21. Di filo spinato
Stand over by the wall
Where I can see it all
Find out who ya call
And if the lights are all down
I'll see who's around
One Way or Another - Until the Ribbons Break
Un piacevolissimo calore mi lambiva un lato del corpo; l'altro, in contrapposizione, era gelido. Odore di legna bruciata, fumo denso mi penetrò le narici.
La gola grattò come se mi avessero calato della carta vetrata nell'esofago e vi fosse rimasta incastrata. Deglutii; il raschiare si acuì, mi trafisse dall'interno.
Tossii, spalancai gli occhi. La luce scoppiettante del fuoco mi abbagliò, le lingue cremisi danzavano a pochi passi da me. Mi puntellai sulla superficie granulosa su cui ero distesa e sollevai del tutto il busto, piano piano. La tosse diminuì fino ad acquietarsi.
Che posto era quello?
Il focolare disegnava sulle pareti adiacenti al camino riverberi purpurei. Ero distesa su un tappeto dall'odore stantio e la consistenza ruvida; il tessuto sfregò in modo spiacevole contro la pelle nuda delle gambe.
Nuda?
Mi tolsi di dosso la coperta che mi avvolgeva. La pelle svestita si imperlò di brividi.
Abbassai gli occhi sulla felpa che indossavo: era così lunga che le maniche mi superavano di svariati centimetri le punta delle dita, la base arrivava a coprirmi fino a metà coscia. Emanava un profumo di bucato fresco e agrumi.
L'agitazione mi ruggì nel petto. Quel posto non era casa mia. Afferrai i lembi della felpa e iniziai a togliermela. Non era mia!
La pelle denudata del busto venne avvolta dal freddo.
«Rimettila.»
Mi bloccai.
Lasciai andare i bordi di stoffa e mi voltai di scatto.
Le assi del pavimento cigolarono, un respiro cadenzato e appena udibile perforò l'atmosfera. Occhi bucarono il buio da cui il resto della stanza era avvolto. Con passi misurati qualcuno si avvicinò, affiorando dalla penombra.
Le fiamme disegnarono arabeschi ambrati; ombre oscure e sfumature amaranto, uno scultore avaro. Zigomi alti e marcati, occhi abissali ma brillanti come diamanti. Nicholas.
«Stai lontano...» La voce grattò, mi strozzai con le mie stesse parole.
Combattei contro l'attacco di tosse. Portai le gambe al petto per nascondere il nascondibile.
«Copriti. Ne faccio a meno di vederti di nuovo nuda.» Voce profonda e graffiante, cocci rotti avvolti dal velluto.
Di nuovo. Nuda.
La confusione mi destabilizzò. Che cosa era successo?
Mi voltai del tutto, lasciandomi il camino alle spalle. Il gelo mi investì, ogni lembo intirizzito di pelle protestò, in rivolta. Quel freddo...
Acqua. Ghiaccio. Mancanza d'aria. Dolore.
Mi persi nel sibilo indistinto dei ricordi che venivano trascinati a galla.
Inspirai con foga, panicata dalle memorie.
I pensieri sdrucciolarono, ricostruii pezzo pezzo ciò che era avvenuto. Papà. Il bacio. Le parole di mia madre, le sue lacrime e quella tremenda insinuazione.
Il conato di vomito mi stordì. Mi piegai su me stessa; grovigli di panico nelle speranze che mia madre aveva tentato di distruggere.
Ma il mio stomaco era vuoto. Empio, come l'interno del mio cuore, cristallizzato in una mancanza dilaniante che non potevo più negare.
Vuota. Tradita. Sola.
«Copriti ti ho detto.»
«Stammi lontano!» gridai. «N-non ti muovere.»
Nicholas si tolse le mani dalle tasche dei pantaloni, accondiscendente.
Mi issai in piedi, una stilettata lancinante mi sbilanciò: mi aggrappai alla parete antistante il camino, il tepore mi inondò la pelle.
«Tu non ti muovere» mi minacciò.
«Lasciami andare!»
I suoi tratti si affilarono. «Ti pare che ti stia trattenendo?»
Mi osservai intorno: un divano sgualcito, un tavolo accostato alla parete, il buio si dipanava come le tenebre della notte. Notte. Una finestra gettava nella stanza luce opalescente.
«Cosa ci faccio qui?» Capitolai sulla mia stessa domanda. «Dov'è qui?»
Mi appoggiai alla parete togliendo qualsivoglia peso dalla caviglia destra: la sofferenza giungeva a ondate. Mi morsi il labbro per trattenere i gemiti.
«Non ricordi?»
«Te lo avrei chiesto se lo ricordavo?»
Il mio tono veemente ruppe il suo incantesimo di immobilità. Mangiò la distanza tra di noi, sinuoso come la pantera che era. Sottrasse lo spazio con bramosia.
Mi ritrassi, divenni parte stessa della parete; legno mi pizzicò i dorsi delle mani.
Si fermò a un passo da me, tendini come corde di violino, contrazioni in attesa dell'eseguire.
«Non credo sia il caso che tu mi parli così. Non devi aver ben chiara la situazione.»
«Che cosa ci faccio qui?»
«Sei cascata nelle acque della morte.» Alito caldo mi sfiorò la fronte, labbra sottili modularono ogni parola con lentezza. «E ti ho tirata fuori per clemenza. La stoltezza a volte non ha limiti.»
«Tu...» Mi persi nell'implicazione di ciò che aveva detto. «Tu mi hai salvata?»
La stoltezza, quella che lui aveva nominato poco prima, era la mia o la sua?
«Non avevo capito che era un lago.»
«Ho notato.»
Lo guardai, confusa, le mani dolevano tanto le premevo contro la parete alle mie spalle. «Perché?»
Alzò un sopracciglio in un movimento peculiare, una pennellata di inchiostro sulla pelle diafana.
Strinsi le mani a pugno. «Perché?»
L'odore della legna bruciata si mescolò a un aroma agrumato.
«Perché non hai notato che fosse un lago? Me lo chiedo anche io.»
Era ironia?
«Perché mi hai salvato?» Terremoto sotto i piedi, una domanda si erse, incombente.
Ricordavo di aver camminato nel bosco senza meta. Non avevo percorso un sentiero battuto, non ero arrivata in un luogo abitato.
«Che ci facevi lì?»
Mi aveva braccato, come una preda.
Il suo avermi salvato assunse sfumature nefande.
«Dovresti esserti già risposta da sola a questa domanda.»
Dovevo trovare l'uscita. Non mi interessava sapere altro. Non volevo indagare su che posto fosse, né dove fossero i miei vestiti.
Non trovavo il profilo della porta d'ingresso; poco male, le finestre sarebbero state sufficienti, a costo di buttarmici addosso per sfondarle.
Ma Nicholas ingombrava lo spazio, delimitandomi i movimenti. La felpa era arrotolata fino al gomito, lasciando la pelle scoperta. Vene gonfie e muscoli voraci.
Mi tornò alla mente una scena vissuta tanti anni prima: mio padre che mi insegnava autodifesa nelle frizzanti mattine estive. In quella gita che si rivelò un vero e proprio campo di sopravvivenza.
Il pensiero di papà fu un cazzotto allo stomaco. Non avevo tempo per pensarci. Riportai alla mente tutte le informazioni sopite che sapevo di aver incamerato.
Possibile che fossi stata così tanto accecata dalla paura da non pensarci?
Ero bassa, esile; lui era alto, molto, a sufficienza.
Abbracciai la determinazione; l'adrenalina mi bruciò nelle vene.
Per prima cosa distrarre. Raggiunsi la sua epiglottide, spinsi verso il sotto mento, il colpo affondò nella gola. Gli afferrai il polso sinistro, sollevai il braccio in modo tale da crearmi un varco tra il suo busto e l'arto.
Per ultimo, rapida, mentre sgusciavo in avanti intromettendomi nella breccia, gli piantai il gomito destro sotto le costole fluttuanti.
Due secondi. Bastarono.
Schizzai in avanti, appoggiai meno peso possibile sulla caviglia dolorante. Arrivai alla parete dove si trovava la finestra. Afferrai la cornice e la sollevai. Mi issai oltre, ringraziai la stazza che me lo permetteva. E uscii.
Caddi nella neve, il vento mi sferzò. Mi issai in piedi nello stesso istante in cui un cigolio mi raggiunse.
No!
Mi sollevai; pelle, ghiaccio e capelli. Iniziai a correre, il pompare sostenuto e febbrile del cuore mi rimbombava in testa. I capelli umidi mi frustarono la schiena.
Il suolo imbiancato rifletteva i raggi della luna, rami piegati sotto il peso della nevicata. Un fremito di gambe, gelo mi arpionò i piedi scalzi. Raggiunsi il tronco dell'albero più vicino.
La stabilità della gamba ferita venne meno. Tentai di aggrapparmi al tronco, l'avambraccio strusciò contro la corteccia. Finii con la faccia nella neve. Sputai i fiocchi umidi e mi voltai di scatto.
Nicholas mi rovinò addosso.
«No!»
Mi voltò di peso; sbattei con la schiena al tronco.
Occhi si piantarono nei miei. Le sue mani premettero sopra gli occhielli dei gomiti, facendomi aderire con forza contro la corteccia; scalciai, tentai di colpirlo.
Un ghigno sgraziato gli solcò il volto, piantò la gamba tra la mie, bloccandomi e costringendomi a sollevarmi in punta di piedi per evitare che i nostri corpi collidessero.
«Forse non hai capito.»
Le scapole grattarono sulla corteccia; la sua coscia premette contro il mio bacino.
«Tu non vai da nessuna parte.»
Provai a tirargli un calcio. Ma l'appoggio mi mancò, il suo corpo mi liberò e, in un turbinio di nausea e immagini sfocate, le membra divennero molli, il sotto divenne sopra.
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