23. Intenti di follia

Head in the dust, feet in the fire
Labour on that midnight wire
Listening for that angel choir
You got nowhere to run

Soldier - Fleurie


Questa volta mi trattenni dal fare qualsiasi movimento.

La lucidità riaffiorò con naturalezza; ero intorpidita ma vigile. Il pavimento tiepido mi baciava la guancia. Lasciai le palpebre calate, legna ardeva scaldandomi la pelle del viso.

«So che sei sveglia.»

Mi sforzai di rimanere immobile; il respiro cadenzato.

«Mi credi scemo?» La voce mi perforò la mente, una punta caustica a seghettargli il tono. «Hai appena sollevato un sopracciglio con sarcasmo. Se mi credevi tanto stupido, almeno potevi avere la decenza di dirmelo guardandomi in faccia.»

Mi chiesi se fosse il discorso più lungo che gli avessi mai sentito fare, nonché il più ironico.

Aprii gli occhi. Nicholas era seduto a terra, adagiato contro la parete accanto al camino. Le lunghe gambe piegate, i piedi nudi. Teneva il volto reclinato e mi osservava. I diamanti di schegge che si ritrovava al posto degli occhi brillavano anche nella luce soffusa.

Mi sollevai, diverse parti del corpo protestarono. «Ma che diavolo

Osservai la corda avvolta intorno al mio polso, il materiale grezzo mi segava l'epidermide; sollevai il braccio. Notai con stupore a cosa era legato l'altro capo.

«Davvero

«Credevi che ti avrei lasciato senza protezione dopo la rocambolesca fuga che hai inscenato?»

«Lasciami andare allora.»

Mi lanciò uno sguardo graffiante, insofferente. «Lo farei se la tua avventatezza non ti portasse a gesti suicidi.»

«Non compio nessun gesto suicida.» Ero stizzita e irritata.

«È notte. La temperatura è calata di gran lunga sotto lo zero. Siamo ad almeno un'ora di distanza dalla civiltà-»

«Due passi nella neve non mi sembrano un gesto suicida.»

«No, certo, come farsi il bagno nelle acque della morte.»

I capelli umidi che mi sfioravano la guancia ne erano la riprova. Un brivido mi scese lungo la colonna.

«Un errore.» Tagliai corto.

Dei pantaloni erano appallottolati accanto a me. Mi allungai per afferrarli, immaginai non fosse un caso che si trovassero lì. Nicholas non batté ciglio quando lo fissai, infastidita.

«Ti giri?»

Inclinò il capo, staccandolo dalla parete. «Chi credi che ti abbia svestito?»

Un brivido si insinuò sottopelle. «Voltati.»

«No

Sbuffai, oltraggiata. Scostai la coperta e con gesti poco eleganti, dato che la corda che ci legava mi delimitava i movimenti, riuscii a infilarli.

«Visto?» Non mi aveva staccato gli occhi di dosso nemmeno per un momento.

Mi rannicchiai il più lontano possibile da lui, la fune si tese al massimo.

Ne approfittai per risistemare la confusione dei miei pensieri: sembrava che qualcuno avesse preso un puzzle e ne avesse sciaguattato i pezzi nella scatola. Osservai le pareti della stanza, il soffitto anch'esso in legno, l'arredamento glabro ed essenziale.

Il mio sguardo scivolò sulla sua figura. Non era vestito di nero. Indossava pantaloni della tuta scuri, grigi forse, ma non certo neri; la felpa era di un tenue color ceruleo.

Lo avevo sempre visto indossare i colori della notte, come un'estensione del suo essere. Mi chiesi cosa lo avesse indotto a cambiare.

«Ti sei tuffato nel lago?»

I suoi occhi accalappiarono i miei; bastò per seccarmi il palato. Si alzò di scatto. La corda si tese. Inciampai e finii col volto a terra.

«Vieni.»

Lo fulminai. Appena appoggiai tutto il peso sulle gambe, un dolore acuto mi fece gemere; non ebbi nemmeno il tempo di mascherarlo.

Nicholas fece scivolare il mento oltre la spalla, guardingo.

Sfidai la sua occhiata dissimulando la sofferenza. I pantaloni troppo grandi scivolarono verso terra. «Lasciami andare e non sarai costretto a trascinarmi dietro.»

Il suo sguardo indugiò ancora nel mio, prima di rispondermi con freddezza. «Basta che zoppichi piuttosto che poggiare il peso su quella caviglia. Muoviti.»

«Dove?»

Il contrarsi della sua mascella fu visibile perfino da quella distanza. «Ti ho salvato la vita. Fossi in te ne farei buon uso.»

«Mi stavi seguendo, non mi hai salvato certo per bontà d'animo.»

Dove diavolo si era nascosta questa Sam fino a ora?

Mi dovevo ricordare di trovare quel maledetto bottone che attivava l'adrenalina e usarlo più spesso. Utile, utilissimo!

«Poco ma sicuro.» Affilò lo sguardo. «Se vuoi evitare di scoprire di cosa dispongo, ti conviene seguirmi in silenzio.»

Si voltò.

«Perché mi segui?» Mi impuntai, decisa a non muovere un solo passo. «Perché sono qui? Cosa vuoi da me?»

Fiamme illuminarono la sua schiena in una danza armoniosa ma sinistra, tanto incantevole quanto rovinosa.

Attesi una risposta che non giunse.

«Non hai motivi per avercela con me.» Trattenni il più possibile le parole sulla punta della lingua, ma si gonfiarono d'adrenalina. «Non di carattere personale almeno.»

I muscoli posteriori del collo si tesero. Guizzi che si tuffarono nel colletto della felpa, sparendo sotto strati di stoffa. Mi si parò davanti in tutta la sua altezza, si chinò mangiandosi ogni mia reazione.

«Tu non sai nulla.»

«Allora spiegamelo.»

«Questa assenza di paura ti sta facendo scherzare col fuoco.» Parole come spilli, minacce che penetrarono ogni centimetro di pelle.

«Non mi scotterò

Si chinò maggiormente, il volto cadde in ombra, rabbia soffiata tra i denti. «È così che si finisce per bruciarsi.»

«Non ho paura del fuoco.»

E ci fu una battaglia di atomi e respiri. Tutto di lui inneggiava il mio arrendermi. Non lo feci.

Qualcosa mi colpì la caviglia dolorante. Luci brillanti scoppiarono, sotto divenne sopra, il dolore si tramutò in nausea e la vista si offuscò.

Mi sollevò di peso. Fissai il pavimento di legno. Ci misi qualche istante di troppo a capire cosa stava succedendo.

Mi stava portando come un cazzo di sacco di patate.

«Non è sufficiente conoscere un paio di mosse di autodifesa imparate su YouTube e possedere un'audacia che rasenta la follia.»

Vedevo i suoi piedi illuminati da una luce tenue. Scalciai forte per scendere, ma la sua presa sulle mie cosce era irremovibile.

«Devi conoscere il tuo avversario, i suoi punti deboli e usarli a tuo vantaggio.»

Mi lasciò cadere giù, sbattei con le natiche su una superficie solida che poi identificai come un tavolo. Le gambe mi penzolarono oltre il bordo sopraelevato.

«Mi hai capito?» Mi soffiò addosso. 

Mi affrettai ad annuire, legando il mio sguardo al suo. Mai come allora avevo sentito la vulnerabilità denudarmi. E non mi piaceva per niente. Profilai il viso, mi sottrassi al suo sguardo.

Le sue gambe sfiorarono le mie, stoffa contro stoffa. In uno spostamento d'aria che mi fece frusciare i capelli umidi, il suo braccio mi circondò le spalle senza toccarmi.

Trattenni il respiro.

Mi resi conto, con qualche secondo di ritardo, che non mi stava afferrando. Le sue mani erano andate oltre, la sua spalla mi sfiorava ora la guancia. L'odore stantio della sua felpa mi investì.

«Tieni.»

Mi porse alcuni oggetti impilati uno dentro l'altro e me li fece cadere in grembo. Mi passò un braccio intorno alle spalle, uno sotto le ginocchia e mi sollevò.

«Mettimi giù!» Le parole raschiarono in gola, così come il calore della sua pelle raschiava contro di me.

Gli oggetti si acquattarono nelle conca tra la mia pancia e le cosce.

Mi strinse a sé. Il suo petto era una lastra solida e calda. Tentai di scostarmi; polpastrelli che tremavano. Una gabbia di carne e ossa. Quella vicinanza che non ci sarebbe dovuta essere. No.

«Hai la caviglia andata, non puoi camminare.»

Ogni mia cellula scalpitò. Spinsi per allontanarmi, per scendere, alla ricerca spasmodica della distanza. Gli sfiorai il collo col naso. Pelle contro pelle.

Digrignò i denti, chinò repentino il capo su di me. Il suo mento mi sfiorò la fronte.

«Stai ferma, dannazione.»

Mi ritirai in me stessa per non dovergli sfiorare più niente. Niente.

C'era qualcosa di sbagliato.

Erroneo a tal punto da farmi percepire il tepore, oltre la stoffa degli abiti che ci divideva, nei punti in cui il suo corpo entrava in contatto con il mio.

Il crepitio del fuoco incorniciò il nostro silenzio, accogliendolo e plasmandolo.

Divaricai le dita alla ricerca di una posizione migliore. La stoffa morbida mi lambì il palmo, no, sotto ancora, più giù. Un calore piacevole, tiepido. Il suo cuore battè a suon di raffiche contro il torace e nella mia mano.

Sussultai. Trasalì.

I muscoli si tendevano a ogni minimo spostamento di peso. Rimasi immobile a percepirne il guizzare furente, il contrarsi improvviso, il distendersi sinuoso.

Tese la fune, strattonò la mia mano, quella appoggiata sul suo petto, che mi ricadde in grembo.

Mi fece scendere davanti al tepore del fuoco.

Prese gli oggetti che tenevo in grembo, ne estrasse una griglia che posò sul fuoco, sopra cui impilò un pentolino dall'aria vecchia. Afferrò una caraffa appoggiata accanto alla base in pietra del focolaio e riempì il contenitore.

Mi afferrò la caviglia e se la poggiò in grembo.

«Che fai?»

Tentai di ritrarre la gamba ma le sue dita affondarono nella pelle gonfia e gemetti di dolore.

Mi lanciò una sguardo trafilato, sotto la cascata di ricci molleggianti. Afferrò i lembi di stoffa del pantalone e li sollevò lasciando scoperta tutta la tibia.

«Devi avere una storta.»

«Capitan ovvio... » borbottai.

«Se tu non ci avessi camminato sopra per ore intere, come una sciocca, molto probabilmente non sarebbe in queste condizioni.» Distese le labbra in un ghigno. «Il sarcasmo te lo puoi risparmiare. Sei tu la folle che ha deciso di cogliere ogni occasione per farsi del male.»

Mi sentii punta sul vivo. Il mio orgoglio gorgogliò nel petto, pretendendo una rivincita.

Aveva ragione però. Fece male, la consapevolezza mi scorticò la rabbia e la fece appassire.

«Puoi anche spezzartela la caviglia, per quanto mi riguarda, ma non ho nessuna intenzione di aiutarti a tornare indietro. Non andrai da nessuna parte in queste condizioni. Un chilometro forse, due se ti ci metti con quell'insana audacia che ti ritrovi... ma rimarrai da sola nel bosco senza riuscire a tornare ad Haywards Heath.» Strinse le labbra tra di loro, fiamme cremisi vi danzarono addosso. «Quindi vedi di non appoggiarci sopra il peso almeno fino a domani. Vedremo se è migliorata e come fare.»

«Non avevi detto che non mi avresti aiutato?»

Si sporse verso di me, il busto mi sovrastò. «Non ne gioverei.»

«Quindi non te ne frega un cazzo di me, ma mi hai salvata a mi perseguiti. Dimmi, Nicholas: qual è il tuo interesse in tutto ciò?»

Non sapevo se la parola interesse fosse quella che cercavo ma, in assenza di un termine migliore che mi aiutasse a svelare le sue intenzioni, me lo sarei fatta andare bene.

«Continui a scherzare col fuoco, lo sai? Quella caviglia dovrà tornare a posto per permetterti di camminare da sola, ma se altre parti del corpo subissero dei danni non me ne potrebbe fregar di meno.»

Non indietreggiai.

La mente correva dietro alle implicazioni che strisciavano tra le sue parole. Ma tutto il resto era concentrato alla ricerca di ciò che non diceva: aveva le spalle contratte dalla tensione, la mascella serrata, le venature sulle braccia gonfie.

Volevo delle risposte, necessitavo di essere padrona della situazione, per una volta in quei mesi. Una volta!

Non pensai, non ragionai.

Spinsi col piede dolorante e gli affondai il tallone nel ventre fino a farlo andare a sbattere alla parete alle sue spalle con un rumore sordo; mi buttai con tutto il peso su di lui piantandogli un ginocchio nello stomaco e l'altro sulla coscia. Premetti sull'inguine ricordando che, come mi aveva spiegato mio padre, bisognava sempre affondare nelle parti molli dove si annidano i punti di dolore.

Gli afferrai un polso e lo torsi il più possibile, conficcandogli il polpastrello a fondo nella carne, nel nervo che si annidava tra indice e pollice. L'altro avambraccio lo incastrai nell'incavo sotto il suo mento, sulla gola. Spinsi verso l'alto costringendolo a sollevare il viso.

Mi concessi un attimo per apprezzare ogni briciola di insegnamento a cui il mio corpo aveva attinto. Alla fine! Ce ne avevo messo di tempo...

Un ghigno gli inclinò il volto, imperterrito e sgraziato.

«Davvero?» Le parole graffiarono le corde vocali pur di uscire, ma non mostrò alcun dolore. Il pomo d'Adamo sbatté contro la mia pelle. «Credi davvero che sia saggio?»

Spinsi più forte col braccio, delineai la forma della sua trachea.

«Non mi importa ciò che è saggio, voglio solo delle cazzo di risposte, Nicholas!»

«Lo hai detto tu stessa, Sam, non è di carattere personale.»

Calcò il mio nome con naturalezza, come se le sue labbra lo avessero modulato mille altre volte.

Gli ruotai di più il polso. Mi misi a cavalcioni con le gambe piegate.

«Non voglio sapere quello che già so! Perché eri al lago ieri!? Perché sei entrato in casa e mi hai aggredita nel camerino del centro commerciale!?» Il mio naso sfiorò il suo, l'affanno del mio respiro a contrasto con la pacatezza del suo. «Perché mi segui sempre? Che cosa vuoi!?»

Il ghignò che si affilò sul suo volto fu tanto sgarbato quanto derisorio.

«Cosa c'è da ridere?!»

«Non sto ridendo. Noto solo che non hai timore di me, nemmeno un po'. Lasciatelo dire: è anomalo.»

Assottigliò lo sguardo e con un unico movimento fluido mi trovai a cadere all'indietro. Sbattei con le spalle al pavimento.

«Avevi ragione, Sam.» Soffiò a un nulla da me, qualcosa premeva contro le mie gambe, schiacciandomi a terra.

Le braccia però erano libere. Le sollevai per liberarmi.

Il guizzo nei suoi occhi si unì al mio. Mi sbatté le braccia a terra, bloccandomele sopra la testa. Ogni parte del mio corpo che collideva col suo stava gridando.

«Tutti mi stanno alla larga, mi temono. Tutti.» Il suo respiro si infranse sul mio naso. «Tutti. Tu non sei nessuno, sei solo l'ennesimo compito da svolgere. Quindi non ti illudere di questa assenza di timore che hai sviluppato nei miei confronti.»

La luce cremisi delle fiamme gli tagliò il volto, a un nonnulla dal mio. «Perché forse era proprio quello che io volevo ottenere, non trovi?»

«Che compito?»

Il suo peso che mi schiacciava a terra stava divenendo troppo reale, troppo caldo.

«Non ho spiegazione da spartire con te.»

Si allontanò da me.

Cosa voleva dire? Che compito!?

Mi sollevai a fatica.

«Niente di personale, Sam, sei tu il mio compito.»



NDA:

Come siamo messi con questa baita... qualcuno inizia a tirare le somme di cosa fa davvero Nicholas o del suo interesse "non personale" in tutto ciò?

Il prossimo capitolo sarà la conclusione...

Vi mando un abbraccio e mi trovate sempre su IG come _ambershiver_
Silvi

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