½. 𝐔𝐍𝐀 𝐍𝐎𝐓𝐓𝐄 𝐒𝐎𝐋𝐈𝐓𝐀𝐑𝐈𝐀


𝐔𝐍𝐀 𝐍𝐎𝐓𝐓𝐄 𝐒𝐎𝐋𝐈𝐓𝐀𝐑𝐈𝐀

𝐒𝐞𝐜𝐨𝐧𝐝𝐚 𝐏𝐚𝐫𝐭𝐞

Con l'abito che le stringeva il petto in una morsa, Raven uscì dalla casa dei McNair trattenendo il fiato. Sapeva che presto i due uomini si sarebbero accorti dello sciocco stratagemma di zia Bertha, perciò si immerse nella fresca sera pur indossando soltanto l'abito di tulle che le arrivava al ginocchio. Chiuse la porta sul retro con delicatezza, e scese i bassi gradini per arrivare sul marciapiede, mettendo la borsa a tracolla. Raven girò a destra cercando di non inciampare coi tacchi, che si sarebbero potuti incastrare in un tombino o tra le pietre del ciottolato. Rabbrividì mentre l'aria di fine agosto le carezzava le spalle, e cercò di nascondersi in un vicolo. Fu solo questione di fortuna - o di destino - che i due uomini della nonna uscirono dalla casa proprio mentre lei svoltava l'angolo, perciò non la videro. Ma sarebbero per forza passati di lì, prima o poi, e Raven capì che l'unico modo per seminarli non era nascondersi e aspettare che la trovassero, ma confondersi tra la gente che passeggiava.

Raven si guardò intorno: c'era una coppia con un bambino, delle ragazze forse ubriache, che festeggiavano un compleanno o un addio al nubilato, un gruppo di amici che fumava fuori da un pub. Nessuno di loro faceva al caso suo. E poi c'era un ragazzo solo, che forse aspettava qualcuno sotto un palazzo. Raven si voltò e vide i due uomini di Rosalie uscire dal vicolo. Aveva pochi secondi per decidere cosa fare: se continuare a nascondersi e tentare l'ira della nonna o prendersi quelle ultime ore di libertà prima di adempiere alla missione nella sua borsa.

Ricordò la notte in cui si era infiltrata al BloodLust e sotto quell'impulso andò verso il ragazzo solitario e lo prese per i gomiti. La ragazza poggiò la schiena contro il muro dell'edificio e attirò il ragazzo a sé.

"Per favore,", disse quando il ragazzo la fissò sorpreso e stizzito. "fa finta di parlare con me. Per favore.", ripeté. Nonostante le parole supplichevoli, il suo tono era deciso, e forse fu questo a convincere il ragazzo. Più la forte stretta sui suoi avambracci.

Il ragazzo le fece mollare la presa assottigliando lo sguardo, avvicinandosi a lei di un passo. Solo allora a Raven venne il dubbio che forse quella non era stata la scelta migliore. Se fosse andata coi sottoposti di sua nonna, almeno sarebbe stata al sicuro fisicamente.

Raven si spinse ancora di più contro la parete, facendo aderire la schiena al muro. Il ragazzo sembrava avere qualche anno più di lei e indossava una strana giacca da aviatore della Seconda Guerra Mondiale. Raven toccò con i palmi il muro dietro di sé e alzò lo sguardo, gli occhi verde intenso della ragazza si specchiarono in quelli color ambra di lui.

"Chi ti sta cercando?", lo sconosciuto sollevò le sopracciglia scure, e Raven, a dispetto di quanto credesse, percepì una piacevole sensazione al suono della sua voce. Non era arrabbiato, come si sarebbe aspettata che fosse, ma c'era una punta di apprensione che la scaldò, quasi.

"Nessuno. Solo...", si umettò le labbra e il giovane seguì il movimento con gli occhi caldi. "ho bisogno che tu faccia finta di parlare con me. Mi serve solo qualche minuto per far perdere loro le mie tracce." Detta così sembrava che avesse rapinato qualcuno, ma il ragazzo non parve scosso dal suo tono o dalle sue parole.

"Qualche minuto?", chiese solo, con la sua voce bassa.

Prima che Raven potesse pensare ad una risposta o ad un modo per ringraziarlo, ma decise di rimanere zitta. Non voleva innervosirlo in alcun modo, c'era qualcosa di familiare e al contempo pericoloso, in lui.

Raven si strinse le braccia al petto e il braccialetto scintillò alla luce giallognola dei lampioni. Il ragazzo piegò la testa di lato, come un animale curioso, e i suoi occhi andarono al suo polso. Fissò il cerchietto di metallo, ma fu solo un baluginio ambrato, prima che riportasse gli occhi in quelli di Raven.

C'era qualcosa di più quieto ora nei suoi occhi, nella sua postura. Raven rabbrividì.

"Se ti cercano dobbiamo allontanarci da qui.", suggerì lui con tono pragmatico.

Raven si chiese se non avrebbe dovuto prendere quelle lezioni di Krav Maga sull'Arboleya Boulevard, prima di partire.

"Io credo di star bene così. Qui.", ribadì.

Lui fece un passo indietro. "Mi spiace averti spaventata. Ma credevo che volessi scappare."

Raven portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Era così, è così."

"C'è un locale dall'altro lato della strada," il ragazzo indicò col pollice dietro di sé, proprio dove prima c'era il gruppo delle ragazze ubriache. "è un posto affollato, quindi, nel caso ti dessi qualunque tipo di fastidio potresti chiedere aiuto." Indicò col mento la borsa di lei, poggiata sulla spalla, "Credo che tu abbia un cellulare con te, tienilo a portata di mano se ti senti più sicura. In caso volessi chiamare qualcuno."

Raven ridacchiò per allentare la tensione. "Okay, stai diventando un po' inquietante adesso. Andiamo in quel locale, ma devo comunque rientrare tra poco."

Lui non sorrise, né annuì come si sarebbe aspettata, ma le diede le spalle e attraversò la strada.

Raven aggrottò le sopracciglia e scosse la testa, ma lo seguì.



Il locale era affollato come si era aspettata. C'era della musica pop in sottofondo a volume abbastanza alto ma nessuno dei presenti sembrava esserne infastidito. Il gruppo di ragazze che aveva supposto festeggiassero un addio al nubilato, occupavano i tavolini in fondo e una parte della pista. Una delle giovani - di sicuro la futura sposa - aveva una corona di plastica in testa, e una maglietta con su scritto "ultimo giorno da single". Raven avrebbe voluto sorridere, ma tra la folla di ragazze e damigelle scorse un profilo familiare, che perse un istante dopo.

Il ragazzo intanto, attento a non toccarla, le indicò un tavolo libero e la lasciò sedere dal lato che dava sulla porta.

"Nel caso in cui volessi andar via.", disse.

Ma Raven era distratta dalle ragazze con le magliette della stessa stampa e i bicchieri pieni di alcool.

"Non credi sia troppo presto per te?"

Raven strabuzzò gli occhi e distolse lo sguardo, mettendo invece a fuoco il ragazzo, che intanto si era sfilato la strana giacca da aviatore.

"Infatti.", fece un sorriso incerto, "Non stavo pensando al matrimonio, mi è sembrato solo..."

Eccola lì, la testa biondo miele che sbucava tra la folla di ragazze. Raven assottigliò lo sguardo e tolse i capelli dal viso, cercando di non perdere d'occhio l'unica ragazza del gruppo che non indossava la maglietta con la stampa "bride squad", ma una semplice T-shirt bianca. La bionda era seduta in disparte rispetto al gruppo delle festaiole, ma Raven non si sarebbe alzata a salutarla, dato quello che era accaduto l'ultima volta che aveva avuto a che fare con lei.

Il ragazzo si immerse nel suo campo visivo e le chiese se andasse tutto bene.

"Sì. Credevo di aver visto una conoscente, tutto qui."

Lui posò le spalle sullo schienale della sedia e incrociò le braccia al petto. Gli occhi color ambra andarono di nuovo al braccialetto sul polso di Raven.

"Chi te l'ha dato?", chiese indicandolo col mento.

Raven, per istinto, vi mise una mano sopra. "In realtà una persona alla quale non sono particolarmente legata.", strinse i denti per non piangere, abbassando lo sguardo sul metallo freddo. "Più che un regalo lo considero il simbolo di una cosa che è successa.", e prima che lui potesse aggiungere altro, "E no, non ti dirò di che si tratta."

Lui non rispose, ma ordinò invece da bere al cameriere. Anche Raven avrebbe voluto bere qualcosa che non fosse l'acqua che aveva ordinato, ma non era sicuro ingerire neanche una piccola quantità d'alcool, se in compagnia di uno sconosciuto.

C'era qualcosa di pericoloso in lui. Ma al contempo un vago sentore familiare. Ma più ci pensava più la sua mente escludeva l'idea. Era un infinito circolo vizioso mentale, che era entrato in atto da quando gli aveva chiesto di aiutarla.

"Tu invece? Cosa fai qui?"

"Intendi a Inverness?"

Lei sorrise. "Intendo nel mondo," scherzò, "ma partiamo da Inverness."

Il cameriere portò le ordinazioni ed entrambi ringraziarono.

Lui diede un sorso alla sua birra e rispose. "Sono in città perché devo aiutare un amico con una questione delicata."

"Lavoro?", Raven non si era accorta di avere la bocca secca finché non bevve.

"Sono più giovane di quel che sembra."

Le ragazze in fondo al locale iniziarono a intonare una canzone a voce alta. Raven guardò ancora una volta la ragazza in disparte, poi ritornò alla conversazione.

"E invece lì, sotto quel palazzo... cosa facevi?"

Il ragazzo fece una strana espressione, come se gli fosse venuta in mente una cosa che aveva dimenticato da tempo. Gli occhi gli si illuminarono per un lungo momento e il suo viso apparve disteso, più giovane, quasi fragile.

Raven sbatté le palpebre e l'espressione era già scomparsa.

Lui bevve ancora e si schiarì la voce. "Niente."

Raven sentiva che lui voleva aggiungere qualcos'altro, ma erano solo due anime solitarie che si erano trovate in una notte solitaria, non c'era motivo di condividere qualcosa di più profondo di una chiacchierata.

Il cristallo di un calice si infranse sul pavimento lercio, così come la concentrazione di Raven si sgretolò. La ragazza sciolse lo stretto chignon che aveva fatto per quella sera e si alzò in piedi.

L'attimo di intimità si era interrotto, perso.

Il ragazzo alzò la testa, seguendo il suo movimento. Gli occhi d'ambra risplendettero quando il bagliore di una luce, proveniente dall'esterno, li sfiorò. L'iride divenne oro liquido e Raven fu così travolta da quella sensazione di pericolo, che fu ancora più decisa ad andarsene.

"È ora di tornare. Sono stata via un po' troppo.", non aveva voglia di controllare il cellulare, ma intuiva quante chiamate perse e messaggi ci fossero. Prese la borsa e mise una banconota da cinque dollari sul tavolo. "Devo andare, grazie, comunque."

Lui vide i soldi e disse: "Non preoccuparti per i soldi, dovresti riprenderteli."

Raven lo ringraziò di nuovo e si mise la borsa sulla spalla.

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