L'onta del passato
ROB
Sul palco a seguire altre frane, un uomo con un mandolino stonato raccapricciante e finalmente una donna, di colore, energica. Si presentò a tutti con un trucco che spiccava, vestita comoda, con pantaloni leggins su forme davvero curvy. Stupì tutti, quel corpo si muoveva in modo quasi felino. Diamond, si presentò così.
Senza ammiccamenti, stavolta. Dovevano assumerla.
L'ultima gli strappò un sorriso pieno. Una chioma rosso fuoco e sensualità da vendere, come non accettarla.
«Scarlet» si presentò e stavolta fu Dahlia a lanciargli occhiate velenose quando sfilò gli occhiali e li appoggiò davanti al foglio, per darle una bella occhiata.
«La rossa ha fatto colpo?»
«Ha quello che ci serve» le rispose senza traccia di emozione, anzi, premiando il suo tono piccato - e su quel visetto il sopracciglio inarcato- con uno dei suoi migliori sorrisi. Per una volta era Dahlia a mostrarsi ingelosita.
La primadonna che è in te si sta risvegliando finalmente.
Nessuno di loro aveva un hotel dove alloggiare in zona e tre erano decisamente per la strada. Così la scelta fu presto fatta. Avrebbero dato una mano, tutti in cambio di alloggio, con i lavori.
«Chiamo qualche amico e presto ci daremo da fare!»
Sembrava un'ottima proposta per fare gruppo. Una pessima idea dal momento che tutta questa gente avrebbe chiesto continuamente qualcosa senza tregua. Ma glielo si leggeva negli occhi a Dahlia, che voleva salvare tutto e tutti. Persino quelle ragazze le aveva scelte con il criterio di toglierle dalla strada.
Ha il cuore tenero la mia ragazza.
Da parte sua era sospettoso. C'era poco da fidarsi.
Aveva iniziato a frequentare su richiesta di Dahlia un corso al poligono per imparare a sparare, diceva che in un locale bisogna avere i body-guard e che sarebbe stato meglio saper gestire le persone armate.
Secondo me ha paura del Colombiano...
Andare in palestra, quello l'aveva invece fatto per se stesso, anche se di esercizio fisico con tutti questi lavori da seguire ne doveva fare ugualmente parecchio.
Il dannato Blue continuava ad apparire a caso, ogni tanto portando oltre a quel suo perfetto sorriso sfacciato, da mangiare e si chiudeva da solo a chiacchierare con Dahlia. Non lo sopportava proprio.
«Che cosa ti prende?» chiedeva lei
«Una perdita di tempo, quando c'è così tanto da preparare!»
Blue se ne andava sempre lanciandogli occhiate che a lui sembravano insieme sospettose e compiaciute. Bene. Avrebbe dovuto prenderlo di petto, più presto che tardi.
Per quanto aprissero nuove stanze, facessero loro prendere aria, spazzando e lavando ce n'erano sempre di nuove. Quando aveva proposto di chiedere aiuto a una ditta gli era stato risposto «Qui dobbiamo vedercela da soli. Che faremmo se saltasse fuori un vecchio cadavere?» dalla sua socia molto divertita all'idea.
Ho una cattiva influenza su di lei.
Quella notte Dahlia ebbe un incubo e la sentì urlare. Sperava che accorresse qualcuna delle sue dipendenti. Si ingannava, nulla dorme più ineluttabilmente di un tossico o di chi ha spostato mobili tutto il giorno.
Alla fine si alzò, sistemandosi il pigiama con il quale era diventato solito dormire, ai bei tempi non metteva cose così commerciali. Andò verso la camera da letto di lei bussando piano. La udì spostarsi di colpo, trasalendo «Dahlia? Dahlia sono Robert.»
Una mano lo agguantò sulla porta, come un arto fantasma, trascinandolo dentro.
Stringendosi a lui sembrava una ragazzina, gli circondò i fianchi con le braccia e affondò il viso sul suo petto. «Verrà a prendermi...non permetterglielo! Non permetterglielo Rob!»
Pensò che si riferisse al Colombiano, così le mormorò «Sistemeremo la cosa»
«Dimmi che non glielo permetterai!»
«Non glielo permetterò.» sospirò.
A quel punto lei era più calma, gli occhi verdi lo scrutavano come stabilendo se potesse fidarsi. Lo prese per mano, aveva una mano molto piccola, rilevò lui.
Lo portò a letto, scostando con un piede e con la rotazione di un ginocchio la coperta che si tese contro il suo polpaccio. Aveva solo shorts e una canotta grigi, era sudata e pallida, ma profumava di qualcosa di buono.
Entrare nel suo letto fu come varcare una porta per la prima volta, ottenere la chiave.
Da quel momento dormì spesso con lei. Non la toccava troppo, limitandosi a starle vicino, affiancato. Dahlia gli dava le spalle e quando faceva incubi si voltava per stringere le dita contro la sua maglia, affondando il viso e respirando il suo odore. Questo sembrava calmarla.
Ciò lo rendeva euforico. Lei sembrava talmente bisognosa.
Un altro uomo non avrebbe resistito alle tentazioni, all'idea di carezzarla, ma quelli come lui qualche volta avevano un certo sesto senso, una pazienza predatoria. Poteva provare a volgerla in cose buone.
Sentiva che doveva lasciare che si fidasse di lei, senza mai forzare.
Come una volta era capitato, sentiva che il momento era solo una prova.
Stranamente Dahlia poteva riscattarlo da ciò che era, perché i suoi modi erano così dolci, soffusi, delicati quando era in quel momento di fragilità, da ripristinare in lui qualcosa di rotto. La sua redenzione.
§§§§§§§§
Tempo addietro...invece
Era una annuale festa di famiglia, il che per suo padre, sua madre e la sorella implicava invitare almeno duecento persone, nessuna sua coetanea. Diciotto anni e una festa di vecchi babbioni.
Fra i parenti, una cugina, di otto anni, piccola e bella come una bambola di porcellana, i capelli ricci ben definiti e gli occhi castani pieni di timidezza. Indossava un vestitino leggero, estivo, di un rosa pallido, che le sottolineava sia le parti coperte che le gambe nascoste da calze bianche e le scarpette rosa.
Gli aveva ricordato un petalo di rosa tenuto troppo tempo in acqua, quasi traslucido.
La serata era lunga. Gli si era formata come una foschia nella testa. Non riusciva a ragionare lucidamente.
Gli sembrava che la bambina lo cercasse. Ma era stato lui a guardarla, a chiamarla con quegli sguardi? Non lo sapeva più.
Portò la bambina in una stanza, dove era sicuro che nessuno lo avrebbe disturbato.
Si misero a fare un gioco insieme seduti per terra. Percepiva la sua natura timida, bisognosa di aggrapparsi a qualcuno. Sapeva che quel bisogno era soltanto quello dei bambini, quel volersi affidare. Intendeva tradirlo, per prendere molto di più?
Dopo alcune parole sommesse, lei iniziò a dare confidenza, a sfiorargli i capelli e l'orecchio, a rispondere ai suoi sussurri. Era dolce e ingenua.
Arrossiva così spesso che sarebbe stata uno spettacolo di tenerezza per chiunque. Per lui era come pregustare un dessert.
Perchè sono così malato. Non voglio farti male. Non guardarmi, non tentarmi così.
La bambina gli diede un bacio sulla guancia molto vicino alla bocca e lui si sentì sussultare.
Un pensiero lo folgorò: lei lo vuole. Vedi? Ti sta provocando.
A volte aveva quei pensieri, ma di solito era abbastanza lucido. Anche questa, di volta, si disse: Sei malato Robert. Sei malato. Non è diverso da una ragazza che passeggia sulla spiaggia, non sta tentando nessuno, è solo se stessa. Sono i tuoi occhi quelli sbagliati.
Gli venne un groppo in gola.
- Robert- disse la bimba - guardami.
La sua testa prese a girare.
Come era accaduto non lo ricordava, ma quel giorno aprì gli occhi su ciò che era, in modo inconfondibile. Prima non era certo di quanto facesse realmente schifo.
Lei lo abbracciò teneramente, per ringraziarlo alla fine del gioco, quando era così sollevato dall'aver resistito e non averla minimamente sfiorata, tanto che le sue mani e le spalle gli sembravano diventate tese come se stessero per spezzarsi.
Dio, aiutami. Perdonami, perdonami.
Ma tenendosela vicino, sistemandole la gonnellina perché non formasse pieghe, accuratamente, e sentendo le sue labbra vicino al collo, provò un'eccitazione impossibile da nascondere. Ebbe un'erezione tanto forte da sembrare che qualcosa sarebbe esploso.
Non volevo!
La spostò subito, gettandola bruscamente a terra.
La bimba nel suo modo ingenuo si tirò indietro, era troppo educata e confusa per capire o commentare. Lo guardò sbalordita.
Era sì innocua, ma il suo intelletto guizzava vivace, con un'ombra vicina al timore negli occhi.
Avrebbe voluto stringerla come una colomba fra le mani e bloccarla. Mentirle.
Invece, spaventato da se stesso, da cosa avrebbero potuto dire le persone, da cosa avrebbe potuto sostenere lei in futuro, dal disgusto verso se stesso prima ancora, le urlò
- Vattene, razza di stupida! Vattene vai via!
La sentì piangere e singhiozzare, corse via.
Tutta la sala ora si chiedeva cosa fosse successo.
Avrebbe potuto inventare una scusa. Ma non ora. Si chiuse nella propria stanza.
Almeno era riuscito a non farle nulla, nulla di nulla e nulla di irreparabile. Aveva avuto la forza di impedirselo.
Si proibì il sollievo che avrebbe potuto dare a se stesso, prese a pugni il muro e scivolando a terra, rimase lì, soltanto a piangere e piangere, da solo.
Pianse anche nel sonno, se ne accorse dal cuscino bagnato. Magari anche lei aveva pianto. La mattina dopo Dahlia non parlò mai dell'accaduto e fece come nulla fosse.
Angolino dell'Autrice: So che è un momento duro da leggere, lo è anche da scrivere, ma necessario. Perchè da qualche parte si capisca, spero, che anche quando si ha il potere di fare del male si può vincere se si opta per non farlo, o per fare qualcosa di buono. Tutti prima o poi possono rischiare di compiere atti profondamente distruttivi e sbagliati. Tutti possiamo avere quei momenti. Qualche volta bisogna combattere i propri demoni, quelli che non solo fanno male a noi, ma anche al resto, quelli che sono nati dalle cose peggiori, che vanno prima o poi affrontati. La storia continua, perchè la battaglia è appena iniziata.
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