Capitolo 2

Una leggera brezza soffiava sui loro corpi posti uno davanti all'altro, ma non era invadente e tutto ciò che faceva era sfiorare appena i loro capelli in modo da muoverli in una danza piena di elegante armonia.

Davanti a lei, una figura ferma e austera la fissava seria da sotto l'ombra delle nerissime ciocche che gli ricadevano sulla fronte adombrandogli lo sguardo. Esse venivano impercettibilmente scosse dal leggero alito di vento e lasciavano intravedere un'occhiata placida e quieta nonostante l'austerità.

Althea guardò dritto dentro i suoi occhi e non vi trovò il viola ametista che aveva visto in precedenza, né il rosso vermiglio che tanto l'aveva spaventata; solo un profondo e intenso blu cielo, che riusciva quasi a penetrarle l'anima.

Un senso di familiarità la spingeva verso quel ragazzo, con il quale sentiva di avere qualcosa in comune, ma nell'attimo esatto in cui riuscì finalmente a fare un passo e toccarlo, lui si dissolse come fumo sotto le sue dita.

Di fronte a lei non rimase che un'infinita landa desolata.


«Althea!»

Un sensazione fastidiosa la colse di soppiatto quando si rese conto che c'era qualcuno a disturbarla. Mugugnò parole incomprensibili coprendosi la testa con il lenzuolo.

Socchiuse gli occhi nel momento in cui si sentì chiamare ancora. Avvertiva le palpebre pesanti, che non volevano saperne di alzarsi, come se avesse dormito troppo poco. Si guardò intorno spaesata e lo sguardo le ricadde sull'orologio che stava accanto al comodino. Erano le sette e un quarto.

Il suo nome provenne di nuovo dall'altra parte della porta, stavolta insieme a qualche colpo secco.

«Isaac?» domandò ormai sveglia, riconoscendolo immediatamente.

Sentì un sospiro ovattato. «Tua madre mi ha chiesto di venirti a svegliare perché sapeva che non ce l'avresti fatta da sola.» C'era una punta di ilarità nella sua voce che la diceva lunga.

Fece per chiederne il motivo, ma immediatamente la sua mente si fece più lucida quando si ricordò che quel giorno iniziava la scuola. Nonostante ciò, gonfiò le guance con orgoglio e rispose quasi tagliente. «Mi sarei svegliata da sola di qui a poco.»

Per tutta risposta ricevette solo una risata che sottolineava la poca veridicità di quelle parole.

Lasciò perdere l'eccessivo umorismo mattutino del ragazzo e si preparò in breve tempo. Sua madre aveva ragione, anche se non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce: le sarebbe stato difficile svegliarsi, specialmente con il sogno che stava facendo. Il volto del ragazzo che aveva cercato di aggredirla al mare la perseguitava tutte le notti da quando l'aveva incontrato, più di due settimane prima, e sua madre Nicole si era accorta del sonno disturbato che non le permetteva di dormire bene.

Ciononostante, la donna era incapace di aiutarla nelle condizioni in cui si trovava. O almeno, non come era abituata a fare. Da quando il marito era venuto a mancare, tempo in cui Althea aveva soltanto otto anni, Nicole aveva lavorato sodo per garantire alla figlia una vita migliore e spesso si assentava da casa, troppo impegnata in viaggi di lavoro con la sua compagnia di volo. Althea le era davvero grata per l'immensa quantità di doveri di cui si era fatta carico, ma se non avesse saputo che lo faceva anche per evitare di pensare a come erano andate le cose – a come la loro famiglia si era lentamente sgretolata senza la presenza e il sostegno di una figura paterna – le avrebbe chiesto di smettere. Avrebbero potuto benissimo arrangiarsi.

Ritrovarsi all'improvviso senza più un padre e con una madre sempre fuori casa era stato doloroso da sopportare. C'erano stati momenti in cui la lontananza di Nicole le era pesata parecchio, specialmente i primi tempi. Ormai ci aveva fatto l'abitudine, ma a volte le sarebbe piaciuto averla accanto, anche soltanto per un po' di supporto.

Ovviamente non le aveva detto nulla in merito all'accaduto. Non ne aveva parlato molto nemmeno con il suo ragazzo, in realtà. Passato il primo giorno, durante il quale Isaac avrebbe voluto denunciare il tipo alla polizia, avevano entrambi evitato di affrontare l'argomento dopo che lei lo aveva convinto a non fare quella mossa. Avrebbe dovuto confessare di aver usato un'arma, seppur per difesa, e ci sarebbe andato di mezzo anche lui.

«Sei ancora lì?» venne chiamata, una decina di minuti più tardi.

Sospirò, il sonno non del tutto scomparso, e finalmente uscì dal bagno. Il ragazzo la illuminò subito con uno dei suoi sorrisi migliori, che da qualche giorno a questa parte le rivolgeva più di frequente. Forse non si era affatto lasciato la vicenda alle spalle, era evidente che tutti e due continuavano a pensarci e – più che altro – a fare finta di non pensarci.

Gli andò incontro e lui la circondò con le braccia muscolose e forti, regalandole uno dei suoi baci mozzafiato. Quando si distanziò, il suo viso scorse verso il basso e con il naso le accarezzò il collo.

Althea si irrigidì impercettibilmente. Erano mesi che stava insieme ad Isaac, eppure non aveva avuto ancora il coraggio di approfondire i loro gesti d'affetto, anche se spesso lui provava a tagliare tale distanza con atteggiamenti simili, mute proposte che finora era stata in grado di rifiutare, seppur con un po' di fatica.

Non aveva idea di cosa fosse l'amore e non sapeva se provava qualcosa per lui. Gli voleva bene, questo era certo, e ogni volta rimaneva incantata dal suo fisico asciutto e dalle luccicanti e chiarissime iridi che ricordavano il mare, o dalla carnagione abbronzata da surfista. Però era ben lontana da considerarlo un sentimento così profondo come l'amore, o almeno credeva.

«È tardi» disse quando vide che lui non voleva fermarsi.

Lo sentì sospirare contro la propria pelle e poi allontanarsi per guardarla negli occhi. Le porse una muta domanda che lei ignorò volutamente, poi distolse lo sguardo.

Neanche dieci minuti dopo erano davanti alla scuola. L'avevano raggiunta in macchina anche se Althea ci abitava molto vicina.

«Non c'era bisogno che mi accompagnassi, davvero.»

Isaac aveva due anni più di lei e frequentava già l'università. Quella mattina non aveva corsi, ma non aveva esitato a svegliarsi presto per lei.

Quando lo vedeva compiere gesti simili il suo cuore si scaldava giusto per un attimo e si dava della stupida per avere così tanti dubbi su cosa provava per lui, poi però ripensava a tutte le sue insistenze degli ultimi mesi e le incertezze tornavano ad assalirla, complici anche i commenti taglienti che la sua migliore amica faceva su quel ragazzo. Non le era mai andato a genio, fin dai primi tempi in cui si erano conosciute, alle medie, ma lei cercava spesso di non farsi condizionare troppo dalla lingua lunga di Miriam.

«È un piacere» le sorrise lui. «Torno a prenderti per le due» promise.

Althea scosse rapidamente la testa. «Hai lezione alle due e mezza. Vacci con calma, non ho bisogno dell'autista.» Rispose al suo sorriso e alla fine insistette per rivedersi l'indomani. Prese lo zaino e si diresse di corsa all'interno, dove recuperò l'orario e poi raggiunse la propria classe.

Molti dei vecchi compagni la salutarono, ma perlopiù passò indisturbata tra i banchi dell'aula quando l'attraversò per raggiungere il posto dove era consueta stare. Non aveva incontrato Miriam perché si era attardata troppo con Isaac, ma decise che l'avrebbe salutata all'ora di pranzo, tanto si erano viste per un'uscita giusto qualche giorno prima. Invece il suo sguardo intercettò quello della terza del loro trio, Julia, che subito si alzò dal posto che aveva occupato accanto al suo ragazzo Rick e la salutò calorosamente.

«Althea! Oh, ma sei un disastro... guarda qua! Nemmeno il primo giorno riesci a svegliarti puntuale, eh?» Senza domandarle il permesso, le passò le dita tra le ciocche dorate per cercare di districarle. Effettivamente, non aveva prestato troppa cura al suo aspetto, e non per via del poco tempo a disposizione – non le avrebbe mai detto che si era svegliata solo grazie ad Isaac –, bensì per via dei suoi capelli, che erano così sottili da annodarsi con una facilità sorprendente, tanto che ormai aveva gettato la spugna

Mentre si lasciava sistemare l'indomabile chioma per quanto l'amica, dal canto suo perfetta, potesse, rivolse un cenno di saluto all'onnipresente Rick. Erano pochi mesi che i due stavano insieme, ma sembravano molto affiatati e Julia ne parlava come se dovessero sposarsi da un momento all'altro.

Althea focalizzò lo sguardo sul viso dell'amica, come sempre truccato in modo che lei non sarebbe mai riuscita a replicare, ed emise una smorfia quando si sentì tirare particolarmente una ciocca.

«Ora basta» si lamentò, anche se sapeva che non sarebbe servito a niente. Era già tanto non esser stata ripresa per la sua incapacità naturale che l'aveva portata col tempo a evitare il più flebile strato di trucco: durante il primo tentativo di coprirsi i pochi difetti sul viso col fondotinta seguendo un tutorial su internet, aveva fatto un disastro, ritrovandosi con l'incarnato mezzo arancione. A quel punto aveva deciso che non faceva per lei.

Finalmente venne liberata con un sorriso, quindi ricambiò prima di voltarsi per raggiungere il proprio banco. Poggiò le proprie cose al suo solitario posto senza preoccuparsi di cercarne uno libero vicino a qualche conoscente, poi sospirò. Era stanchissima e la giornata non era praticamente cominciata. Quel sogno che da un po' di notti aveva preso l'abitudine di farle visita le stava sconvolgendo le giornate. Ogni volta si risvegliava con i capelli biondi appiccicati al volto, segno che si era agitata nel sonno, e una pesante sensazione di stanchezza, come se quella strana visione onirica le avesse rubato il riposo.

La classe si riempì lentamente, e con altrettanta calma i suoi occhi si chiusero. Perse così tanto la percezione del suo corpo che a stento si accorse del viso che gradualmente le scivolava via dalle mani che lo reggevano. Ritornò in sé giusto un attimo prima di picchiare la testa sul banco, appoggiando la guancia contro la superficie fresca e liscia.

Solo finché non arriva la prof, si disse, poi il chiacchiericcio di sottofondo divenne come una ninnananna e infine sparì totalmente.


Un fruscio la ridestò. Un odore sconosciuto ma al contempo familiare arrivò a riempirle le narici ancor prima che si svegliasse del tutto. Era una fragranza che ricordava di aver già percepito, ma non dove né quando.

Con un braccio intorpidito per via del fatto che ci aveva dormito sopra, aprì piano gli occhi, mentre la classe prendeva forma davanti ai suoi sensi appena attivati.

Non credette a ciò che le si definì di fronte. Sto sognando, pensò. D'altronde, aveva immaginato quel giovane così tante volte che questa poteva essere l'ennesima. Eppure, l'ambiente dietro di lui era proprio l'aula in cui si era addormentata, non c'era traccia della vuota distesa onirica che aveva sempre popolato i sogni riguardanti quel ragazzo.

Scrutò con attenzione il suo profilo delicato, a tratti angelico. Non riusciva a credere che un viso tanto dolce avesse potuto compiere quegli atti atroci, ma se gli guardava il naso delicato poteva immaginarlo imbrattato da sangue scuro e denso, per non parlare del suo addome. Più volte nelle scorse settimane si era domandata a cosa avesse portato il gesto senza pietà di Isaac, ma non aveva trovato una risposta, anzi, non aveva voluto trovarla.

E ora lui era lì accanto a lei, vivo e vegeto e a quanto pareva in buone condizioni, mentre l'ultima volta che l'aveva visto era inginocchiato in una pozza del suo stesso sangue.

Spostò lo sguardo sui suoi occhi, di un blu così intenso che la destabilizzò. Era lo stesso color zaffiro che aveva visto in sogno, eppure poteva giurare che in precedenza avevano assunto delle sfumature di colore totalmente diverso. Per non parlare di quel rosso sanguigno, al quale non voleva proprio pensare... non sapeva dargli una spiegazione, ma di certo non aveva avuto le traveggole.

Le iridi azzurrine erano puntate in avanti, verso quella che doveva essere la professoressa. Althea era stata così assorbita dal giovane che non si era mossa, né aveva potuto riflettere su qualsiasi altra cosa. Che ci faceva lui lì? Dopo tutto quello che era successo, il fatto che l'aveva rintracciata tanto facilmente, e che le sedeva accanto come se nulla fosse, non poteva essere una casualità! Che volesse vendicarsi per la ferita subita? Magari voleva rapirla, o peggio... forse ucciderla? Il pensiero, mai nato prima d'ora nella sua mente, la fece sudare freddo. Si impose di stare calma e non saltare a conclusioni affrettate. Non aveva mai fatto niente di male – a parte il gesto sconsiderato che aveva compiuto il suo ragazzo, ma quello non era imputabile a lei – e non c'era nessuno motivo al mondo per cui potesse volerla morta.

Forse vedeva troppi film d'azione, si disse. Doveva controllare l'agitazione e ragionare. Lui non si era ancora accorto di lei, quindi ne approfittò per continuare a studiarlo. Sembrava vagamente a disagio, come se si trovasse lì controvoglia o per sbaglio. Come se non avesse studiato un piano folle per farle del male. Le dita affusolate poggiate sul banco gli tremavano a malapena, forse in preda a un'ansia che voleva nascondere. Ricordò come l'aveva trovato quel giorno e rivalutò l'idea che soffrisse di qualche disturbo mentale.

Per prima cosa le venne in mente di usare il cellulare per chiamare Isaac e chiedergli aiuto. Era a scuola, ma sapeva che non si sarebbe fatto fermare da delle formalità pur di saperla in salvo. Un attimo dopo, però, scartò quell'opzione. Era in classe, sotto la sorveglianza di una professoressa e altri ventidue paia di occhi, quindi non avrebbe corso pericoli. Si disse che per il momento poteva anche prendersi la briga di rimanere a guardare e provare a soddisfare quella curiosità che, volente o nolente, iniziava a espandersi in lei. Doveva sapere cosa le stava accadendo intorno. Non c'era nulla di normale in tutto quello e, sebbene il cervello le suggerisse – anzi, le urlasse – di rimanere lontana da quella faccenda inspiegabile, una parte di lei voleva scoprirne di più.

«Althea Heleen, se permetti, gradirei che non dormissi durante la mia lezione, perlopiù il primo giorno» venne richiamata di punto in bianco.

Saltò letteralmente sulla propria sedia, ricomponendosi davanti alle parole taglienti della professoressa Stark. «N-non stavo dormendo» provò a giustificarsi, ma con la coda dell'occhio vide il suo nuovo vicino irrigidirsi e venne distratta dal suo movimento improvviso.

«Credi che io sia cieca, Althea? Non prenderti gioco di me, nella tua posizione dovresti stare più attenta degli altri.»

Ingoiò la risposta che la sua bocca aveva formulato in automatico ed emise involontariamente una smorfia. La prof. aveva ragione, era un'inguaribile nullafacente e aveva fin troppo lavoro da fare. Proprio in una situazione come la sua avrebbe dovuto studiare come una forsennata, sia a casa che a scuola.

L'anno precedente aveva avuto un malore che i medici non erano riusciti a identificare, e questo le era costato assenze dagli studi per diversi mesi. Quando finalmente era guarita, l'anno era quasi finito, e il dirigente scolastico, dopo i vari certificati ricevuti, aveva accettato di promuoverla a una sola condizione: avrebbe dovuto recuperare il programma perso con un test all'inizio dell'anno seguente. Era per questo che le sue ultime settimane avrebbero dovuto essere votate all'insegna dello studio per recuperare quello che mancava, ma ciò che era accaduto al mare l'aveva distratta, e ormai il suo tempo era agli sgoccioli.

La donna fece per proseguire, ma la ragazza, pallida, la interruppe. «Prof., io...» provò a dire, tornando immediatamente al problema attuale che più le premeva. Avrebbe voluto chiedere un cambio di posto, ma la Stark la interruppe con un'espressione stufa.

«Il discorso è chiuso» fece irremovibile, e lei fu costretta a rimanere con la bocca chiusa.

Non provò nemmeno a insistere. Il fatto di esser stata beccata a sonnecchiare le aveva fatto perdere punti, e ora avrebbe ricevuto di sicuro una risposta negativa.

Ormai sconfitta, si voltò verso il banco dietro e incrociò lo sguardo di Julia. La ragazza le spalancò teatralmente gli occhi e poi li alzò al cielo, come per dire che era ora che si girasse. Subito dopo le indicò con un cenno il ragazzo al suo fianco ed emise un sorrisetto malizioso.

Althea non riuscì a contenere un'espressione sorpresa nel vedere per la prima volta come il resto del mondo reagiva in base alla presenza dello sconosciuto. Si diede un'occhiata intorno e notò che molte ragazze fissavano il nuovo arrivato, ricolme di desiderio e malizia. Era davvero attraente? Per qualche motivo, guardarlo sotto quel punto di vista le era impossibile: non riusciva a non pensare a come lo aveva lasciato l'ultima volta.

Sbuffò, sentendosi per un momento incompresa. Le altre persone non avevano idea di cosa celava quella persona, ecco perché si interessavano tanto a lui. Non se l'era sentita di espandere la faccenda alle sue amiche, nemmeno a Miriam, che di lei sapeva praticamente ogni cosa. Aver omesso la verità la fece sentire sola adesso, non aveva nessuno con cui sfogare le proprie paure, e parlarne così all'improvviso era fuori discussione.

Spostò di nuovo gli occhi sul ragazzo. Fissava tanto intensamente la sua matita che per un attimo Althea si convinse che avrebbe potuto incenerirla con lo sguardo mentre se la rigirava tra le dita facendola roteare tra il pollice e l'indice. Le sopracciglia aggrottate erano segno che stava pensando a qualcosa di spiacevole. I capelli scurissimi e spettinati gli ricadevano in piccole ciocche sulla fronte, lasciandoli in un'ombra che lo faceva apparire ancora più misterioso. Non aveva detto nulla da quando si era svegliata, sembrava quasi fingere di non vederla.

Tutt'a un tratto, il tizio si voltò nella sua direzione, come richiamato anche lui da un bisogno di guardarla e assicurarsi che fosse lei. Althea non fece in tempo a distogliere lo sguardo e si ritrovò catapultata in quell'azzurro senza fine che, contro ogni previsione, era così chiaro e intenso.

Imbarazzata, si girò verso il muro che aveva a sinistra, sentendo le guance in fiamme. Come si permetteva a guardarla in quel modo, come se niente fosse? Come se non si fossero incontrati nemmeno tre settimane prima e lui l'avesse assalita senza preavviso mentre cercava di aiutarlo? Irrimediabilmente ripensò a quel giorno e per la prima volta non si focalizzò sulle azioni di lui che tanto l'avevano spaventata, bensì su ciò che le aveva detto all'inizio. Non ci aveva mai pensato, ma effettivamente lui le aveva suggerito di andarsene. Per quale motivo?

Nonostante tutti quei pensieri confusi, capì presto che un comportamento difensivo non sarebbe servito a nulla, quindi si girò ancora e partì all'attacco.

«Senti,» iniziò, non avendo la più pallida idea di dove avesse trovato il coraggio per rivolgergli le seguenti parole così all'improvviso, «non so se sei una specie di stalker maniaco e psicopatico, non so nemmeno bene che cosa sia successo quella volta, ma ti consiglio di starmi lontano. Forse non hai capito a cosa sei scampato per un pelo, e ti assicuro che non avrai una seconda opportunità» minacciò a bassa voce per non farsi sentire da nessuno.

Lui la guardò con aria stupita e tutta l'innocenza del mondo, così tanta che Althea non fu in grado di ricollegare quell'espressione da cane bastonato a quella del minaccioso individuo alla spiaggia. Lo vide comunque irrigidirsi come se lei gli avesse puntato una pistola alla tempia, e non poté fare altro che fissarlo allibita. Adesso era pure ferito dal suo discorso?

«Vai a quel paese» concluse, non sentendolo parlare, e si voltò di nuovo dall'altra parte per evitarlo.

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