Capitolo quarto
Adrien non aveva esagerato a definire monsieur Vincent un perfezionista. Benché lo avesse già intuito quando l'uomo era stato convocato dal preside della scuola per le foto di classe, Marinette adesso non poteva che averne conferma, vedendolo armeggiare più volte con l'attrezzatura e borbottare fra sé in italiano, forse persino in dialetto stretto. Sembrava non essere mai soddisfatto dei risultati ottenuti e passava minuti interi a studiare un'angolazione o il punto esatto in cui era meglio far spostare Adrien. La cosa più ammirevole di tutte, comunque, era proprio il ragazzo che, con grande professionalità ed infinita pazienza, sopportava quella tortura, rimanendo immobile secondo le direttive del fotografo e non manifestando veri e propri cenni di stanchezza. Di tanto in tanto, però, Marinette lo sorprendeva a sbirciare nella sua direzione, quasi volesse assicurarsi che fosse lì o addirittura scusarsi per la lunga attesa. A lei comunque non importava, perché poterlo contemplare così da vicino mentre era sul set era stato fino a quel momento uno dei suoi più grandi desideri – come fan. Si era lasciata persino andare ad un paio di squittii che soltanto Tikki, per fortuna, era riuscita a sentire.
«Guaglioncella, vieni qua», si sentì chiamare all'improvviso da monsieur Vincent, ancora intento a fissare Adrien attraverso l'obiettivo della macchina fotografica.
Marinette sobbalzò. «Dice a me?»
«No, al gorilla che vi siete portati appresso», ribatté l'altro senza curarsi di nascondere il tono sarcastico. «Vieni qui, mettiti accanto al nostro raggio di sole dagli occhi verdi. Non mi svenire, però.»
«Monsieur Vincent, la prego...» sospirò Adrien, mortificato per il modo in cui l'uomo continuava a rivolgersi a Marinette. Conoscendolo, era ben consapevole che il suo fosse solo un modo per scherzare, ma temeva che la sua amica potesse prenderla a male e magari decidere di piantarli in asso e tornarsene a casa da sola – dopotutto non era un mistero, per lui, che Marinette avesse il suo bel caratterino... bastava vedere come si rapportava spesso con Chloé.
I timori del giovane si placarono quando la ragazza avanzò nella sua direzione, ponendosi accanto a lui pur con cipiglio imbronciato e braccia conserte. «Così va bene?» domandò con voce infastidita.
Monsieur Vincent le fece cenno di avvicinarsi ancora al suo amico. «Fermi così», disse poi, continuando ad osservarli da dietro l'obiettivo. «Guardatevi.» I due obbedirono e fu allora che Adrien iniziò a scrutare la sua compagna con curiosità crescente: Marinette non voleva saperne di abbandonare l'espressione indispettita e questa per lui era una novità. «Adrien, dille di sorridere o qua facciamo notte.»
«Ti tratta sempre come una marionetta?» borbottò la ragazza, non volendo saperne di abbandonare il broncio.
Il giovane si strinse nelle spalle. «Benvenuta nel mio mondo... Non è esaltante come te l'eri immaginata, vero?» rispose con aria rassegnata, l'ombra di un sorriso in volto che nascondeva una verità ben diversa. La colpì dritta al cuore, lasciandole un senso di solitudine e smarrimento. «Ti spiacerebbe?» domandò poi, occhieggiando verso il fotografo affinché lei comprendesse. «Non vedo l'ora di finire. Ho una voglia matta di arrampicarmi fino al tempio insieme a te.»
Bastò quello per far recuperare a Marinette il sorriso sulle labbra, un'espressione per nulla ostentata che non nascondeva la gioia di essere lì con lui in quel momento. «A che servo, io?» s'incuriosì qualche istante dopo, mentre monsieur Vincent faceva alcuni scatti di prova. «Sarai tu a fare il servizio fotografico.»
«Monsieur Agreste vorrebbe affiancargli una modella», rivelò il fotografo, lasciando entrambi meravigliati per quell'informazione, sconosciuta persino allo stesso Adrien. «Servirà per il lancio di una nuova linea di abbigliamento femminile.»
L'orrore dipinto sul viso di Marinette dovette essere piuttosto evidente, perché l'uomo la riprese di nuovo, chiedendole di assumere un'espressione meno raccapricciante. «Quale modella?!» non si trattenne dal chiedere invece la ragazza, che proprio non riusciva a celare il disappunto causato da quella terribile notizia. Adrien avrebbe posato con una ragazza – una bella ragazza – e magari sarebbe rimasto in sua compagnia per intere ore, in chissà quali pose che avrebbero finito per togliere il sonno a tutte le sue fan. A cominciare da lei. No, non poteva reggere ad una simile notizia.
«Puoi farti venire un colpo mentre guardi il tuo amichetto?» volle sapere monsieur Vincent, stufo che lei non fosse capace di stare ferma un momento.
Marinette tornò a fissare Adrien, questa volta con uno sguardo talmente penetrante che sembrò volergli trapassare il cranio da parte a parte. «Che c'è...?» osò domandare lui, sentendo un non ben definito brivido sinistro percorrergli la schiena.
«Niente», fu la lapidaria, fredda e definitiva risposta di lei.
Il giovane si sentì gelare senza una ragione apparente: perché aveva la sensazione che in realtà la parola pronunciata da Marinette volesse dire tutto? Fu di nuovo monsieur Vincent a svelare l'arcano. «Voi donne, con i vostri niente, prima o poi ci farete secchi...»
«Le spiacerebbe non origliare i nostri discorsi?» ribatté la ragazza, ormai stizzita oltre ogni dire. Anche e soprattutto perché non era arrabbiata con Adrien, ma per la situazione in sé.
L'uomo finalmente tornò a guardarla senza l'ausilio dell'obiettivo e, raddrizzandosi sulla schiena, mise le mani sulle anche. «Guaglioncella, non l'hai ancora capito dove voglio andare a parare?» E poiché per una volta lei rimase in silenzio, l'altro ne approfittò per spiegare: «Messi l'uno accanto all'altra, voi due siete dolci come 'nu babà!» E, nel dirlo, si portò la punta delle dita alla bocca, stampandoci su un bacio per rimarcare il concetto.
«Che ha detto?» s'incuriosì Adrien, non ricevendo tuttavia risposta perché Marinette era troppo presa dall'ascoltare quel che monsieur Vincent stava continuando a dire.
«Anche se sei un po' tappetta, sei abbastanza graziosa per posare accanto al nostro Adrien. Lasciatelo dire da uno che se ne intende, sono anni che faccio questo mestiere. La mia intenzione è quella di chiedere a monsieur Agreste di farti fare da testimonial femminile per il lancio della nuova linea. Ammesso che tu sia d'accordo e ottenga il permesso dei tuoi genitori, certo.»
«Sarebbe magnifico!» esclamò d'istinto Adrien, troppo felice per contenere l'entusiasmo che gli provocò quella proposta. Si voltò subito verso Marinette. «Mio padre ti aveva già scelta per il videoclip di Clara Nightingale, ricordi? Sono sicuro che non avrà nulla da ridire!»
Stordita da quella rivelazione, la ragazza temette di svenire da un momento all'altro: avrebbe potuto posare con Adrien. Ufficialmente. Avrebbe potuto appendere in camera nuove foto, che ritraevano entrambi, insieme. Soprattutto, avrebbe avuto il permesso di stargli vicino – e magari toccarlo – senza che nessuno le dicesse nulla. Era morta e finita in paradiso? O forse era solo un bellissimo sogno?
Come un fulmine a ciel sereno, quella sua gioia interiore fu polverizzata da una consapevolezza che non solo era dettata dalla sua innata insicurezza, ma che per di più non aveva ragione di esistere. «Non posso farlo...» farfugliò a mezza voce, abbassando lo sguardo e portandosi le mani al viso. «Non sono all'altezza di Adrien...» Questi aggrottò la fronte e schiuse la bocca per manifestare il proprio dissenso al riguardo, ma Marinette lo anticipò. «Se posassi con lui, finirei per fargli fare una pessima figura. Magari finirei persino per perdere l'equilibrio e cadergli addosso, schiacciandolo e rompendogli un braccio. O il naso!» esclamò così all'improvviso che il giovane sussultò e fece un passo indietro, quasi spaventato. «Sarebbe orribile! Lo sfigurerei per sempre e lui dovrebbe dire addio alla sua brillante carriera di modello e finirebbe in miseria!» concluse il suo monologo la ragazza, le mani nei capelli ed un'espressione in volto che ricordava quella delle antiche maschere greche della tragedia.
«Più che la modella, dovrebbe fare l'attrice...» ponderò il fotografo, godendosi quello spettacolo gratuito e domandandosi come riuscisse, quella testolina tanto graziosa, a partorire simili catastrofi. «Le donne e il loro ottimismo cronico...»
«Marinette», la richiamò invece Adrien, trattenendo a stento una risata e andandole vicino. Le posò una mano sulla spalla e lei parve almeno abbandonare quelle drammatiche fantasie sulla sorte dell'amico. «Sono sicuro che non accadrà nulla di tutto questo.»
La ragazza lo fissò da sotto in su con due occhioni lucidi e preoccupati che gli sciolsero il cuore. «Ma sono così maldestra...»
«Basterà fare un po' di attenzione», la incoraggiò ancora il giovane. «E poi», aggiunse con un occhiolino, «esiste sempre la rinoplastica.» Riuscì a strapparle un sorriso e capì di averla quasi convinta. «Mi piacerebbe molto lavorare con te. Sono sicuro che sarai all'altezza della situazione.»
Arrossendo per quell'incoraggiamento insperato, la ragazza rilassò finalmente i muscoli del corpo e abbandonò ogni remora al riguardo: come poteva contraddire Adrien o, peggio, deludere le sue aspettative? Aveva fiducia in lei e la riteneva alla sua altezza, e questo era sufficiente per impegnarsi a dare il meglio di sé.
«Me lo fai un sorriso, adesso?» le chiese monsieur Vincent, questa volta in tono quasi paterno. Marinette schiuse le labbra, esibendosi nella più luminosa delle espressioni di gioia che avrebbe mai potuto regalare ad un obiettivo fotografico. «Aggio salvato o' matrimonio...» mormorò con un sospiro soddisfatto l'uomo, tornando al proprio lavoro senza che nessuno capisse ciò che aveva appena detto.
L'ora successiva passò velocemente per tutti, questa volta, e né Adrien né Marinette perse più il sorriso, seguendo senza il minimo cenno di stanchezza le direttive dell'ormai amatissimo monsieur Vincent. Quando quest'ultimo decise che aveva fatto abbastanza provini, stabilì anche che voleva andare a caccia di nuovi scorci da utilizzare per il set fotografico che avrebbe proposto a monsieur Agreste. Chiese perciò alla guardia del corpo di Adrien la cortesia di fargli da assistente. L'omone, silenzioso come al solito, lanciò un'occhiata preoccupata al proprio protetto, che subito lo rassicurò. «Giuro solennemente che non mi caccerò nei guai», dichiarò, tracciandosi con fare plateale una croce sul cuore. «Io e Marinette ci limiteremo a fare un giro nel parco. In caso di bisogno, non esiterò ad usare il cellulare.» Non finì di dirlo, che l'altro gli mostrò il proprio, con tanto di applicazione per il rilevamento della sua posizione tramite GPS. Adrien sospirò sconsolato. «Se può farvi stare più tranquilli...»
Per la seconda volta, quella mattina, Marinette provò un vago senso di disagio nei suoi confronti. Da fan non ci aveva mai pensato, ma da amica a volte sì e questo le stringeva il cuore: Adrien era cresciuto in una gabbia dorata e non aveva mai davvero avuto la libertà di fare ciò che voleva. Suo padre – e a quanto pare non soltanto lui – aveva il pieno controllo della sua vita, anche per le cose più insignificanti, al punto che davvero dava l'impressione di trattare il proprio figlio come un burattino. Ciò nonostante, Adrien non si perdeva d'animo ed era sempre pronto a regalarle un sorriso, proprio come in quel momento, gli occhi che brillavano d'entusiasmo all'idea di potersi concedere un po' di sano divertimento. «Partiamo all'avventura?»
Come avrebbe potuto dirgli di no? Ricambiando il sorriso con tenerezza, Marinette annuì. «Ti avverto: sono una gran fifona.»
«Tu?» Il giovane rise, scuotendo il capo con fare scettico. «Non me la bevo», aggiunse, iniziando a dirigersi verso la sponda del lago. «Sei molto più forte di quanto voglia far credere.»
Davvero Adrien aveva questa opinione di lei? Rinfrancata da quelle parole, la ragazza scattò dietro di lui, affiancandolo lungo il sentiero che li avrebbe portati al belvedere. «Finché non ti viene voglia di cercare i cunicoli sotterranei, possiamo andare dove vuoi.»
«Mi hai dato un'idea.»
«Oh, ti prego, no!» esclamò con foga, portando le braccia in alto con una teatralità tale che Adrien scoppiò di nuovo a ridere. Marinette si inebriò di quel suono e si sentì orgogliosa di essere riuscita ancora una volta a renderlo felice. Per quanto le apparenze potessero ingannare, Adrien andava protetto. No, non per mezzo di una semplice guardia del corpo, quanto da tutto ciò che potesse minare il suo buon umore o uccidere la sua meravigliosa e contagiosa voglia di vivere.
Il parco era splendido, quella mattina, complici anche un clima mite ed un'aria fresca che rinvigoriva non poco chiunque si trovasse nei paraggi. I prati erano affollati e la gente si era spinta fin sulla riva del lago, godendo così del tepore dei raggi del sole che si rifrangevano sull'acqua creando un meraviglioso spettacolo di luce. Pur tentato di avventurarsi sul lungo ponte sospeso che collegava una sponda del lago all'altura su cui sorgeva il tempio, Adrien suggerì all'amica di usare la scala scavata nella roccia per raggiungere il belvedere. Lungo il cammino, non si risparmiò però di raccontarle che l'altro ponte, quello sul quale sarebbero passati di lì a poco, pur essendo più breve, portava tuttavia un nome poco rassicurante: pont des Suicidés.
«Oggi hai deciso di spaventarmi a morte, ammettilo», borbottò Marinette, che ancora faticava ad abituarsi al lato dispettoso del suo carattere. Era però contenta che Adrien si sentisse finalmente disinibito, con lei, al punto da non nasconderle i propri difetti. «Dimmi tutto ora, così almeno dopo sarò libera di rilassarmi. Forse.»
«Al di là delle leggende», la rassicurò allora il giovane, divertito dalle sue espressioni buffe, «questo parco è stato costruito in una zona in cui venivano giustiziati i criminali. Fu Napoléon III a volerlo e fu inaugurato durante gli ultimi anni del suo regno.»
«Mi sembra incredibile che un parco tanto bello e ricco di poesia sorga in un posto impregnato di morte...»
«Non è da escludere che questo sia uno dei motivi per cui viene ritenuto un luogo esoterico.»
«Tu ci credi?» domandò dopo diversi minuti Marinette, quando ormai erano quasi a metà del ponte. «Alle leggende, intendo.» Forse Adrien l'avrebbe presa per sciocca, per quella curiosità, e probabilmente lei stessa sarebbe stata la prima a dubitare della veridicità di tutte quelle storie se non avesse vissuto sulla propria pelle quella ben più antica dei miraculous – uno dei quali portava ai lobi delle orecchie.
Il giovane rallentò il passo fino a fermarsi accanto al parapetto, dal quale si affacciò per ammirare il panorama. «In realtà, qualche dubbio ce l'ho», ammise, anche a costo di sembrare sciocco a sua volta. «Insomma, in un mondo in cui esistono i supereroi e la magia dei miraculous, forse non tutte le leggende sono prive di fondamento.»
«Lo credo anch'io», disse Marinette, affiancandosi a lui ancora una volta e scostandosi dagli occhi la frangia scompigliata dal vento che soffiava più forte a quell'altezza. «Non che la cosa mi riempia di gioia, ovviamente», aggiunse poi, strappandogli l'ennesimo sorriso della giornata.
Non riuscirono a proseguire il discorso, però, perché tra la folla che li circondava si iniziò a sentire un vociare concitato. I due ragazzi portarono la propria attenzione più avanti, lì dove sembrava ci fosse una certa agitazione. D'istinto, entrambi irrigidirono le membra: che fosse un attacco da parte di uno degli akumizzati di Papillon? Ciò che accadde poco dopo li smentì appieno.
Sfuggendo alla presa di chi cercava di fermarlo, un giovane si arrampicò lesto sulla rete di protezione con un'agilità fuori dal comune e la scavalcò. Urla di terrore si levarono nell'intera area circostante, ma l'aspirante suicida rimase ben ancorato alla recinzione, sia pure dalla parte che dava sul vuoto e che, se avesse lasciato la presa, gli avrebbe assicurato un volo fatale di oltre venti metri.
Inconsciamente, Marinette si aggrappò al braccio di Adrien, che a sua volta le prese la mano, gli occhi puntati sulla terribile scena. Dovevano fare qualcosa, pensarono all'unisono i due ragazzini, certi che ormai solo i supereroi di Parigi avrebbero potuto salvare la situazione. Senza neanche darsi voce, scattarono entrambi dalla parte opposta a quella in cui la gente si era ammassata, incontrando tuttavia una folla non meno numerosa sul loro cammino. Si scontrarono più volte con gli altri visitatori e finirono per perdersi di vista.
Poco male, pensò Marinette, pur con un nodo alla bocca dello stomaco. Adrien era in gamba, se la sarebbe cavata da solo e sicuramente la sua guardia del corpo sarebbe accorsa in suo aiuto il prima possibile nel caso gli fosse capitato qualcosa. Adesso, però, lei aveva ben altre priorità: una vita sospesa nel vuoto, letteralmente. Corse tra la folla, ma uno spintone le fece perdere l'equilibrio e lei si ritrovò bocconi a terra. Si coprì istintivamente la testa con le mani per paura di essere calpestata e cercò di rimettersi in piedi il prima possibile, ma quando il suo sguardo si posò sulla borsetta per assicurarsi che Tikki fosse tutta intera, il suo cuore perse un battito: la tracollina era aperta e, peggio ancora, vuota. Dev'essere rotolata via nella caduta!
Disperata, Marinette iniziò a cercare freneticamente il suo kwami, tastando il suolo lì dove i suoi occhi non riuscivano ad arrivare a causa delle innumerevoli persone che continuavano ad avvicinarsi al luogo del tentato suicidio. «Tikki!» si lasciò scappare di bocca ad un certo punto, temendo seriamente per la vita della sua amica. Poi, quando davvero ormai cominciava a temere di non fare più in tempo ad intervenire per portare in salvo quel giovane desideroso di lanciarsi nel vuoto, si rese conto che le forze dell'ordine stavano accorrendo numerose, sia sul ponte che di sotto, almeno a sentire le voci che le arrivavano alle orecchie. Rassicurata almeno in parte, si concentrò maggiormente sulla ricerca del suo kwami, e solo dopo diversi istanti, che a lei parvero interminabili, le sue dita toccarono qualcosa di piccolo e caldo che le si avvinghiò alla mano. Con la speranza che si trattasse di Tikki e non di un topo, la ragazza afferrò la creaturina e se la portò al petto, nascondendola alla vista di chiunque si trovasse nei paraggi. Quindi, riuscendo a farsi largo una volta per tutte tra la moltitudine di avventori, e mentre alle sue spalle si levava un applauso che stava probabilmente ad indicare che l'aspirante suicida era stato infine tratto in salvo, Marinette si defilò fra una macchia d'alberi.
Arrestò il passo solo quando fu al riparo di un grosso tronco e, lasciandosi scivolare di schiena lungo la corteccia, si concesse un lungo sospiro di sollievo. Infine, schiuse le mani e abbassò lo sguardo, rimanendo tuttavia di sasso quando si accorse che quella che aveva protetto non era affatto Tikki, bensì una creaturina nera, dalle orecchie a punta e due brillanti occhi verdi. «Ehm...» iniziò quella con espressione vagamente preoccupata. «Kwami sbagliato, temo.»
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Puntuale come promesso, ecco il primo aggiornamento di agosto!
Immagino sarete un po' tutti in vacanza (beati voi), ma qui si continua a lavorare e a scrivere! Al momento sono alle prese con il capitolo undicesimo, ma spero di cuore di non arrivare a superare in lunghezza Limiti, ché però è stata una fanfiction molto più difficile da scrivere. Oddio, anche questa sotto diversi aspetti mi sta facendo dannare, soprattutto se si tiene conto del fatto che l'ho iniziata quasi tre mesi fa e ancora non riesco a portarla a termine (per mancanza di tempo, più che altro).
A parte questo, voglio ringraziare di cuore tutti voi che, in barba al solleone e al caldo torrido, siete qui a leggere queste righe. Augurandovi buone vacanze ed un buon Ferragosto, vi do appuntamento fra due settimane!
Buona giornata! ♥
Shainareth
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