchi. Tanto bassa rispetto a lui, tanto piccola rispetto al suo fisico statuario.

La sua bocca cercò la mia; calotte in rotta di collisione. Si aggrappò ai miei capelli, mi palpò il seno sfiorando il capezzolo con il polpastrello ruvido. Gli esplorai la schiena, colline di muscoli. Accarezzai il petto, l'addome, le natiche. Ogni sua cicatrice era una storia bisbigliata nella notte, ogni respiro un sussurro di parole non dette. E io cercai le sue ombre, come lui cercava le mie.

Mi spinse all'indietro. Fu uno scricchiolio di doghe, un fruscio delle lenzuola morbide sotto di noi, un cambiamento di luce. Affondai con la schiena nel materasso. Mi impresse le sue labbra su ogni parte del busto. Ogni bacio era più incalzante, ogni tocco era più bramoso. Rimasi inerme sotto di lui, sotto il suo bisogno, sotto il mio.

Tanto che non resistetti più. Era il mio turno adesso.

Gli afferrai le spalle e lo buttai di lato, salendogli a cavalcioni sopra. Mi chinai sul suo corpo nudo; gli baciai la mandibola, assaporai ogni centimetro, ogni ricordo che era cicatrice, ogni sbaglio che aveva impresso a fuoco addosso. E lui si spezzava, inerme sotto di me. Raccolsi la pelle del collo tra le labbra succhiando fino a quando non lo sentii, il suo gemito di piacere, che si mescolò a quello che si stava annidando nel mio ventre.

Gli sfiorai la cresta iliaca con la lingua e iniziai a scendere, infiltrandomi nell'avvallamento che lo separava dall'addome trasverso; tuffandosi nelle parti più intime. Incontrai la stoffa dei boxer e glieli tolsi.

«Stai fermo tu adesso.»

«Credi che ci riesca se fai così?»

Era una sfida. E mi avvampò dentro come il peggiore dei peccati. Scattai con lo sguardo verso la testata del letto. Gli allungai le braccia e gli avvolsi le dita intorno alle sbarre.

«Non mollare la presa.»

Rise, contro la mia pelle. «E se anche lo facessi?»

«Non costringermi a legarti» sussurrai, occhi negli occhi, con quella spavalderia che lui aveva innescato in me e che inebriò entrambi.

«Così non-»

Lo provocai con le labbra, interrompendolo. Fu il mio turno di afferrarlo e accogliere nella mia bocca la sua parte intima; ed era così tremante sotto di me che mi fece desiderare di fargli provare ogni cosa che lui aveva fatto sentire a me, donargli tutto ciò che mi aveva fatto assaggiare poco prima. Giocai, tirai, lo toccai. E ogni suo gemito trattenuto mi incalzò di più. Ci provava in ogni modo a non lasciarsi andare.

Mi fermò, affannato, con lo sguardo liquido e disfatto, stringendomi il polso.

«Aspetta.» Si allungò a prendere qualcosa dentro il cassetto del comodino.

In un unico gesto, mi fece cadere con la schiena sul materasso. E lo vidi, nudo nella sua bellezza spietata, illuminato da quegli inclementi raggi di luna che lo adornavano, che gli imperlavano l'addome e i bicipiti. Ogni cicatrice un disegno di luna.

Lo aiutai a inserire la protezione mentre il suo fiato affranto mi inondava le vene. Si chinò su di me, le sue gambe tra le mie. Ci fu un tremito che erano i miei fianchi, le sue dita intrecciate alle mie oltre la testa, quella frontiera che stavamo disegnando e ricreando.

Quando naufragò in me, un gemito ci spezzò entrambi. Occhi negli occhi, pelle contro pelle. E alla fine si arrese. Collidemmo in mille pezzi, in mille sbagli, in mille puzzle colorati e sbavati. Ci incalzammo, ci afferrammo come unici pezzi solidi in un mondo di vapore; ci stringemmo come se non volessimo lasciarci andare mai. Ci ascoltammo senza parole. E ci leggemmo senza bisogno di spiegare.

Mi bloccò le braccia alla parete mentre mi incalzava con ringhi e gemiti, morsi e baci.

Ci muovemmo all'unisono, vibrando l'uno nell'altra. Eravamo acqua e fuoco che si rincorrevano; le mie unghie sul suo dorso, la sua lingua sul mio collo, le sue spinte che pretendevano sempre di più. Una sofferenza che dilaniò l'anima, scolpì nuove emozioni; mille frammenti che ricomponevamo con sguardi di luna.

Ci ribaltammo, un ammasso di lenzuola; cademmo dal letto, gemiti e ansimi, ci aggrappammo a tutto e a nulla. Ma non era mai abbastanza. Sempre più su, sempre più al limite, sempre più urgenti.

Ed esplodemmo insieme, in un tripudio di schegge che si dipanarono fino a divenire ghiaccio e fiamme. E rimasi inerme, sopraffatta, distrutta e ridipinta in Nicholas. In noi. In me.

Figli della luna, liberi nelle proprie ombre.

https://youtu.be/PJXmm1LPmY4

Regalino per voi!


NDA:

So che mi ammazzerete, che mi ripudierete e che posso solo scappare a nascondermi.

È la prima volta che scrivo un capitolo del genere. Spero (ho il terrore) che non sia venuto come avrebbe dovutoper colmare la loro storia. Ho il terrore che scada in qualcosa di "trash"... spero non sia stato così.

Finalmente abbiamo dato un senso al rating rosso

😏

La loro gioia la dovevano avere, completa e senza censure, perchè ne hanno l'età giusta e perchè se lo meritano... poveri inconsapevoli cristi.

A prestittimo!

Mi trovate (per pomodori, guardie svizzere sull'uscio di casa e infamate pesanti) su IG come _ambershiver_



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