4. Equinozio d'Autunno
All lies where we hide
We only let a fraction show
Afraid to let somebody in
Cause what if they don't like our skin
The Fever ~ Foreign Figures
Appoggiai la fronte al vetro fresco, lasciai che quella sensazione mi bucasse la pelle e risvegliasse la mente. Calai le palpebre, perdendomi nei meandri dei miei pensieri.
Ciò che era successo la sera precedente mi aveva destabilizzato. Era caduto un bicchiere le cui mille schegge si erano conficcate ovunque e adesso non riuscivo a togliermele di dosso, troppo fini per vederle a occhio nudo ma troppo penetranti per ignorarle.
Inutile dire che non ero riuscita a intendere e volere per il resto della sera, troppo sconvolta e scombussolata. L'immagine di Nicholas e dei suoi occhi graffianti mi riportò alla realtà in modo brusco.
Afferrai il telefono abbandonato sul comodino e desiderai con tutta me stessa sentire la voce di una delle due uniche persone che erano mai riuscite a farmi sentire meno sola in tutta la mia vita.
Ironia della sorte, non potevo parlare con nessuna delle due.
Fissai il nome di Ivan sul display, immaginai la sua voce calda e gioiosa, con quella sicurezza che mi aveva sempre affascinato. Non lo sentivo da quando ci eravamo trasferite e sapevo di non poterlo contattare in nessun modo.
Sarebbe stato così facile digitare il tasto per chiamarlo, lasciare che mi strappasse un sorriso come solo lui sapeva fare. Ma non potevo...
L'altra persona in grado di farmi sentire meno sbagliata, per scherno del destino, era quella che aveva distrutto tutto. Avevamo troncato i rapporti con qualsiasi cosa riguardasse la nostra vecchia vita.
Lo stomaco si serrò, la nausea inneggiò dietro il setto nasale.
Scossi la testa con forza: dovevo concentrarmi su altro.
Non andavo a una festa da mesi. Alice mi aveva detto che ogni anno festeggiavano l'equinozio d'autunno al Wooden Bar. Non avevo mai sentito di feste del genere ma ormai avrei dovuto capirlo: Haywards Heath era strana - molto strana - così come i suoi abitanti.
Il campanello di casa trillò: Alice che si era offerta di passare a prendermi, forse perché sospettava che altrimenti non sarei andata alla serata. Vero, in effetti.
Cercai per svariati minuti il cappello che portavo sempre con me, ma senza successo, eppure ero sicura di averlo usato il giorno precedente. Scossi la testa, ormai era tardi e non potevo farci nulla. Chissà dove lo avevo messo.
«Samantha Knight, piacere.» La smorfia sul volto di Susan de Clare era adombrata dal vinaccia brillante del rossetto. «Mi hanno detto che hai iniziato a lavorare al Wooden Bar, dico bene?»
«E a me hanno detto che è meglio non creare dissapori con te, Susan, dico bene?»
La cosa più assurda di tutte fu che non vi era un'ombra di indulgenza nella mia voce. Ero sicura. E schietta. Di nuovo! Come il giorno precedente.
Mi chiesi chi fosse questa nuova Sam...
«A proposito.» Mi imposi di non chinare lo sguardo, di tenerlo ben saldo su quelle folte ciglia che sbattevano troppo velocemente. «Non vi era nessun pacchetto. Mi pareva giusto dirtelo dato che sei stata tu a ordinarmi di ritirarlo, giusto?»
I suoi occhi vagarono nei miei, sotto quel pesante strato di mascara.
«So che sei stata tu, Susan.»
Si chinò verso di me e le sue dita si avvolsero intorno al mio braccio, braccialetti tintinnarono. «Spero di non averti causato problemi alcuni.»
«Figurati.» Sorrisi, un pizzico di adrenalina mi morsicò le vene. «Nessuno.»
Si lisciò il vestito aderente di paillettes che le lasciava scoperte le lunghe gambe toniche. Mi lanciò un'ultima smorfia, le luci della sala danzarono nei suoi occhi.
«Buona serata allora e congratulazioni per il lavoro.»
Se ne andò.
Rimasi col fiato sospeso ad attendere di capire se quell'adrenalina che avevo nel petto sarebbe sfumata. Spostai lo sguardo sulla folla intorno a me: i tavoli erano stati addossati alla parete lasciando la maggior parte delle stanze libere, la musica pompava nelle case a volume sostenuto e l'accoglienza dell'autunno si vedeva nelle decorazioni color zucca e foglie caduche.
Mi passai le mani sudate sulla maglia che mi fasciava il busto e mi diressi verso il giardino esterno che, per l'occasione, era stato addobbato con piccole luci che circondavano le staccionate e tanti divanetti ricoperti di cuscini colorati, sparsi qua e là.
Nonostante il freddo pungente, erano tutti accalcati fuori a ballare.
Raggiunsi Alice ed Emily, adagiate con il fondo schiena contro la staccionata; alle loro spalle si srotolava la foresta di Haywards Heath. Emily, nella figura longilinea e slanciata svettava su tutti; il sorriso dolce e i tratti del viso delicati di Alice erano esaltati dal vestito azzurro che aveva indossato, della stessa tonalità dei suoi occhi.
«Sam!» Alice si aprì in un caloroso sorriso. «Hai trovato Susan de Clare?»
«Credo che il difficile sia non trovarla» borbottò Emily appoggiandosi con i gomiti alla palizzata in legno.
Sorrisi fra me e me; quel suo sarcasmo mi piaceva.
«A proposito» Mi fissò Emily, come se già sapesse. «Com'è andata la consegna?»
Spostai il peso da un lato all'altro, scomodata dalla verità. «Era una finta.»
Gli stivali ai miei piedi scricchiolarono sopra la pavimentazione del cortile. Le note della musica alle mie spalle erano un pompare continuo che mi riecheggiava nello stomaco. Non era alta a sufficienza da non permetterci di parlare, ma lo era per scivolarti suadente nelle vene.
«Quanto ti ha fottuto Susan?»
«Em!»
«Guarda che ho ragione. Era sicuramente una fregatura.» Spostò gli occhi nocciola da Alice a me. «Vero, Sam?»
Mi sentii costretta a darle ragione. Me lo sarei voluta mantenere per me. Ma la loro curiosità era difficile da svicolare. Raccontai usando il minor numero di parole possibili: effrazione, Moon, Nicholas.
Emily mi lanciò un'occhiata pungente. «Così la prossima volta impari a fermarmi dal romperle il naso.»
«Em!»
«E dai, Alice, se lo meriterebbe! Smettila di essere troppo buona.»
«Non è questo, lo sai.» Alice strinse le sottili labbra rosee l'un l'altra. «È solo peggiorata dall'incidente.»
«Molto peggiorata.»
«Che incidente?» Intervenni.
«Suo fratello maggiore è morto in un incidente d'auto diversi anni fa. Fu terribile, lui era così giovane.» La tristezza le imperlò le iridi.
Alice era troppo empatica, sembrava che quel dolore fosse anche suo. Scostai il capo, incapace di sostenerne il peso.
«Da allora Susan è peggiorata. Deve essere stato terribile anche per lei. Entrambe le de Clare erano molto legate a lui. E dai, Emily, non guardarmi così-»
«Alice, tu provi compassione. Sei troppo buona.»
«No, Em, io cerco di guardare oltre. Uno non si sveglia la mattina e diventa stronzo. Sarà sotto pressione per ereditare il ruolo nella società di famiglia e poi c'è Amber. Sicuramente si sentirà in dovere di dare il buon esempio come sorella maggiore.»
Emily ammutolì, passarono lunghi istanti prima che aggiungesse altro. «Fatto sta che è stata stronza!»
«Una colossale stronza, sì.» Si sciolse Alice con dispiacere. Pronunciò la parola stronza con fretta, come se le pesasse. «Mi spiace, Sam. Con lei davvero non ne vale la pena.»
Emily estrasse un pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni e, indugiando un poco sull'acciarino che estrasse dall'interno, se l'accese. Fece un lungo tiro reggendo la cicca tra indice e medio, poi la scansò di lato per evitare che il fumo ci raggiungesse.
«Quindi adesso hai fatto incazzare definitivamente Nicholas Moon?»
«Em!»
Rimasi pietrificata, un refolo di paura mi inondò le vene.
La bionda fece spallucce. «Che c'è?! Mi hai detto tu che ieri al Wooden Bar Nicholas l'ha fulminata, nemmeno lei l'avesse morso. Se ci sommiamo che gli è appena entrata in casa.»
Mi gelai. Alice se ne era resa conto? Era stato solo un attimo.
«Non è stata colpa mia, mi ha incastrato Susan. Io non ho fatto proprio niente.»
Le due amiche si scambiarono un lungo silenzioso sguardo. Il vento frizzante sferzò le foglie degli alberi alle nostre spalle.
«Basta che lui lo sappia. Meglio non avere niente in sospeso con Nicholas..»
«Non è nel mio interesse.»
«Bè, se affronti lui nel modo in cui hai affrontato Susan, allora sei in una botte di ferro.»
L'immagine dei suoi occhi brillanti mi si era incastrata dietro le pupille, non riuscivo a togliermi il disagio di quello sguardo di dosso.
«Qual è il suo problema?»
«Meglio di no, Sam, sei appena arrivata e-»
Emily si sporse verso di me.«Tu non sai niente?»
«Niente, cosa? Sono qui solo da due settimane.» Feci spallucce. «Ho cercato informazioni riguardanti Haywards Heath su internet, ma non mi ha certo informata sui locali più in voga, la stronzaggine dei de Clare o i possibili criminali della città.»
Mi sfuggii una risatina amara immaginando l'assistente Google che con la sua adorabile voce preregistrata mi diceva:
Grazie per la domanda, Sam. Queste sono le raccomandazioni per vivere ad Haywards Heath: se vuoi ottenere popolarità devi frequentare il Wooden Bar, diventare migliore amica di Susan ciglia a farfalla e mi raccomando stare alla larga da Nicholas-viuccidosesolomiguardate.
La cenere cadde a terra dalla sigaretta ormai finita di Emily. «Allora lo sai!»
«Sapere... cosa?»
«Basta con questi discorsi, Em, o Sam penserà che la nostra città sia un covo di matti.»
«Come se non lo fosse.»
Alice allargò le braccia e intrecciò con naturalezza le dita con le mie. «Siamo ad una festa per una volta, ci possiamo divertire?»
Il cambio repentino di discorso mi mise a disagio. La frettolosità di Alice mi insospettii, ma non ebbi modo di approfondire. Me lo appuntai però mentalmente.
Alice ci trascinò al centro del capannello di persone. La musica riprodotta dalle casse istigava il mio cuore a pompare a ritmo dei bassi. Lasciai che mi scivolasse sinuoso sotto pelle, impossessandosi della tensione dei muscoli, fluidificando le paure e il sangue.
Non ero mai stata un'appassionata di discoteche, nonostante Ivan mi ci avesse trascinata spesso, dicendomi che era il modo migliore per svuotare la testa. Una parte di me afferrò a pieno il significato di quelle parole.
Per la prima volta nelle ultime settimane mi lasciai andare, senza il passato a tormentarmi. Lasciai che fosse l'assenza a scavarmi posto nel petto, per riempirla di musica, suoni, bassi. Ondeggiai e mi abbandonai.
Ancora e ancora.
Provando a dimenticare, ad allontanare dai pensieri quell'ultima cosa che avevano detto su Nicholas Moon.
Fallii?
Miseramente.
Quando iniziai a percepire il tessuto della maglia aderente appiccicarsi alla pelle accaldata, capii che era il momento di una pausa. Alice ed Emily volteggiavano senza freni. Tutti lì dentro lo facevano.
Così le avvertii che andavo al bagno e mi allontanai per raggiungere l'interno del pub.
Feci per varcare la soglia, ma qualcosa mi prese in pieno, arrestando il mio avanzare.
Sollevai gli occhi portandomi una mano alla tempia.
Capelli scuri, corti e folti, incorniciavano un viso abbronzato dagli occhi color pece, intensi come la notte e uno sguardo scintillante, ammaliante come pochi ne avevo visti. I denti bianchi risaltavano candidi contro i toni scuri del resto del volto.
Si passò una mano sul petto largo contro cui ero andata a sbattere. «Mi spiace. È duro, lo so.»
Mi si seccò la lingua. La sua sicurezza spiazzante si sommò al doppio senso.
«Ti sei fatta male?»
Scossi la testa, negando.
Il gruppo di ragazzi alle sue spalle fischiò con vigore, cercando di accalappiare la sua attenzione. Lui, in tutta risposta, sollevò un sopracciglio mantenendo lo sguardo su di me.
«Non siate incivili.» Li canzonò alimentando ancora di più i loro fischi.
Il petto ampio era fasciato in una camicia, i primi bottoni fuori dalle asole, mostrando l'incavo tra le clavicole e la parte alta del petto. L'indumento lo fasciava in modo succinto, lasciando ben poco all'immaginazione.
«Come ti chiami, Rossa?» Voce melliflua e suadente, gli occhi scuri mi studiavano con vivo interesse.
«Sam.»
«Piacere di conoscerti, Sam.» Mi afferrò la mano e la strinse, indugiò sulle tre lettere che componevano il mio nome.
«Trevor, te la fai o dobbiamo aspettare ancora?»
La sua mandibola fremette, mi lanciò uno sguardo di scuse per poi voltarsi verso i compagni alle sue spalle. «Perché non fate qualcosa di utile piuttosto che sbavarci addosso?»
Il tono scocciato indusse il gruppetto ad allontanarsi.
«Scusali, sono delle bestie bramose: abbaiano ma non mordono.» Sorrise. Mi gettò addosso quel fascino disarmante; era di una naturalezza spiazzante.
«Piacere, Trevor.»
Osservai la sua mano che stringeva ancora la mia, l'indecisione se rifiutare quel contatto o seguire sulla scia della serata ed accettarlo, lasciandomi andare.
«E tu, Trevor, non fai parte delle bestie bramose?»
«Dipende: a volte sì, a volte no. Ma abbaiare senza mordere.» Soppesò le parole schioccando le labbra tra di loro. «Eh no, proprio non mi riesce.»
Ok, Sam, altro che flirtare qui!
Se avevo bisogno di un altro esempio per stabilire definitivamente la morte della vecchia Sam, eccolo lì, nero su bianco. Stavo filtrando con uno sconosciuto come se fosse la cosa più naturale della mia vita.
«Ti porgo ancora le mie scuse.»
«Non era niente di che, sto bene.»
«Ma sento il forte bisogno di sdebitarmi. Che dici, Rossa, vieni a ballare con me o mi lascerai annegare nel rimorso?»
Qualcuno ci venne addosso, interrompendo il discorso; Trevor mi tenne stretta per la vita, sorreggendomi. Alzai la testa e notai un ragazzo biondo allampanato sussurrare qualcosa all'orecchio al suo orecchio.
«Scusami un attimo.» Lo sguardo profondo di Trevor mi accalappiò e indicò con la testa dietro di sé. «Appena torno mi prendo quel ballo però.»
Dritto al punto, senza nemmeno chiedere. Quella sicurezza aveva un che di ipnotico e seducente.
Le sue spalle ampie scivolarono nella folla, sparendo. Avevo i pensieri in tumulto. Perdizione, buonsenso. Voglia di dimenticare e lasciarsi andare. Alice ed Emily si sarebbero chieste dove ero finita.
Una sensazione pungente mi trafisse il retro della nuca, uno spillo che trapassa l'aria. Mi voltai di scatto, frullare di capelli che mi frustarono la schiena. Scrutai tra le teste e i corpi.
Ed ecco lì, dalla parte opposta della sala, accanto all'ingresso del locale: una sagoma che stonava con l'ambiente circostante, un'ombra che avanzava a rallentatore seguendo un ritmo diverso dal nostro. I suoi movimenti non si adagiavano sulle note della musica come il resto dei partecipanti, le luci non lo colpivano, accendendolo, bensì ne esaltavano l'oscurità.
Tutti noi giravamo sulla stessa giostra mentre lui ci guardava dall'esterno; uno spettatore estraniato.
Uno squarcio nella mente, tenebre nelle membra. La paura mi mozzò il respiro.
I suoi occhi di cacciatore mi placcarono, fissi come mirini su di me. Nicholas Moon mosse un passo e l'immobilità di cristallo tra di noi si infranse.
NDA:
T: Ciao Bellezze, che dite finalmente la situazione inizia a scaldarsi ora che sono entrato in scena?
IO: Trevor, non esageriamo...
T: Rossa, stai calma
IO: Ma io non sono Rossa-
T: Appunto, ti ci faccio diventare io.
🥞
Silvi
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