24. Il significato delle parole

Wise men say
Only fools rush in

Tommee Profit ft. Fleurie - Can't help Falling In Love (DARK)


Lo stomaco era un crampo continuo. Nicholas aveva preparato un tè caldo, che non aveva fatto altro che allargare la voragine allo stomaco. Ma almeno mi ero scaldata, complice anche il fatto che i capelli si fossero asciugati.

Il mio telefono, che Nicholas custodiva vicino a sé, mi era precluso.

Mi chiesi se mia madre si fosse accorta che non ero a casa. Ripensandoci: non me ne fregava niente di quello che pensava. Probabilmente era a scopare con James e, per quel che mi riguardava, non me ne poteva importare di meno di quello che faceva della sua vita.

Il fuoco si stava spegnendo, ma la luce della luna illuminava ancora la notte oltre la finestra opaca. I nostri respiri cadenzati erano l'unico rumore udibile oltre al crepitio delle fiamme.

«Non ho imparato autodifesa su YouTube» sussurrai nella penombra.

Non ricevetti risposta, ma ero sicura che non stesse dormendo. La tensione era palpabile nell'aria; non si fidava di me, figuriamoci se si sarebbe addormentato lasciandomi incustodita.

«Credi che sia sciocca? So che non stai dormendo.»

«Non ho idea di cosa ti faccia pensare che voglia parlare con te.» Parole pungenti come aghi.

«Hai detto che ho imparato quelle mosse da YouTube. Non è vero, me le ha insegnate mio padre.»

Il rumore placido del suo respiro si era interrotto. Bene, avevo la sua attenzione. Volevo delle risposte? Era facendolo parlare che le avrei avute.

«Ho visto che guardavi nel mio zaino, prima.» Rivelai. «Se c'è qualcosa che vuoi sapere, basta chiedermelo.»

Mi sollevai a sedere e mi trascinai più vicina al fuoco, avvicinandomi a Nicholas. Era addossato al muro, il capo appoggiato all'indietro, le gambe piegate e i gomiti puntellati sulle ginocchia. I suoi occhi, vigili e affilati, mi scrutarono.

Incrociai le gambe. Il calore del camino mi baciò il profilo. «Forza, chiedimi.»

Calò le palpebre, come una bestia assopita.

Mi adagiai contro il muro adiacente, i nostri corpi formarono un angolo. «Cosa vuoi sapere?»

Strinse le labbra screpolate tra di loro, mantenendo il silenzio.

«Mi chiamo Samantha Knight, ho ventun anni compiuti il primo settembre. I miei documenti sono stati rilasciati dalle autorità della città di Londra perché è lì che vivevo, ed è lì che sono nata. Ho iniziato ad andare a scuola quando avevo otto anni, fino ad allora non parlavo molto-»

La sincerità riverberò nello spazio tra di noi, come neve che silenzia il mondo. Non ne avevo mai parlato con nessuno e nemmeno avevo avuto intenzione di farlo. Ma cosa mi era preso!

Una parte di me ridacchiò, subdola. In pochi istanti il mio intento di farlo parlare per avere delle risposte mi si era ritorto contro. Complimenti.

Sollevai le palpebre e uno spillo mi trapassò il petto. Le sue iridi erano inchiodate su di me.

«Stronzate.»

«No che non lo sono!»

«Ti chiami Samantha Knight Cross.» Inclinò il capo, le fiamme gli danzarono sul profilo. «Non è scritto sui documenti che hai firmato in università, né sul contratto di lavoro al Wooden Bar. Eppure, come ho potuto controllare ora, il nome sulla tua carta di identità parla chiaro. Hai due cognomi: Knight e Cross.»

Le mie intenzioni mi sdrucciolarono tra le dita, inerpicandosi nelle mie stesse bugie.

«Quindi sì, sono stronzate.» Pupille trapassanti e minacciose. «Dunque non fare l'ipocrita con me. Se vuoi sapere la mia verità, vedi di raccontare prima la tua.»

Si era sporto talmente tanto da sfiorarmi il ginocchio.

La mia verità quale era?

Nemmeno io lo sapevo ormai.

La rivelazione di mia madre, il giorno precedente, ne era la riprova più crudele. Tutti i pilastri della mia vita si erano sgretolati. I pochi superstiti non erano tali per miracolo, ma per finzione.

Lasciai andare la fronte sulle ginocchia, troppi pesi mi schiacciarono verso terra.

«Non lo uso perché è il cognome di mio padre.» Le parole fluirono, fu facile come respirare. Un'espirazione più profonda. «Non ho mentito tanto per divertirmi. Ho mentito perché dovevo. Mi sono trasferita qui proprio per questo: per lasciarmi tutto alle spalle, compreso quel cognome.»

Mi abbandonai a quel mare che mi aveva inondato stomaco e pupille. Avevano sollevato le dighe e il dolore aveva invaso la mia vita. Riemersi scostando la fronte dalle ginocchia.

«Credo che il resto sia vero.» Snocciolò conclusioni come se fossimo dinanzi a una giuria. «Hai problemi a socializzare tutt'ora. Alice Starly cerca di continuo la tua attenzione eppure resti sempre sulle tue. Ciononostante aneli alla sua amicizia: le sorridi sempre quando non ti guarda. Hai problemi a creare legami con gli altri.»

Anche lui mi aveva letto, aveva capito cose di me che nemmeno io avevo compreso. Prima Trevor, poi lui. Che mi lasciassero nell'ignoranza, maledizione.

«Tu desideri avvicinarti agli altri ma non ti fidi. Non riesci ad accettarti, forse non reputi meritevole-»

«Smettila.» Ruzzolai sul tremito che mi arpionò la gola.

Scivolò sul pavimento, avvicinandosi. Strinsi le ginocchia al petto quando i suoi piedi sfiorarono i miei; un inciampo di emozioni dissonanti.

«Sei tu che volevi giocare a questo gioco, se non sbaglio» ribatté, serafico.

Sciolsi le gambe dalla rigidità in cui erano rimaste e alzai il mento nella sua direzione.

«Bene, sei contento adesso?» La rabbia mi raschiò il palato. «Ora tocca a te.»

Secondi interminabili scivolarono via.

La luce del braciere gli illuminava un occhio solo; era così sfaccettato il suo sguardo. Ogni brillìo un pensiero, ogni scheggia un'emozione asfissiata.

«Anche io non sono mai stato bravo a socializzare.»

Sollevai un sopracciglio, irritata dalla sua finzione.

Affilò lo sguardo. «A differenza tua a me piacciono le parole, ma non vi è mai nessuno che le voglia ascoltare; non da quelli come me

Amarezza e scherno.

Non mi stava prendendo in giro come credevo. La sua sincerità si armonizzò alla mia nella bolla sospesa tra di noi. Verità inaspettata di un'anima imperfetta, uno slittare di respiri che racchiudevano una vita di sofferenze.

Imperfetta come mi sentivo io.

«Chi dice che a me non piacciono le parole?»

Inclinò il capo. «Perché non hai parlato fino a otto anni?»

«Perché le persone non dicono mai quello che pensano davvero. Le emozioni che esprimiamo col corpo, quelle sono l'unico linguaggio che non mente mai. Le parole rovinano tutto. Promesse di facciata, bugie accatastate su altre bugie. Tutti mentono, nessuno dice mai quello che pensa. Non è vero che non parlavo. Io lo facevo solo con chi voleva davvero ascoltare.»

Nicholas era assorto ma attento, nessuna ombra di giudizio ad addolcirgli lo sguardo; nessuna pena strascicante da riversarmi addosso.

«Le parole sono il mezzo più grande che abbiamo» sussurrò, si inumidì le labbra screpolate con la lingua. «Per questo è vitale usarle bene nei momenti giusti. Hanno un potere indissolubile che collega il nostro mondo interiore con ciò che ci circonda.»

Rincorsi l'immagine delle sue braccia sotto la felpa. Come doveva essere il suo petto sotto quella stoffa? Smilzo e asciutto come la sua figura o sodo e ampio come le curve delle cosce?

«Perché lo dici a me?»

Si avvicinò ancora. Profumo di bucato, una punta agrumata mi inebriò le narici. Sollevò il braccio da dove pendeva la corda.

«Una verità per una verità. Tu eri pronta ad ascoltarla, così come io ho fatto con la tua. Non sono le parole che mentono, siamo noi che le usiamo per trarre in inganno. Non solo gli altri, ma specialmente noi stessi.»

«Dimmi la verità allora.» Mi sporsi ancora, sfiorai le ossa sporgenti delle sue ginocchia. La stoffa morbida mi baciò i polpastrelli. «Se sono il tuo compito, che senso ha dirmi la verità ora?»

Il dubbio nel suo sguardo si incastrò col mio.

Il cuore mi batté a un ritmo nuovo, straziante, incalzante; il rincorrersi delle nostre pupille fu vivido ed estenuante. Lasciai che le mie dita si poggiassero lì dove i polpastrelli sfioravano.

«Non mi riveli cosa vuoi da me, quale sia il tuo compito, ma scegli di regalarmi questi pezzi di verità su te stesso?»

La penombra era il bacio dimenticato del mondo, un luogo dove un sorriso poteva intravedersi appena, dove le fiamme rivelavano e nascondevano, in una danza di significati nascosti ed eterei.

E io vidi molte cose passare nelle iridi scheggiate di Nicholas.

«Credi che sia io a decidere?» Sprezzante, tagliente. «Io eseguo. Non tutti hanno la possibilità di scegliere della propria vita, sai?»

Inarcai il collo, il suo fiato mi lambì la fronte. «Ma hai scelto tu di dirmi la verità, no?»

Le sue pupille guizzarono nelle mie e io le imbrigliai.

Separai il contatto col suo ginocchio. Percorsi con dita tremanti la corda che ci legava, seguii un istinto incontrollato che mi sussurrava sulla pelle, nel sangue, nello stomaco. Lo spago sfregò a ogni centimetro che guadagnavo.

«Ho scelto io» sussurrò.

I nostri polpastrelli si sfiorarono. Turbinio di calore, pelle contro pelle.

Rimasi immobile, pietrificata.

Attesi.

Attesi che si separasse da me, ristabilendo quella distanza che non avrebbe mai dovuto essere intaccata.

Lo sentivo in ogni brivido che mi scorreva nelle membra, lo vedevo nelle sue iridi graffianti, nel rincorrersi sfilacciato di razionalità e follia.

Non mi allontanò. Non resistetti.

Gli accarezzai le venature gonfie sul dorso della mano, la pelle era morbida ma screpolata, piccoli graffi ne imbrattavano la superficie. Ne percorsi i lineamenti, mi soffermai sulle dita affusolate e lunghe; le unghie erano delle mezze lune grandi quanto tutto il mio pollice.

Era tanto affranto il mio respiro da spezzare il silenzio a ritmi regolari. Il calore mi lambì la fronte, il suo ansare una melodia in crescendo. Lasciò che le mie dita solcassero la sua pelle, pezzo per pezzo.

Mi gettai in quella strada proibita. Accarezzai la struttura del polso: le ossa grandi, le vene gonfie, i muscoli che guizzavano al mio tocco, il suo calore si mescolò al mio.

«Sam.»

Il mio nome sulle sue labbra; uno strazio dolce amaro.

«Dimmi che non stai scegliendo tu» mormorai. «Dimmi che fa parte del tuo compito.»

Sollevai il capo e i suoi occhi di schegge mi trafissero; cuore a colabrodo, intenti falciati. Le sue labbra spaccate erano un tripudio di avvallamenti.

«Dimmelo, Nicholas...»

Ogni fibra del mio corpo si tese; vi era qualcosa di tanto sbagliato quanto dilaniante. Gli cinsi l'avambraccio, avvolgendolo del tutto. Impressi vene bollenti in muscoli di brividi.

Sussultammo.

Iniziò ad allontanarsi.

Ogni centimetro un battito mancato.

Ogni centimetro un dubbio insidioso.

Ma era troppo lento quel suo distogliersi, tanto da farmi dubitare che lo volesse davvero. I suoi occhi erano una tempesta di schegge, scalpitanti, esitanti.

Esitanti.

E fu quell'esitazione, quelle labbra dischiuse, umide e indecise.

La persi così, come un fiocco di neve che sfugge alle dita del vento, la ragione...

Le sue labbra si premettero sulle mie.

Si schiantò: labbra, respiro, ciglia. Il sussulto del mio cuore si perse sull'umidità calda della sua bocca. Scoppio di brividi, esplosioni di fiamme, spilli ardenti come micce nel sangue.

La sua bocca spinse. Schiusi le labbra. La sua mano si avvinghiò al mio fianco, mi tirò a sé. Gemetti. La lingua incalzò la mia, una danza letale e soffocante.

Mi spinse contro il muro.

Il bacio divenne un morso, doloroso, eccitante. Morsi divennero spinte voraci; il fuoco divampò, un atroce soccombere.

Mi baciò a fondo, strappandomi ogni briciolo di respiro, inneggiando alla mia perdizione, richiamando a sé quel rogo che ardeva imperterrito. Mi aggrappai ai suoi ricci. Mi modellò il bacino con prepotenza oltre la stoffa.

Lo pretesi di più, mi avvampò dentro, ovunque, annichilii, ne venni sopraffatta. Percorsi la felpa, ne trovai il bordo, lo sollevai e dipinsi emozioni nuove con la sua pelle.

Il suo respiro si fracassò nella mia bocca con un ansimo peccaminoso.

Mi afferrò le cosce e mi tirò in braccio; tremai intorno ai suoi fianchi.

Mi aggrappai con tutta me stessa. Ne pretendevo di più. Le ossa del bacino, la curva sensuale delle creste iliache, mi ci immersi seguendone i percorsi proibiti. Affondai e mi sfibrai. Implorai e arrancai, alla ricerca di quel qualcosa che mi logorava, mi stritolava.

Ringhiò in me, il suono mi riverberò in gola, si precipitò nell'addome. Si catapultò in qualcosa di pulsante che mi bramava.

Mi morse; gli succhiai il labbro inferiore, assaporandolo. Mani si arrampicarono dietro le mie ginocchia; salirono, rincorsero, spinsero con possesso, superarono i vestiti, si insinuarono oltre. Collimò con la mia pelle; crampi mi devastarono il sangue.

Precipitammo, rotolammo.

Sbattei con la schiena a terra. Il suo corpo mi schiacciò. Labbra sgraziate, denti contro denti. Si impadronì dell'ultimo briciolo di aria che possedevo.

Desideri come battiti di cuori all'unisono, sospiri tramortiti in lamenti.

Avevo bisogno del contatto della sua pelle sulla mia. Avevo bisogno di più. Esigevo le sue mani su di me. Imploravo tutto di lui su di me.

Il suo bacino si premette sul mio in un'implorazione che si fracassò sulle nostre labbra.

Frullare di terrore. Si allontanò da me.

Ansimai alla ricerca di aria. Freddo mi catapultò la razionalità addosso. Affannai, devastata.

Mi issai con i gomiti.

Nicholas boccheggiava, il petto che si abbassava e alzava. Le labbra erano scarlatte come le lingue di fuoco dietro di lui.

Bruciavo, ogni cellula del mio corpo bruciava. Ero preda di un incendio che era divampato con una tale ferocia da farmi perdere ogni fondamenta.

Ero in balia di un rogo di desideri brutali. Inconsistenti. Devastanti.

Che. Cosa. Diavolo. Era. Successo?


[Dovrebbe esserci un GIF o un video qui. Aggiorna l'app ora per scoprirlo.]

NDA:

Fermi tutti... che è appena successo? 😏 Questi due sono delle bombe ad orologeria 🤦

Ci vediamo a breve! Mi trovate su IG come _ambershiver_

Silvi

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