Capitolo undicesimo


Vi fu un lampo, più abbagliante degli altri, e poi un frastuono che rimbombò tutt'intorno, così vicino da far gridare qualcuno per lo spavento. Persino Marinette sobbalzò, rompendo l'incanto di quel momento. Intenerito da quella reazione, Adrien l'abbracciò del tutto e lasciò che lei trovasse conforto contro di lui. Non gli importava più di nulla, solo di proteggerla. Quanto a Marinette, invece, si stava semplicemente lasciando guidare dall'istinto: era consapevole che quelle premure da parte del giovane non nascondevano alcun secondo fine, e per quanto lei sapesse che era inutile continuare a sperare, sentiva di aver bisogno di quell'abbraccio, della sua vicinanza, del suo odore, delle sue mani e del suo respiro fra i capelli. Se non altro, si disse col cuore che pesava quanto un macigno, le sarebbe rimasto quell'unico, meraviglioso ricordo di un amore mai nato.

   Quando la pioggia iniziò a scemare ed i tuoni ad allontanarsi di nuovo, un altro lampo li investì. Non si trattava di un fenomeno atmosferico, questa volta, bensì del flash di un cellulare. Fu Adrien ad accorgersene per primo e quando capì cosa stava accadendo, fu costretto ad allentare la presa attorno al corpo di Marinette. «Vieni», le disse in tono gentile, sfilandosi la giacca impermeabile e ponendola sopra le teste di entrambi. «Aggrappati a me e sta' attenta a dove metti i piedi, il terreno sarà sicuramente scivoloso a causa della pioggia.»

   Lei obbedì senza porsi domande, del tutto in balia dei sentimenti. Non si era aspettata quel risvolto, per nulla. Avrebbe giurato che quel giorno non sarebbe capitato niente di tutto quello, e invece... invece aveva avuto quasi la sensazione che Adrien fosse sul punto di dirle qualcosa di importante, qualcosa che lei aveva letto nei suoi occhi e che tuttavia strideva fortemente con quelle maledette parole che il giovane le aveva rivelato il giorno addietro: Sono innamorato di un'altra. Marinette sapeva che lui non era tipo da giocare con i sentimenti degli altri, eppure quel suo comportamento contraddittorio la mandava più in confusione di quanto già non fosse.

   «Ci hanno fotografati», le rivelò quando furono di nuovo sul ponte, ancora stretti l'uno all'altra. «Mi dispiace. Ti sto coinvolgendo di nuovo.»

   Il tono della sua voce era così atipico, così estraneo, che Marinette si interrogò sullo stato d'animo del giovane. «Non mi interessa», trovò la forza per ribattere. «Se per te non è un problema, allora non lo è neanche per me.» Si stava esponendo troppo? O Adrien, come al solito, non avrebbe colto la sfumatura implicita di quelle parole?

   Lui rimase in silenzio per qualche attimo, proseguendo insieme a lei con passo lento e cadenzato lungo il ponte. Poi ammise: «Non è per me che mi preoccupo, te l'ho detto.»

   «Le tue fan...» cominciò allora la ragazza, cercando di girarci intorno. «Forse loro potrebbero prendersela e la tua popolarità potrebbe risentirne.»

   «Nessuna di loro prova sentimenti autentici per me.»

   «Ti sbagli.»

   Lo aveva detto? Sì, lo aveva fatto. Un'ondata di calore invase entrambi, costringendoli ad evitare qualunque contatto visivo. Marinette sapeva di aver parlato troppo, soprattutto perché aveva capito quanto fosse inutile continuare a sperare; eppure rimaneva quell'attimo, quel momento vissuto lassù, nel tempio, in cui aveva avvertito qualcosa di molto profondo e coinvolgente, qualcosa che aveva indotto lo stesso Adrien a perdersi nei suoi occhi. D'altro canto, il giovane non sapeva esattamente come interpretare quelle parole: era consapevole che Marinette amava qualcuno, ma ignorava l'identità di questa persona. Di chi stava parlando, ora? Di qualche sua amica o, piuttosto, di se stessa?

   Quell'ipotesi gli provocò un brivido caldo all'altezza del petto, facendogli battere il cuore più di quanto fosse lecito in compagnia di una semplice amica. Che ne era di Ladybug?, domandò a se stesso, sentendo la bocca farsi arida e la mente offuscata da una confusione di cui non conosceva l'origine – o forse sì, ma preferiva ignorarla. Plagg aveva ragione. Nino aveva ragione. Tutti avevano dannatamente ragione.

   La suoneria del suo cellulare ancora una volta interruppe un momento prezioso. E forse, come il giorno addietro, era meglio così. «Scusa», balbettò con voce provata, mentre recuperava il telefonino dalla tasca e osservava sul display il nome e la foto di suo padre. Avrebbe potuto usare quella scusa per non affrontare la realtà, ma preferì rifiutare la chiamata e spegnere del tutto lo smartphone, lasciando stupita la sua accompagnatrice.

   «Non voglio che ti cacci nei guai...» pigolò lei, dispiaciuta per quella situazione.

   «Non voglio lasciarti così, non ora», le rispose Adrien, mettendo via il cellulare e tornando a coprirsi meglio con la giacca. «Ti avevo chiesto di uscire con me per diverse ragioni», confessò infine facendosi coraggio. «Prima fra tutte, risollevarti il morale.» E allo sguardo interrogativo di lei, riprese: «Sono due giorni che non sorridi. Non di cuore.» Marinette avvertì le lacrime salire a bagnarle le ciglia: quel ragazzo l'avrebbe fatta morire, prima o poi. Non poteva pretendere di non farla innamorare sempre più di sé, continuando a comportarsi in quel modo. «Se non vuoi confidarti con me, va bene. Solo... vorrei fare qualcosa per aiutarti.»

   Avanzò oltre il ponte tenendo lo sguardo basso, così da sfuggire a quello attento di lui. «A volte... ci sono cose che può risolvere soltanto il tempo.»

   Chi è, lui? Fu questa la domanda che salì alle labbra di Adrien e che lui trattenne a stento. Non poteva insistere, se Marinette non voleva parlarne. «In ogni caso, per favore, se c'è qualcosa che posso fare, dimmelo senza alcuna esitazione.»

   «Grazie...» mormorò lei con voce tremula. «Sei gentile.»

   «Ti voglio bene, è diverso.»

   Adrien avvertì la presa della ragazza farsi più forte, disperata attorno a lui. «Ti voglio bene anch'io. Tanto.»

   Percorsero il resto della strada in silenzio, sotto la pioggia che ora si era fatta sottile e quasi impalpabile, mentre ormai i tuoni e i lampi si erano allontanati. Quando giunsero nei pressi dell'ingresso del parco, scorsero la guardia del corpo del giovane che si guardava attorno con fare agitato, riparandosi sotto ad un grosso ombrello scuro e stringendo nell'altra mano il manico di un secondo paracqua di colore poco più chiaro. Sospirando, Adrien lanciò un ultimo sguardo all'amica, che lo fissò da sotto in su con il cuore colmo d'amore. Le sorrise con affetto. «Per oggi sono costretto a ritirarmi, ma sappi che non mi arrendo: riuscirò a restituirti il buon umore», le giurò con un candore tale che indusse Marinette ad innamorarsi perdutamente di lui per l'ennesima volta. Quella lealtà, quel coraggio, quell'amicizia incondizionata li conosceva bene: erano le stesse, meravigliose qualità che Chat Noir le aveva mostrato in più occasioni – sia che fosse Ladybug, sia che fosse Marinette. Era forse fuori luogo che le fosse venuto in mente lui proprio in quel momento?

   Non riuscendo più a comprendere neanche se stessa, benché, a dispetto di tutto, si sentisse comunque stranamente lucida, lasciò che Adrien la prendesse per mano e la conducesse via da lì per riaccompagnarla a casa.


«Cos'era, quello, mh?» gli domandò Plagg, riferendosi senza dubbio a quell'attimo infinito in cui lui e Marinette si erano persi l'uno negli occhi dell'altra, così vicini che i loro respiri si erano confusi in uno solo.

   Adrien si passò stancamente una mano sul volto. Si era già dovuto sorbire una ramanzina coi fiocchi da parte di suo padre, quando lo aveva visto rientrare zuppo come un pulcino. A quanto pareva, lo aveva fatto preoccupare di nuovo e, a suo dire, per correre dietro ad una ragazzina. Non era riuscito a ribattere a quell'accusa, limitandosi soltanto ad abbassare lo sguardo e a mormorare un semplice mi dispiace. Suo padre aveva sospirato e, stranamente, mandandolo in camera sua lo aveva fatto in tono quasi gentile. «So come ti senti», gli aveva detto quando Adrien gli era passato accanto. «Cerca solo di rimanere lucido, il più possibile.»

   Non si era aspettato affatto quel consiglio, non da lui, ma gliene era stato grato, tanto da alzare gli occhi sui suoi, incontrando uno sguardo carico di affetto e comprensione. Suo padre ci era passato per primo, giustamente. Forse proprio con sua madre. Era così evidente, allora? Tanto palese che persino un uomo tanto scostante e poco attento come lui si era reso conto di come stavano le cose?

   «Avevi il cuore che batteva all'impazzata», insistette Plagg, accucciato fra i cuscini in cerca di tepore, mentre il suo portatore riprendeva a sfregarsi un asciugamano fra i capelli bagnati.

   «Lo so.»

   «E sai anche che ti sarebbe bastato un minimo di coraggio in più, per conservare un ricordo ancora più prezioso di questo pomeriggio insieme alla tua bella?»

   D'istinto, il giovane si passò la punta della lingua sulle labbra, provando profonda vergogna per quanto aveva appena immaginato. Nascose il volto nel telo di spugna, fingendo di asciugare anche quello. «Non ho alcuna intenzione di approfittarmi della sua fragilità», chiarì in tono fermo. «Marinette è ferita, ha bisogno di tempo.»

   «Lo stesso che ti servirà per realizzare che ormai quella ragazzina ti ha rapito il cuore?»

   Sapeva che quella di Plagg non era davvero una provocazione, perciò non rispose e si limitò a riflettere sulle sue parole, concludendo con se stesso che rispondevano alla verità. Marinette gli piaceva. Molto. Forse anche più di quanto lui fosse disposto ad ammettere con se stesso. Ma doveva andare a fondo alla questione, doveva capire e comportarsi di conseguenza.

   Che ne era del suo amore per Ladybug? Era ancora lì? Sì, certo. Irremovibile. Grande. Splendente quanto lei. E irrealizzabile, ormai lo aveva compreso. Joël gli aveva chiesto se non fosse questa la ragione per cui adesso aveva spostato la propria attenzione su Marinette, e di nuovo Adrien non seppe trovare una risposta. Erano due sentimenti troppo diversi per metterli a confronto. Ladybug era la sua compagna, la sua complice, la sua luce – abbagliante al punto da fargli perdere la bussola. Marinette, invece, era anzitutto sua amica, buona e dolce. Entrambe erano leali, sincere, testarde e ingegnose. Si assomigliavano sotto diversi aspetti, a cominciare da quello fisico, e ancora una volta la mente di Adrien volò ai fiori che aveva visto a casa della sua compagna di classe e poi, di colpo, qualcosa lo risvegliò da quello stato confusionale.

   «E se...?» farfugliò a se stesso, sgranando gli occhi e volgendosi verso Plagg, quasi volesse inchiodarlo lì con il solo sguardo.

   «Cosa?» si allarmò il kwami, muovendosi sul posto con un certo nervosismo. Conosceva quell'espressione e sapeva che non prometteva nulla di buono.

   Avvolto nel suo accappatoio bianco, Adrien si diresse verso di lui con passo sicuro e si arrampicò sul letto con fare quasi felino, facendogli temere il peggio. L'ultima volta che gli aveva visto quel sorriso sulle labbra era stato quando aveva tentato di corromperlo con il camembert nel tentativo di scoprire quale fosse il segreto che Ladybug non poteva condividere con lui – cioè l'esistenza del guardiano dei miraculous. «Dimmi un po'...» cominciò in tono indagatorio. Plagg deglutì a vuoto, tentato di correre immediatamente a chiudersi in bagno, in compagnia dei suoi calzini sporchi. «Non ti sembra strano che ieri, quando ho trovato Marinette in lacrime, lei stesse piangendo per via del ragazzo che le piace?»

   La stava prendendo alla larga, ragionò fra sé il kwami, ma almeno finalmente Adrien sembrava esserci arrivato. «Anche tu hai spesso il muso lungo per le tue beghe amorose, sai?»

   Il giovane lo ignorò. «La vera domanda è: esattamente, quando avrebbe visto o sentito, questo fantomatico ragazzo, se era chiusa in casa per sfuggire all'attacco di Joël?»

   «Sei sicuro che fosse in casa?»

   «L'ho vista un attimo prima sul suo balcone», gli rammentò, certo di essere arrivato alla giusta conclusione. «Ciò significa soltanto una cosa», stabilì, la voce che vibrava per l'entusiasmo a stento trattenuto.

   «Che quel tipo le ha spezzato il cuore per telefono?»

   Adrien ebbe un attimo di esitazione, lasciando intuire che non aveva pensato a quell'eventualità. «Dannazione...» borbottò difatti, sedendo in mezzo al letto con le gambe incrociate ed intrecciando anche le braccia all'altezza del petto.

   Plagg lo fissò con circospezione: davvero era bastato così poco a smontare una qualsiasi sua teoria, qualunque essa fosse? «A cosa avevi pensato?»

   Sbuffando, l'altro si prese un attimo prima di rivelargli ogni cosa. «Forse... Forse è solo una fantasia dovuta alla speranza di non essere un maledetto doppiogiochista, ma... se a spezzare il cuore di Marinette fossi stato io?» La creaturina scrollò le orecchie a punta, facendosi attenta. «Senza averne l'intenzione, intendo... Perché... quello che mi ha detto oggi... è stato alquanto fraintendibile», stava continuando Adrien, ragionando fra sé riguardo all'intera faccenda. «Confesso di essere stato colto dal dubbio che Marinette stesse parlando di me. E di sé, quando ha accennato alle fan che provano dei sentimenti verso il loro idolo... Non che io ci creda, in realtà», ci tenne a precisare. «Voglio dire: una fan non può conoscerti davvero, perciò non può provare un amore sincero nei tuoi confronti, per quanto lei si illuda che le cose stiano così.»

   «Un'amica, invece...» gli diede man forte Plagg, arrendendosi all'idea che di lì a poco non avrebbe più potuto prenderlo troppo in giro per il suo scarso acume. D'altra parte, era un bel sospiro di sollievo sapere di non dovergli nascondere più troppe cose.

   «Esatto», convenne Adrien. «Marinette mi conosce sul serio, nel quotidiano. E anche se ci sono ancora diverse sfumature di me che ignora...»

   «Se non ti ha ancora mandato al diavolo per averla presa in giro riguardo a Chat Noir...»

   Si lasciò sfuggire un sorriso. «Sì, beh... direi che mi ha già perdonato, visto...» Visto il modo in cui si erano guardati e abbracciati nel tempio.

   «Non mi pare, però, che tu le abbia espressamente detto che sei innamorato di un'altra», si permise di obiettare il kwami, deciso a scoprire cosa Adrien avesse capito e cosa no.

   «L'ho fatto, invece», ammise lui, provando profondo rimorso per aver parlato troppo in quell'occasione. «Le ho detto chiaro e tondo che non ero innamorato di Marinette, ma di un'altra ragazza.»

   «Quando?»

   «Quando lei portava la maschera di Ladybug.»

   Seguì un attimo di silenzio. Poi con un nuovo, sonoro sbuffo, Adrien si lasciò cadere all'indietro, steso supino sul letto, l'accappatoio che ricadeva disordinato sul suo corpo ancora umido, gli occhi al soffitto. «O almeno... questo era quello di cui mi ero convinto prima che tu facessi crollare questo mio bel castello, insinuandomi il dubbio che Marinette avesse sentito il tipo che le piace per telefono...»

   Sentendosi vagamente in colpa per averlo portato fuori strada, Plagg gli si avvicinò e si posò sul materasso, accoccolandosi nell'incavo fra la spalla e il collo dell'amico. «Comunque stiano le cose», iniziò dopo qualche istante, «Marinette dev'esserci rimasta male: dopo la disavventura di ieri con Joël, non hai seguito il consiglio di Ladybug e non l'hai chiamata.»

   «Che senso aveva chiamare Marinette se il suo telef...» Interrompendosi di colpo, Adrien scattò a sedere di nuovo sul letto, gli occhi spalancati, le labbra schiuse: Alya non gli aveva forse detto che il telefono di Marinette era spento o qualcosa di simile? Forse la sua teoria restava ancora in piedi. Aveva solo bisogno di scoprire se era o non era lui il ragazzo che aveva spezzato il cuore della sua migliore amica.


Immersa nell'acqua fino al mento, Marinette si stava godendo tutto il tepore di quel bagno ristoratore. Ne aveva bisogno, e non soltanto per via della pioggia presa quel pomeriggio. Oltre al corpo, anche il suo animo necessitava di essere avvolto in quel calore confortante, ora che non poteva più contare sulle braccia accoglienti e protettive di Adrien. Adesso lo sapeva: era davvero lui, il ragazzo giusto. La mandava ancora in confusione, senza tuttavia annichilire le sue facoltà cerebrali. Qualcosa era cambiato e Marinette si era resa conto che a giovare era stata la disposizione mentale con cui lo aveva affrontato al parco. Si era imposta non già di soffocare i propri sentimenti, quanto di non farsi illusioni, di non crearsi false speranze, cercando di non travisare la naturale gentilezza del giovane e i suoi modi affettuosi.

   Ti voglio bene. Adrien glielo aveva detto davvero. Persino dopo che lei si era sbilanciata al punto da dirgli, indirettamente, che lo amava. Provava vergogna per ciò che gli aveva confessato? Un po', certo. Eppure Marinette sapeva di aver fatto la cosa giusta. Qualche rimpianto per quell'unico e forse ultimo abbraccio, lassù nel tempio dov'erano stati sorpresi da qualche curioso armato di cellulare? No, neanche uno. Se per Adrien non era un problema che la gente pensasse che erano una coppia, perché mai avrebbe dovuto esserlo per lei? Anzi, si ripeteva sentendosi vagamente egoista, preferiva che le fan di lui lo sapessero impegnato, così da non tentare approcci di nessun tipo. E poco importava che di sicuro l'indomani in classe li avrebbero riempiti di domande e che le urla di Chloé le avrebbero rintronato le orecchie: fingere di essere la dolce metà del ragazzo che amava era un palliativo non da poco per il suo povero cuore infranto.

   Un palliativo dannoso, però, le ripeteva la sua coscienza, che cercava di metterla all'erta su quanto quella situazione potesse essere pericolosa per il suo amor proprio. D'altro canto, anche se Adrien le aveva detto chiaro e tondo di essere innamorato di un'altra, quel pomeriggio si era smentito in modo abbastanza inequivocabile. Marinette cercava non darvi peso, abituata com'era a farsi inutili illusioni e a dover riconoscere sempre che il giovane non faceva mai niente con malizia; eppure dentro di lei qualcosa cercava di sgomitare, di farsi largo a viva forza per vincere quel pessimismo e urlare a squarciagola che sì, Adrien Agreste l'aveva guardata con gli occhi di un innamorato e che, soprattutto, era stato forse ad un passo dal baciarla.

   Il solo ricordo le faceva andare il viso in fiamme e ancora una volta Marinette lo scacciò via per autodifesa. Prese un bel respiro, trattenne il fiato e andò giù in apnea, rimanendo sott'acqua per diversi secondi prima di tornare a galla. Si passò le mani sulla testa, portandosi i capelli scuri all'indietro, e si stropicciò gli occhi, le ciglia imperlate d'acqua. Doveva smetterla di pensare ad un qualcosa che non era avvenuto e che forse non si sarebbe mai ripetuto. Se anche avesse avuto ragione, se davvero Adrien era il ragazzo giusto per lei, restava il fatto che il suo cuore apparteneva già ad un'altra. Ma a chi?

   Decisa a distrarsi, Marinette appoggiò le mani sui bordi della vasca e fece leva per sollevarsi. Quando fu fuori, avvolse attorno al corpo un morbido telo di spugna rosa e frizionò l'acqua che scivolava sulla pelle prima di cospargersi di olio profumato. Non era una ragazza vanitosa, ma le piaceva prendersi cura di sé almeno in parte. Aveva bisogno di coccolarsi, in quel momento, e quel piccolo vezzo forse l'avrebbe aiutata a sentirsi meglio.

   Uscì dal bagno con indosso il pigiama, benché fosse appena il tramonto, e i capelli caldi di phon che ricadevano morbidamente sulle spalle. Erano cresciuti e necessitavano di una spuntatina per rafforzarli un po'. Stava ragionando di questo, quando le diede voce Tikki – che, in attesa che lei tornasse in camera, si era divertita con un nuovo videogioco. «Va meglio?»

   Ricevette in cambio un sorriso affettuoso, ma non allegro. «Sì, anche se in realtà continuo a chiedermi che senso abbia avuto il suo comportamento di oggi, dopo quello che mi ha detto ieri.»

   «Forse, dopo aver parlato con Joël, Adrien si è reso conto che ciò che prova per te non è semplice amicizia.»

   «Oh, non illudermi, Tikki!» la implorò Marinette, andando a sedersi a cavalcioni sulla poltrona della scrivania e lasciando scivolare le rotelle fin quasi alla chaise longue, così da volgere lo sguardo oltre la finestra mentre abbracciava lo schienale della sedia. «Anche se fosse, il suo sarebbe un sentimento ancora acerbo, mentre il mio cuore esplode d'amore per lui!» esclamò a viva voce, enfatizzando il concetto con un'espressione buffa e agitando le mani davanti a sé.

   «Potrebbe comunque essere un buon punto di partenza, no?» la incoraggiò l'altra, andandole vicina.

   La ragazza le sorrise di nuovo, questa volta con maggior convinzione. «Sì, se fosse vero», precisò per non illudersi troppo. «Ad ogni modo», ricominciò tornando a scrutare oltre i vetri della finestra, «non credo che lo scoprir...» S'interruppe bruscamente quando scorse una sagoma scura saettare all'esterno. L'aveva forse immaginata? No, affatto, perché un rumore sordo proveniente dal soffitto la mise ulteriormente sul chi va là. «Tikki, nasconditi, presto!»

   Il kwami scattò nella sua direzione, andando a nascondersi fra i suoi capelli sciolti e Marinette si affrettò ad arrampicarsi su per il soppalco.


Atterrando sul suo balcone fra mille schizzi d'acqua dovuti alla pioggia che era caduta su Parigi fino ad una manciata di minuti prima, Chat Noir si rammaricò di non aver potuto avvisare la sua amica per quella visita improvvisa. Aveva tuttavia un'ottima scusa per giustificare la sua presenza lì, perciò fu con passo sicuro che raggiunse la finestra che portava di sotto, pronto a bussare per palesarsi alla ragazza. Quest'ultima, però, lo anticipò di un soffio, aprendo di scatto la botola a vetri e dandogliela sul mento con un colpo secco. Adrien soffocò un'imprecazione e Marinette gridò per lui. «Oddio, mi dispiace!»

   Possibile che quella ragazzina così imbranata fosse davvero l'ineffabile Ladybug?! Il giovane per un attimo venne colto dall'incertezza, ma quando alzò lo sguardo su di lei, che si era precipitata al suo fianco per accertarsi che non si fosse fatto troppo male, ogni dubbio fu dissolto. I suoi occhi – quei grandi occhi azzurri che lo avevano ipnotizzato sotto la pioggia – splendevano di sincera preoccupazione per lui. Non più di un paio d'ore prima, Marinette gli aveva rivelato che poteva vantarsi dell'amicizia di Chat Noir, e alla luce dell'intuizione di lui, tutto ora aveva senso.

   Le sorrise con amore. «Non temere», iniziò poi, spavaldo. «Oltre che superforti e superfighi, noi supereroi siamo anche superindistruttibili

   Vide la ragazza assumere un'espressione dapprima sorpresa, poi quasi divertita. «Credevo di averti fatto tranciare la lingua fra i denti.»

   Touché, pensò il giovane, ridendo. «Avresti reso felice la mia partner, suppongo.»

   «Esagerato...» sospirò Marinette. Per quanto a volte potesse trovare molesto quel gattino dalle buffe orecchie a punta, mai gli avrebbe augurato una cosa del genere.

   «Scusa se sono venuto senza preavviso», riprese lui, scrutandola con curiosità crescente: vederla con i capelli sciolti costituiva un'autentica novità. Alle narici gli arrivava il profumo dolce della sua pelle, una fragranza che, ci faceva caso solo ora, aveva sentito già altre volte quando era con lei... o con Ladybug. Represse l'istinto di sfiorarle il viso con una carezza e si concentrò su quello che doveva dirle. «Visto ciò che è successo ieri, volevo sapere come stai.»

   Ancora una volta Marinette avvertì un piacevole calore al petto: amava Adrien, certo, ma in un modo o nell'altro Chat Noir avrebbe avuto per sempre un posto speciale nel suo cuore. «Entra», disse senza esitare. «Qui fuori è troppo umido per parlare.»

   Non appena furono di sotto, gli occhi del giovane scivolarono istintivamente ai fiori che lei teneva ancora sulla mensola dietro al letto. Prima di tornare lì, Adrien aveva pensato bene di fare una piccola ricerca online, venendo a conoscenza di un modo interessante per conservare i fiori il più a lungo possibile: la cera. Ecco perché gli erano parsi quasi di plastica, perché probabilmente Marinette li aveva immersi nella cera per preservarli dallo scorrere del tempo. Spostò la propria attenzione sulle foto che ancora adornavano le pareti della stanza e si affacciò oltre il parapetto del soppalco. «Che gatto curioso...» lo prese in giro la ragazza, osservando i suoi movimenti.

   «Mi chiedevo...» cominciò allora lui, fingendo disinteresse. «Hai ancora tutte le foto di quel modello... Adrien, giusto?» chiese, scoccandole un'occhiata come se volesse essere sicuro di aver detto il nome corretto. Non era molto onesto, ne era consapevole, ma doveva capire. Se Marinette gli avesse lasciato intendere di essere innamorata di lui, cos'avrebbe fatto? Sarebbe riuscito a rimanere impassibile? Anche nel caso lei non fosse stata Ladybug? Ecco un'altra cosa di cui avrebbe fatto meglio ad accertarsi il prima possibile. «Ecco, pensavo che...»

   «Perché avrei dovuto toglierle?» lo anticipò lei, non capendo esattamente dove volesse arrivare. Soprattutto, il perché di quella curiosità. A meno che, come già aveva fatto Jagged Stone, Chat Noir non fosse arrivato alla conclusione che lei fosse innamorata di Adrien. Se così fosse stato, per quanto si fidasse di lui, Marinette avrebbe negato fino alla morte. Insomma, era una questione troppo personale, e già aveva provato abbastanza imbarazzo a parlarne con Alya e le altre loro amiche. Discuterne con un ragazzo sarebbe stato troppo, anche nel caso di Chat Noir – che era, in fin dei conti, la persona di cui lei si fidava di più in assoluto.

   «Non hai paura che qualcuno possa equivocare ancora?»

   «Non è un mio problema», ribatté, intrecciando le braccia al petto e cercando di capire dove l'altro volesse arrivare.

   «Giusto», le concesse il giovane, assecondandola e scrutandola negli occhi. Ormai ne era diventato dipendente, maledizione. E no, non soltanto perché gli ricordavano quelli di Ladybug, tutt'altro. Erano stati proprio quelli di Marinette ad ammaliarlo al punto da farlo quasi crollare, rischiando di cedere all'istinto fino in fondo e di commettere una vera e propria imprudenza: baciare una ragazza che forse non era innamorata di lui. «Dopotutto, sei pur sempre una sua fan.»

   «Non sono soltanto una sua fan.»

   Quelle parole ebbero l'inaspettato potere di fargli fremere il cuore. Trattenne il fiato, mentre osservava le labbra di Marinette, le stesse che lo avevano attirato quel pomeriggio e che ora tornavano a schiudersi per aggiungere qualcosa. Lo avrebbe detto, infine? Gli avrebbe rivelato l'identità del suo grande amore?

   «Adrien è anche un mio carissimo amico.»

   Faceva male, dannazione, adesso lo capiva anche lui. Non si sarebbe arreso, però, altrimenti quella notte non avrebbe chiuso occhio, arrovellandosi il cervello fino all'alba – e oltre.

   «Sai che ero qui, quando successe tutto quel patatrac durante la diretta televisiva?» continuò, convinto così di coglierla in fallo, dal momento che Marinette sembrava non essersi meravigliata troppo del fatto che lui fosse a conoscenza delle foto.

   «Lo so», rispose difatti lei, serafica. Chat Noir fu sul punto di gridare vittoria, quando la sua amica aggiunse: «Mi ero nascosta in bagno. Sai, non sono un cuor di leone. E poi non volevo intralciare te e Ladybug durante la battaglia.»

   Masticando di nuovo un'imprecazione silenziosa, Adrien tornò a sedere sul letto con cipiglio visibilmente corrucciato: Marinette gli stava dicendo la verità oppure lo stava sviando, come aveva già fatto Plagg con le sue osservazioni apparentemente innocenti? Rimaneva però il fatto che il giovane avesse incontrato proprio lei dal Maestro Fu, quando aveva perso il suo kwami; e sempre lì, in sua presenza, gli era stato restituito. Plagg, dopotutto, aveva raccontato di essere stato con Ladybug, perciò... Senza rendersene conto, i suoi occhi vagarono di nuovo per la camera, questa volta alla ricerca di Tikki. Era lì con loro? Li stava osservando?

   «Tutto bene?» si sentì chiedere dopo qualche istante.

   Inarcando la bocca in un sorriso soddisfatto, Chat Noir si rivolse nuovamente alla sua bella e annuì con vigore. «In realtà è da te che vorrei saperlo. Ieri eri inconsolabile, mentre oggi sembra che tu stia meglio.»

   «È così, infatti», ammise la ragazza, scostandosi i capelli dal viso. Avvertì una vaga sensazione di solletico lungo la schiena, segno che Tikki doveva esser scivolata giù, forse per nascondersi altrove.

   «Cos'è successo di così bello, mh?» Adrien lo sapeva. Si rendeva perfettamente conto che stava giocando sporco, ma – diamine! – forse la persona della quale si era invaghito era anche quella di cui era innamorato e lui doveva scoprirlo o avrebbe finito per impazzire del tutto!

   Evitando il suo sguardo per l'imbarazzo, Marinette sperò con tutta se stessa di non essere, come al solito, un libro aperto. Non riguardo ai suoi sentimenti per Adrien, perché erano immancabilmente quelli a tradirla un po' con tutti, a cominciare dai suoi genitori. Cos'avrebbe dovuto rispondere, ora, a Chat Noir? Che il ragazzo che amava più di chiunque altro al mondo le aveva chiesto un appuntamento – perché, sotto sotto, si era rivelato in parte tale – e l'aveva abbracciata con trasporto dopo essere stato sul punto di baciarla? In verità, Marinette non era del tutto certa che fosse quella, l'intenzione di Adrien. Anzi, cercava persino di negarlo a se stessa per non rimanerci troppo male quando, l'indomani, lo avrebbe rivisto a scuola e tutto sarebbe tornato come prima. Eppure il suo cuore continuava a battere a quel ricordo e lei fu costretta ad abbassare il viso per non mostrare al giovane davanti a sé il rossore che di certo le aveva imporporato le guance.

   «In realtà nulla di che», borbottò, stringendosi nelle spalle.

   L'altro quasi ci rimase male, ma non demorse, soprattutto per via dell'atteggiamento vergognoso di lei. C'era sicuramente un pensiero che continuava a tormentarla, facendola arrossire in modo delizioso. Dunque, concluse con se stesso Adrien, che Marinette fosse o meno innamorata di lui, di sicuro non era rimasta indifferente a quanto accaduto quel pomeriggio, sul belvedere. «In ogni caso», rispose con voce bassa e calda, «sei tornata a sorridere e tanto mi basta.»

   Fu il turno della ragazza, ora, di trattenere il respiro: sia Adrien che Chat Noir tenevano molto a lei, era un dato di fatto. Ed entrambi volevano sincerarsi che stesse bene e che il suo buonumore non fosse mai compromesso. «Grazie ancora. Per ieri... e per oggi.»

   Per un attimo lui temette che Marinette lo avesse scoperto, che avesse capito che sotto la maschera si nascondeva Adrien; poi comprese che lei si stava soltanto riferendo a quella sua visita e tirò un sospiro di sollievo. Aveva così tanta paura di essere colto in fallo? Sì, da lei sì. Perché non voleva in alcun modo farle un torto. Marinette – Ladybug? – era preziosa come poche altre cose al mondo e Adrien voleva proteggerla, non farle del male.

    Sorrise, convenendo fra sé e sé che per quel giorno poteva bastare. Aveva fatto delle domande e aveva ottenuto delle risposte. Marinette era intelligente ed era stata abile a depistarlo. E lui non avrebbe insistito. Andava bene così. Uno a uno, palla al centro. «Spero di non doverti mai più vedere in lacrime come ieri», le disse soltanto, in tono dolce, osservandola come se fosse stata l'ultima volta, quasi volesse memorizzarne ogni dettaglio per conservarne il ricordo durante le ore che lo avrebbero separato da lei fino al prossimo incontro. «Scusa l'intrusione, tolgo il disturbo.»

   Non attese risposta e saltò semplicemente verso la finestra in alto, pronto ad andar via. Quando però le sue mani si aggrapparono al bordo dell'apertura, scivolarono a causa della pioggia e lui crollò di nuovo giù, travolgendo la sua amica e schiacciandola sotto al suo peso. Mortificato per quanto accaduto, si tirò subito su, puntellandosi sui gomiti, e si accertò che lei stesse bene. A rispondergli furono gli occhi di Marinette, che lo fissavano sorpresi e lucidi, proprio come avevano fatto sotto la pioggia, e Adrien non poté far altro che provare le stesse, identiche sensazioni che lo avevano assalito lassù, sul belvedere. Erano state profetiche, proprio come la sibilla a cui era stato dedicato il tempio sotto al quale per una frazione di secondo era stato tentato di baciare la ragazza che era con lui. Di nuovo il suo sguardo fu calamitato dalle labbra di lei, schiuse come un bocciolo di rosa, e sicuramente morbide come il corpo che avvertiva sotto di sé. Adrien si domandò con disperata curiosità, il cuore che batteva fin dentro le orecchie, cosa sarebbe accaduto se lui avesse avuto il coraggio di compiere quel gesto, di baciarla proprio come avrebbe voluto fare ora. Marinette avrebbe ricambiato?

   Nel tempio, forse, concluse fra sé quando lei si riebbe dalla sorpresa e gli rivolse un'espressione stizzita e quasi oltraggiata, proprio come quelle che di solito gli faceva dono Ladybug. Marinette forse era innamorata di Adrien, di certo non di Chat Noir. «Stai comodo, chaton

   «Confesso di sì», ebbe la faccia tosta di ammettere lui, un sorriso da schiaffi ad abbellirgli il volto mascherato, benché dentro di sé sentisse bruciare la sconfitta: Marinette sarebbe mai stata in grado di amarlo davvero, al di là del suo bell'aspetto e dei suoi modi gentili? Perché Adrien era quello e molto altro, e in parte glielo aveva già dimostrato. Non le concesse il tempo di ribattere, perché subito si rialzò, lasciandola libera di muoversi. «Il balcone è tutto bagnato per la pioggia», spiegò a mo' di giustificazione, volgendo lo sguardo di sopra. «Starò più attento, promesso», continuò poi, tornado a rivolgerle la propria attenzione.

   «Sarà meglio per te», scherzò lei con voce incerta, tirandosi su a sua volta. Possibile che quel disgraziato riuscisse sempre ad arrivarle così vicino, anche quando lei non portava la maschera di Ladybug? Era una fortuna che, a dispetto della situazione imbarazzante in cui si erano appena trovati per puro caso, Chat Noir fosse comunque fedele ai propri sentimenti. Fu questo che si disse Marinette, sebbene avvertisse il cuore battere forte in petto a causa di uno strano, inspiegabile déjà-vu: il respiro di Adrien sul viso, i suoi penetranti occhi verdi e il calore del suo corpo contro il proprio erano ancora un ricordo troppo vivido. Al punto da travolgerla ancora come fosse stato una burrasca di fuoco, provocandole un lungo brivido caldo ed una grande vergogna. Come il sogno in cui Chat Noir aveva preso il posto di Adrien e l'aveva baciata.

   Notando il suo disagio, benché non potesse comprenderne la vera ragione, il giovane si ritrasse ulteriormente: aveva fatto abbastanza danni, per quel giorno. Marinette aveva bisogno di tempo e, a dire il vero, ne aveva bisogno anche lui. «Alla prossima», la salutò con voce allegra, deciso a non lasciarla prima di averle strappato un ultimo sorriso. Quando lei sollevò di nuovo il volto nella sua direzione, Chat Noir le strizzò l'occhio. «Chiamami, se hai bisogno di un supermacho che consoli il tuo cuore infranto.»

   «Sparisci, prima che chiami Ladybug e le dica che sei un damerino da strapazzo», ribatté lei, non riuscendo a trattenere una risata perché conscia che quel disgraziato la stesse solo prendendo in giro.

   «Ai tuoi ordini», disse lui, portandosi l'indice e il medio della mano destra alla tempia giusto un attimo prima di balzare fuori da lì.




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Ed eccomi qui dopo... non so più quanto tempo. Lasciamo perdere cosa non è successo nelle ultime settimane, è meglio. 'Sta fanfiction sembra un parto e non perché particolarmente complicata, quanto proprio per la mancanza di tempo a mia disposizione (e, come già detto a qualcuno, quando c'è il tempo, spesso ci si mettono di mezzo gli imprevisti o l'influenza). Ora però sono qui, con il capitolo dicassette ormai concluso e con un altro paio al massimo da scrivere (epilogo compreso). Insomma, devo solo tirare le somme di quanto raccontato fino ad ora. :3
Scusandomi come sempre per i ritardi, e con la speranza che questa storia non vi deluda fino alla fine, vi auguro un buon inizio di settimana!
Shainareth



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