44. In frantumi
I know,
I need forgiveness like a hole in the head
Take me backwards,
I don't want to know who I am
Violent Pictures - Dream on, Dreamer
https://youtu.be/N_MoL3WkHEI
NICHOLAS POV
Erano passati dieci giorni da quando l'avevo vista a Brighton. Da allora l'avevo evitata, come avrei dovuto fare fin dall'inizio.
Quello che era successo era pericoloso. Una bestia selvaggia che mi masticava le ossa giorno e notte. Vi era qualcosa di imprescindibile in Sam, che mi faceva perdere la testa, mi braccava la volontà e inneggiava alla scelta. Quella scelta che non avevo.
Ed era beffardo il caso, seducente quel fottuto richiamo. E logorante, così logorante da non togliermelo più dalla testa. Come poteva lei, una semplice ragazzina, richiamare a galla tutto ciò!
Come poteva lei, pretendere tutto ciò da me!
Aveva assistito a ciò che ero, a qual era il mio lavoro, a quanto infido ero per lei. Avevo tentato di spaventarla, di allontanarla da me, di ricordarle che era sempre stata lei il mio obiettivo. Ma Sam non si era spaventata, non ci aveva creduto. Maledetta lei e quella sua folle audacia!
Ci avrebbe condotti alla rovina. Lei mi avrebbe condotto al collasso. Perché ormai era innegabile. Quel messaggio che le era stato inviato ne era un'altra riprova: c'erano loro dietro a tutto, non poteva essere altrimenti. Perché stavano giocando con me? Non gli bastava avermi asservito?
Quel groviglio di contraddizioni mi masticò la ragione. E i miei pensieri sdrucciolevoli, mi trascinarono a William, l'unico che mi si fosse avvicinato fin da piccolo.
La ricordavo bene, mia madre.
In quei modi di fare frettolosi e calorosi, la chioma castana, come avevano i miei fratelli, che le lambiva le spalle. Padroneggiava i fornelli della cucina, sempre decisa a scovare nuove ricette per deliziare il palato. Sempre pronta a sorridere quando fuori pioveva, nel grigiore di Haywards Heath, nella solitudine forzata in cui la città ci rinchiudeva.
Il suo sorriso aveva un potere incredibile: rischiarava tutto, un sole imbottigliato in una persona. Nessuno ne scampava se lei voleva. Nessuno. Non mio padre nelle rare occasioni che si faceva vedere da lei, non Adam nel suo essere il figlio maggiore perfetto, non William nei suoi occhioni sinceri e dolci di bimbo.
Nessuno... tranne me.
Ero un figlio della luna, mi aveva detto Sam, quella sera dove mi aveva salvato avendo visto la parte più vulnerabile di me; quella più nascosta e tenuta fuori dalla vista di chiunque, persino fuori dalla mia.
Salvare quel gatto era stato un gesto avventato e dettato dall'istinto. Un'azione comandata più dal mio bisogno di salvarlo, che dal suo di essere salvato.
Redenzione viziata, con lo scopo di salvarmi da una vita di peccati. Ero inadeguato e sbagliato in un mondo dove le ombre vengono recluse e scacciate, perché progenie del male, perché non conformi, perché diverse.
Per la prima volta nella mia vita avevo visto il mio dolore riflesso negli occhi di qualcuno; Sam mi aveva teso una mano mostrando la propria fragilità e non mi aveva allontanato.
Non aveva allontanato me.
Me la ricordavo bene mia madre.
«William, fatti aiutare da tuo fratello, lui è bravo a scuola. Ti aiuterà a risolvere quel problema tesoro, vedrai.» Sorrise mia madre, la lucentezza eccessiva dagli occhi piccoli e castani era identica a quella dei miei fratelli.
Sedevo a capotavola, nel posto più lontano, le gambe penzolavano dalla sedia e, nonostante mi sporgessi, non riuscivo a raggiungere mai niente: troppo distante dal centro. Ma era quello il mio posto.
William mi guardò, eternamente pronto a donarmi la sua attenzione, e appena mamma si voltò di schiena mi allungò i biscotti.
Una casualità che non era tale.
«Non da lui.» Riprese mamma voltandosi di nuovo verso di noi, piantandomi quello sguardo diffidente addosso. «Ti aiuterà Adam, appena tornerà da casa di suo padre. La prossima settimana starà con noi.»
«Perché è il più grande?»
Fissai William, l'ingenuità che lo portava a sorridermi senza domandarsi perché mi nascondessi sempre le mani quando mi era vicino.
«Sì, perché è il maggiore.» Ma il suo sguardo mi scavava e io sapevo che aveva appena mentito.
«Anche io ti aiuterò quando avrò tredici anni come Adam.» Will aprì le mani e iniziò a contare con le dita. «Ho due anni più di te, sono sempre il più grande tra di noi.»
«Sbrigati a finire di mangiare.» Mi apostrofò mamma interrompendo mio fratello.
Ci issammo le cartelle pesanti sulle spalle e ci avviammo verso la porta; quell'anno mi era concesso di frequentare la scuola.
William mi mostrò una figurina luccicosa e colorata. «Me l'ha regalata Tommy, così gli ho dato un pezzo della mia merenda!»
«Mi fa piacere, tesoro.» Nostra madre gli accarezzò i capelli e gli porse un piccolo sacchettino che lui afferrò con la mano libera. «Ti ho messo due merende, così una la puoi dare di nuovo al tuo amico.»
Gli sorrise, dolce e fiera. Le stesse emozioni che regalava ad Adam. Le stesse che mi erano negate.
Poi si voltò verso di me e mi passò un sacchettino, con quello sguardo che mi bucò dentro e mi fece sentire, ancora una volta, sbagliato.
Come se io lì, non ci dovessi essere.
Lo nascosi nello zainetto, svelto. Non importava che vi guardassi dentro per saperlo, né che mi soffermassi sul peso troppo leggero per avere altre certezze. La mia merenda era una mela. Sempre un frutto: niente merendine dall'aria dolce come quelle delle pubblicità, niente cioccolatini avvolti in carte dorate, niente scones, di quelli che sfornava la domenica e di cui Will si rimpinzava.
La nascosi, perché me ne vergognavo, perché non volevo che mio fratello la vedesse. Non volevo che scoprisse che quella merenda buona non me la meritavo. E non me l'ero mai meritato.
Mi ero chiesto perché non ricevessi le stesse attenzioni. Me lo ero chiesto a lungo mentre osservavo William dormire in modo beato nel lettino accanto a me, di notte.
La ricordavo bene, mia madre: era stata la prima persona a farmi capire che qualcosa in me non andava.
Ero capace di cose che non mi facevano dormire la notte. Di cose che non avrei voluto fare. Nero, sbagliato.
«Cosa succede, Kayle?» Will si distese accanto a me nel letto.
Nascosi il dolore, mangiai le lacrime, mi morsi l'interno della guancia come mi aveva fatto vedere papà.
E avrei voluto gridare, nascondermi sotto il letto, scappare da come mi guardava. Non volevo altro che quello, che lui continuasse a vedermi così: che mi stringesse le mani, che venisse a giocare con me quando sentivo la solitudine richiamarmi nelle ombre, che mi passasse i biscotti quando mia madre non guardava.
Papà aveva detto che ero egoista.
«Va tutto bene, Kayle. Vedrai che avrai anche tu un amico come il mio.»
Rimpicciolii, sparii nelle mie stesse ombre, nascosi le mani; mi sentivo ancora il sangue del micio sotto le unghie. Se solo avesse guardato bene nei miei occhi avrebbe capito perché era stato ricoverato il nostro insegnante?
Se Will avesse capito che mostro che ero! Allora anche lui mi avrebbe odiato: come mia madre, come quel gatto, come me stesso...
Ma mio padre aveva detto che avevo eseguito bene. Avevo fatto tutto in modo impeccabile.
Ma Sam si era aggrappata a me, in quel modo che era la mia stessa disperazione nell'attaccarmi alle attenzioni di William quando ero piccolo.
Non me lo meritavo. Sam si era fidata di me, contro tutto e tutti.
Mi conficcai le unghie nella pelle all'altezza dei gomiti. Caddi in ginocchio; afflizzione, sofferenza. Avevo bisogno di mantenermi lucido, senza soccombere.
Una parte di me stava ridendo per la fatalità della situazione!
Quel destino contorto ci guidava tutti nella direzione che voleva, senza chiedere. Così come loro stavano facendo.
Le unghie affondarono, il liquido caldo mi bagnò i polpastrelli. Come allora, quando avevo tolto quella prima vita con le mie mani. Graffiai ancora, meritandomi ogni stilla di dolore, ogni puntale di filo spinato inchiodato a forza nel cuore.
Ma io non avevo scelta; adesso come allora, con William come con Sam.
Mi passai la mano insanguinata sul volto.
Se volevo proteggere le uniche persone che mi avevano visto per quello che ero, avrei dovuto allontanarle, garantendogli una salvezza.
Era la vigilia di Natale e si trovavano tutti alla festa dei de Clare, Sam e le sue amiche comprese. Ci sarei andato per vederla un'ultima volta.
Non che avessi scelta: in fondo mi era stato imposto anche quello.
Avevo fatto un patto, perso la mia posizione. E adesso non potevo fare altrimenti. Dovevo trovare il modo di allontanare Sam e William da me. Da Haywards Heath.
E da ciò che rischiava di piombargli addosso.
NDA:
Vi voglio bene... anche solo per essere arrivate fin qui. Perchè Nicholas è un gorgo nero che raccoglie in sè e non lascia uscire altro. Ma Sam ne sta sovvertendo le regole gravitazionali.
Se le prenderanno qualche gioia? O forse meglio di no... perchè troppo rischioso?
Io so cosa vi aspettate a breve...
🔥🚫🖤
scherzo....
😏
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