37. Come pece

"I can't drown my demons,
They know how to swim"

Can you Feel my Heart - Bring me the Horizon

~

Strappatela di dosso,
l'avarizia di lottare.
Ti mastica il cuore,
antipasto di dolore.

Nel buio.

Scappa.
Quel graffio nel cuore,
non è che il preludio...
L'orrore grava su chi,
non sa più combattere.

Catrame del mondo.
Oscurità di pece,
anima offuscata dal terrore.

Respira.
Nel Buio,

ormai sei sua.

~


NICHOLAS POV

Non era così che doveva andare.

Incassai la testa nelle spalle e attesi.

Non mi piaceva.

Accarezzai le cuciture dei jeans seguendone i percorsi.

Non doveva succedere.

Mi alzai in piedi, l'impazienza mi era estranea; era un velo di tensione, una smania continua che non aveva un obiettivo. Scesi i gradoni bianchi, il corrimano giallo mi sfiorò il braccio, l'odore di cloro mi bucò la mente.

Come ci ero finito così?

Serrai la mascella e mi scansai da quegli sguardi terrorizzati che mi seguivano. Mi voltai di scatto, mostrando tutte le ombre che avevo dentro, mostrando ciò a cui tutti rifuggivano.

L'uomo che mi stava fissando sviò lo sguardo dal mio con urgenza, puntanodlo a terra tra le gambe.

Bene.

Il bimbo seduto accanto a lui mi guardò a sua volta, con occhi tanto grandi quanto limpidi, dello stesso colore dell'acqua che sciabordava oltre il parapetto della piscina.

Socchiusi le labbra e inclinai il volto nella sua direzione.

Il padre fu svelto: lo agguantò per la maglia sporca avvolgendolo tra le braccia e lo nascose tra le gambe. Come per proteggerlo, come per tenerlo lontano da me.

«Papà?» Protestò il bimbo, provò a indicarmi, ma il padre gli baciò la manina, camuffandone il gesto.

«È un Moon» sussurrò con un tono appena udibile.

Non rimasi a guardare per scoprire se il piccolo avesse capito cosa questo significasse. Cosa essere un Moon a Haywards Heath volesse dire.

Quello sguardo ingenuo, così puro e genuino. Così semplice da macchiare di sbagli, da distruggere, da annientare, non lo sopportavo.

Gettai un'ultima occhiata oltre il parapetto, verso il pavimento bianco che univa l'uscita dagli spogliatoi alla vasca.

Non volevo che mi guardassero come lei.

Nessuno doveva guardami come lei.

Nemmeno lei avrebbe dovuto.

Appese l'accappatoio scuro sopra la panca, scoprendosi al mondo. Si denudò con una semplicità che mi fece masticare il cuore dalla bestia. Una crudezza che divenne beffe.

La guardai; mi riempì ogni ombra. Sam indossava una cuffietta striminzita che le intrappolava i capelli senza renderle giustizia. Lo potevo immaginare lo stesso, anche a quella distanza, quel profumo dolce che si portava sempre appresso. Lo sentivo anche adesso. Lo sentivo dappertutto.

Un maleficio, una maledizione. I miei pensieri mi appartenevano, sceglievo io cosa sentire, l'avevo sempre fatto. Gliel'avevo sputato addosso perché volevo che lei sapesse che per me non contava nulla.

Ogni passo che mi avrebbe allontanato, però, non lo feci.

Rimasi a gettarmela a memoria. Il bacino con le curve appena accennate lo percepivo ancora sotto le mie dita. Quelle stramaledette spalle, il guizzo dei muscoli della schiena, ben visibile persino da quella distanza.

Dannazione. Così svestita, così urlante attenzione, così assuefatto da volergliela concedere tutta.

Vi era solo pece bollente in me.

Volevo assaggiarla, che la sua pelle rabbrividisse contro la mia. Desideravo farle esplodere il respiro. Qualcosa mi istigava a perdermi nelle curve scoscese e sinuose dei percorsi della sua anima. Mi invitava anche adesso a lasciare che la bestia mi strappasse le catene del dovere di dosso.

Digrignai i denti.

Era istinto animalesco, era solo quello, carne e sesso. Non c'era altro, non ci sarebbe stato altro. Debole non lo ero e debole non sarei mai stato.

La donna seduta accanto allo scalino fece finta di raccogliere la borsa colorata da terra, ma nel mentre si spostò di diversi passi, con movimenti tattici e camuffati, strusciando con la gonna sul cemento.

Bene.

Così doveva fare lei.

Lontana. Impaurita. Terrorizzata.

Non desideravo altro che perdermi in quel suo dannato sguardo. Così puro, così sfracellato. Mi aveva concesso sé stessa e quella stramaledetta fiducia che non aveva senso che mi regalasse. Come se io non fossi pericoloso. Come se io non fossi chi ero.

Scolpito a graffi e dolore anche sulla sua pelle.

Mi incastrai in lei un'ultima volta. Il demone che ero ingurgitò la bestia che lei alimentava. Così furiosa. Così neonata. Così primordiale.

Me ne andai con il sangue che pulsava impazzito. Il suo essere mi attirava come nient'altro aveva mai avuto il potere di fare, come io non l'avevo mai concesso.

La bestia ringhiò nel petto, la pece bollente minacciò di divorare tutto.

Giusto e sbagliato.

Paure e purezze.

Me e lei.

Figli della Luna.

Salvezza e dannazione della stessa faccia del medesimo beffardo destino.




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