28. Vittima
He holds the gun against my head
close my eyes and bang I am dead
I know he knows that
he's killing me for mercy
Aurora - Murder Song
NICHOLAS POV
La terra mi entrò sotto le unghie. Non potevo fermarmi. Scavai sempre più a fondo.
Strinsi i denti. Zolle di terriccio si incastravano in ogni dove, ma non rallentai, non dovevo. Se mi avesse scoperto.
Sassi mi graffiarono i palmi. Mi chinai in avanti. Era così fonda la buca, sperai fosse abbastanza. Mi fermai. Non capivo, non ci riuscivo, non...
Mi voltai per osservare il pelo nero e lucido accanto alle mie gambe. Posai le mani su di lui. Il gatto rimase immobile. Così fermo.
Sul muso scuro, sopra il piccolo naso rosa, svettavano due palline vitree, spente: occhi senza vita.
Una goccia cadde sul dorso della mia mano. Lacrime: erano calde, erano mie. Mi appannarono gli occhi, mi finirono in gola, mi riempirono il respiro. Non riuscivo a smettere. Mi si contrasse lo stomaco. Ma non avevo niente da vomitare.
Non capivo, non...
...perché?
Gli occhi vivi dell'animale mi tornarono in mente, la ferocia con cui mi aveva guardato poco prima di morire. Il modo in cui aveva soffiato. Mi incolpava, come se già sapesse quello che avrei dovuto fare.
Le lacrime divennero singhiozzi, si bloccarono in gola.
Perché?
Afferrai erba, terriccio, sassi e poi graffiai, strinsi, affondai. Mi dolevano le dita, ma avevo qualcosa nel petto. E quello mi faceva più male di tutto il resto.
Ma non bastava, non era sufficiente. Sollevai le mani. Trovai altro da afferrare. La pelle delle braccia si spaccò sotto le mie unghie, tagliai, ancora, ancora.
Rosso e lacrime, pelle e terra. Sudicio, sporco, macchiato...
Me lo meritavo!
Il dolore crebbe: denso, palpabile, vivido, vivo, vivo. Vivo.
Presi il gatto tra le braccia macchiate di sangue. Era così grande rispetto a me. Lo riposi nella buca, ma il sangue che mi colava dalle braccia si depositò sul pelo lucido, rovinandolo.
Mi chinai per asciugarlo, angosciato. Ma non feci altro che sporcarlo di più. Rosso, sangue mio, sangue suo. Sangue ovunque.
Poi passi, lontani, distanti.
Sussultai, il panico mi assalì. Gettai la terra nella buca, coprii il gatto, sotterrandolo. Dovevo smettere di piangere, dovevo smettere, dovevo ricoprire il pelo. Veloce.
I passi si avvicinarono.
Scattai in piedi, le mani dietro la schiena, la braccia nascoste.
La figura si stagliò al margine del giardino e mi raggiunse con passo cauto. Era alto, dovetti reclinare la testa all'indietro per guardarlo.
Occhi che ammiravo e che odiavo. Azzurri come il cielo, ma freddi come il ghiaccio. Identici ai miei. Mi facevano stare bene e mi facevano stare male.
«Nicholas?»
Tremai, il sangue mi gocciolò dalle braccia martoriate. Serrai le labbra, mi morsi l'interno della guancia e fui costretto a chinare il capo. Ma lo sapevo, sapevo che se c'era qualcosa che lo faceva irritare era proprio quello: non si abbassa mai lo sguardo, mai. Mi afferrò il mento e lo sollevò verso l'alto. Arrivavo a malapena al suo fianco, la sua mole mi nascose il cielo.
«Cosa hai fatto, Nicholas?»
Lo sguardo di mio padre mi entrò dentro, mi scavò fin nell'anima e mi strappò la verità. Lui la sapeva sempre.
«Io n-non volevo-»
«No, Nicholas. Che cosa hai fatto?»
Volevo solo scappare, fuggire, ma mi strinse il mento, mi fece male.
«M-mi dispiace.»
Lo schiaffo fu una liberazione e una condanna.
Mi colpì con forza; sbalzai di lato, i capelli mi caddero sugli occhi. Il dolore pulsò dal mento fino alla tempia. Me lo meritavo.
«No, Nicholas. Non fare il bambino piccolo, hai sei anni ormai.»
Mi portai una mano alla guancia.
Mio padre osservò le ferite sulle braccia, le unghie sporche, il sangue.
«No, Nicholas.» Ripeté, con calma. «Che cosa ti ho chiesto, io?»
«Di scoprire a cosa teneva William.»
«Perché?»
«Perché bisogna imparare a capire le persone: ciò che temono e ciò che amano.» Come mi aveva insegnato. Avevo imparato bene, come voleva lui.
«E perché?»
«Perché ciò a cui tiene di più una persona è il suo punto debole, dove è più vulnerabile.»
«E quindi cosa ti ho chiesto di fare?» Strinse gli occhi. «Cosa dovevi fare?»
«Dovevo portargliela via, la cosa a cui tiene di più. Dovevo imparare come colpire il suo punto debole.»
«E tu lo hai fatto perché era quello che dovevi fare.»
Ma non capivo. Perché mi sentivo così male, avevo qualcosa in gola, mi schiacciava il petto, mi faceva sentire... pesante. Volevo urlare, piangere, provare ancora quel dolore.
Perché avevo dovuto ucciderlo?
«E lo sai cosa devi fare adesso?»
Mi irrigidii, incassai la testa nelle spalle. «Ma Will-»
Avevo ucciso il gatto di mio fratello. Non ci avrebbe più giocato insieme, non l'avrebbe più tenuto sulle ginocchia mentre faceva i compiti al tavolo della cucina con i piedi che penzolavano dalla sedia e mi sorrideva, passandomi i biscotti quando mamma non guardava.
«Non lo puoi dire a nessuno.»
Trattenni il fiato. Dolore, sangue, terra, grida.
Ora capivo cos'era quella cosa che mi pesava sul petto, era ciò che chiamavano vergogna.
«E sai perché?» Mi cercò. «Perché se tu glielo dici, loro vedranno che sei stato tu a ucciderlo. Ti odieranno, Kayle, se glielo dici. Ti guarderanno e vedranno solo un mostro che ha ucciso un povero gatto. Ti guarderanno come il mostro che sei.»
No, n-no, no.
«M-ma la mamma...»
L'uomo assottigliò lo sguardo e mi penetrò con quegli occhi che sapevano tutto. «La mamma ti odia già, non è vero? Non ti dà le stesse attenzioni che riserva ai tuoi fratelli, non è così?»
Lui lo sapeva.
«E sai perché? Come mai lo fa, Kayle? Lei sa già cosa sei.»
Ero divorato da quella belva che mi masticava da dentro: dolore, colpevolezza, morte, colpevole, vergogna, sofferenza, colpevole.
«Loro non capiranno mai, Kayle, e tu non vuoi che ti odino, vero? Non vuoi che ti odino come tua madre, vero?»
Scossi la testa da un lato e dall'altro, forte, i capelli mi frustarono le tempie.
«Bene, quindi cosa devi fare ora?»
Strinsi le dita tra di loro, unghie, sangue e terra. «N-non lo devo dire a nessuno.»
«Perché?»
«Perché mi odieranno, mi guarderanno come il mostro che sono. Nessuno capirebbe.»
Papà si piegò sulle gambe per portarsi alla mia altezza.
«Esatto, Kayle, bravo figlio mio.»
NDA:
Vorrei dire tante cose adesso, ma credo che lascerò il silenzio a voi per farvi assimilare tutto. E siamo solo all'inizio cari amici di sventure. Sappiate che ognuno nasconde dei demoni ma non per questo significa che essi ci identificano...
Silvi
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top