Capitolo ottavo
Un tuffo al cuore. Fu questo che la ragazza avvertì, provando immediato sollievo alla crudele, eppure innocente, stilettata che Adrien le aveva inconsapevolmente inflitto pochi minuti prima. E mentre il loro nemico tornava alla carica e Chat Noir parava e rispondeva ai suoi colpi, strinse il proprio yo-yo nel palmo della mano e lo lanciò per aria. «Lucky Charm!» Richiamando il suo potere speciale, si ritrovò fra le mani un pattino a rotelle, rosso a pois neri. Era un modello vecchio, non di quelli con le ruote in linea al centro della suola, bensì uno di quelli che andavano di gran moda quando lei non era ancora nata. «Cosa diamine...?» balbettò, rigirandosi l'oggetto tra le dita.
Un'imprecazione soffocata a stento riportò la sua attenzione sullo scontro: Chat Noir aveva avuto la meglio ed era riuscito a disarmare l'avversario. Rapida, Ladybug si precipitò a raccogliere la spada, l'afferrò con entrambe le mani e, facendo leva sul ginocchio, la spezzò in due convinta che in quel modo avrebbe liberato l'akuma che teneva prigioniera la mente del giovane. Non fu così, e quella scoperta la disorientò solo per un attimo, poiché subito le tornò alla mente ciò che ancora reggeva per le cinghie di cuoio: il pattino.
«Me la pagherai, maledetto randagio!» reclamò vendetta il moschettiere, dirigendosi verso un dissuasore di delimitazione che si trovava al bordo della strada in cui si trovavano a combattere. Lo divelse con una facilità mostruosa e si adattò presto ad utilizzarlo come nuova arma.
Quella sì che avrebbe fatto male, pensò Marinette, temendo il peggio per il proprio amico dalle orecchie a punta. Si guardò attorno, alla ricerca di una soluzione che le avrebbe consentito di aiutare il proprio compagno, già pronto a respingere il nuovo attacco. Si trattò infine di semplice tempistica, oltre che di quella grande fortuna che mai le mancava in battaglia: guidata come sempre dall'intuito, spinse al suolo il pattino in direzione del duello che stava avvenendo poco distante da lei. Le rotelle scivolarono sull'asfalto e pochi istanti dopo la suola dello stivale del moschettiere calpestò l'oggetto creato dalla magia del Lucky Charm e lui sdrucciolò rovinosamente all'indietro, come nelle migliori comiche del cinema muto.
Chat Noir strinse le spalle e incassò la testa nel collo, chiuse un occhio e serrò i denti, provando dolore per lui. Ladybug invece non ebbe pietà e si mantenne lucida; ciò le consentì di notare finalmente qualcosa che, altrimenti, le sarebbe stato impossibile vedere. «Guarda!»
Anche il suo compagno lo vide e subito saltò sull'avversario con fare felino, strappandogli dalla cintola quella che, a tutta prima, sembrava una scarsella, nascosta alla vista per colpa della cappa azzurra – ora sollevatasi nella caduta. Si allontanò con una serie di balzi e l'aprì, trovandovi all'interno una copia de Les trois mousquetaires, di Alexandre Dumas. Senza perdere tempo, richiamò il proprio potere distruttivo e lo incanalò nelle dita della mano destra che, posandosi sulla copertina del libro, lo ridussero in polvere. L'akuma s'involò nell'aria, ma solo per pochi secondi, poiché lo yo-yo di Ladybug subito la inghiottì, purificandola e rendendola libera per davvero.
La trasformazione del moschettiere si sciolse e i due poterono infine capire di chi si trattava: Joël, un ragazzo della loro stessa età con la passione della scherma e dei romanzi di cappa e spada. Gli si fecero vicino e, dal momento che il miraculous di Ladybug aveva risistemato tutto ciò che era andato distrutto durante lo scontro, Chat Noir recuperò la copia de Les trois mousquetaires e gliela porse. «Tutto bene?» domandò con quel suo tono di voce gentile e rassicurante che faceva bene al cuore.
Joël rimase spaesato per qualche attimo. «Che...?»
«Piccola disavventura con Papillon», gli spiegò l'eroe, accucciandosi davanti a lui. «Nulla che non sia già stato risolto, tranquillo.»
«Siete stati voi due a salvarmi?» cercò di capirci qualcosa l'altro, vedendo Ladybug avvicinarsi a loro con fare discreto.
«Credo che la maggior parte del merito vada a Chat Noir», rispose lei, posando una mano sulla spalla del compagno. «Ben fatto», gli disse con dolcezza, guardandolo negli occhi con riconoscenza. Senza che lui potesse immaginarlo, quel giorno non aveva soltanto salvato quel ragazzo, ma aveva fatto molto di più, tamponando il dolore che lei avvertiva ancora nel profondo del cuore.
«Non ce l'avrei comunque fatta senza di te», le assicurò il giovane, sorridendole felice.
«Adrien!» esclamò Joël, come se si fosse appena ricordato della sua esistenza. Chat Noir sussultò, ma poté tirare un sospiro di sollievo quando il ragazzo continuò a parlare. «Non gli ho fatto del male, vero?» domandò spaventato.
«È al sicuro, sta' tranquillo.»
«Meno male...» mormorò, mostrando sincero dispiacere per quanto accaduto. «È che...»
«Ehi, non importa», cercò di scuoterlo Chat Noir, tirandolo su di morale. «Sono certo che Adrien non ce l'ha con te. I momenti no capitano a tutti», gli assicurò, strizzandogli l'occhio. Ricevette un sorriso colmo di gratitudine per quelle parole, ma non ebbero modo di dirsi altro, perché il miraculous di Ladybug iniziò ad avvisarli che di lì a poco la sua trasformazione si sarebbe sciolta.
«Devo andare», disse lei, rivolgendo agli altri due un ultimo sorriso. «Grazie ancora per tutto», aggiunse tornando a guardare negli occhi il proprio collega. Quindi, con pochi, leggiadri balzi, sparì alla loro vista.
Chat Noir la seguì con lo sguardo finché non scomparve dietro ad un edificio, domandandosi cosa mai potesse averla spinta ad essere così fredda con Adrien e, al contempo, così morbida con lui. Quando anche il suo miraculous lo mise in guardia sul tempo rimasto prima della trasformazione, si rimise in piedi e tese la mano a Joël. «Un consiglio, se posso permettermi», iniziò, aiutandolo ad alzarsi. «Prima di giungere a conclusioni affrettate, la prossima volta accertati dei fatti. E... se ti piace qualcuno, metti da parte ogni remora e diglielo.»
«E se poi venissi respinto...?» fu la timida replica che ricevette.
Si strinse nelle spalle con aria rassegnata. «Almeno ti sarai alleggerito il cuore.»
La luce triste nel suo sguardo indusse Joël a credere che persino un supereroe come lui avesse problemi d'amore. Non lo avrebbe mai creduto, eppure l'espressione di Chat Noir parlava da sé. Ne avrebbe fatto tesoro. «Domani le dirò quello che provo.»
Adrien abbozzò un sorriso. «In bocca al lupo», commentò soltanto, prima di dargli una pacca sulla spalla e, dopo un ultimo saluto, allontanarsi in fretta da lì. Avrebbe dovuto essere contento di com'erano andate le cose, rifletté fra sé mentre volteggiava a mezz'aria; ciò nonostante, qualcosa dentro di lui aveva iniziato a rimescolarsi all'altezza della bocca dello stomaco. E no, non soltanto per il modo in cui lo aveva trattato Ladybug.
Con un sospiro, Marinette si calò giù dalla botola del suo balcone, finendo in ginocchio sul letto. Era emotivamente troppo stanca per affrontare i compiti per la scuola, pertanto, sciolta la trasformazione, si tuffò sul materasso a pancia in giù. Non solo c'era un ragazzo, di cui ignorava l'identità, che aveva subito una delusione amorosa per colpa sua; lei stessa aveva avuto l'ennesima conferma che Adrien non ricambiava i suoi sentimenti. Per contro, colui che le aveva sfiorato maggiormente il cuore, quel pomeriggio, era stato Chat Noir. E no, non più soltanto per via del sogno fatto quella notte.
Ora che ci pensava a mente più lucida, sia pure ancora provata dalle forti emozioni che l'avevano investita appena pochi minuti prima, non era da escludere che quel sogno non fosse stato altro che una fantasiosa rielaborazione del suo desiderio più grande: che Adrien ricambiasse il suo amore. Se sotto la maschera di Chat Noir ci fosse stato lui, non sarebbe stato meraviglioso? Sì, certo. Ma quei due erano troppo diversi, e l'esuberanza e l'umorismo di Chat Noir mal si sposavano con l'eleganza e la posatezza di Adrien. Sperare perciò, anche solo a livello inconscio, che dietro la maschera dell'eroe parigino si nascondesse il ragazzo per cui lei spasimava era davvero inutile. Ciò nonostante, Marinette avrebbe davvero voluto che Adrien l'amasse proprio come faceva Chat Noir... poteva sognarlo, pur sapendo che non sarebbe mai accaduto?
«Non avresti dovuto essere così fredda con Adrien.» Sospirò di nuovo, benché si fosse aspettata quella tirata di orecchie da parte di Tikki. «Ha solo detto la verità.»
«Lo so», borbottò, girandosi supina a guardare il soffitto mentre la sua piccola amica andava a recuperare uno dei biscotti che lei lasciava sempre sulla scrivania. «Ed è proprio questo che mi rode di più.»
«Quindi non sei pentita per ciò che hai fatto?» si interessò di sapere il kwami, tornando a svolazzare nei pressi del soppalco con il frollino fra le zampine.
«Certo che sì», borbottò l'altra, coprendosi gli occhi con le braccia. Era stata davvero meschina a trattare in modo tanto distaccato Adrien, soprattutto perché in quel momento era nei panni di Ladybug e avrebbe dovuto almeno provare a fingere di non aver risentito delle sue parole. Le faceva male lo stomaco, avrebbe voluto chiedergli scusa, ma non poteva farlo in alcun modo.
O forse sì?
Scattando a sedere sul letto, l'espressione determinata sul volto, si girò verso Tikki che, guardandola negli occhi, rimase con le fauci spalancate a metà, in procinto di avventarsi sul biscotto. «Non userò il Lucky Charm per uno scopo egoistico», iniziò la ragazza, ritrovando la forza di reagire. «Però voglio comunque riparare al mio errore, in qualche modo.»
Già intuendo come sarebbe andata a finire, la creaturina prese un morso dal dolcetto, masticò e ingoiò con calma. «Sai che non puoi chiedergli scusa, senza dovergli spiegare che sei rimasta ferita dalle sue parole?»
«Lo so», annuì la sua amica, mostrandosi ragionevole. «Voglio però dimostrargli che non sono arrabbiata con lui. Se sono fortunata, Adrien penserà che ero solo troppo concentrata sul nemico per preoccuparmi d'altro.»
Marinette sembrava risoluta in quel suo piano e Tikki sapeva che difficilmente avrebbe cambiato idea, dal momento che si trattava di Adrien. Lei, però, aveva i suoi dubbi al riguardo; tuttavia, non poteva esprimere a voce alta la propria contrarietà: presentarsi ad Adrien come Ladybug, sorridergli e mostrarsi gentile con lui non avrebbe fatto altro che allontanarlo sempre più da Marinette. Troppo affezionata alla sua portatrice per farle rischiare un'ulteriore delusione, Tikki tentò di aggirare l'ostacolo. «Sai, forse con lui dovresti mettere due buone paroline per te stessa.» La vide battere le palpebre con aria confusa. «Ladybug potrebbe spingerlo fra le braccia di Marinette, non pensi?»
«È fuori discussione», ribatté d'un fiato la ragazza, accompagnando quelle parole con un gesto perentorio delle braccia. «Sarebbe barare ed io non voglio che...»
«Non eri stata tu a decantare le tue stesse lodi a Chat Noir, quando gli hai chiesto di proteggerti dai poteri di Dessinateur?»
Marinette chiuse la bocca di scatto, ricordando fin troppo bene di essersi definita carina nel messaggio che aveva indirizzato al suo collega mascherato. «Beh...» ricominciò poi, molto meno sicura di prima, «in quel caso non c'era un secondo fine.»
«Potrebbe non esserci neanche ora», tentò di farle comprendere Tikki, che nel frattempo continuava a sbocconcellare il biscotto per recuperare le energie perdute a causa della trasformazione appena finita. «Basterà che tu gli parli con il cuore in mano. E dal momento che non riesci a farlo quando sei soltanto Marinette, approfitta della maschera, se ti rende più sicura, per dirgli ciò che pensi davvero.»
L'altra abbassò lo sguardo davanti a sé. Tikki aveva ragione, concluse dopo qualche istante di riflessione. C'erano tante, troppe cose che avrebbe voluto discutere con Adrien, ciò nonostante non riusciva mai a trovare l'occasione o anche solo il coraggio per parlargliene apertamente. Che fosse arrivato il momento giusto? Non voleva barare, non voleva dichiararsi a lui come Ladybug, ma forse c'era davvero qualcosa che poteva fare.
Sbirciò timidamente in direzione di Tikki che, finito il biscotto, ora la guardava con i suoi grandi occhi azzurri ed un dolce sorriso sulle piccole labbra rosse. «Andiamo?»
Alla fine Joël non si era presentato alla lezione di scherma. Di più, visto quanto accaduto, il corso era stato sospeso per quel giorno e Adrien non poté far altro che prendere atto che non fosse giornata. Sistemandosi meglio la tracolla sulla spalla, l'aprì per recuperare il cellulare e chiamare la sua guardia del corpo, affinché tornasse a prenderlo, ma alla fine ci ripensò: aveva bisogno di stare da solo e percorrere la strada di casa a piedi lo avrebbe aiutato a riflettere meglio sulla sua situazione attuale. Se da un lato aveva ammesso almeno con se stesso che sì, Marinette gli piaceva, dall'altro era consapevole che ciò che provava per lei non era paragonabile a ciò che si agitava nel suo cuore ogni volta che vedeva o anche solo pensava a Ladybug. Tuttavia, quest'ultima era innamorata di qualcun altro e a lui non restava null'altro che la sua grande amicizia. Quanto a Marinette, sapeva che anche lei viveva un amore a senso unico, ma in tutta onestà Adrien ignorava l'identità della persona che aveva conquistato il suo cuore; così come ignorava il tipo di sentimento che lei provava nei suoi confronti. Marinette gli voleva bene come lui ne voleva a lei? Anche lui le piaceva? Il suo amor proprio sperò di sì. Ci teneva davvero tanto, a lei... e poco gli importava che fosse un sentimento fraintendibile agli occhi degli altri: per Marinette, Adrien avrebbe fatto di tutto. Proprio come, ne era sicuro, lei avrebbe fatto di tutto per lui. Fu questo che concluse fra sé mentre, uscendo da scuola, alzava lo sguardo verso il balcone della camera dell'amica, che si affacciava proprio su quel tratto di strada. Non fu lei che vide, però, bensì qualcun altro che non si sarebbe mai aspettato di scorgere lassù.
Arrestò il passo, sgranò gli occhi e avvertì nitidamente il cuore rimbombargli nelle orecchie. Senza che avesse tempo di pensare a qualcosa, Ladybug si calò giù dal balcone, atterrando proprio a pochi metri da lui. Si scambiarono un lungo, silenzioso sguardo. Quindi, facendosi coraggio, la ragazza gli si fece incontro, fermandosi ad una manciata di passi di distanza. «Ero andata a controllare che Marinette non fosse rimasta coinvolta nello scontro prima che io intervenissi per salvarti», spiegò a scanso di equivoci, decisa a non distogliere gli occhi da quelli di lui.
Adrien schiuse le labbra, senza rendersi conto che, Ladybug o meno, il suo primo pensiero fosse in realtà un altro: «Sta bene?»
Lei sorrise, grata e felice per quel sincero interessamento. «Sì, è solo un po' scossa. Ha assistito all'inizio della battaglia dall'alto della sua camera e si è preoccupata tantissimo per te. Forse dovresti chiamarla per rassicurarla.»
«Lo farò senz'altro», promise Adrien, cominciando ad avvertire tutto il peso di quella dichiarazione. Non c'era nulla di male, lo sapeva anche lui; ciò nonostante, temeva che anche Ladybug, che finalmente era tornata a sorridergli e a parlargli con gentilezza, potesse fraintendere. «Grazie... per prima.»
«Ciò che conta è che tu stia bene.»
«Se ci sei tu, non può succedermi nulla.»
Occhi negli occhi, nessuno dei due osava muoversi. Adrien avvertì tutto il suo desiderio delle labbra di lei e Marinette percepì il proprio. Se solo avessero saputo la verità, o se solo non fosse stato così dannatamente disonesto farlo in quel momento e in quelle condizioni, entrambi avrebbero vinto la distanza che li separava e si sarebbero stretti in un abbraccio che non avrebbe conosciuto fine.
«Marinette...» Il sentirgli pronunciare il proprio nome così all'improvviso la fece rabbrividire. «Lei è una...»
«...tua amica, lo so», concluse la ragazza al posto suo, cercando di mandare giù ancora una volta quell'amaro boccone. «Quel tipo...»
«Joël.»
«Joël ha frainteso. È così?»
«Sì», confermò Adrien, deciso ad essere almeno onesto su quel punto. Non voleva, non poteva permettere che anche Ladybug equivocasse la situazione. «Non è la prima volta che accade, ma la verità è che...» Serrò le dita delle mani attorno alla tracolla della borsa dei libri. «Sono innamorato di un'altra.»
Si era trasformata una seconda volta per rimediare in qualche modo al suo comportamento scostante di prima; lo aveva cercato per parlargli e, magari, ragionare insieme a lui sul suo delicato rapporto con quell'amica che troppo spesso scambiavano per la sua ragazza. E invece Marinette adesso riceveva in cambio un pugno alla bocca dello stomaco. Forte. Diretto. Potente. Straziante.
Di nuovo ingoiò le lacrime. Di nuovo strinse i denti. Questa volta, però, si impose di non reagire in modo che potesse ferirlo. Adrien non poteva sapere quanto male le aveva appena fatto. Non poteva immaginare che quella confessione l'aveva fatta proprio a lei, Marinette.
Accennò un sorriso e continuò a guardarlo negli occhi, ora con disperato dolore. «Non è a me che dovresti dirlo, ma alla ragazza che ti piace.» Fu un consiglio che le venne dal cuore, proprio come quello che Chat Noir aveva dato a lei alcuni giorni prima. Lo capiva. Eccome, se lo capiva. Faceva dannatamente male, le toglieva il respiro, eppure tutto ciò che desiderava in quel momento era che Adrien fosse felice. «Sei un ragazzo d'oro. Sono certa che ricambierà i tuoi sentimenti.»
Lui iniziò a dire qualcosa, ma la suoneria del suo cellulare irruppe fra loro con prepotenza, spezzando per sempre l'incanto di quell'istante. Fu un bene per entrambi. Adrien non poteva sbilanciarsi fino a quel punto, sarebbe stato giocare sporco: Ladybug conosceva già i suoi sentimenti, ma ignorava che lui era Chat Noir. D'altro canto, Marinette non voleva sentirgli dire altro, non fino a che non avesse scaricato quell'enorme peso che le opprimeva il petto, spezzandole il fiato.
«Sarà qualcuno che è preoccupato per te», riuscì comunque a dire, pur con voce malferma.
«Ladybug...» mormorò il giovane, accennando un movimento nella sua direzione.
Per riflesso, lei mosse un passo indietro, poi un altro. «Alla prossima», balbettò soltanto, sentendosi ormai sull'orlo del pianto. Doveva andar via, non poteva in alcun modo cedere davanti a lui. Avrebbe capito. E sarebbe stato uno sbaglio.
«Aspetta!» esclamò Adrien, prima di vederla schizzare via da lì per mezzo del suo yo-yo, lasciandolo solo ed impotente con tante, troppe incognite nella mente.
Ciò che rimase a fargli compagnia fu la suoneria del suo cellulare. Rassegnato, lo agguantò e lesse sul display il nome di Alya. «Sono preoccupata!» fu la prima cosa che gli disse l'amica quando lui rispose. «Marinette non risponde al telefono, e Nino mi ha detto che un akumizzato...»
«È tutto a posto», la rassicurò, lasciandosi sfuggire un sorriso intenerito. Tornò a cercare Ladybug con lo sguardo, ma ormai era sparita. «Marinette è al sicuro, sta bene.»
«Ne sei certo?»
«È stata Ladybug ad assicurarmelo, poco fa», spiegò, conscio del fatto che bastasse quello a far svanire ogni preoccupazione dal cuore di Alya.
«Oh, grazie al cielo!» la sentì difatti sospirare dall'altro capo della linea. «Scusa se ti ho disturbato, allora.»
«Nessun problema, al posto tuo avrei fatto lo stesso.»
Quando terminarono la conversazione, Adrien tornò a sollevare lo sguardo sul balcone di Marinette. Aveva promesso a Ladybug che l'avrebbe chiamata, ma se lei non rispondeva al telefono, o se l'aveva spento, era inutile provare a farlo. Deciso a tagliare la testa al toro, tornò sui propri passi e rientrò a scuola. A quell'ora, e con il corso di scherma sospeso, era assai improbabile incrociare qualcuno; ebbe perciò la fortuna di trovare il bagno dei maschi completamente vuoto e, sordo alle proteste di Plagg che stava ancora gustandosi la sua quarta fetta di camembert, richiamò il potere del proprio miraculous per tornare a vestire i panni di Chat Noir.
Quando atterrò sul balcone, la prima cosa che notò fu la finestra che conduceva di sotto lasciata spalancata – forse da Ladybug quando era andata via da lì. Mosse appena tre passi verso l'apertura e le sue orecchie captarono qualcosa di inaspettato. E inconfondibile. Silenzioso e rispettoso, Chat Noir si affacciò di sotto quasi esitando e scorse Marinette che, stesa a pancia in giù sul letto, aveva affondato la faccia nel cuscino nella speranza di soffocare quello che non gli fu difficile riconoscere come un disperato pianto a dirotto. Allarmato, e abbandonando ogni pudore, il giovane saltò giù, ricadendo sul materasso che sobbalzò sotto al suo peso. Marinette lanciò un urlo strozzato e si volse di scatto nella sua direzione, gli occhi rossi e gonfi di lacrime, il viso bagnato e stravolto dal dolore, le spalle che trattenevano a stento i singhiozzi. «Chat... Noir...?»
«Scusa... se sono entrato senza chiederti il permesso, ma... ti ho sentita piangere.» Sedette al capezzale del letto, raggomitolandosi su se stessa e rifuggendo la sua vista. Era evidente che non volesse farsi vedere da lui in quelle condizioni. Faceva un male cane vederla così e Adrien avvertì forte e nitida una stretta al cuore. «Che è successo?»
«Va' via...»
«Marinette...»
«Per favore...»
Sospirò, portandosi una mano fra i capelli e scompigliandoli con fare nervoso. «Il punto è che non posso farlo», iniziò allora a spiegare, sperando che lei comprendesse l'importanza della questione. «Anzitutto perché, se Papillon avvertisse le tue emozioni negative, potrebbe decidere di renderti sua schiava... e non esiste che io possa combattere contro di te», ci tenne a puntualizzare come prima cosa. Marinette trattenne il fiato: aveva ragione lui, pensò fra sé, pur nella confusione del momento. «In secondo luogo...» riprese il giovane, lasciandosi andare ad un altro sospiro, questa volta molto più profondo del primo, «pensi davvero che io possa lasciarti da sola in questo stato?» La vide sbirciare appena nella sua direzione, timida come una bambina. Le sorrise con tenerezza. «Se non vuoi dirmi cos'è successo, non importa», proseguì in tono dolce, divorandola con lo sguardo. «Però... non mandarmi via. Vorrei rimanere con te. Aiutarti, in qualche modo. Sei... importante.»
Era incredibile come, nell'ultimo periodo, Chat Noir riuscisse puntualmente a sfiorare le corde del suo cuore molto più di quanto facesse Adrien. Marinette fu sopraffatta di nuovo dal pianto e, prima ancora che potesse rendersene conto, il suo corpo si mosse in direzione dell'eroe, tuffandosi fra le sue braccia e facendolo sbilanciare. Lui ricadde a sedere sul letto, sbigottito per quella reazione, ma non si tirò indietro e subito ricambiò quell'abbraccio che, lo sentiva fin dentro le viscere, era disperato e bisognoso d'amore. La strinse a sé e lasciò che Marinette sfogasse tutte quelle lacrime contro la sua spalla, rimanendo in silenzio e aspettando che lei fosse di nuovo in grado di dire qualcosa.
Passarono diversi minuti prima che la ragazza riuscisse a calmarsi e quando lo fece si allontanò piano da lui, sciogliendo lentamente quell'abbraccio che era stato la sua àncora di salvezza. Fece per passarsi una mano sul viso, ma Chat Noir l'anticipò, asciugandole lui stesso le lacrime e guardandola con quella sua espressione buona e dolce che tanto le piaceva. «Va meglio?»
Marinette si ritrovò ad annuire come una bambina, benché un nuovo nodo in gola le impedì di rispondere a voce. Quella tenerezza, quella gentilezza... lei non le meritava affatto. Non da lui. Abbassò lo sguardo, mortificata: aveva lasciato che a consolarla per quella delusione d'amore fosse proprio colui a cui lei stessa aveva spezzato il cuore. Non era giusto, niente era giusto. «Marinette?» Tornò ad alzare gli occhi, lucidi e rossi, su di lui. «Sul serio, non voglio vederti in queste condizioni. Né voglio che un'akuma si impossessi di te.»
«Mi... dispiace», riuscì a mormorare, pur con voce provata. «Per tutto», aggiunse poi, lasciandolo confuso. Tornò al suo posto, liberandolo dalla sua vicinanza, e prese un respiro profondo. «Temo sia finita. Lui... è innamorato di un'altra.»
Adrien strinse le labbra, comprendendo fin troppo bene come si sentisse lei in quel momento. «È la sua ragazza?»
«No... o almeno, non credo...» balbettò Marinette, che a questo non aveva ancora pensato.
«Allora forse hai ancora la possibilità di fargli cambiare idea», si sentì incoraggiare a quel punto. Batté le palpebre, fissando con stupore e ammirazione il giovane davanti a lei, che era tornato a sorriderle. «Sei... fantastica. Non posso credere che tu gli sia davvero indifferente.» Fu sul punto di aggiungere altro, ma si bloccò in tempo: no, pensò fra sé mordendosi la lingua, non era decisamente il caso di farle sapere che piaceva anche a lui. Quella riflessione – una constatazione che si era fatta strada con maggior prepotenza in quei lunghi minuti che avevano passato l'uno fra le braccia dell'altra – lo mise quasi a disagio. Imbarazzato, si portò una mano dietro la nuca e distolse lo sguardo dal suo. «Voglio dire... finché lui non ti dirà che non prova niente per te...»
«Lo ha già fatto», replicò lei, la voce malferma e il cuore che continuava a sanguinarle in petto. «Ha detto e ripetuto che mi vede solo come una cara amica. Non credo ci sia molto altro che io possa fare.»
Calò il silenzio per qualche istante, poi Chat Noir parlò. «Lo so... come ti senti», iniziò, gli occhi e le orecchie basse. «Lo so molto bene.» Marinette provò una fitta alla bocca dello stomaco, sentendo rigirare il dito nella piaga benché lui non potesse saperlo. «Però... forse... un giorno... le cose potrebbero cambiare.»
L'amava così tanto? Gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime ed un sorriso le increspò le labbra. «Vorrei... Vorrei davvero che riuscissimo entrambi ad essere felici», disse col groppo in gola, pur conscia del fatto che non sarebbe mai potuto accadere. A meno che uno dei due non avesse rinunciato per sempre al grande amore della sua vita. Lei avrebbe mai potuto farlo? I suoi sentimenti per Adrien erano talmente ben radicati nel suo cuore che Marinette davvero non riusciva a crederlo possibile.
Eppure...
«Vorrei... che lui mi amasse come tu ami lei.»
Gli occhi verdi di Chat Noir si fissarono di nuovo nei suoi, penetranti, profondi, appassionati.
«Ed io vorrei che lei mi amasse come tu ami lui.»
Si scambiarono un nuovo sorriso, tenero, complice, affettuoso. Marinette asciugò un'ultima lacrima, caduta a tradimento sulla guancia, e il giovane approfittò di quella distrazione per avvicinarsi e posarle un bacio fra i capelli scuri, facendole sussultare il cuore. Stava per dirle qualcosa, l'ennesimo incoraggiamento, quando con la coda dell'occhio catturò un'immagine che lo bloccò. Letteralmente.
Non furono le sue foto appese per tutta la camera a fargli mancare un battito – a quelle ormai ci era abituato e non dava più peso. Fu, piuttosto, ciò che vide sugli scaffali dietro alla testiera del letto: una rosa ed una margherita.
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Sempre in ritardo, lo so, vi chiedo sinceramente scusa. La mole di lavoro è aumentata ancora ed io davvero non ho quasi più tempo per sedermi al PC a scrivere. Ho iniziato ad abbozzare persino le scene al cellulare mentre vado al lavoro con i mezzi pubblici, altrimenti non saprei davvero come riuscire a concludere questa storia. Per la stessa ragione, devo ancora rispondere alle recensioni che i lettori di EFP hanno lasciato all'ultimo capitolo. Vi chiedo sinceramente scusa. E credo sia inutile spiegare che è sempre questo il motivo che mi costringe a rinviare la lettura delle vostre storie: non avete idea di quanti arretrati io abbia e mi piange il cuore a dover continuare a rimandarle a quando finirò la stesura di questa fanfiction.
Al momento sono alle prese con il sedicesimo capitolo e sono a buon punto. Nel senso che forse in altri due (massimo tre) capitoli dovrei riuscire a concludere tutto. Pregate per me ed il mio tempo libero, anche perché potrebbe continuare a scemare, sigh.
Ora, purtroppo, vorrei fare un piccolo appunto. Mi rivolgo perlopiù ai lettori/commentatori di Wattpad, ai quali sicuramente apparirò antipatica e puntigliosa. Tuttavia parlerò lo stesso, anche a costo di sembrare tale e di perdere una buona metà di loro, poco mi importa. Dopotutto, in alcune circostanze sono stati loro per primi a mancarmi di rispetto.
Quando scrivo, lo faccio con impegno. Ci sono capitoli (e a volte persino semplici scene) su cui mi soffermo per giorni prima che io ne sia soddisfatta (e che poi comunque continuo a correggere anche poco prima di pubblicare online). Mi scervello a cercare i termini adatti, le forme migliori, a rispettare la caratterizzazione dei personaggi e la logica degli eventi. Faccio ricerche. Di luoghi, di oggetti, di parole, di tanto altro. Che poi magari ciò che scrivo possa non piacere è un altro paio di maniche e per me non è un problema. Stiamo parlando di fanfiction, roba di poca importanza. Ma mi ci impegno lo stesso perché mi piacciono.
Eppure, puntualmente, alcuni di voi, fra un commento e l'altro, continuano a nominare le storie di altri utenti. Senza preoccuparsi che la cosa possa dar noia all'autore di quella che state commentando. Sì, a me infastidisce molto, perché denota mancanza di rispetto nei confronti miei e del mio lavoro. Vi chiedo la cortesia di smetterla. A questo punto, in tutta onestà, preferisco non ricevere commenti. Amen, me ne farò una ragione.
Volete discutere di altre storie? Liberissimi di farlo, ma in privato o comunque altrove. E non accampate giustificazioni tipo: «Eh, ma è una storia famosissima! Piace a tutti!» Non è vero, non datelo per scontato. E anche se così fosse, se aveste ragione voi, ciò non vi autorizza a parlarne nei commenti alle mie storie. È irritante, davvero. E chi fosse giunto alla conclusione che io sia soltanto gelosa delle storie degli altri, sappia che si sbaglia di grosso. Chi mi conosce sa bene che sono la prima a fare pubblicità ai titoli più meritevoli, ma solo quando è necessario. Non faccio spam gratuito nemmeno alle mie storie, non mi sento tanto arrogante da credere che siano le migliori. Un minimo di amor proprio, però, ce l'ho anch'io.
Vorrei portare a conclusione questa fanfiction in modo sereno, tanto più che con tutta probabilità e per diverse ragioni, sarà l'ultima che scriverò (almeno di long di sicuro). Non costringetemi a cancellare le mie fanfiction da Wattpad e a pubblicare unicamente su EFP, come ho sempre fatto, o a lasciare questa a metà (perché sì, lo farei).
È come l'avviso sulle richieste che mi fate riguardo alle trame: ho dovuto inserirlo nel mio profilo perché ne ricevevo troppe, e quel poco tempo libero che riesco a passare al PC preferisco impiegarlo per scrivere le storie che mi piacciono.
Vogliate perdonare questo mio sfogo, ma davvero ne ho fin sopra i capelli. Cerco sempre di essere gentile con tutti, ma ogni cosa ha un limite. Vorrei solo un po' di rispetto.
Detto questo, vi saluto e vi ringrazio per essere ancora qui a seguire questa storia nonostante gli aggiornamenti non proprio costanti.
Un abbraccio e buona giornata!
Shainareth
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