½. 𝐈𝐋 𝐅𝐎𝐍𝐃𝐎 𝐃𝐄𝐋𝐋'𝐎𝐂𝐄𝐀𝐍𝐎
𝐈𝐋 𝐅𝐎𝐍𝐃𝐎 𝐃𝐄𝐋𝐋'𝐎𝐂𝐄𝐀𝐍𝐎
𝐒𝐞𝐜𝐨𝐧𝐝𝐚 𝐏𝐚𝐫𝐭𝐞
Una volta uscita, Raven non sapeva dove andare. Prima aveva il BloodLust come rifugio, un posto dove Yuri le avrebbe rifilato un qualche nuovo drink e Marvin le avrebbe insegnato nuovi accordi. Ma Marvin non c'era più e bisognava iniziare a farsene una ragione. Per Yuri invece... be', in Yuri Raven aveva sempre percepito pericolo. Non solo dal fatto che fosse un Vampiro, ma perchè Yuri era un Vampiro nell'animo. Era un predatore. Il genere di Vampiro al quale piace sentire l'odore della paura. Raven lo sapeva bene: era stata una delle prime cose che le avevano detto riguardo i Vampiri, quando era bambina.
Con il BloodLust chiuso per le indagini, non aveva idea di dove altro potesse trovarsi. Ripensandoci, anche se l'avesse saputo, non avrebbe mai chiesto ad un predatore di darle conforto, perché gli sarebbe stato impossibile per natura.
Vivere in una città come Miami, non giovava affatto quando eri di umore triste, soprattutto l'estate, quando la popolazione si moltiplicava per le ferie. C'erano locali e discoteche aperti a tutte le ore del giorno, le luci stroboscopiche che ti bagnavano della loro luminosità, quando volevi solo sprofondare nel più profondo dei baratri.
Gente rideva per strada, ubriaca o felice - che dir si voglia - dirigendosi verso il prossimo bar o a fare un bagno notturno.
Se Raven avesse scelto una qualsiasi altra città, quando lei e sua madre erano partite tre anni prima, ora si sarebbe seduta in un diner silenzioso a bere un caffè annacquato e depresso, guardando il proprio riflesso sul vetro delle finestre ad aspettare l'inizio dell'autunno.
Invece tre anni prima, mentre metteva via le sue vecchie bambole, la TV che ciarlava, la mamma le aveva chiesto in quale posto avrebbe voluto trasferirsi. A Edimburgo? O più a sud? Magari oltre la Manica. La mamma era sempre voluta andare nel sud della Francia, con quel clima mite e le giornate soleggiate. No? Era troppo vicino, Raven? Più lontano allora. La Grecia? Che ne dici della Grecia, Raven?
E poi era successo. Su quel canale dove facevano sempre repliche di vecchi telefilm, era partita una sigla. L'ennesima replica, sì. Ma di 'Miami Vice'.
E Raven aveva scelto.
Che Miami sia, aveva risposto la mamma. La voce che aveva tremato un poco pensando a quanto fosse lontano, ma Raven, quasi bambina, non se n'era accorta.
Raven si ritrovò a camminare sulla 2nd Avenue, ricordandosi che da quelle parti doveva esserci "Wendy's", uno di quei tipici diner americani, di cui tre anni prima era rimasta tanto sorpresa che esistessero davvero. "Wendy's" aveva mattoni a vista e presentava un grande insegna rossa, subito visibile dalla strada. Era uno di quei luoghi aperti fino a tardi, in cui eri certo di non trovare gente in costume da bagno, mezza ubriaca, perché un luogo per famiglie - almeno la maggior parte delle volte era così.
C'era chiasso nel locale, quando entrò. Una squadra di basket femminile - o di football? - aveva occupato tre tavoli, poi c'erano le solite coppiette e le famiglie uscite a comprarsi un frullato, nonostante fosse quasi l'una di notte.
Raven ordinò un frullato al cioccolato e si sedette al bancone. A causa dei capelli bagnati e dell'umidità di Miami, aveva un leggero mal di testa.
Mentre la cameriera le diede il frullato, Raven ripensò a sua nonna.
L'aveva iscritta in una scuola. Anzi, una specie di collegio, aveva detto la mamma. Quanto era terribile quella situazione? Il fatto che si trattasse di un collegio esclusivo non era un caso. Nonna Rosalie era il tipo di persona che tiene che l'istruzione sia impeccabile, certo. Ma se avesse guardato il programma scolastico, Raven era certa di trovare, tra le attività extracurriculari, sport come il tiro con l'arco e la scherma. E chissà, dato che era un posto fuori città, magari c'era anche un poligono di tiro. E di sicuro qualche maestro di Aikido venuto direttamente dal Giappone o di Krav Maga dall'Israele.
Raven bevve un lungo sorso e si passò una mano tra i capelli. La squadra femminile sembrava aver smesso di gridare e ridacchiare, oppure se n'era andata, ma almeno era tornato il silenzio, quasi un toccasana per il suo mal di testa.
"Come mai stai pensando al Krav Maga, Raven? Ti vuoi iscrivere ad un corso? Conosco una scuola giù sull'Arboleya Boulevard, se sei interessata."
Raven quasi si strozzò quando sentì qualcuno sedersi vicino a lei e chiamarla per nome. Poggiò il frullato sul bancone e si voltò lentamente. La Vampira si era materializzata di fianco a lei come un alito di vento. "Tricia.", salutò, o tentò di salutare, dato che la sua voce venne fuori come il pigolio di un passerotto. Tricia era un'amica di Marvin da molti anni. Con le labbra carnose, l'altezza da modella di Victoria's Secret e gli occhi sempre stretti in due fessure, le aveva sempre messo soggezione. Tricia lo sapeva, e amava goderne.
Dietro di lei, in piedi, c'erano altri due Vampiri. Due ragazzi vestiti con abiti di pelle e dai capelli colorati. Dovevano essere rimasti agli anni Ottanta. Raven gettò loro un'occhiata veloce, poi si concentrò su Tricia. Si accorse in quel momento che il locale era vuoto.
"In realtà stavo pensando che non mi verrebbe mai in mente di fare del Krav Maga.", rispose con il tono più sicuro che riuscì a trovare.
Tricia si sporse e prese la ciliegia che era rimasta affogata nella panna del suo frullato. "Aha.", fece, mettendosela in bocca.
Raven pressò le labbra e rimase a fissarla. Poteva anche starle antipatica, ma Tricia non era il tipo che perdeva tempo dietro agli umani.
"Hai ragione.", rispose la Vampira con voce calma. "Non sono affatto il tipo che si interessa delle faccende umane, ma," e fece un segno con la mano ai due Vampiri in piedi dietro di lei. "abbiamo pensato che, dato che sei rimasta al fianco di Marvin fino alla fine, e che tu sei l'unica alla quale lui ha tramandato... la sua tecnica, noi della Comunità volevamo farti un regalo."
Uno dei due Vampiri si sporse e diede a Tricia una...
"Una custodia per chitarre?", a Raven tremò un poco la voce.
"È una delle chitarre di Marvin.", disse Tricia passandogliela. "Nonostante la tua umanità, Marvin ti voleva bene, eri una sorta di... discepola, per lui. E dato che tu non hai la memoria dei Vampiri, una delle sue chitarre non ti farà mai dimenticare di lui."
Raven si chiese cosa intendesse con "Memoria dei Vampiri", e sul fatto di dimenticarsi di Marvin. Ma non domandò nulla sapendo che Tricia non le avrebbe risposto.
Forse leggendole il pensiero, la Vampira distese le labbra lucenti di lipgloss, in un sorriso. A Raven vennero i brividi. Non sapeva se perchè era a conoscenza del fatto che sotto quel sorriso c'erano due zanne da tre centimetri l'una, o perchè Tricia non sorrideva mai a nessuno, men che meno a lei.
"Io... non so che cosa dire. Davvero."
Gli occhi di Tricia brillarono. "Solo che te ne prenderai cura."
Raven annuì. "Lo farò."
"E che starai lontana dai Vampiri d'ora in poi."
La ragazza alzò lo sguardo, gli occhi verdi si specchiarono in quelli dorati della Vampira. "Ci provo, davvero. Ma mi è quasi impossibile."
"È il tuo odore.", le prese il polso destro tra le dita affusolate, le unghie curate le graffiarono la pelle sottile proprio nel punto in cui c'era la cicatrice, "È questo che attira i Vampiri." Tricia si infilò l'altra mano in tasca e ne estrasse un braccialetto. Lasciò il polso di Raven e glielo mise. Era un semplice cerchio di metallo che le stava leggermente largo. Tricia lo richiuse con un click. "Sta' attenta. Non tutti là fuori sono buoni come Marvin. Questo farà in modo che il tuo odore sia un po' più leggero. È come passare da un eau de parfum a un eau de toilette. E farà in modo che non possano leggere i tuoi pensieri, o che almeno arrivino distorti." La Vampira si alzò. I due dietro di lei uscirono dal locale.
Raven sollevò il polso e guardò il riflesso del metallo alla luce dei neon. Era di un grigio intenso come argento o acciaio, ma leggero e fine come oro.
"Ma Tricia, perchè...?", quando alzò lo sguardo, il locale era di nuovo pieno, e di Tricia non c'era nessuna traccia.
@/Silver_Grant_
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