uno
🔖𖥻 [ CAPITOLO UNO ]
" per aspera ad astra "
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Choi San strinse le mani sul volante dell'automobile, schiacciando con veemenza il piede sull'acceleratore. Seduto sul sedile del passeggero accanto a lui, Kang Yeosang — compagno di vita e di lavoro — ansimava debolmente con gli occhi chiusi, la mano sporca di sangue distesa sul fianco dove un proiettile lo aveva colpito. La testa era accasciata all'indietro, il collo sudato, sporco di terra e i capelli marroni scompigliati. La camicia bianca che indossava si era tinta di rosso accesso, visibile grazie al gilè nero sbottonato; i pantaloni del medesimo colore erano strappati ai lati e le scarpe piene di fianco.
«Resisti, Yeosang!» gli urlò l'amico con lo sguardo fisso sulla strada concentrato nello sfuggire ai loro inseguitori, i quali non solo erano molto più abili di lui nel guidare, ma anche molto più preparati nell'usare le armi da fuoco mentre l'auto sfrecciava per le strade buie di Seoul. Diversi proiettili di pistola venivano sparati con costanza contro di loro: gli inseguitori miravano principalmente alla carrozzeria e alle ruote del veicolo, il quale non cedette a lungo. San cercò di sterzare in un vicolo ma andò a sbattere contro il muro. Yeosang gemette e strizzò gli occhi per il dolore. «Andiamo!» mormorò San muovendo la mano sul pomello delle marce e cercando di fare retromarcia. «Dannazione...» diede un pugno al volante e scese dall'auto per correre ad aiutare l'amico. Alle loro spalle, l'auto degli scagnozzi di Park Seonghwa rallentò; le portiere si aprirono da entrambi i lati e degli uomini armati di fucile vi si nascosero come per formare una trincea, pronti a mirare ai due uomini. San – con l'amico accasciato sulla sua spalla – si fece strada tra il rottame che stava guidando per entrare nel vicolo. Il suono di passi e il rumore degli spari si faceva sempre più insistente.
«S-san...» tossì leggermente Yeosang aggrappandosi alla giacca del compagno «lasciami qui—» San scosse la testa e si morse il labbro per trattenere le lacrime, mentre cercava di rimetterlo in piedi.
«Sta' zitto!» lo ammonì ansimando per la fatica; mancava poco alla fine del vicolo e San tramava di rubare un'altra auto da quelle parcheggiate sul ciglio della strada, ma non appena uscirono di nuovo allo scoperto, ebbe un'illuminazione. Si fermò sul marciapiedi, poggiando delicatamente l'amico infermo a terra e le sue mani si mossero velocemente alla vita per cercare la pistola nascosta nei pantaloni. Afferrò l'arma e si diresse verso un giovane dai capelli rossi appoggiato al cofano di una macchina, intento a fumare una sigaretta. Il ragazzo — constatò San — doveva avere all'incirca una ventina di anni: indossava una giaccia di pelle e una maglietta bianca; i jeans chiari si abbinavano perfettamente alle scarpe bianche con i lacci slacciati. «Tu!» gli urlò puntandogli la pistola alla testa; al ragazzo cadde la sigaretta dalle mani. «Accendi il motore, subito» aggiunse aprendo la portiera al lato del passeggero per far accomodare Yeosang, la cui emorragia non si era ancora fermata.
«C-chi siete?» chiese titubante il giovane portando le mani al volante e cercando di indossare la cintura. San si sedette nei sedili posteriori e continuando a minacciarlo con la pistola, gli ordinò di partire. Per un paio di minuti, girarono a vuoto: il ragazzo alla guida era sotto pressione e San troppo preoccupato per il compagno per dargli retta, fino a quando non ricomparve la macchina dei sottoposti di Seonghwa.
«Ascoltami bene, ragazzino: dobbiamo liberarci di quella macchina, intesi?» gli disse San cambiando il caricatore attuale con uno che teneva in tasca. Yeosang che aveva appena riaperto gli occhi voltò lo sguardo verso lo specchietto retrovisore; il ragazzo alla guida lo imitò e quando vide tutti quei fucili puntati contro la sua auto urlò spaventato, iniziando a sudare freddo. «Merda...» sussurrò San «Come ti chiami, ragazzo?»
«J-Jongho, signore...Choi Jongho» rispose senza staccare gli occhi dalla strada.
«Noi ci occuperemo degli inseguitori, Jongho» gli disse dolcemente Yeosang prendendo una pistola dal taschino interno del gilè, «però tu dovrai cercare di seminarli, intesi?» Jongho annuì, per niente convinto di quel piano suicida e fece un respiro profondo. Diversi pensiero si fecero spazio nella sua mente ma la situazione in cui si trovava non gli permetteva di pensare in modo lucido. In ogni caso, anche ripensandoci diversi giorni dopo, Jongho non riuscì a registrare in modo chiaro gli avvenimenti di quella notte, in quanto successe tutto in pochi minuti. San e Yeosang si scambiarono un veloce sguardo furtivo mentre il loro giovane autista litigava con il pomello delle marce. I due criminali abbassarono i finestrini, sparando colpi alla cieca verso l'auto che li stava inseguendo; Jongho, invece, con il cuore a mille e la mente offuscata dalla paura, cercava a tutti i costi di evitare che i proiettili nemici li facessero andare fuoristrada.
«Vai più veloce!» gli urlò San dandogli una botta sulla spalla con la mano libera. Fu in quel momento che il ragazzo, preso dalla tensione, ebbe un'idea folle. Prima dell'incrocio, premette forte il piede sul pedale del freno, girando il volante con le mani. Per un breve istante, le due auto si trovarono una di fronte all'altra e, mentre gli uomini di Seonghwa rimasero atterriti e San prese ad urlare contro il ragazzo confuso, Yeosang fu l'unico a capire le sue intenzioni poiché non smise mai di sparare. «Che diavolo stai combinando?!» San riportò il corpo all'interno dell'automobile per afferrarlo per i capelli e strattonarlo verso di sé. Yeosang aveva finito i proiettile e il compagno non era da meno, in quanto dopo essersela presa con Jongho si era affrettato a togliersi la giacca per cercare meglio nelle tasche. I colpi alla loro auto erano ripresi con insistente: la carrozzeria era piena di buchi e se San lo avesse distratto ancora una volta dalla strada anche le ruote sarebbero state colpite, compromettendo la loro unica via di salvezza.
«Fidatevi di me» disse il giovane imboccando la strada verso la stazione dei treni. Poco distante da loro, il semaforo accanto ai binari divenne cominciò a suonare e divenne rosso, annunciando l'arrivo imminente di un treno. Le sbarre cominciarono a chiudersi e da entrambi i lati e le poche auto rimaste in giro a quell'ora si fermarono; Jongho premette ancora di più il piede dell'acceleratore. L'auto colpì violentemente le sbarre di chiusura, superando i binari e lasciandosi alle spalle il rumore della locomotiva e quello dei che clacson diventava sempre più distante. Il loro veicolo si fermò a pochi metri di distanza: Jongho, con il fiatone, controllò lo specchietto e quando si rese conto che gli inseguitori non erano riusciti a passare, poggiò la testa sul volante e pianse silenziosamente.
Yeosang che aveva il respiro debole e la vista quasi annebbiata voltò il capo verso di lui, sussurrando: «bella mossa, ragazzino» poi sorrise prima di svenire per il troppo sangue perso.
«Riprenditi, Jongho!» San lo scosse violentemente «devi portarci al Loco's, immediatamente» aggiunse dandogli uno schiaffetto sulla guancia.
«Il bar di Kim Hongjoong?» chiese il ragazzo asciugandosi le lacrime dal viso e cercando di ripartire in fretta, prima che il passaggio a livello si riaprisse permettendo agli uomini di Seonghwa di raggiungerli. San annuì distratto, troppo concentrato sul corpo inerme del compagno disteso davanti a lui. Impiegarono pochi minuti per arrivare al luogo segreto del Don in questione e San lo gli fece accostare l'auto mezza distrutta davanti all'ingresso principale, poiché a quell'ora il locale era chiuso e non vi potevano essere clienti ficcanaso a guardarli. Scese velocemente ed entrò nel bar per chiamare aiuto; un uomo si precipitò all'ingresso ed aprì con forza la portiera del passeggero per trasportare Yeosang all'interno.
«Aspetta qui» ordinò al ragazzo che gli rivolse uno sguardo spaventato. Jongho rimase da solo per una decina di minuti. Cercò invano di calmarsi per evitare di avere un attacco di panico, ma nella sua mente fluttuavano ancora le immagini dell'episodio che aveva appena vissuto. Quando San ritornò da lui, era ancora perso nei suoi pensieri ma bastò il rumore di una sicura che scattava a risvegliarlo. Guardandosi intorno poté constatare che il criminale si era ripreso la giacca dai sedili posteriori. «Tieni» disse porgendogli una busta gialla dal finestrino «è un piccolo ringraziamento del Don per averci aiutato a sfuggire dagli uomini di Park Seonghwa» il ragazzo afferrò titubante la busta contente diverse mazzette di denaro.
«Io...» San scosse la testa e ridacchiò, battendo le mani sul tettuccio della macchina.
«Stammi bene, ragazzino.»
* * *
Quando Jongho ritornò a casa quella sera, cercò spaesato l'interruttore della luce, così sconvolto dall'accaduto nel trovare difficile ambientarsi nella propria abitazione. Deglutì a fatica e camminò in punta dei piedi verso la cucina per evitare di svegliare i vicini ficcanaso. Afferrò un bicchiere d'acqua dalla mensola e aprì il rubinetto con le mani tremanti, la maglia sporca di sudore e la mente che viaggiava altrove. Bevve solo un goccio d'acqua e si trascinò in camera, dove chiuse la porta a chiave. Si tolse velocemente la giacca e lanciò a terra, non prima di aver tirato fuori dalla tasca la busta con la ricompensa che Kim Hongjoong — uno dei Don più potenti della città — gli aveva offerto per ringraziarlo di aver salvato la vita ai suoi uomini. Strappò rapidamente la carta di lato ed afferrò uno dei mazzetti tenuti stretti tra di loro con un nastro di plastica trasparente. Vuotò poi anche il resto e prese a contare i soldi che, non solo bastavano a riparare i danni subiti all'auto, ma gli avrebbero anche permesso di comprarne una nuova e farsi un giro in qualche locale costoso. Jongho si portò una mano al viso e scosse la testa: quelli che stringeva tra le mani erano soldi sporci, guadagnati in modo illecito se non illegale e lui con Kim Hongjoong e la mafia coreana non voleva averci alcun tipo di contatto. Eppure, il destino aveva fatto in modo che lui — Jongho — che più di ogni altra cosa odiava i delinquenti e la criminalità organizzata, si trovasse ad aiutarli e perfino a ricevere una ricompensa per le sue prestazioni alla guida.
«Non è questa la vita che voglio» sussurrò alzandosi in piedi per nascondere le mazzette sotto al materasso. Dopo aver aggiustato le lenzuola si sporse verso la finestra per chiudere completamente le tapparelle, dalle quali entravano dei raggi di luce provenienti dai lamponi in strada. Facendo attenzione a non inciampare, si tolse il resto dei vestiti e si lanciò sul materasso a pancia giù, la testa nascosta sotto al cuscino sperando che l'indomani al suo risveglio gli eventi di quella notte diventassero un semplice sogno confuso. Purtroppo per lui, non fu così.
Il suo risveglio fu abbastanza burrascoso, dovuto principalmente ad un forte mal di testa che aveva avuto per tutta la notte e ad un uomo armato e dal volto coperto aveva infestato i suoi sogni.. Il ragazzo strizzò gli occhi e ancora assonnato si alzò dal letto per prendere dei vestiti puliti; aprì le tapparelle della finestra e notò che nel corso della mattinata i vicini passavano accanto alla sua auto, indicando i proiettili ancora incastrati nel cofano. Dopo essersi sistemato i capelli con dell'acqua scese giù in cortile, dove gli inquilini delle case popolari che si erano riuniti intorno alla macchina per spettegolare provarono a fargli delle domande, ma il ragazzo ignorò. Lungo il tragitto verso lo sfasciacarrozze, ogni tanto la sua mano scendeva sulla tasca posteriore dove la ricompensa di Kim Hongjoong era stata infilata prima che egli lasciasse l'appartamento. Era deciso a spendere tutti i soldi il prima possibile per lasciarsi alle spalle l'accaduto. Erano passate quasi due settimane dell'accaduto quando la sua strada incrociò ancora una volta quella della criminalità organizzata. Jongho era al volante di una vespa color menta, comprata da poco con soldi del Don e si stava godendo la quiete di una normale giornata d'estate nel momento in cui i due scagnozzi di Park Seoghwa che inseguivano gli uomini di Hongjoong non gli bloccarono la strada. Sterzò per evitare di investirli e finì sul marciapiede; si tolse velocemente il casco per accertarsi di non aver ferito nessuno ma fu afferrato per le spalle. Uno dei due uomini lo spinse a terra iniziando a prenderlo a calci mentre l'altro si divertiva a rompere la vespa con una mazza di ferro; Jongho teneva le mani strette al viso ed era inerme. Provava un dolore lancinante sui fianchi e al petto, perdeva sangue dal naso e aveva un sopracciglio spaccato. I delinquenti lo deridevano, prendendosi gioco di lui e cercando di istigarlo, ma il ragazzo aveva già deciso di lasciare che loro finissero il proprio lavoro e lo lasciassero sul ciglio della strada da solo. Non era mai stato un tipo violento e non desiderava affatto diveltarlo, ma quando vide uno degli specchietti cadergli accanto e venire calpestato senza rispetto, afferrò con rabbia la caviglia dell'uomo che lo aveva frantumato, facendolo cadere sul suo complice. Con un po' di fatica si rimise in piedi, scavalcò i due corpi e prese a correre nonostante il dolore che gli trafiggeva il petto. Alle sue spalle, gli scagnozzi del Don si alzarono in fretta. Entrambi afferrano la pistola e provarono a sparargli da lontano ma non riuscirono a colpirlo perciò dovettero inseguirlo a piedi. Jongho sfrecciava sui marciapiedi, urtando le persone che aveva davanti e cercando di pensare a un posto in cui nascondersi. Non poteva condurli al proprio appartamento e non conosceva nessuno in grado di proteggerlo da due uomini armati di pistola. La polizia, in quella zona della città, aveva stretti contatti con la famiglia mafiosa di Seonghwa e molti dei poliziotti del distretto era stati corrotti. Per un istante, si sentì in trappola: alle sue spalle i due uomini urlavano alla gente di spostarsi minacciandoli con la pistola e lo avrebbero di sicuro raggiunto. Aveva il fiatone e il dolore dovuto ai colpi si era esteso per tutto il corpo. Pensò di arrendersi, fino a quando non gli venne in mente l'unico posto dove sarebbe stato al sicuro e dove probabilmente lo avrebbero riconosciuto all'istante: il Loco's, ovvero il bar di Kim Hongjoong, il Don da sempre nemico di colui che l'aveva mandato a prenderlo dai propri uomini.
* * *
San spinse la porta del Loco's e uscì dal locale seguito a ruota da Yeosang. Aveva una sigaretta spenta poggiata dietro un orecchio e sembrava essere ripreso completamente dall'incidente avvenuto qualche settimana fa. Si appoggiò al muro e disse qualcosa che il compagno ignorò.
«Mi stai ascoltando?» gli domandò spostando lo sguardo nella stessa direzione che l'amico era impegnato a guardare. «Ma che—» cercò di dire ma si interruppe subito quando dall'altro lato della strada riuscì a distinguere la figura di Choi Jongho correva tra le auto per raggiungerli, seguito da Jung Wooyoung — fratello adottivo di Seonghwa — e uno dei suoi leccapiedi.
«Maledizione!» mormorò Yeosang afferrando il ragazzo per un braccio non appena fu abbastanza vicino e trascinandolo dietro di sé.
«Buongiorno, Wooyoung» annunciò San avvicinandosi a lui «come mai da queste parti?» aggiunse con un sorriso sfacciato sulle labbra. Wooyoung non si scompose.
«Volevo semplicemente scambiare due parole con quel ragazzino. Non ti dispiace, vero?»
«Devi sapere che questo ragazzino è un grande amico del Don, perciò qualunque cosa tu voglia dirgli puoi farlo anche qui davanti a noi» rispose San alzando ancora di più il viso; alle sue spalle, Jongho si stringeva il braccio di Yeosang impaurito. Wooyoung diede una rapida occhiata in giro e dopo aver mormorato un "non finisce qui" fece un segno con la testa al suo sottoposto ed entrambi si allontanarono dal bar.
«Stai bene?» chiese San al ragazzo notando che aveva il viso sporco di sangue e si teneva il fianco con una mano; egli annuì.
Yeosang ridacchiò e gli mise un braccio intorno alle spalle: «vieni, andiamo a parlare con il Don.» Jongho gli rivolse un'occhiata confusa ma si lasciò trascinare all'interno del locale.
Il Loco's era un ambiente molto illuminato ed offriva una vastità di tavoli, già pieni di persone nonostante fosse appena iniziata la mattinata. Ad occuparsi del bancone vi era un uomo alto con i capelli bianchi e gli occhiali; quando vide San e Yeosang rientrare li salutò con un cenno del capo. I due guidarono il ragazzo oltre la porta riservata al personale con la quale si accedeva ad una stanza con un tavolo da biliardo e un mobile contenente una collezione di vini. Di fronte, vi erano due porte. Yeosang lo guidò verso quella di sinistra, spingendolo dentro solo dopo che San aveva bussato. La stanza era molto più scura di quella precedente e aveva l'aria di essere uno studio: vi era un singolo lampadario al soffitto, lo spazio occupato da un enorme tavolo rettangolare di legno, sul quale erano stati posati due bottiglie di liquore e diversi bicchieri di vetro. San si diresse verso il fondo, dove giaceva una scrivania scura — l'unico mobile presente nella stanza — e alzò lo sguardo verso l'uomo seduto davanti a se con le braccia sul tavolo. Egli indossava un completo gessato viola con la camicia bianca e la cravatta nera; inoltre, stringeva una sigaretta spenta tra le labbra.
«Buongiorno, capo» disse Yeosang facendo sedere il ragazzo «questo è Choi Jongho, l'autista di cui vi abbiamo parlato» l'uomo grugnì. «E questo» prese a dire Yeosang guardando Jongho «è Kim Hongjoong...il Don.»
Il ragazzo restò in silenzio per qualche secondo, troppo sotto pressione per rispondere. Il Don lo guardò fitto negli occhi, in attesa di ascoltare la voce del ragazzino che aveva salvato i suoi migliori uomini da un inseguimento. Quando fu evidente che egli non avesse alcuna intenzione di rispondere, San decise di prendere in mano la situazione: «è stato picchiato dagli uomini di Seonghwa, capo.»
«Mi hanno sfasciato il motorio» mormorò Jongho prendendo coraggio.
«Lo hanno picchiato perché ci aveva aiutato...» Yeosang cercò di prendere le sue difese ma il Don alzò una mano per zittirlo
«Tu...» si rivolse al ragazzo «confermi quello che dicono loro due?» Jongho annuì e il Don sorrise. «Ascolta, ragazzo: di solito non faccio favoritismi ma visto che sei finito nei guai per averci aiutato a portare a termine una missione – per la quale sei già stato ricompensato – posso concederti un piccolo prestito per il tuo motorino.»
«Ma io non voglio un prestito, signore» rispose Jongho alzandosi in piedi «Io voglio fare il culo a quei bastardi che me l'hanno distrutto e so che voi potreste aiutarmi a trovarli.» Alle sue parole, San e Yeosang scoppiarono a ridere.
«Avete sentito?» chiese loro Hongjoong sarcastico. «Il ragazzo vuole scendere in campo!» Jongho deglutì e abbassò lo sguardo. «Ma se proprio ci tieni a vendicarti, posso dirti di un magazzino dove Park Seonghwa custodisce con avarizia le proprie collezioni. Il tuo unico compito sarà quello di andare lì e creare un po' di panico...capito?»
«Si, signore.» Jongho alzò il capo di scatto e annuì. «Grazie.» aggiunse prima di inchinarsi al suo cospetto. Il Don ghignò e ordinò a Yeosang di accompagnarlo nel luogo stabilito.
«Al tuo ritorno, discuteremo del tuo futuro nella nostra famiglia.»
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﹔ ﹒⇆﹐author's note 🧺﹒
Buona vigilia!! Come state? Vi è piaciuto il capitolo? Sono un sacco contenta di come è venuto e spero con tutto il cuore che anche voi lo abbiate apprezzato.
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Buon Natale !!
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